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Messaggi di Maggio 2008

 

VAFFANCULO

Post n°572 pubblicato il 30 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

avrei dovuto scrivere la terza parte, il terzo giorno ad amsterdam.

ma sinceramente, è stata una giornata di merda, non ho voglia di scrivere e oggi più che mai non ho intenzione di continuare quel post.

quindi l'avventura di amsterdam si conclude qui, sappiate che il terzo giorno non abbiamo fatto altro che svaccarci sul prato di vondelpark.

il resto rimarrà nei ricordi.

adesso ho altro a cui pensare. a sistemare la faccenda lavorativa e trovare il modo di farmi le ferie senza tornare a casa disoccupata.

quindi vaffanculo al lavoro, vaffanculo ai capi, vaffanculo a tutto..e pure a libero, ha rotto il cazzo co sta storia dell'essere schiaffati in home

 
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Amsterdam

Post n°571 pubblicato il 21 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI CIU’ part ciù 

In albergo crolliamo mestamente sul letto. Nel dormiveglia sento dei rumori, la porta si apre e tutto quello che sento è un vocione omaccesco urlare “just close the door!”. Non avendo visto la scena perché priva di occhiali e con il cervello annebbiato dal sonno, la Zimo mi racconterà poi che questo omaccione nero, non contento, cercherà di aprire nuovamente la porta della nostra stanza. Capiremo solo poi, dopo una doccia da rimessa al mondo, che costui era uno degli omini dell’albergo (tanto che ci ha ricordato di chiudere la camera sia se fossimo all’interno sia se fossimo fuori).

Sono le 19, minuto più minuto meno. C’è da decidere il programma della serata. È venerdi, e il venerdi il Van Gogh Museum resta aperto fino alle 22. potremmo sfruttare la cosa, cosi da poter vedere altro il giorno seguente, poi cenare e andare al GrassHopper. Lì la vedova bianca ci deve essere per forza!

Ci facciamo forza ed usciamo dall’albergo. Direzione quartiere dei musei.
Al Van Gogh museum c’è fila al guardaroba, fila al metal detector e una marea di gente all’interno. E il museo è immenso.
La possibilità di trovare altri italiani dementi dovrebbe essere più bassa. Ma visto che è la nostra giornata fortunata, anche li troveremo chi porta alta la nostra bandiera dell’ignoranza.

Il museo è gigantesco, tantissime le opere dell’artista e molte firmate da pittori conosciuti dal maestro della tecnica della spatola. L’ultimo piano è dedicato a chi, in un modo o in un altro, fosse comparso nella vita di Van Gogh. E, puntuale come un orologio svizzero, arriverà l’ennesima dimostrazione di demenza. Due ragazze italiane, davanti a una teca: “chi è questo?” “ma come non lo vedi? È Delacro!” riferendosi a un primo piano di Delacroix. Mi cascano le braccia, poi mi cascano le orecchie. Decidiamo di filarcela a gambe, il museo era finito, il nostro udito era andato a farsi friggere…e lo schifo restava.

Anche se l’idea di cipolla persisteva facendo su e giù nel nostro stomaco, si stava palesando una vaga idea di fame. Ma fame vera di cibo vero per una cena vera. O quasi.
Il terrore nel volto e la fame nello stomaco. Dovevamo decidere il prossimo passo verso l’assassinio dell’apparato digerente. Niente fast food, abolito febo, vade retro crocquet, e divieto di pancake. Steakhouse o irish pub? E se la steakhouse ci rifilasse un conto stratosferico per un pezzo di carne sconosciuta? Rischiamo? Decisamente no.

Dato che la mattina, avendo tra le mani il menu completo, durante la colazione si era sbirciato tutto ciò che era disponibile, torniamo al pub irlandese vicino al nostro albergo. Andiamo sul sicuro. Heineken (strepitosa, ha tutto un altro sapore) fish&chips e pollo con patate. Una cena decente. Durante il lauto pasto ci guardiamo intorno. Dagli schermi tv sulle pareti del locale venivano mandate a ripetizione fotografie. Probabilmente di clienti, ma su quasi tutte compariva un volto familiare (no non era cipolla). Un omino sorridente, dallo sguardo acceso, giocoso…insomma dava l’idea della simpatia in persona. Quell’omino è li davanti a noi. Uno dei camerieri del locale. Poco prima di notare le fotografie sugli schermi lo avevamo rinominato Gattuso, per la spaventosa somiglianza con Ringhio, completa di sguardus incazzus. Non riusciremo mai a capire come potesse risultare simpatico quell’omuncolo nano e scontroso con la faccia da Gattuso.

Sono le 23, abbiamo finito di cenare da un bel po’, ma siamo ancora sedute li, aspettando impassibili che qualcuno dei camerieri (li ho visto l’unico olandese degno di nota, ma avrei rischiato d’essere additata come pedofila visti i suoi probabili vent’anni) ci notasse mentre ci sbracciavamo per chiedere il conto. Passa il rastone bambino (era veramente bellino, oltre che alto) ma ha troppi bicchieri in mano per poterlo fermare. Ringhio non ci si fila di pezza. La ragazza che ci ha servito all’inizio era sparita, volatilizzata nel nulla. Passano i minuti. Niente. Passano altri minuti. E ancora niente. Decido per le maniere forti. Vado io al bancone per chiedere il fantomatico bill.

