Creato da lukyll il 19/08/2008
GIRO INTORNO AL MONDO IN BARCA A VELA
 

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DI RITORNO DALL?ISOLA DI ISABEL - GALAPAGOS

Post n°90 pubblicato il 02 Maggio 2010 da lukyll
Foto di lukyll

 

Domenica 11 Aprile   Di ritorno dall’isola di Isabel – Galapagos

 

Dopo aver visitato l’isola di San Cristobal ed esserci riposati due giorni, abbiamo acquistato il biglietto per L’isola di Isabel. La più grande, con cinque vulcani. La partenza è alle ore 14. Il motoscafo è piccolo e pieno di persone, ognuno ha il suo posto a sedere ma non entrerebbe ancora  nemmeno un neonato. Il tragitto viene percorso in due ore ed è abbastanza faticoso perché l’imbarcazione sbatte quasi ad ogni onda, rallenta un poco e per inerzia siamo sospinti in avanti poi riparte e siamo sospinti indietro e noi siamo seduti su panche lungo le fiancate per cui ondeggiamo continuamente verso destra e poi verso sinistra. E per due ore è un bell’esercizio fisico. Arriviamo stanchi ed assordati dal rumore di due fuoribordo da 400 cavalli che sono a due o tre metri di distanza.

Ma non vediamo il paese. Dobbiamo camminare per 1Km e forse più. Prendiamo un taxi e dopo qualche informazione ed aver visto qualche camera di “Hospitale” ci fermiamo tutti e quatto, Giuseppe con la moglie Annamaria, Giovanni ed io, alla Brezza del mar , familiare, pulito, aria condizionata. Finalmente dormiremo bene, senza il solito caldo umido appiccicaticcio   della barca. 25 $ a testa.

Il paese ha le strade in terra battuta, una strada principale dove ci sono pochi negozietti che vendono di tutto e qualche ristorantino molto familiare messo su con qualche bandone di latta come tetto ed un po’ di assi. Meglio non gettare l’occhio in cucina, non bisogna essere indiscreti! Qualche agenzia che propone le solite gite turistiche giornaliere ed i bambini che giocano sulla strada, scalzi, un costumino e basta tanto qui è sempre caldo, mentre i genitori trafficano nel loro cortile o si riposano nelle amache chiacchierando. Entriamo in una agenzia e prenotiamo per andare a Les Tunales, piccoli tunnel di lava sul mare mentre Annamaria e Giuseppe decidono per altra soluzione.

 

La mattina dopo partenza alle 8 in punto. Saliamo in una lancia con due grossi motori, siamo insieme a tre canadesi anche loro in barca in giro intorno al mondo, accompagnati da due ragazzi che formano l’equipaggio. Il mare per fortuna è calmo e sfrecciamo a ben 22 nodi. Ad un certo punto un ragazzo indica qualcosa, la barca rallenta e si dirige verso una macchia nera. E’ una enorme manta, almeno 3 metri, che lentamente nuota e poco più in là ne vediamo un’altra. Sono vicine alla superficie dell’acqua e quando sollevano le ali per nuotare i due lembi estremi escono fuori dall’acqua come fossero pinne di pescecane. Sono maestose. Si riparte e poco dopo ne incontriamo altre. I canadesi si gettano in acqua con le maschere ma al loro rumor le manta si inabissano.  Dobbiamo immergersi senza rumore!, si raccomandano i ragazzi dell’equipaggio. E’ così quando le incontriamo di nuovo, per un minuto, o forse due, riescono a vederle e seguirle ma poi ci lasciano preferendo  le più sicure profondità marine.

Ripartiamo velocemente fermandoci solo a vedere una grande tartaruga marina che pigramente nuota quasi sulla superficie ma non gradisce la nostra intrusione e si immerge. I motori in verità fanno molto rumore.

Arriviamo nella località chiamata Les Tunales, entriamo fra gli scogli e ci appare un labirinto di canali prodotti da una miriade di nere rocce laviche. Vediamo il primo pinguino delle Galapagos. E’ piccolo, sarà alto al massimo 40 centimetri ma graziosissimo. Indossa il suo frak con signorilità finché sta fermo, più goffo ma tenerissimo quando si muove. Ne vediamo altri due a prendere il sole, sdraiati sulla pancia.

Ci addentriamo nel labirinto ed iniziamo a vedere dei tunnel fra un masso e l’altro mentre sotto  l’acqua limpidissima si illumina di verde e azzurro. Negli ammassi di roccia più grandi ci sono dei cactus chiamati candelabri che si ergono qua e là e lo spettacolo diventa a questo punto molto suggestivo. Le acque interne sono limpidissime e ogni tanto si vedono grosse tartarughe marine che girano indisturbate fra i canali. Scatto una grande quantità di foto, ad ogni cambiamento di direzione della barca sembra appaia uno scenario diverso.  Solo ammassi di nere rocce laviche, acque trasparenti e verdi, candelabri che si ergono isolati sulle rocce e creano unp spettacolo meraviglioso. Fotografo anche diverse sule dal piede azzurro che stanno appollaiate sulle rocce ed il colore dei loro piedi è così intenso che si illumina di azzurro anche il ventre di piume bianche. Quella che si era fermata per più di un’ora su pulpito di prua invece era una specie più rara, aveva i piedi rossi. Dimenticavo di raccontarvi del clandestino a bordo! Fra l’isola di Coco e le Galapagos una sula dal piede rosso si è posata sul pulpito di prua e si è messa a spulciarsi e a sistemare con il becco il suo giovane piumaggio. Noi ci siamo avvicinati fino quasi a toccarla lei mostrava paura solo a pochi centimetri di distanza e si ritraeva preparandosi ad una beccata. Simpatica compagnia, si è fatta fotografare con tutti ed alla fine del suo lavoro se ne è andata.

Ci fermiamo in una baia vicina per fare snorkeling e nuotando fra i tunnel e le rocce di lava riesco a vedere un cavalluccio marino, una murena e dei pescecani a pinna bianca, quelli buoni!, di un metro circa con i suoi piccoli. Torniamo soddisfattissimi.

