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Amsterdam

Post n°571 pubblicato il 21 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI CIU’ part ciù 

In albergo crolliamo mestamente sul letto. Nel dormiveglia sento dei rumori, la porta si apre e tutto quello che sento è un vocione omaccesco urlare “just close the door!”. Non avendo visto la scena perché priva di occhiali e con il cervello annebbiato dal sonno, la Zimo mi racconterà poi che questo omaccione nero, non contento, cercherà di aprire nuovamente la porta della nostra stanza. Capiremo solo poi, dopo una doccia da rimessa al mondo, che costui era uno degli omini dell’albergo (tanto che ci ha ricordato di chiudere la camera sia se fossimo all’interno sia se fossimo fuori).

Sono le 19, minuto più minuto meno. C’è da decidere il programma della serata. È venerdi, e il venerdi il Van Gogh Museum resta aperto fino alle 22. potremmo sfruttare la cosa, cosi da poter vedere altro il giorno seguente, poi cenare e andare al GrassHopper. Lì la vedova bianca ci deve essere per forza!

Ci facciamo forza ed usciamo dall’albergo. Direzione quartiere dei musei.
Al Van Gogh museum c’è fila al guardaroba, fila al metal detector e una marea di gente all’interno. E il museo è immenso.
La possibilità di trovare altri italiani dementi dovrebbe essere più bassa. Ma visto che è la nostra giornata fortunata, anche li troveremo chi porta alta la nostra bandiera dell’ignoranza.

Il museo è gigantesco, tantissime le opere dell’artista e molte firmate da pittori conosciuti dal maestro della tecnica della spatola. L’ultimo piano è dedicato a chi, in un modo o in un altro, fosse comparso nella vita di Van Gogh. E, puntuale come un orologio svizzero, arriverà l’ennesima dimostrazione di demenza. Due ragazze italiane, davanti a una teca: “chi è questo?” “ma come non lo vedi? È Delacro!” riferendosi a un primo piano di Delacroix. Mi cascano le braccia, poi mi cascano le orecchie. Decidiamo di filarcela a gambe, il museo era finito, il nostro udito era andato a farsi friggere…e lo schifo restava.

Anche se l’idea di cipolla persisteva facendo su e giù nel nostro stomaco, si stava palesando una vaga idea di fame. Ma fame vera di cibo vero per una cena vera. O quasi.
Il terrore nel volto e la fame nello stomaco. Dovevamo decidere il prossimo passo verso l’assassinio dell’apparato digerente. Niente fast food, abolito febo, vade retro crocquet, e divieto di pancake. Steakhouse o irish pub? E se la steakhouse ci rifilasse un conto stratosferico per un pezzo di carne sconosciuta? Rischiamo? Decisamente no.

Dato che la mattina, avendo tra le mani il menu completo, durante la colazione si era sbirciato tutto ciò che era disponibile, torniamo al pub irlandese vicino al nostro albergo. Andiamo sul sicuro. Heineken (strepitosa, ha tutto un altro sapore) fish&chips e pollo con patate. Una cena decente. Durante il lauto pasto ci guardiamo intorno. Dagli schermi tv sulle pareti del locale venivano mandate a ripetizione fotografie. Probabilmente di clienti, ma su quasi tutte compariva un volto familiare (no non era cipolla). Un omino sorridente, dallo sguardo acceso, giocoso…insomma dava l’idea della simpatia in persona. Quell’omino è li davanti a noi. Uno dei camerieri del locale. Poco prima di notare le fotografie sugli schermi lo avevamo rinominato Gattuso, per la spaventosa somiglianza con Ringhio, completa di sguardus incazzus. Non riusciremo mai a capire come potesse risultare simpatico quell’omuncolo nano e scontroso con la faccia da Gattuso.