Davanti a me, sul bancone, la versione olandese nanica di Ringhio. Per farmi notare ci vorranno altri inesorabili minuti. Finalmente! “eschiusmi chen ui ev the bill pliss?”. Gattuso mi guarda, accenna a un sì con la testa, si volta, digita qualcosa alla cassa, io avvicino la mano facendo la chicane tra le manopole della birra alla spina e lui, invece di darmi lo scontrino in mano che fa? Si allunga, prende un piattino, fa il giro del bancone, scende, si avvicina a me e mi da il piattino in mano. Guardo il conto, gli dico ok, cosi che con in una mano il piattino col conto, e con l’altra il portafoglio (chi l’ha visto sa che sembra una bomba a mano) cerco di pagare. Dopo aver pagato mi ritrovo li, in piedi, come una deficiente e con un piattino in mano. Ancora mezza rintronata lascio vagamente il piattino sul bancone e mi sento dire da dietro “Sei italiana?”. Ecco là, guarda se non mi ritrovo a fare una figura di merda pure in paesi fiamminghi. E mentre penso a cosa diavolo avessi detto in inglese da far capire che ero cosi italiana (e mentre mi vergognavo da buona ignorante che sono) rispondo di si. La controrisposta arriva inaspettata “l’ho capito dall’ok”. Rimango spiazzata, mi verrebbe da rispondergli perché da tutto il resto parevo inglese? Ma sto zitta, sorrido, saluto e me ne vado. Usciamo dal locale con un’idea chiara e nitida. O meglio, con la missione. Siamo ad Amsterdam, abbiamo “consumato” ma manca ancora colei che cerchiamo. E cosi, fuori dal pub, saliamo sul tram, direzione Central Station, meta : The Grasshopper.

Li la bianca vedova la devono avere per forza!

È venerdi sera, c’è movimento in città, anche se la loro idea di traffico dista parecchio dalla nostra. Una decina di macchine in fila al semaforo (allora anche gli olandesi hanno l’auto! – scoprirò poi che li è un gran lusso averla, dato che solo di parcheggio gli costa un cinquantino di euro - ) una marea di biciclette, molta gente bighellonante…e ovviamente tanti turisti.

Una luce verde si fa spazio tra i vetri del mezzo pubblico. Vediamo l’immenso locale illuminato dalla sua insegna. Giusto il tempo di studiare la posizione delle fermate del bus notturni e via, dritte verso La Mecca. La Zimo mi assicura che li ci sarà tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ovvero la vedova e il trun trun, che ormai avevamo ricordato quale fosse il suo vero nome, grinder.

C’è molto movimento fuori, ci addentriamo. Un occhio di riguardo al rischio cornata sul soffitto e scendiamo le scalette che portano alla zona fumatori. C’è un po’ di fila davanti allo spaccio d’erba. Intanto puntiamo un tavolino libero. È nostro! Dietro di me una piccola vetrina con tanto di gingilli e ricordini vari del grasshopper. C’è! Il grinder c’è!

Mentre aspettiamo che la tipa passi e prenda le ordinazioni la Zimo decide: “Aria’ tu prendi da bere io vado a prendere l’erba che la fila s’è smaltita” “Zi’ me raccomando, solo mezzo grammo, siamo in due e domani è l’ultimo giorno e c’è ancora l’altra da consumare” e va a mettersi in fila. Niente alcolici quindi chiedo due coche e il fantomatico grinder. La ragazza porta il tutto e attendo la Zimo.

Poco dopo fa ritorno al tavolo, si mette seduta, e sbatte sul tavolo un ben di dio dentro una bustina megagalattica. “A Zi’, ma quanta ne hai presa? È un botto!” e cosi mi guarda con l’occhietto languido, e prima di dirmi che era un grammo e mezzo di meraviglia esordisce con “Era in offerta! Non potevo mica lasciarla li”. Quand’è cosi si perdona tutto. D’altronde, era in offerta! Solito rito di preparazione, filtrino, cartina e via.

Usciremo da li cotte, completamente marce dentro, e le due facce fotografate fuori dal locale ne sono da esempio.

Sarà la fattanza, sarà il tris di musei in una giornata, ma è l’1 di notte e noi siamo morte. Di sonno ovviamente. E di stanchezza. Cosi che una piccola passeggiata el quartiere a luci rosse contornata dal delirio (mio) di “voglio le frittelline” ci riporta in zona stazione. Passetto passetto (strascicandus modus) vediamo in lontananza la nostra fermata.
La Zimo: “Aria’ c’è l’autobus pronto” e io, strascicando i piedi e tutto il resto con la lentezza di una lumaca ubriaca e stordita, ho la risposta pronta: “Che famo? Famo lo scatto?”

Ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere. Ora va a capire se era colpa della roba fumata o della stronzata appena detta.

Sta di fatto che lo scatto non c'è stato, e l’autobus era ancora li fermo ad attenderci.

Appena salite parte la considerazione sull’autista. Ovviamente si era in fase delirio quindi quello che ne è uscito fuori è stato assurdo. Ora posso dire che Ken esiste. Ho visto Ken dal vivo… (si quello di barbie, quello con i capelli di plastica incollati sulla testa)… oddio a guardarlo bene pare più HeMan” e parte la sigletta di quel mitico cartone. L’autobus parte. Non è come sul tram, ha una guida particolarmente spedita, cosi che la mente strafatta di Simona comincia ad immaginare l’autista che prende una curva in velocità, lei che si aggrappa al palo di metallo per reggersi, ma ahimè è sganciato, sbullonato, non saldato al seggiolino davanti a lei, cosi da ritrovarsi spiaccicata sul vetro del bus modello cartone animato. Mentre le menti viaggiavano il perfido HeMan olandese inchioda. Mi volto verso Simona convinta di trovarla realmente spiaccicata al vetro. Ma ciò che vedrò sarà solo la Zimo incollata al palo traballante piegata in due dalle risate.

Il viaggio surreale sul bus ha termine. Scendiamo scombussolate, un po’ dalla guida, un po’ dalla mia voglia di frittelline, un po’ dal sonno e un po’ dalla fattanza. Ci incamminiamo verso l’albergo, attraversiamo e vedo la Zimo arrampicarsi sulle scale da omicidio del palazzo accanto, mettersi sotto la luce e cercare la chiave magnetica dell’hotel. La trova, si volta verso la porta e rimane interdetta. Solo li capirò che non si era messa sotto la luce per cercare la tesserina, ma era convinta che quella fosse l’entrata del nostro albergo.

Ultime risate, giusto il tempo di prendere l’ultima boccata d’aria per poi oltrepassare la hall, prendere qualche schifezza dolce per attenuare la fattanza e affrontare le scale. Anche questa sera non siamo crollate sulla moquette ne siamo rotolate dalle scale. È ora della nanna. L’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno ad Amsterdam…

 
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Amsterdam

Post n°570 pubblicato il 18 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI CIU’ part uan

Il mattino dopo, il risveglio è stato uno dei classici. Spalle incriccate e schiena a pezzi. Le prime parole “my bed is too soft! And my towels?” probabilmente c’era qualche rimasuglio della fattanza della sera prima.