Il pomeriggio un po’ di riposo sotto una palma della bianca spiaggia e poi a vedere dal di dentro le mangrovie.  Vicino al porto c’è una stradina costruita in legno che attraversa le mangrovie. Vedo un inestricabile quantità di radici che si calano dagli alberi in acqua, mentre piccoli uccelli ed iguane marine si nutrono protette da tale fitta barriera. Affascinante.

La sera ristorantino: piatto misto di pesce, aragosta compresa.

Il dramma arriva il giorno dopo: partenza alle 6. Di mattina!! E così altre due ore di motoscafo, sballottati a destra e a sinistra, arriviamo su Chloe comunque soddisfatti.

 

 

 

 
 
 

ISOLA DI BARTOLOME' - GALAPAGOS

Post n°91 pubblicato il 02 Maggio 2010 da lukyll
Foto di lukyll

Lunedì 12 Aprile  -   Isola di Bartolomè  -  Galapagos

 

Si incomincia male! Sveglia alle 4,15 di mattina. Dobbiamo essere per le 5 davanti all’agenzia in attesa del bus che ci porterà a nord dell’isola di Santa Cruz. Arriviamo e non c’è anima viva, ci guardiamo senza dire niente, con la speranza di non essere stati bidonati. Ma alle 5 in punto arriva il pulmino. Siamo i primi a salire. Ci guardiamo di nuovo per esprimere la meraviglia di tanta puntualità inaspettata. Il bus gira per la cittadina raccogliendo i vari turisti che parteciperanno alla visita dell’isola. Ma ad una curva l’autista sbaglia manovra, sale con una ruota sul marciapiede ed urta contro un muretto di un monumento alla tartaruga che stava quasi in mezzo alla strada. Il bus sobbalza, sembra possa rovesciarsi ma rimane miracolosamente in piedi anche se di traverso alla strada. Alcune persone hanno delle contusioni ma niente di grave. Il bus mostra una gomma a terra, ammaccature sul davanti ecc. l’autista dice che non è niente e vorrebbe ripartire ma noi lo sconsigliamo e ci rifiutiamo di risalire. Alla fine arriverà un altro pullman e naturalmente pretendiamo un altro autista! La giornata non è cominciata bene ma se prendiamo in considerazione la statistica di guai, per oggi, non ce ne dovrebbero essere più avendo già avuto la nostra razione quotidiana!

Il calcolo delle probabilità ci darà ragione. Arrivati ad un porticciolo saliamo su di una barca di 12 metri e navigheremo per 3 ore verso l’isola di Bartolomè. Questa è un’isola molto recente, vulcanica e questa sarà proprio l’attrazione principale. Notiamo all’avvicinarsi che non vi sono alberi ne altra vegetazione ad eccezione di 2 tipi di piccoli arbusti  qua ed in là. La roccia, evidentemente lavica, è di colore rosso e si vedono tante bocche di uscita della lava. Si sale su di una passerella di legno e raggiungiamo la cima dell’isola, 130 metri circa. Nel salire si osservano piccoli crateri e sembra che abbiano smesso l’altro ieri di eruttare. La lava sembra come un cordone che si è raggomitolato tutt’intorno. L’ambiente è primordiale e suggestivo. Scattiamo tutti mille fotografie. Dalla cima possiamo ammirare il panorama, il rosso della roccia lavica che contrasta con l’azzurro del mare, un istmo con due spiagge bianche e l’altra grande isola che sta alle spalle di Bartolomè. Qualche battello per turisti e la nave del National Geographic sono in rada.

Scendiamo dalla cima dell’isola e l’organizzazione ci porta sulla spiaggia per lo snorkeling. Dobbiamo girare intorno ad piccolo promontorio con un enorme pinnacolo di roccia e tornare indietro. Il fondale è roccioso e ricco di pesce che non ha paura degli uomini. Mi tuffo per avvicinarmi a loro e solo quando sono a pochi centimetri si allontanano di poco con un garbato colpo di coda. Sono tanti, colorati, neri a strisce gialle o tutti azzurri fosforescenti, brucano le alghe negli scogli. Il momento più emozionante l’ho avuto quando mi sono trovato quasi muso a muso con un leone marino che incurante brucava, poi mi è passato accanto ed è girato dietro ad una roccia. Era adulto, forse i piccoli sono più curiosi e giocherelloni, però nuotare con accanto un leone marino per compagno è una esperienza indimenticabile. Ho visto poi il solito squalo a pinna bianca ed un paio di pinguini.

Pranzo in barca e poi via per il ritorno. Durante la navigazione si sono avvicinati alla barca due fregate e veleggiavano a pochissima distanza, fino ad un metro da noi, tanto che cercavamo di toccarli. Evidentemente sfruttavano il vento prodotto dal movimento della barca e si facevano trasportare praticamente solo planando. Era meraviglioso vedere simili uccelli ad un metro di distanza mentre volano e ti guardano. Naturalmente abbiamo scattato altre mille fotografie.

Rientro per le 18 su Chloe, cena e …. a letto!!

 
 
 

TRAVERSATA OCEANO PACIFICO

Post n°92 pubblicato il 02 Maggio 2010 da lukyll
Foto di lukyll

08-22 Aprile       Traversata dell’Oceano Pacifico: Galapagos – Marchesi

 

Partiti all’una circa dell’8 aprile da Puerto Ayora dell’isola di Santa Cruz, arcipelago delle Galapagos. Un’ora di motore per uscire dalla baia e tre ore nella notte successiva per scarsità di vento, poi, con l’arrivo deciso dell’aliseo, sempre a vele spiegate. Il motore verrà acceso di nuovo nei pressi della Baia delle Vergini nell’isola di Fatu Hiva, arcipelago delle Marchesi. Tutta la navigazione è stata quindi svolta a vela e con un vento che oscillava tra i 15 ed i 20 nodi. Abbiamo impiegato 15 giorni per percorrere le tremila miglia che ci separavano dalle Marchesi, ad una media di 200 miglia al giorno e di 8,2 nodi.