Sono le 23, abbiamo finito di cenare da un bel po’, ma siamo ancora sedute li, aspettando impassibili che qualcuno dei camerieri (li ho visto l’unico olandese degno di nota, ma avrei rischiato d’essere additata come pedofila visti i suoi probabili vent’anni) ci notasse mentre ci sbracciavamo per chiedere il conto. Passa il rastone bambino (era veramente bellino, oltre che alto) ma ha troppi bicchieri in mano per poterlo fermare. Ringhio non ci si fila di pezza. La ragazza che ci ha servito all’inizio era sparita, volatilizzata nel nulla. Passano i minuti. Niente. Passano altri minuti. E ancora niente. Decido per le maniere forti. Vado io al bancone per chiedere il fantomatico bill.

Davanti a me, sul bancone, la versione olandese nanica di Ringhio. Per farmi notare ci vorranno altri inesorabili minuti. Finalmente! “eschiusmi chen ui ev the bill pliss?”. Gattuso mi guarda, accenna a un sì con la testa, si volta, digita qualcosa alla cassa, io avvicino la mano facendo la chicane tra le manopole della birra alla spina e lui, invece di darmi lo scontrino in mano che fa? Si allunga, prende un piattino, fa il giro del bancone, scende, si avvicina a me e mi da il piattino in mano. Guardo il conto, gli dico ok, cosi che con in una mano il piattino col conto, e con l’altra il portafoglio (chi l’ha visto sa che sembra una bomba a mano) cerco di pagare. Dopo aver pagato mi ritrovo li, in piedi, come una deficiente e con un piattino in mano. Ancora mezza rintronata lascio vagamente il piattino sul bancone e mi sento dire da dietro “Sei italiana?”. Ecco là, guarda se non mi ritrovo a fare una figura di merda pure in paesi fiamminghi. E mentre penso a cosa diavolo avessi detto in inglese da far capire che ero cosi italiana (e mentre mi vergognavo da buona ignorante che sono) rispondo di si. La controrisposta arriva inaspettata “l’ho capito dall’ok”. Rimango spiazzata, mi verrebbe da rispondergli perché da tutto il resto parevo inglese? Ma sto zitta, sorrido, saluto e me ne vado. Usciamo dal locale con un’idea chiara e nitida. O meglio, con la missione. Siamo ad Amsterdam, abbiamo “consumato” ma manca ancora colei che cerchiamo. E cosi, fuori dal pub, saliamo sul tram, direzione Central Station, meta : The Grasshopper.

Li la bianca vedova la devono avere per forza!

È venerdi sera, c’è movimento in città, anche se la loro idea di traffico dista parecchio dalla nostra. Una decina di macchine in fila al semaforo (allora anche gli olandesi hanno l’auto! – scoprirò poi che li è un gran lusso averla, dato che solo di parcheggio gli costa un cinquantino di euro - ) una marea di biciclette, molta gente bighellonante…e ovviamente tanti turisti.

Una luce verde si fa spazio tra i vetri del mezzo pubblico. Vediamo l’immenso locale illuminato dalla sua insegna. Giusto il tempo di studiare la posizione delle fermate del bus notturni e via, dritte verso La Mecca. La Zimo mi assicura che li ci sarà tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ovvero la vedova e il trun trun, che ormai avevamo ricordato quale fosse il suo vero nome, grinder.

C’è molto movimento fuori, ci addentriamo. Un occhio di riguardo al rischio cornata sul soffitto e scendiamo le scalette che portano alla zona fumatori. C’è un po’ di fila davanti allo spaccio d’erba. Intanto puntiamo un tavolino libero. È nostro! Dietro di me una piccola vetrina con tanto di gingilli e ricordini vari del grasshopper. C’è! Il grinder c’è!

Mentre aspettiamo che la tipa passi e prenda le ordinazioni la Zimo decide: “Aria’ tu prendi da bere io vado a prendere l’erba che la fila s’è smaltita” “Zi’ me raccomando, solo mezzo grammo, siamo in due e domani è l’ultimo giorno e c’è ancora l’altra da consumare” e va a mettersi in fila. Niente alcolici quindi chiedo due coche e il fantomatico grinder. La ragazza porta il tutto e attendo la Zimo.