Non restava che progettare la giornata. Da brave turiste ovviamente.

Si decide di partire alla grande. Stedelijk Museum la mattina, e girare la parte est di Amsterdam, magari riuscendo a vedere la casa di Rembrandt e la zona limitrofa, ovvero Waterlooplein con tanto di mercatino delle cianfrusaglie.

La prima cosa da fare, dopo aver acceso il cervello, era trovare un qualcosa che assomigliasse a una colazione.

Uscite dall’hotel torniamo dove la sera prima ci aveva lasciato il tram, dove la vita notturna era nel pieno, e riusciamo ad osservare quanta merda abbia potuto fabbricare. Naples made in Holland. Ancora rinco in fase di risveglio, cerchiamo di oltrepassare i camioncini della spazzatura infilandoci tra spazzini e muri (perché li ti fanno il pelo non solo i tram, non solo le bici, ma pure i camion vista la larghezza minima delle strade con marciapiede inesistente), il tutto in apnea.

Vi assicuro che l’odore di kebab, di ristorante cinese e spazzatura insieme, la mattina è mortale! Come lo so se stavo in apnea? Semplice! Cercando di evitare l’ostacolo spazzino armato di scopa, mi sono presa il manico di codesta nello stomaco, cosi da costringermi a respirare quella puzza assassina. Mattinata cominciata nel migliore dei modi.

Sono le 9, i locali sono chiusi, la città è meno viva della sera prima, pochi i turisti in giro. L’unico posto che sembra aperto è quel locale in stile irish che sembra serva la colazione.

Sedute, dopo aver letto il menu, dopo aver deciso di evitare le varie international breakfast fornite di bacon, fagioli, uova e tutte le schifezze di questo mondo, vediamo passarci davanti una cosa che somigliava a un cappuccino. Non so la Zimo ma io mi illumino. Tentiamo l’impresa sperando che il contenuto della tazza non sia simile ad acqua sporca con la schiuma.

ciù cappuccini end ciù ciocolat pai pliis” ed ecco che la Zimo si ricorderà perché non mangia panna. La chocolate pie si dimostrerà un tripudio di panna con panna montata su letto di panna e ripieno di panna e cacao. Ma va giù. E il cappuccino sarà un quasi vero cappuccino. Mi ha salvato la mattinata.

Pagato il conto (il cappuccino li non te lo regalano), ci dirigiamo verso il tram che ci avrebbe portato alla stazione centrale. Da li a 5 minuti a piedi (lo diceva la guida) avremmo trovato la galleria d’arte moderna (lo Stedelijk museum per l'appunto) temporaneamente in quella zona per il restauro, o il rifacimento o qualcosa di simile dello stabile definitivo. I cinque minuti a piedi probabilmente erano tarati sulle falcate olandesi dei vari biciclettari, quella distesa infinita di cemento che passava accanto all’ Amstel non finiva più. Però ci ha dato modo di osservare meglio ciò che non avevamo potuto notare dalla stanchezza il pomeriggio del nostro arrivo. Saint Nicolas Church sovrasta sull’altra sponda, ovviamente contornata di biciclette, in lontananza il Nemo, che fa la sua porca figura, diciamolo, e davanti a noi, accanto alla biblioteca (ho visto gli occhi della Zimo brillare di luce propria davanti alla grandezza di quel palazzo) il museo ci aspettava.

Battezziamo la nostra Amsterdam Card, lasciamo zaino giacche e tutti gli impicci e ci immergiamo nell’arte moderna. Non solo quadri, non solo sculture. Ma vere e proprie sale opere d’arte. L’uscita da li sarà un continuo ripetersi “Come diavolo faranno a trasportare quella roba al nuovo museo?”

Entrate la mattina, uscite all’ora di pranzo. Dopo il mini documentario-delirio sulla flora e la fauna “C’è vita sull’ Amstel” (cosa che voi non vedrete poiché è sulla videocamera) prendiamo in mano la guida e decidiamo di ucciderci.

“andiamo alla ricerca della crocchetta”

C’è da dire, che oltre ai musei, ai trasporti pubblici, e agli sconti in vari ristoranti, l’ I Amsterdam Card ti da la possibilità di provare questa deliziosa prelibatezza tutta olandese. Chi conosce la Zimo lo sa, chi non la conosce deve sapere che impazzisce per le crocchette, sì ma le crocchette nostre, quelle fatte di patate e niente più. Convinte di questo, andiamo alla ricerca del locale che ci avrebbe donato la famosa leccornia. Ci avviciniamo a Rembrandtplein ed entriamo in quella che sembra una piccola tavola calda, o panineria, o qualcosa di simile. Panini con ciò che vuoi, peccato che fosse tutto in drammatico olandese declinato, perciò incomprensibile. E la vista non ci aiutava di certo. Quello che si vedeva nella vetrina erano svariati intrugli e zuppette. L’unica cosa che si distingueva era la cipolla.

Cedo i coupon della guida al cuoco, che ci serve due belle crocchette calde dentro a un panino. Al tavolo, dopo un’ampia e studiata analisi di quella cosa che da fuori sembrava una crocchetta, l’addentiamo.

Sorpresa!

L’interno non era di una crocchetta. O meglio, non delle nostre crocchette. Delle patate neanche l’ombra. Si intravedeva qualche sparuto pezzettino di carne di provenienza ignota e una salsina grigia, di quel grigio che ricorda solo una cosa, la cipolla cotta.

Lì abbiamo capito che non avremmo testato le aringhe, le sarde, le acciughe, chiamatele come volete, e l’anguilla. La crocchetta aveva già colpito mortalmente lo stomaco.

Usciamo dal locale visibilmente frastornate e ancora affamate. Cerchiamo di evitare catene come McDonald e Burger King, ma allo stesso tempo dobbiamo contenere le spese. Unica soluzione…Febo. Spieghiamo in cosa consiste questa catena di fast food.(da vedere il video linkato, rende più delle parole)

Avete presente i distributori di patatine e merendine? Ecco, immaginatevi un negozio con dei distributori simili a parete. Solo che li non troverete mars, lion, snikers, patatine e merendine varie. Bensì panini. Ognuno stipato nel suo piccolo fornetto scaldavivande modello mulino bianco. Leggi le varie didascalie in olandese incomprensibile, metti la tua monetina, apri il fornetto e zac! Il panino è in mano!