Avevamo fatto una specie di scommessa a chi indovinava la data e l’ora dell’arrivo. Ha vinto Giuseppe, il comandante, indovinando esattamente il giorno, il 22, secondo io avendo indicato il giorno 24, poi Cesare e gli altri.

La navigazione è stata ideale, buon vento, solo due o tre volte abbiamo dovuto prendere una mano di terzaroli soprattutto per una maggiore sicurezza e per una navigazione più confortevole. I primi giorni è stato issato il gennaker ma dato che si intravedevano dei forellini in un punto è stato pensato di ammainarlo prima che il vento lo rompesse definitivamente e sostituito con lo spinnaker. Visto che poi la velocità con randa e genoa era di poco inferiore e maggiore la sicurezza, considerando anche che il vento era in continuo aumento, è stato deciso di ammainare  lo spinnaker. L’andatura è stata sempre al lasco. Per fortuna l’onda non ci ha infastidito più di tanto facendo rollare l’imbarcazione e di conseguenza la vita a bordo è stata soddisfacente. Il che vuol dire che abbiamo potuto cucinare la pasta quando lo volevamo.

I turni di guardia sono stati tranquilli, 2 ore di notte, e 2 di giorno, per il resto qualcuno in coperta in mattinata c’era sempre. Io avevo il turno dalle 24 alle 2 e poi dalle 14 alle 16. Turni fissi per cui una volta abituati a svegliarci a quell’ora è stato facile mantenere il ritmo.

La notte non faceva freddo e stavo quasi sempre in maglina, solo poche volte ho indossato un leggero giubbotto. Le due ore notturne le trascorrevo guardando le stelle e poi  la scia luminosa che lasciava la barca dovuta alla fosforescenza del plancton smosso dal moto della barca. La scia era tutta luminosa ed alle volte si formavano dei bagliori più grandi che illuminavano la poppa. Si notavano anche nella schiuma laterale dei punti luminosi come delle stelline molto persistenti.

Per fortuna ha piovuto solo raramente e per pochi minuti nonostante si vedessero in giro dei bei temporali.

Solo che l’acqua è entrata in cabina a causa di un’onda più ripida che sbattendo nella prua ha sollevato molta acqua che ha lavato la coperta è penetrata nella cabina dall’oblo socchiuso ed ha bagnato lenzuola e materassi di tutte e due le cabine di prua. Asciugare le lenzuola, il coprimaterasso ed il materasso è stato duro. Prima li ho lavati con l’acqua potabile poi stesi al vento. Per fortuna si sono asciugati abbastanza ma non il materasso per cui la notte ho steso su di esso due sacchi grandi per l’immondizia per stare all’asciutto. Il problema è stato che con  quelli scivolavo continuamente in qua ed in là dato che la barca rollava ….. non è stato un gran dormire!!!!

La giornate trascorrevano con un ritmo lento, colazione e lettura, pranzo e lettura,aperitivo e cena, rhum con cioccolata, due chiacchiere e a letto. Solo un pomeriggio ci siamo stesi nei divani e vedere un film su dvd, “fuga a mezzanotte”. In compenso mi sono letto “L’origine della specie” di Darwin, un po’ pesante in alcuni capitoli ma interessante e sicuramente rivoluzionario, una pietra miliare nella storia della scienza. Poi ho letto “Un altro giro di giostra” ultimo libro di Tiziano Terziani. Anche questo bello ed interessante, mette a confronto la cultura occidentale e quella orientale nell’affrontare i problemi della vita ma soprattutto quelli della morte. Lettura appassionata tanto che una sera mi faceva male la testa da quanto avevo letto.

Un altro diversivo è stato il mangiare. Credo proprio di essere stato il primo al mondo ad aver preparato la piadina romagnola in mezzo all’oceano pacifico insieme a del cavolo rifatto, unica verdura presente in barca. Non avevamo trovato alle Galapagos nemmeno un poco di affettato. Poi ho preparato la schiacciata che è venuta un po’ bassa e quindi croccante, sia con la cipolla che con del pomodoro, pasta di acciughe e capperi. Il pensiero correva sovente alla mortadella, quella profumata …. con il pistacchio che è la naturale morte della schiacciata: ma si sa che in barca non tutto è possibile, almeno a queste latitudini! Comunque tutta finita, forse sarà stata la fame…! Poi una minestra di fagioli e del pesce al forno. Insomma ho dato il mio contributo. Ma anche il resto dell’equipaggio ha cucinato molto bene, davvero non ci possiamo lamentare.

E così sono passati 15 giorni, certamente dopo una decina si aveva tutti voglia di dormire in piano, senza sentire il proprio corpo andare a destra o a sinistra a secondo dell’onda. E poi sentivamo la voglia di mettere i piedi in terra ferma e di fare una corsa, di muoversi un poco perché sempre fermi in barca per così tanto tempo stanca, in un certo senso, e non si vede l’ora di arrivare. Mi consolava il fatto che avevo cominciato il conto alla rovescia e avevo la certezza che  dopo poco sarei arrivato a terra.

Non abbiamo visto nemmeno una barca per tutto il tempo della traversata se non una grossa nave da carico la prima notte ed una barca a vela la mattina dell’arrivo a Fatu Hiva. Non mi ha dato fastidio non vedere nessuno per così tanto tempo, non fa effetto essere soli in questo immenso oceano, si sente solo dell’affetto per la barca che ci deve condurre a destinazione sani e salvi e per il timone automatico che ci fa risparmiare una fatica immensa.

La pesca in verità non è andata molto bene perché andando a 7-8 nodi di velocità solo i pesci molto grossi abboccavano e puntualmente strappavano la lenza e si tenevano l’esca di plastica che costa 15-20 euro. Almeno 7-8 esche ce le hanno mangiate. Abbiamo pescato dei piccoli Dorado, 1-1,5 Kg, ed alla fine un Dorado di 5 Kg circa. Ci è abbiamo cenato due volte. Tirare su un pesce così grosso è una bella soddisfazione. Tutto color oro, con una grossa testa ed una criniera che parte dalla testa fino alla coda. In Italia viene chiamato “ Capone”.