Poco dopo fa ritorno al tavolo, si mette seduta, e sbatte sul tavolo un ben di dio dentro una bustina megagalattica. “A Zi’, ma quanta ne hai presa? È un botto!” e cosi mi guarda con l’occhietto languido, e prima di dirmi che era un grammo e mezzo di meraviglia esordisce con “Era in offerta! Non potevo mica lasciarla li”. Quand’è cosi si perdona tutto. D’altronde, era in offerta! Solito rito di preparazione, filtrino, cartina e via.

Usciremo da li cotte, completamente marce dentro, e le due facce fotografate fuori dal locale ne sono da esempio.

Sarà la fattanza, sarà il tris di musei in una giornata, ma è l’1 di notte e noi siamo morte. Di sonno ovviamente. E di stanchezza. Cosi che una piccola passeggiata el quartiere a luci rosse contornata dal delirio (mio) di “voglio le frittelline” ci riporta in zona stazione. Passetto passetto (strascicandus modus) vediamo in lontananza la nostra fermata.
La Zimo: “Aria’ c’è l’autobus pronto” e io, strascicando i piedi e tutto il resto con la lentezza di una lumaca ubriaca e stordita, ho la risposta pronta: “Che famo? Famo lo scatto?”

Ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere. Ora va a capire se era colpa della roba fumata o della stronzata appena detta.

Sta di fatto che lo scatto non c'è stato, e l’autobus era ancora li fermo ad attenderci.

Appena salite parte la considerazione sull’autista. Ovviamente si era in fase delirio quindi quello che ne è uscito fuori è stato assurdo. Ora posso dire che Ken esiste. Ho visto Ken dal vivo… (si quello di barbie, quello con i capelli di plastica incollati sulla testa)… oddio a guardarlo bene pare più HeMan” e parte la sigletta di quel mitico cartone. L’autobus parte. Non è come sul tram, ha una guida particolarmente spedita, cosi che la mente strafatta di Simona comincia ad immaginare l’autista che prende una curva in velocità, lei che si aggrappa al palo di metallo per reggersi, ma ahimè è sganciato, sbullonato, non saldato al seggiolino davanti a lei, cosi da ritrovarsi spiaccicata sul vetro del bus modello cartone animato. Mentre le menti viaggiavano il perfido HeMan olandese inchioda. Mi volto verso Simona convinta di trovarla realmente spiaccicata al vetro. Ma ciò che vedrò sarà solo la Zimo incollata al palo traballante piegata in due dalle risate.

Il viaggio surreale sul bus ha termine. Scendiamo scombussolate, un po’ dalla guida, un po’ dalla mia voglia di frittelline, un po’ dal sonno e un po’ dalla fattanza. Ci incamminiamo verso l’albergo, attraversiamo e vedo la Zimo arrampicarsi sulle scale da omicidio del palazzo accanto, mettersi sotto la luce e cercare la chiave magnetica dell’hotel. La trova, si volta verso la porta e rimane interdetta. Solo li capirò che non si era messa sotto la luce per cercare la tesserina, ma era convinta che quella fosse l’entrata del nostro albergo.

Ultime risate, giusto il tempo di prendere l’ultima boccata d’aria per poi oltrepassare la hall, prendere qualche schifezza dolce per attenuare la fattanza e affrontare le scale. Anche questa sera non siamo crollate sulla moquette ne siamo rotolate dalle scale. È ora della nanna. L’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno ad Amsterdam…

 
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Rispondi al commento:
ChildOfMurder
ChildOfMurder il 24/05/08 alle 13:43 via WEB
Dai dai Ary manca solo la fine!!!! Ah sei finita in homepage ehehehehehe ;D auguri ;) bella avventura cmq.. coppia di DROGATE ahahahahahaah ;D Ciaooooooo!!!!
 
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