Come sempre, ci si dovrà fidare solo del senso visivo. Dato che niente ricordava qualche ingrediente in inglese, niente faceva capire cosa ci fosse nel panino…

Mi cade l’occhio su un fazzoletto ripieno. Un qualcosa di fritto, come al solito, e l’olandese descritto sul cartello ricordava vagamente qualcosa come formaggio. Monetina. Mezz’ora per capire come si apre il fornetto (io e i distributori non andiamo d’accordo) e prendo quel coso ignoto e vagamente commestibile mentre una mano da dietro la fila di fornetti rimpinguava i posti vuoti. Addento titubante, e, davanti a tutti, turisti, italiani, tedeschi, olandesi e chi più ne ha più ne metta, “A Zi’…è un sofficino!”

La gioiosa scoperta mi rende ottimista e decido di concludere il pranzo con una seconda scelta. La Zimo opterà per un panino hamburgoso con sasletta in vista, io deciderò di evitare salse ed affini e prenderò quello che alla vista pareva pane carne e insalata. La Zimo addenta “cazzo c’è la cipolla! La salsa è alla cipolla”. Addento io. Alla vista pare tutto nella norma, ma.., ma c’è qualcosa che non va. Al gusto un sapore vagamente familiare si fa spazio su tutto. Hamburger inesistente, pane inesistente, insalata solo visiva… e quel sapore familiare, troppo disgustosamente familiare. Apro il panino.

Sorpresa! Seconda sorpresa della giornata. Il panino che sembrava essere privo di salse aveva semplicemente quella disgustosa salsa cipollesca che ti si rimpone per giorni nascosta sul fondo del panino, l’angolo buio, il buco nero della cipolla. Bastardi!

Finiti gli spiccioli (per fortuna) usciamo fuori dal locale degnamente segnate. Pranzo all’insegna della cipolla. Ci vuole una fumata e una passeggiata per dimenticare.

Pausa tabaccaio ed ecco che usciamo da li con pacchetti deformi di sigarette. Pacchetti per fumatori incalliti, roba da banca delle sigarette. Se a Monaco sembrava che da un pacchetto nuovo mi avessero rubato 3 cicche (che brutta impressione scartare e vedere quei cilindrini che si agitavano liberi e non compatti) ad Amsterdam ti ritrovi pacchetti quadrati, con 23, 25 o 29 sigarette a mo di formazione di calcio pronta per il fischio d’inizio.

Rimpinguate le tasche di tabacco, anche troppo, passeggiamo fino a Waterlooplein, un’occhiata al mercatino delle carabattole e ci infiliamo nella casa che un tempo era stata la dimora di Rembrandt. È li che capiamo che non è il nostro albergo ad avere scale da suicidio. Tutte le case di Amsterdam le hanno. Case sviluppate solo in altezza. A giudicare da tram, strade, e strutture varie, non conoscono la possibilità di ampliarsi in orizzontale, cosi da sfruttare ogni piccolo centimetro quadrato solo verso il cielo (sarà per questo che sono tutti alti?).

Ma a parte le scale, che ormai era cosa nota, nella sala adibita a cucina ci cade l’occhio su un’anta di un armadio aperta. Sembra una sorta di guardaroba, ci avviciniamo e…non è un armadio guardaroba, il cuscino era li per far compagnia a un bel materasso e un lenzuolo con tanto di coperta. Come detto prima, gli olandesi non conoscono le misure orizzontali, quindi anche il mobile presentava un ampio soffitto e una bel più ristretta lunghezza. “Come cazzo faceva a dormire qui? Manco in diagonale ci si entra!” con il dubbio optiamo per la soluzione letto per gli ospiti. Una sorta di antico letto armadio che serve per le emergenze. Cambio di sala, dimostrazione vivente di come stampare disegni sulla stoffa e via, il giro prosegue. Siamo in quella che dovrebbe essere la sala ricevimenti, dopo l’ingresso, dove l’artista lasciava aspettare i vari clienti dandogli la possibilità di osservare le sue opere. Altro armadio. Altra anta aperta. Altro cuscino. Aaah ma allora è un vizio! Come diavolo fanno a dormire in un letto che non supera il metro e mezzo di lunghezza? Altri turisti italiani restano sgomenti. Gli stessi turisti italiani di mezza età saranno coloro che, nella mostra allestita all’ultimo piano di un’artista che non era visibilmente Rembrandt, se ne usciranno con “Secondo te anche queste sono opere sue? No mi sa di no”.

E con questa rivelazione eccezionale usciamo dal museo con la solita faccia schifata per colpa di persone ignoranti che pur di dar fiato alle parole non pensano.

È pomeriggio inoltrato, le 17 sono passate, i negozi sono ormai chiusi e c’è solo la possibilità di acquistare cianfrusaglie in Waterlooplein markt, una rapida occhiata per poi raggiungere piazza Spui, dove il venerdi, come vuole la tradizione, c’è il mercatino dei libri (niente brilluccichio nei nostri occhi per due semplici motivi, stanchezza e lingua olandese). Una rapida occhiata e dritte verso la fermata. È ora di rientrare, almeno per una rinfrescatina e liberare i piedi fumanti dalla morsa delle scarpe.