 

 
 
 

ISOLE MARCHESI - FATU HVA

Post n°93 pubblicato il 02 Maggio 2010 da lukyll
Foto di lukyll

 

 27 Aprile       Fatu Hiva -   Isole Marchesi

 

Da lontano l’isola si vede irta, con le montagne sempre ricoperte di nuvole che corrono veloci, le cime sono seghettate e molto scoscese dalle vette scendono ripidi  contrafforti separati da profonde valli in parte verdi di vegetazione in parte grigio scure di rocce laviche.

Segno che anche queste sono isole di recente formazione e comunque vulcaniche.

Siamo diretti alla Baia delle Vergini, così detta perché sono presenti dei torrioni di roccia che sembrano dei falli e gli indigeni l’avevano chiamata “ isola delle verghe”. Ma i missionari spagnoli non potevano permettere tanta volgarità e hanno aggiunto una i alla parola Verges che è diventata Vierges cioè vergine. Non mi sembra lo stesso molto appropriato questo nuovo nome ma contenti i missionari ….!

La baia è dietro l’isola e dobbiamo circumnavigarla per una buona parte. Ma quando arriviamo lo spettacolo è veramente affascinante e suggestivo. In un verde profondo della foresta che ricopre le montagne che si ergono quasi verticalmente dietro alla baia, come fosse uno scenario, seghettate in cima e sempre con grigie nuvole che gli scorrono sopra e qualche volte ne ricoprono le vette, appaiono una serie di pinnacoli o torrioni di roccia, grigie scure della roccia lavica o dove sono ricoperte di erba, quando illuminate da qualche sporadico raggio di sole, brillano di un verde tenero e smeraldino che contrasta con le cupe nuvole grigio scuro. Il mare è di colore blu cobalto anche quando il cielo è nuvoloso, bellissimo.

Erano già presenti più di dieci barche che con i loro scafi bianchi si stagliavano contro il verde cupo della foresta.

Sistemata a dovere la barca abbiamo pranzato ed il pomeriggio siamo andati al villaggio con il tender. Sulla spiaggia c’è un campo da pallavolo e molti giovani e adulti del luogo giocavano insieme a qualche navigatore di passaggio che, dopo 15-20 giorni di crociera, era ben felice di sgranchirsi le gambe. I marchesani erano molto bravi ed anche le donne nonostante quasi tutte fossero in sovrappeso. Molti altri stavano a guardare. E così tutti i pomeriggi dopo il lavoro non mancava la partita di pallavolo fino all’ora del tramonto. Unico svago collettivo presente nell’isola. Poi la messa nella vicina chiesa ma in questo caso la partecipazione era molto più bassa. La chiesa ovviamente piccola, col le finestre e porte sempre aperte e con dei crocefissi dalle sembianze Maori o comunque indigene.

L’abitato si estende lungo la strada che porta al villaggio vicino, a 17 km di distanza. Case con i tetti di lamiera, pannelli di legno per pareti e tutte sollevate da terra di almeno mezzo metro con dei piloni in cemento. Questo perché se arriva un tifone non le fa esplodere in quanto la pressione dell’aria da una parte della casa si equipara a quello della parte opposta tramite il passaggio sotto la casa. Giardini ordinati, qualche gallina, cani e gatti, piante di pompelmo meravigliose con frutti enormi, come meloni,  squisiti.  Passando abbiamo urtato casualmente un albero e sono caduti dei frutti che sono stati prontamente infilati negli zaini per essere mangiati in barca. Ottimi, dissetanti e ricchi di vitamina C di cui tutti abbiamo bisogno specialmente dopo 15 giorni di traversata senza frutta e verdure fresche. Caschi di banane appese fuori, spesso proprio sulla strada, alberi del pane ed altre piante da frutto a me sconosciute. La popolazione è gentile ed abituata agli stranieri. Una signora, Desiré, ci ha invitati per una cena tipica marchesana nella sua casa, naturalmente per 15 euro a testa. Pollo al cocco e maiale alla papaia, frutti dell’albero del pane lessati o alla griglia, pesce alla brace, banane e pompelmo, tutto abbastanza buono. Abbiamo dovuto liberare il tavolo alla svelta perché dopo di noi doveva cenare una coppia di  inglesi con tre figli al seguito.

A proposito, ho notato in questo viaggio che gli equipaggi sono formati anche da famiglie con figli piccoli al seguito. Una coppia di Norvegesi, di Oslo, hanno un figlio di otto mesi ed è salito in barca tre giorni dopo la nascita. La signora poi ne aspetta un altro, andrà a casa fra un mese ed appena partorito tornerà a finire il giro del mondo.

Nelle irte pendici delle montagne vediamo delle capre con i piccoli che, nemmeno a farlo apposta vanno a brucare nei posti più scoscesi e pericolosi, che l’erba sia migliore in quei posti?!!  Ci sono anche maiali selvatici o cinghiali nella foresta tanto è vero che la prima cosa che ci hanno chiesto sono state le cartucce. Naturalmente non capivamo ma poi ce lo hanno spiegato, per cacciare quegli animali. La legge vieta il possesso di armi ma tutti ce l’hanno solo che non possono comprare le cartucce. Un bene molto ricercato, data la notoria bontà del cinghiale e del capretto!

Vita tranquilla, senza stress, alla tv una sera davano Perry Mason, l’avvocato, roba di 50 anni fa, nessuna violenza e tutto relax.

Purtroppo ho notato diversi bambini down ed altri con problemi caratteriali, probabilmente a causa di matrimoni tra consanguinei.

Abbiamo gettato in acqua vicino agli scogli una nassa trovata alle Galapagos con del cocco dentro per pescare aragoste. Nonostante la luna piena non abbiamo pescato niente!