 

 
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Amsterdam

Post n°569 pubblicato il 14 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI UAN part CIU’

E fu cosi che cammina cammina, dal quartiere Jordaan, dopo chiese gotiche, e il finto palazzo reale (scambiato per quello vero, ma era “solo” un centro commerciale immensissimo) sbucammo in piazza Dam. A dire il vero io non l’ho mica riconosciuta subito. Le foto che avevo nella testa (metteteci anche la fattanza) non erano mica piene di tutte quelle lucine. In pratica ci siamo ritrovate sommerse da un mini luna park, i rimasugli della festa della regina…e i festeggiamenti continui dei primi di maggio ad Amsterdam. Dopo aver rischiato il vomito osservando due pazzi all’interno di una sfera metallica che si facevano tirare in aria (una specie di bungie jumping), dopo esserci chieste del perché di quel masochismo, dopo averlo pure filmato, dopo l’ennesima riproposizione cipollesca, ci facciamo avanti e ci avviciniamo…

E fu cosi che sento urlare la Zimo “Le frittellineeeeee ho ritrovato le frittellineeee devi provare le frittelline sono fantastiche le frittelline sono uno spettacolo le frittelline mangia le frittelline non ci posso credere ci sono le frittelline ho ritrovato la donnina delle frittelline ci sono le frittelline fantastiche le frittelline prendiamo le frittelline…!” è andata avanti cosi fin quando la “signorina delle frittelline” ci ha guardato aspettando che le dicessimo cosa volevamo. Scoperto che le frittelline si chiamassero poffertjes, le chiediamo due porzioni medie, semplici.

Ora sta a capire, o a immaginare, cosa potessero essere quelle elaborate. Poiché quelle frittelline (spettacolari è vero) sono una bomba. Una vera bomba che uccide lo stomaco e il fegato definitivamente (se già non l’avesse fatto la cipolla). Ignare degli ingredienti, osserviamo attentamente la signorina poffertjes mentre cuoce le frittelline su una piastra unta di non so se olio, burro, strutto, grasso di dinosauro liquefatto. Le gira con una forchettina, poi le prende una ad una, le impiatta, avvicina il piattino a un mega ciotolone di zucchero a velo, le spolvera, le cosparge, le copre, le inonda, le sovrasta di zucchero a velo… e dulcis in fundo ci piazza in mezzo un bel tocco di burro, tanto per restare leggeri.

Mandati giù i piccoli mattoncini rotondi e dolci, attraversiamo il piccolo parco giochi luminoso e andiamo a fare la foto di rito davanti ai leoni di piazza Dam. Tipica foto giapponese, senza ditini alzati per fortuna. Ovviamente la foto è nel rullino che la Zimo spero abbia portato a sviluppare.

C’è parecchio movimento in giro, tanti turisti e da dietro i leoni arriva un altro genere di luci. Non è il luna park. È il red light district, il quartiere a luci rosse di Amsterdam. Incerte se avventurarci nei meandri di quella zona ma ancora con la fattanza in circolo, studiamo il movimento e decidiamo per il rischio. Anche perché visitarlo di giorno non è sicuramente la stessa cosa.
Ho evitato di filmare e fotografare qualsiasi cosa si muovesse in quella zona. Non avevo la possibilità cerebrale di stare a discutere in olandese.

Sta di fatto che visibilmente Amsterdam cambia. Dai negozietti di souvenirs, si passa ai negozi di vibratori ultima generazione. Tutti colorati, di ogni misura forma e materiale. Li in bella vista. Ammetto che fanno un certo effetto al posto delle tazze e gli zoccoletti made in Holland. Dalle finestre delle casette olandesi si passa alle finestre illuminate rosso fuoco, con donne di svariata bellezza (e anche no) ovviamente senza scafandro, muta, pinne fucile ed occhiali. Chi al telefono, chi affaccendata in faccende affaccendate, chi ballando musiche silenziose, chi con lo sguardo attira i passanti…e chi al lavoro con le tende tirate (quindi, per tutti i guardoni della specie, non si può vedere, zozzoni!).
Beh, c’è da dire che il quartiere a luci rosse ha il suo fascino particolare, anche se pure li si può notare il tipico italiano medio. In gruppo, si muove automaticamente con la testa rivolta verso le finestre come un automa. Si blocca. Si ferma a fissare, sguardo imbambolato, occhio da pesce fracico, rigagnolo di bavetta ai lati della bocca e commentini patetici all’amico che sta al suo fianco del tipo “questa me la farei - a questa na botta je la darei – tiramo su un cinquantino e se la passamo un po’ per uno -  mo je faccio assaggià l’italia “…e giù di li e non dimentichiamoci l’immancabile zainetto invicta! Cammina di qua cammina di là le vetrine vengono intervallate da vibratori e sexyshop, tra night dalle lucine rosse e tende tirate. E soprattutto da dietro ai vetri si intervallano donnine bionde, brune, rossicce, belle, brutte, scorfane, alte, basse, gnappe, stanghe, altolocate, per principianti, per esperti, alla mano (non fraintendete, o fraintendete pure), a basso costo, ad alto prezzo, e pure i travelli! Tiè! Occhio alla sorpresa quindi, nel caso decideste di avventurarvi e oltrepassare le finestre. Cosi, attraversato il ponte e aver visto le altre lavoratrici notturne sull’altra sponda del canale, salutiamo il quartiere a luci rosse varcato il semaforo (sì c’è tanto di semaforo impalatore – dei pali di metallo si alzano dal sottosuolo, basta vedere la foto in alto – che delimita la zona).

Ma non potevamo ancora tornare in albergo. Mancava una cosa. Dovevamo concludere in bellezza.

Cosi, reduci della fattanza, della cipolla che faceva su e giù, delle frittelline, delle mignottine, degli italianini medi… ci dirigiamo presso il Greenhouse.

“Li di sicuro troviamo la bianca vedova” mi afferma la Zimo.

Il posto è piccino ma particolare, e ovviamente pieno come na cucuzza. Il bancone delle erbe aromatiche è in fondo alla sala, c’è un po’ di gente. Osserviamo il menù, e nell’attesa del nostro turno osservo i gadget. La tazza! E mi brillano gli occhi…il tritaerba! E mi ribrillano gli occhi…
È il nostro turno, chiedo all’omino “half gram of white widow” e mi risponde che è finita. Dannazione! Mi consiglia anche lui la Cristal, ma no grazie, già provata… cosi da consigliarci la Perla d’argento. Gli do l’ok convinta che si ricordasse della richiesta del mezzo grammo e mi da il doppio. Vabbe’ non ci facciamo caso. Gli chiedo poi se è possibile avere la tazza e mi risponde che i gadget li vendono al Greenhouse shop, in una via li vicino, ovviamente chiuso perché chiude alle 17.
E cosi svanisce anche l’idea di acquistare un tritaerba (la Zimo ha lasciato il suo a casa). Però tentiamo lo stesso, magari ce ne prestano uno. Non restava che chiederglielo. Però, perché c’è un però, io avevo un vuoto di memoria e non ricordavo in inglese come si chiamasse…cosi che mentre arranco nella richiesta la Zimo mi viene in aiuto. Gesticola, fa cenno all’omino di osservarla e ...nel panico più totale, avvicina le mani a ragno le gira una in un verso una in un altro e accompagna il tutto con un verso “ehm...ui nid a Trun Trun...pliiiis”. Non so come sia riuscito a capire che Trun Trun stava per grinder (sì poi la notte saremmo state colte da illuminazione post fattanza sul nome internazionale del tritaerba).
Bene, avevamo la nostra bustina, le cartine e i filtrini generosamente offerti dal locale (stanno li, te li prendi e ti servi da solo) non restava che trovare un posto a sedere, possibilmente all’interno, visto che fuori tirava una giannetta fredda che gelava le orecchie e la punta del naso. Unica soluzione, il trespolo. Ci arrampichiamo su due sgabelli, ordiniamo da bere, e la Zimo si mette all’opera mentre io preparo il filtrino. Saranno stati i rimasugli del pancake alla nutella, delle frittelline, della cipolla…o che la Zimo non l’ha caricata come la prima (o forse perché mentre preparava la lieta “pietanza” le è mestamente crollata a terra? Cosi da recuperare la mezza rimasta addosso ai suoi stessi jeans e accontentarci) ma la perla argentata si sente di meno. Finiamo la consumazione e prendiamo una boccata d’aria.

È ora di rincasare. La stanchezza si sente…e il domani sarebbe stato ancor più massacrante. Non è nemmeno mezzanotte e noi siamo già due cadaveri ambulanti. Troviamo la fermata del nostro fidato tram che ci porterà a Leidseplein, dove c’è ancora tutta la vita notturna di Amsterdam.

Presa la chiave, entriamo nella hall e veniamo bloccate. Ci sono le scale. Le scale a cascata. Le scale che chiamano il capitombolo. Le scale che portano all’inferno. Siamo troppo sfatte per dormire sulla moquette della hall. Superiamo l’ostacolo stranamente indenni. Giusto il tempo di una doccia, di rapide considerazioni sul fatto che la Zimo non esiste ad Amsterdam in quanto i documenti li hanno chiesti solo a me, in quando non compare in nessuna ricevuta…ma stranamente, la Zimo apparirà in quasi tutte le foto mentre io no. Quindi chi è andata ad Amsterdam delle due? Con questo dubbio ci addormentiamo crollando letteralmente sul letto…

 
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Amsterdam...

Post n°568 pubblicato il 13 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI ZIRO

Tutto cominciò con un volo andata e ritorno per Amsterdam regalatomi al compleanno (non credo smetterò mai di ringraziarle per questo). Il viaggio era previsto per il ponte del primo maggio. Ovvero 4 giorni ad Amsterdam!

Non restava che trovare dei fidi compagni di viaggio.

Dopo varie peripezie che non starò qui ad elencare (compagni virtuali che dicono di si virtualmente e altri che si svegliano un po’ troppo tardi – vero Fa’? - :P) alla fine saremo io e la Zimo a partire per le terre olandesi.

Prenotato l’albergo (decisione difficile e man mano che si avvicinava il giorno X sempre meno economica) non restava che attendere quel famoso dì di maggio… nel mentre c’era tutto il tempo di trovare una guida decente (grande la Zimo che è riuscita nell’intento), organizzarsi con uno pseudo itinerario per non arrivare li completamente spaesate e fiondarsi nel primo coffee shop come l’italiano medio fa, e soprattutto, fare formichina formichina per campare in olanda durante 4 giorni di follia pura. C’è da aggiungere che, avendo trovato l’albergo, avendo prenotato la stanza senza bagno in camera, fummo colte dal dubbio “asciugamani” e fu cosi che nacque il tormentone “but my towels, where are my towels?”. Il tutto perché dovevamo rispolverare il nostro inglese arrugginito per chiedere agli albergatori se la stanza fosse munita di biancheria o se doveva far parte del nostro bagaglio.

Amsterdam: DEI UAN part UAN

La Zimo mi aveva annunciato che aveva una paura fottuta dell’aereo. Di certo non credevo a questi livelli. La notte prima della partenza, in pratica, avrà dormito si e no mezz’ora, il tutto dopo essere tornare da un minifesteggiamento a sorpresa per il compleanno di Miriam, e dopo aver fatto la valigia all’1 di notte.

Ore 8.30 la sveglia. Rincoglionite fradice prendiamo quella che doveva essere una valigia di massimo 15 kg e accompagnate a Ciampino, la prima sorpresa. L’armadio superava di 3 kg il peso consentito. I primi euro se ne vanno li. In 3 kg di non so cosa, visto che…our towels are not here!