 

 

 
 
 

ISOLE MARCHESI - TAHUATA

Post n°94 pubblicato il 02 Maggio 2010 da lukyll
Foto di lukyll

 

30 Aprile    Isola di Tahuata  -  Marchesi

 

Un pomeriggio abbiamo deciso di andare a visitare il villaggio vicino, Omoa, e ci siamo fatti accompagnare da un pescatore con il suo barchino dato che il gommone è troppo piccolo per un tragitto relativamente lungo. Il paese si è rivelato al solito pulito, ordinato, con la chiesetta in primo piano. Ha cominciato subito a piovere e ci siamo rifugiati nell’unico chiamiamolo “ristorantino” disponibile. Un tavolo all’aperto dove una giovane signora tagliava a pezzettini il pollo e lo passava alla cucina che abbiamo solo intravisto e subito abbiamo volto lo sguardo altrove! Per 3 euro ci ha dato mezza baghette con pollo fritto, patate fritte e tanto salsa dolce al pomodoro. Per niente buono, secondo me, per gli altri discreto. La fame !!! Da bere aranciata concentrata diluita da loro, con la loro acqua! Dolcissimo, io l’ho ulteriormente diluito, poco gradevole ma la sete è sete! Continuava a spiovizzicare  e solo Fabio ed io siamo andati a vedere i petroglifi, incisioni antiche su roccia, gli altri si sono avviati per il ritorno. Ci ha accompagnati in mezzo alla foresta un ragazzone di 15 anni non troppo normale al quale alla fine ho donato un dollaro e contento lo faceva vedere a tutti quelli che incontrava.

Le incisioni sono su di un grande masso nero e levigato dal tempo. L’animale più bello inciso è una balena con il suo balenottere, realistica, un po’ naif, ma suggestiva. Poi un delfino, degli altri segni che dicono siano degli dei e degli esseri umani stilizzati. Dalla guida sembrava chissà che cosa! 

Al ritorno gli amici non c’erano, erano già partiti con il pescatore che però è riapparso poco dopo e ci ha caricati. In barca aveva del pesce appena pescato, un tonnetto ed un barracuda dai denti aguzzi. Ci ha detto che gli altri avevano comprato un pesce per la cena. Buona idea! Ho chiesto se era buono e lui ridendo, ridono sempre questi indigeni, e toccandosi la pancia ha fatto capire che era squisito. Alla sera ceniamo, pesce al forno, ed in effetti era proprio buono.  Ne è avanzato anche per il giorno dopo e lo abbiamo mangiato insieme a del riso, come insalata a pranzo. Il resto nel sugo per la pasta asciutta serale.

La mattina ci alziamo ed il comandante chiede come abbiamo passato la notte aggiungendo che lui l’ha praticamente trascorsa al bagno. Giovanni due volte specificando, da buon ingegnere, anche le ore: alle 5 ed alle 7.  Io una volta alle 6. Fabio e Cesare più volte anche loro. Abbiamo incolpato la signora dei panini e soprattutto l’acqua con la quale ha diluito il concentrato di aranciata. Pazienza, ci siamo ripuliti l’intestino! Ma oltre a questo avevamo una notevole stanchezza fisica che non era tanto spiegabile. Ma! Passerà!  Invece non è passata per niente. Giuseppe ha dormicchiato tutto il giorno e così gli altri, in più aveva grande fiacchezza nelle gambe, spossatezza e cosa strana quando beveva acqua fredda gli pizzicava la lingua e tutta la bocca. così un po’  a  tutti noi.

La mattina dopo il comandante domanda come abbiamo passato la notte. Lui ancora al bagno ed esclama che ha scoperto la causa del malessere. Evidentemente oltre agli sforzi intestinali ha sforzato anche le meningi e si è ricordato di questa strana malattia tropicale. La Ciguatera. E che è??!!   Tira fuori un librone, Current Therapy, 56° edizione. Sfoglia e cerca questa malattia ed alla fine legge e ci spiega: del plancton contenente delle tossine che si forma nei mari tropicali sugli scogli e la barriera corallina viene mangiato dai pesciolini e trattenuto dalle alghe, sempre cibo dei pesciolini. I pesci più grossi mangiano i pesciolini e nel loro organismo si concentra. E così via. Poi ci sono i cretini come noi che mangiamo il pesce grosso e si ingurgitano tutte queste tossine. Sintomi: diarrea, stanchezza, pizzicore agli arti, bruciore alla bocca: tutto coincide con i nostri sintomi. Ci guardiamo e chiediamo di andare avanti nella lettura con la speranza che la malattia non sia grave! C’è anche il pericolo di morte e non ci sono medicine che la curano. Ormai sono passati 2 giorni e la morte è da escludere ma quando si guarirà e come si può fare? Leggendo si capisce che occorre del tempo, la tossina si deposita sul grasso dei nervi e da questi sintomi. Mentre scrivo sento ancora il pizzicore alle palme delle mani e dei piedi, non faccio altro che grattarmi mani e strusciare i piedi contro le cime.

Nel frattempo abbiamo cambiato isola, siamo a Tahuata. Visitiamo il paese ma non dice molto a parte una grande e moderna chiesa inaugurata con grande pompa qualche anno fa e con una bella vetrata a colori con i temi della natura del luogo. L’isola è famosa anche per i tatuaggi e proprio qui c’è il più famoso artista, un certo Felix. Chiediamo al proprietario del minimarket, un francese che ha minimarket in tutte le colonie francesi, perfino in Marocco, che gentilmente ci accompagna con il suo fuoristrada. Arrivati non ci fa scendere, prima domanda a Felix che acconsente mentre si siede sugli scalini del porticato. Basso, grosso, silenzioso, non parla ma annuisce solo a quello che il francese dice. Vuol sapere chi vuole farsi il tatuaggio, cosa e dove lo vuole, osserva attentamente Cesare, il richiedente e finalmente acconsente. Appuntamento per le 8 della mattina dopo. Si risale e si ritorna al villaggio. La mattina dopo Cesare va a farsi il tatuaggio e ritorna alle 11 tutto contento. E’ bellissimo, c’è il simbolo di Hiro, il dio del mare ed altri girigogoli di cui non vuole spiegarci il significato. Probabilmente non lo ha capito nemmeno lui dato che non parla il francese come Felix. In effetti è bello all’inizio della schiena, dopo il collo, un cerchio con disegni tipici polinesiani.

Il pomeriggio  andiamo con la barca in un villaggio vicino che la guida dice essere famoso per le sculture su osso. Arriviamo e a dei pescatori chiediamo se conoscono la malattia Ciguatera. Naturalmente la conoscono e dato che chiediamo informazioni dettagliate ci inviano da Milton, credo l’infermiere del villaggio. Naturalmente la sua abitazione è dall’altra parte del paesino e finalmente troviamo la moglie intenta a suonare la chitarra seduta nel pavimento. Ci accompagna dal marito che stava per iniziare il catechismo. Sempre tutti molto sorridenti! Anche troppo tanto che non si capisce se è loro costume o se prendono in giro. Domandiamo se la Ciguatera è mortale e ridendo a 36 denti ci dice di si ma sporadicamente. Giuseppe, da buon medico spiega i sintomi che abbiamo avuto e che tutt’ora abbiamo e Milton conferma la diagnosi. Quale medicina possiamo prendere? Meno male che c’è Milton, ci pensa lui! Dice alla moglie di prendere delle noci di cocco verdi e poi si dirige sotto un albero per raccogliere dei frutti che sembrano secchi. Li scortica, prende la parte centrale e dice di grattarli, strizzare 5 gocce nel latte di cocco verde e di berlo. Ma attenzione non una goccia in più perché il seme è tossico.  Io ho dei dubbi, domando a Giuseppe se è il caso di fidarsi, in fondo per un po’ di prurito, passera… , ma Lui dice di fidarsi e prenderà la medicina. E così tutti. Mi adeguo anch’io, Milton, nonostante sorrida molto, sembra persona seria. Andiamo a casa sua, stiamo fuori mentre la moglie con il macete taglia le noci di cocco ed il marito grattugia il frutto di “Houtu”, così ha detto, lo mette in un fazzolettino e girandolo ne lascia cadere cinque gocce nel bicchiere con il latte di cocco. Beviamo tutti il beverone, io sono il quarto. Prima di me nessuno ha accusato sintomi strani. Fra tre giorni tutto è passato! Ci assicura ma non dovete mangiare uova, pesce e carne. Ok.

Oggi è il terzo giorno ed in effetti stiamo tutti meglio. Sarà stata la medicina di Milton da noi ormai chiamato lo “sciamano” o sarebbe passata lo stesso dopo tre giorni perché presa in forma lieve? Chi lo può sapere?! Il francese del minimarket ci ha consigliato di non mangiare nessun pesce per un anno. La cosa ci ha molto rattristato. Ho consigliato Giuseppe di sentire all’ospedale di Hiva’Oa, quando la raggiungeremo, per avere informazioni più scientifiche!

 Ultimo aggiornamento dal medico dell'ospedale: malattia senza cura, passerà ....! con il tempo ...! senza proteine animali per 10 giorni, cioè senza carne né pesce né uova. Giuseppe dice che è meglio riprendere a mangiare carne solo dopo 3-4 giorni dalla fine dei sintomi. I quali ancora persistono specialmente per Fabio, Cesare e Giuseppe. Io ho solo un leggero pizzicore alle piante dei piedi e delle mani dopo cena.

 

 
 
 

L'ISOLA DI NUKU HIVA

Post n°95 pubblicato il 27 Agosto 2010 da lukyll
Foto di lukyll

9 Maggio – Baia TAI-PI    isola di NUKU HIVA

 

Il primo Maggio, da buoni italiani, facciamo la scampagnata fuori porta. Abbiamo affittato un’auto, un fuori strada, per girare l’isola di Hiva Oa. Le mete sono due siti archeologici: Taaoa e Iipona.  Partiamo al mattino in tre perché Cesare e Fabio sono stati male tutta la notte e si sentono le gambe a pezzi. Dormiranno tutto il giorno! Quindi saliamo sul fuoristrada Giuseppe, Giovanni ed io. Raggiungiamo prima il sito di Taaoa che si trova sulla destra del paese a 5-6 km di distanza. Ci troviamo in un piccolo villaggio con tanto di chiesa in stile anglosassone, si gira a destra e ci inoltriamo nella foresta fino ad arrivare al sito. Vediamo che è un complesso formato da una grande terrazza rettangolare e da una parte ci sono altre due terrazze in pietra dove dovevano essere posta sopra ognuna una capanna. Il sito è religioso e dice che ci facevano anche sacrifici umani. Tra gli alberi si intravede la baia ed il mare. Il luogo è suggestivo. Poi cerchiamo un tiki che è un centinaio di metri sopra l’area di culto. Finalmente lo troviamo. Alto un metro presenta dei cerchi che sembrano occhi ed una bocca accennata da un lato, mentre dall’altro non si capisce bene. Non è un gran che ma è quello che offre da vedere questo sito. Ci facciamo le foto, ci facciamo mangiare i piedi da miriadi di piccole formiche rosse che corrono all’impazzata da tutte le parti e per fortuna quando si cammina riescono a trovare la via del ritorno e se ne vanno via. Ci dirigiamo verso l’altro sito archeologico dopo aver mangiato pane e formaggio. Lipona si trova all’altro capo dell’isola, abbastanza lontano non tanto come chilometri quanto come tempo necessario per raggiungerlo. Infatti la strada dopo poco diventa sterrata e brutta. Saliamo in cima alla montagna dove c’è un bel fresco, finalmente si respira bene, e poi si ridiscende fino al mare dall’altra parte. La discesa è ripida e spesso lo sterrato serpeggia lungo contrafforti della montagna che precipitano in mare. Sbagliare di un metro una curva vuol dire precipitare in mare dopo un ruzzolone di qualche centinaio di metri. Mi tengo forte ai sedili! Lo scenario però è bello. Tutto brullo, senza un albero, rocce e sterpaglie, capre sulla strada, e a picco un mare blu cobalto con spuma bianca dovuta al frangersi delle onde che qua e là appare sull’acqua. Attraversiamo due o tre villaggi, piccoli e situati ognuno nella propria baia. Puliti, con erba verde spontanea, con le case piccole con accanto i propri alberi di banano, pompelmo e alberi del pane. Una gran pace. Sulla spiaggia qualche piroga con il bilanciere, tipica della Polinesia, la grande capanna dei ritrovi del villaggio e la immancabile piccola chiesetta. Finalmente raggiungiamo il paese del sito archeologico e domandiamo in un bar all’aperto la strada da percorrere per raggiungerlo. E’ caldo e chiediamo di mangiare un pompelmo per dissetarci. Ne mangiamo due, troppo buono. Sono enormi, come un melone e soprattutto dolci. Al tavolo accanto quattro signore di mezza età ma sopra il quintale di peso ognuna giocano a carte. Sui tavoli ci sono delle bellissime composizioni di fiori e di frutti: non possiamo fare a meno di fotografarli.