Ora, Ciampino non è Fiumicino. Non hai negozi dove poter girare. Ci saranno si e no due bar, una libreria fittizia, ma forse mi sbaglio, e un altro paio di negozi inutili. Decidiamo cosi di impiegare le due ore di attesa tra un panino di gomma, un libro e la fila al gate a sfottere i personaggi che sarebbero saliti sul nostro volo. La Zimo è visibilmente preoccupata, a quanto pare le gocce di calmante non hanno sortito effetto. In fila per entrare, notiamo un essere nanesco davanti a noi, con un altro ragazzo e la sua ragazza (che pena che c’ha fatto quando ha chiesto ai due se, oltre a fumare, avessero poi un po’ di tempo per girare la città…e che pena che c’ha fatto quando, da sola, scartabellava le cartine di Amsterdam…e che pen…no pena un cazzo, se li è scelti lei i compagni di viaggio!).
Ore 11.40. Le due ore in volo passano relativamente bene. Mi immergo nel libro cercando di evitare il mal d’orecchi provocato dai soggetti sopraccitati che parevano una scolaresca in campo scuola.
Ore 13.50. Coi piedi a terra, con la Zimo ancora sotto shock, dopo aver acquistato, alla modica cifra di 41 neurini, il biglietto andata e ritorno da Eindhoven ad Amsterdam, ci dirigiamo verso il bus. Ad accoglierci una leggera pioggia. Le previsioni forse non erano toppate. Si preannunciava un weekend lungo sotto l’acqua. Prima di salire sul bus il primo livello di delirio mentre si caricavano i bagagli: “My towels! In the baggage there are my towels!”
Ci accaparriamo i primi due posti, e accanto a noi, si posizionano due narcolettici dal sonno pesante. Ho provato a riprenderli ma non si sente quanto potessero russare, quindi eviterò. Sappiate però che se in aereo avevo il vociare nell’orecchio, nel bus avevo quel ronf ronf continuo. Inutile aggiungere che messo piede ad Amsterdam avevo la testa che mi scoppiava. Una chicca al nostro arrivo: all’attesa dei bagagli fuori dal bus, mi sono ritrovata il nanerottolo chiassone del volo. C’è la mia valigia pronta per essere scaricata, l’avverto che è pesante e gli chiedo di spostarsi. Ovviamente, da tipico italiano medio ad Amsterdam, non lo fa e se la prende in faccia. “Ao’ cioè, no dico, te prego, m’ ‘a ha data in faccia!” rivolgendosi al suo amico. L’ovvia risposta da parte mia: “te l’avevo detto che te dovevi spostà”.

Ore 15, o quasi. Prossimo step trovare il punto info per ritirare l’ I Amsterdam card, ovvero la carta che ci avrebbe permesso di prendere tuuuuutti i mezzi pubblici di Amsterdam, ci avrebbe permesso di entrare in quasi tutti i musei senza sborsare altro vil denaro, e soprattutto, ci avrebbe donato la possibilità di provare la fantomatica crocchetta olandese, oltre ad altre cose…che racconterò poi.
Alla stazione centrale abbiamo il primo vero scoglio english da affrontare (chiedere due biglietti da Eindhoven ad Amsterdam era fin troppo facile). Avremmo dovuto chiedere dove diavolo fosse il punto info di Amsterdam a qualcuno. Punto un omino in divisa, sembrava un ferroviere, ma la Zimo mi ha poi fatto notare che poteva essere un impiegato qualunque e che la cuffietta all’orecchio, anziché una ricetrasmittente, poteva benissimo essere un lettorino mp3. Mi preparo mentalmente la domanda, e, scopro che l’omino sta messo peggio di me con l’inglese. Tanto che per indicarmi la giusta direzione mi dice: “Can you see red house? And white?…on the right there is info point” o qualcosa di simile, dove per red intendeva la casa col tetto rosso e per white intendeva la casa accanto col muro bianco. Cominciamo bene!
Da qui non saprò più che ore sono, almeno fino alla mattina dopo.
La Zimo aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Sapeva già quale tram prendere, dove andare e dove arrivare… mi ha quasi spaventato, ma non ho dato peso poiché cercavo di orientarmi in quella che è la Venezia olandese.
Giunte così all’info point, dopo due o tre bigliettini per la fila sbagliata, dopo essere riuscite finalmente a prendere la famosa I Amsterdam Card che ci avrebbe aperto le porte, magari non del mondo, ma dei tram e dei musei sì, andiamo infine a prendere il tram numero 5, direzione albergo.

Arrivate a Leidseplein, giusto il tempo di osservare cosa ci fosse li mentre la Zimo consultava la cartina (la city map! Non ancora quella cartina!) due passi ed ecco il miraggio! Finalmente il Backstage. Il nostro albergo. Quello che ci avrebbe consentito di dormire in un letto vero, con un bagno vero, anche se in comproprietà…

Check in, documenti, ricevuta e chiave della stanza. Nessuno scoglio fino ad ora. Si trattava solo di raggiungere la stanza. La numero 3. Nel seminterrato.

Ora, io non ho niente in contrario con i seminterrati, ne con i piani alti, ne tanto meno con le scale, o meglio, con le scale normali. Affrontare quel tipo di scale, le scale olandesi, si, è stato uno scoglio quasi insormontabile, calcolando anche la variabile valigia che se ne andava anarchicamente per i fatti suoi sbilanciando ogni singolo passo in avanti.
Superato l' ostacolo scale è stato tutto molto semplice. Porta chiusa, chiave magnetica, porta aperta. Stanza, finestrellina, lavandino, lampadario a tamburo, lett…lett…lettooooo (con un rigagnolo di bava mentre lo si osservava).

Guardiamo l’ora, sono le 17 passate. Negozi e musei sono ormai già chiusi. Soluzione alternativa? Cambiarci e uscire e cominciare a visitare la città che ci avrebbe ospitato per il lungo weekend, e magari sfruttare l’amsterdam card per mettere sotto i denti un qualcosa che assomigliasse a una cena.
Mai decisione fu più fatale. Decidemmo di visitare il quartiere Jordan per poi raggiungere il Pancake bakery. Ristorantino specializzato in uova sottoforma di frittate e affini selezionato dalla miniguida della card.
Il Jordan è uno spettacolo, ma prima di arrivarci dovevamo ovviamente festeggiare. E come festeggiare se non nel primo coffeeshop che troviamo sulla strada? Un armadio nero dietro al bancone a cui chiedere. Io sono completamente spaesata. Non ho con me ne cartine ne filtrini. Vicino all’entrata c’è un distributore automatico. Dopo aver preso da bere, mentre la Zimo controllava l’altro menù, io prendo gli spiccioli con me e mi faccio coraggio. Coraggio che non servirà a nulla. Perdo gli spiccioli e osservo filtrini e cartine ancora in quel distributore che non credo capirò mai come funzioni (no, non avevo ancora fumato). L’armadio nero, che si era allontanato momentaneamente, rientra nel locale, gli chiedo “half gram of white widow please” e lui comincia a cercare tra la moltitudine di contenitori. La bianca vedova è praticamente finita. Ci consiglia la Crystal che è simile. E sia, proviamo sta Crystal.
Deficienti come non mai, festeggiamo l’arrivo ad Amsterdam rincoglionendoci con la prima canna, vi ricordo che nello stomaco c’erano solo quei due miseri panini di gomma dell’aeroporto. Ancora più dementi.