Arriviamo al sito si Iipona, ben tenuto, erba tagliata e molto bello. Il complesso mostra dei terrazzamenti formati da grosse pietre dove erano costruite capanne e più in alto si vedono dei Tiki molto belli e ben tenuti. Uno è il più alto delle Marchesi: 206 cm. Raffigurano uomini che immobili nel loro aspetto  guardano lontano verso il mare. Somigliano, in piccolo, alle famose statue dell’isola di Pasqua. Un’altra statua rappresenta forse una donna accovacciata nell’atto di partorire. Tutt’intorno una vegetazione lussureggiante che accoglie e da mistero al sito. Veramente molto bello.

Ritorniamo e vedendo tanti alberi di banano ci fermiamo a guardarli fino a che un casco di questi meravigliosi frutti si rompe e cade nelle nostre mani che subito lo infilano in auto coprendolo in qualche modo alla vista. Cerchiamo anche delle papaie ma si trovano piccole e alte. Queste non cadono da sole!

 

In questa isola hanno trovato un meraviglioso rifugio due grandi artisti: Paul Gauguin, famoso pittore che non poco ha contribuito con i suoi dipinti di donne Marchesane a far conoscere l’ambiente polinesiano in Europa e Jacques Brel altrettanto famoso cantante ed autore che visitata l’isola con la propria barca non è più andato via. Le loro tombe sono visibili nel locale cimitero di Atuona, la capitale dell’isola, dove siamo ormeggiati.

Il porto non è bello ne confortevole pertanto il comandante decide di ritornare all’isola di Tahuata, in una baia solitaria con tanto di spiaggia bianca e palme per nostro esclusivo utilizzo. A nord est dell’isola. Pace, tranquillità e silenzio.

Il pomeriggio il comandante ci conduce in gommone a vedere la costa e ci introduciamo in certi anfratti divertendoci a rischiare che il gommone sbattesse contro le rocce date le grandi onde oceaniche e la conseguente forte risacca. Come i ragazzi!

Il giorno dopo, nonostante la stanchezza dovuta dalla malattia decidiamo, Cesare ed io, di andare in cima alla collina del promontorio di fronte. Arriviamo con il battello sulla spiaggia, saltiamo poi sulle nere rocce e quindi ci inerpichiamo per una ripida china, non sembrava dalla barca, e direttamente ci dirigiamo verso il crinale. I piedi scivolavano sulla terra mista a sassolini e le piante alle quali ci aggrappavamo erano spesso secche e si sbarbi cavano subito risultando un inutile appiglio. E’ meglio passare dove ci sono piante verdi e con radici più solide! Arriviamo in cima sudati ma contenti, lo spettacolo è bello, a destra la nostra baia azzurra con la spiaggia, le palme e la barca bianca che si lascia cullare dalle onde, dall’altra tutta una serie di scogliere con la bianca schiuma intorno che si perde lontano nel mare blu. Il sole volge al tramonto, il momento adatto per fare fotografie e Cesare ne scatta molte, qualcuna anche a me che mi ero dimenticato di portare la macchina. La discesa è facile, tanto che alla fine, quasi arrivati, abbandono la mia prudenza e scivolo in terra senza farmi  male.

 

Il 4 Maggio ritorniamo a Hiva Oa per fare dogana e l’ingresso ufficiale nella Polinesia Francese, dopo 12 giorni! Il pomeriggio vado con Cesare a correre, sentiamo il bisogno di muoversi un po’, sempre in barca ci si rattrappiscono le gambe. Lui, trentenne parte mentre io dopo 150 metri mi fermo e proseguo camminando veloce e ogni tanto correndo piano. Un’oretta di ginnastica, quanto serve per fare una bella sudata ed espellere tossine, speriamo un po’ anche quelle della Ciguatera! E fare poi una doccia rinfrescante.

Incontriamo un fiorentino, un certo Paolo, poco più di 40 anni, con il quale facciamo quattro chiacchiere e le solite informazioni su isole ed ancoraggi sicuri e belli. Si scambiano e si copiano film da vedere alla sera. Un giovane norvegese di 25 anni , saputo che Giuseppe è medico, ha portato la moglie perché il dottore sentisse il battito del nuovo bimbo in grembo di quattro mesi. Questi sono in barca con una bimba di 11 mesi ed uno in arrivo. Tutti i giorni sono a fare il bucato perché usano, ovviamente, pannolini che si riutilizzano lavandoli. Simpatici, cordiali e spensierati. Ma come faranno senza pensare al futuro e con bambini così piccoli?  Noi abbiamo paura di portare in barca i nipotini di 4 e 6 anni!

 

 

     5 Maggio. L’ancoraggio non è piacevole, confusione e chiasso di una chiatta che sta recuperando un relitto arrugginito di un rimorchiatore. Partiamo per Ua Huka, un’isola più a nord.

La traversata è bella: sole, mare azzurro, 20 nodi di vento, bolina larga e tutta tela. Arriviamo su una piccola baia circondata da rocce, piccola ma tranquilla, subito dopo Punta Tetutu. Facciamo il bagno ma l’acqua è torbida e non vediamo bene il fondale. Giriamo la costa con il gommone ma non troviamo grotte o anfratti per giocare. Il giorno dopo andiamo a terra a fare una passeggiata, saliamo in collina seguendo il sentiero delle capre ed ammiriamo il panorama. Poi scendiamo dall’altra parte e ci fermiamo nella deserta spiaggia. Gironzoliamo un poco cercando conchiglie ma troviamo ossa di capra e di cavallo selvatico, teschi e mandibole. Fabio dice: e se fossimo naufragati su questa isola con quel poco che abbiamo come potremmo accendere un fuoco? Suggerisco che forse è meglio prima acchiappare ed ammazzare il capretto e poi …. accendere il fuoco! Ma tanto vale, la sfida è lanciata! In tre ci mettiamo a raccattare legna secca e a strofinarla come abbiamo tutti visto nei documentari. Solo Cesare riesce a produrre un poco di fumo ma senza innescare la combustione. Sudati, desistiamo e ce ne torniamo alla barca. E’ difficile anche ad essere uomini primitivi!