Ci alziamo barcollando e cominciamo a camminare.

In un punto imprecisato del quartiere Jordan (solo la Zimo sapeva dove stavamo andando, io non ne avevo la più pallida idea dato che, a prima vista, le vie sono come quelle di Venezia, ovvero tutte uguali), dopo svariati silenzi, dopo piccoli deliri da citofoni (“my patent is on the table, near the fruit…and my towels?”) la Zimo, dal nulla, se ne esce con “ma ste cazzo di declinazioni, che lingua assurda”. Credo che l’affermazione da sola possa spiegare il livello di fattanza del momento. Mi sono dovuta appoggiare al muro. Ridevo, avevo le lacrime e non respiravo più.
Poco dopo arriviamo alla meta prefissata. Il piccolo ristorantino è lungo e stretto. Una fila di tavoli a destra e una a sinistra. E ovviamente pieno.
Attendiamo fuori il nostro turno. Li, proprio li, la Zimo intavola svariate conversazioni a cui io annuirò il più delle volte, ma non sa che non ci capivo nulla. Mentre a lei la Crystal ha dato la parlantina a me ha dato il rincoglionimento rallentato. Vivevo i secondi come se durassero ore (e non esagero) mentre lei mi parlava io focalizzavo immagini, viaggiavo col cervello, poi tornavo, capivo cosa mi stava dicendo, e di punto in bianco il vuoto. Non ricordavo più nulla. Per poi ricordare pochi istanti dopo. Una cosa allucinante.
Intanto davanti a noi un cliente veniva servito. Gli portano un piatto. Sembra pizza. “Simo’ ma qui fanno pure le pizze? Perché quella che gli ha portato pare proprio una pizza” “Si ma che razza di pizza…guarda che è, sembra gomma”.
Scopriremo solo poi che quella non era una pizza ma un pancake.

Sedute al tavolo, dopo aver ordinato da bere e ricevuto i bicchieri pieni, le cameriere non ci filano più per parecchio. Ma il mio parecchio è relativo, in quanto la mia fattanza mi faceva quel gioco strano del tempo rallentato.
Cerchiamo di andare sul sicuro. Io non sono un’amante delle uova, quindi si opto per provare il famigerato pancake ma con almeno qualcosa di familiare. Funghi prosciutto e formaggio.
Arriveranno questi cosi somiglianti a pizze, fini fini, piatti piatti a tal punto da sembrare quasi inesistenti (salvo poi riempirti fino a scoppiare senza rendertene conto…cazzo usano troppo burro!). Da buone italiane ci distinguiamo cominciando a tagliare il pancake come fosse pizza, ovvero a spicchi. Il primo boccone va giù, è decente. Il secondo idem, è quasi buono…anche se c’è qualcosa che non mi torna. Masticando sento qualcosa di strano che ricorda le patate poco cotte, ma non sono patate. Osservo la Zimo. Ha cominciato a vivisezionare la frittatina-pizza. “Zi’ che stai a fa?” “Levo la cipolla, nun la reggo

Cazzo!

È cipolla. Non sono patate. È cipolla! Inconsistente, inodore, insapore cipolla olandese! Decido di evitare di fare la solita scansona, lascio alla Zimo il compito di fare il cumuletto di cipolla che andava a coprire lo strato inferiore del pancake e mando giù. Gran cazzata! Chiunque decidesse di mangiare un pancake, lo chieda possibilmente con poca cipolla. La cipolla olandese è un killer di professione. Tornerà su da li ai 3 giorni successivi.
Il pasto, per quanto fosse riuscito a placare la fame, a riempire lo stomaco e a uccidere i ritorni di fiamma ripresentandosi regolarmente in gola con una puntualità svizzera, ci aveva soddisfatto si, ma non aveva risolto la fattanza. Decidiamo di comune accordo il probabile suicidio dopo svariati minuti (che a me sono sembrate mezz’ore). Col dubbio di ritrovare la cipolla anche li, ordiniamo un pancake con la nutella da smezzare.

Beh la cipolla li non c’era, sarà stata l’indigestione di uova, la potenza della nutella…ma quella cosa ci ha rimesso al mondo!
Dopo aver rispolverato il vocabolario d’inglese alla voce conto, paghiamo, ci alziamo ed usciamo dal locale rinate. O quasi.

È sera…e la giornata non è ancora finita. Ed ero ignara di ciò che fuori ci attendeva…

 
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Romeo e Giulietta de' noantri

Post n°567 pubblicato il 10 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

questa mattina, mentre cercavo di scrivere il resoconto olandese (la cosa mi preoccupa...decisamente) suonano al citofono.

è maria grazia, maria stella, maria giovanna...insomma na maria e qualcosa del palazzo accanto. ci chiede se abbiamo una scala molto alta. mentre vado a prendere la scala di mio padre lei ci chiede lo scopo della richiesta. ha il marito chiuso fuori in balcone, le chiavi nella serratura dall'interno e lei sta fuori casa.

tutto questo perchè? un piccolo momento di distrazione, saluta il marito per uscire e automaticamente chiude la finestra del balcone lasciandolo li a dipingere, uscendo di casa lascia poi le chiavi nella serratura dall'interno dicendosi "vabbè tanto c'è mio marito". appunto! la fortuna è che nel balcone accanto aveva lasciato inferriata e finestra aperta.

prima prova la proprietaria di casa ad arrampicarsi, ma oltre ad essere nana soffre di vertigini, arriva a metà scala e cede. prova mio padre, ma è rischioso. il marito di maria e qualcosa pensa di scendere per poi arrampicarsi, ma poi vede che non è cosi semplice e rinuncia. fortuna vuole che arriva mio fratello, con tanto di divisa da pompiere...e in men che non si dica la questione si risolve... era da filmare prima, decisamente, viste le battute che sono uscite fuori nell'attesa.

 
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return from Amsterdam

Post n°566 pubblicato il 04 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

ritornate...vive, vegetali, fatte, strafatte, cotte... e alla facciazza di tutti i gufi, non arrestate!

[prima mi riprendo, poi cercherò di raccontare tutto e di più sui quattro giorni ad amsterdam - anto stavolta ho dovuto prendere appunti!]

 
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