 

Il giorno dopo, 7 Maggio,  andiamo a Vaipaee, il paese più grande. La baia si chiama Invisibile, infatti  dal mare non si vede e la individuiamo solo con l’aiuto del GPS. E’ lunga e stretta e sia il vento che il mare con le sue onde entrano rendendo fastidioso l’ormeggio. Gettiamo l’ancora che tiene bene ma il mare ci porta verso gli scogli. Allora gettiamo una seconda ancora di poppa per mantenere la direzione voluta ma non tiene perché il fondale è costituito da roccia piatta e poca sabbia. Gettiamo una terza ancora al traverso e ci tiriamo su a distanza di sicurezza dalla parete rocciosa. Il tutto richiede un lavoro di due ore e tanta fatica per chi con il gommone va a gettare l’ancora di poppa. L’unica barca che era in rada si mette in moto e va a rifare tutte le manovre come avevamo fatto noi perché anche la sue ancore non tenevano. Si balla un po’ e si sta con la tensione che le ancore non tengano bene. Fabio dormirà fuori, in coperta.  Non scendiamo nemmeno a terra nonostante dalla spiaggia giunga musica e profumo di griglia. La barca accanto a noi è bella e moderna, forse leggermente più grande, l’avevamo avuta davanti in rada alle Galapagos, il mattino dopo ripartono per Nuku Hiva e così faremo anche noi dato l’infelice ormeggio.

 

Il giorno 8 Maggio, alle ore 7, le canzoni di Elvis Presley ci svegliano, vuol dire che ci prepariamo alla partenza. Anche nell’altra barca c’è fermento. Colazione e dopo a salpare le ancore. Quella di poppa viene via da sola, non teneva niente, solo gli ultimi metri si incattivisce e Cesare ed io dobbiamo andare a tirarla su con il gommone. Poi salpiamo le ancore ed usciamo dalla Baia Invisibile. E’ proprio meglio non vederla dato il cattivo ormeggio che presenta! Subito il comandante si sente ingaggiato in una regata con l’altra barca e così sembrano anche gli altri. Issiamo veloci le vele ed un vento di 20-22 nodi le gonfia appena fuori. L’altra barca issa randa, genoa tangonato per mantenerlo in buona posizione e trinchetta. E se ne parte in poppa piena. Noi facciamo un lato di lasco e poi metteremo lo spinnaker. Prepariamo tutta l’attrezzatura, un’ora buona di lavoro, strambiamo e poi pensiamo a issare lo spy. Ci vuole più di mezz’ora! Finalmente si gonfia, bianco e blu e la barca fila a nove nodi ma alla fine non riusciremo a raggiungere il nostro concorrente che rimane avanti di più di tre miglia. Abbiamo perso, pazienza. Ma la loro barca è molto più lunga quindi più veloce si sente dire come scusante ma credo inutilmente. Ci avviciniamo all’isola quando improvvisamente cade in acqua lo spinnaker, si è rotta la drizza che lo teneva su. Lo recuperiamo con difficoltà  e soprattutto con grande fatica perché si è riempito con l’acqua del mare. In 4 lo tiriamo in coperta e lo cacciamo dentro il quadrato così che non possa più volare via. L’altra barca è ormai lontanissima. Ci rifugiamo in una piccola baia, chiamata del Controllore, tranquilla, dove siamo ancorati adesso, presso il villaggio di Hooumi. Intanto riordiniamo tutta l’attrezzatura, sono le due del pomeriggio e non ci siamo fermati un momento. Anzi solo 5 minuti per un pezzo di pane e formaggio! Fabio domanda cosa è quell’affare nero diritto a prua. E’ uno scoglio appena affiorante, fa paura a vederlo, sembra messo apposta per far colare a picco le barche!  Appena si vede fra un’onda e l’altra. E’ segnalato nella carta ma forse ci eravamo dimenticati. Si navigava con il pilota automatico! Si ormeggia nella baia, si sistemano le cime, si mette il copri randa e poi il tendalino che ci ripara dal sole e infine  tutto è in ordine ….! Saranno le tre. Mi sdraio in coperta ansimante per la fatica e tutti siamo distrutti. Sarà la malattia, la Ciguatera, che ci debilita ma anche la fatica, il sole ed il vento  e soprattutto le tante ore di continuo lavoro che ci hanno messo tutti ko, senza nemmeno la soddisfazione della vittoria!

 
 
 

CHLOE

Post n°96 pubblicato il 27 Agosto 2010 da lukyll
Foto di lukyll

 

LA BARCA:  CHLOE

 

Una signora di 35 anni. Portati molto bene, bella, elegantissima, completa di tutta l’attrezzatura necessaria, senza orpelli che ne fanno una grande roulotte solo per viverci e navigare poco, come di moda oggigiorno, ponte dal basso profilo per delinearne l’aspetto marinaro e di veloce crociera. Insomma una barca per chi vuole navigare seriamente. Stabile in ogni andatura, anche nel lasco e con onda formata. Un progetto, del famoso architetto argentino German Frers, che riesce mirabilmente ad unire invidiabili doti marine ad eleganza e confort.

59 piedi, corrispondente a poco più di 18 metri di lunghezza, scafo di colore bianco, ponte in teck, con un armonico slancio di prua e di poppa. Ampio pozzetto dove trovano posto comodamente 6 persone, grande ruota del timone all’estrema poppa con relativa panca  per il timoniere. A pruavia del pozzetto c’è un ampio ponte di più di due metri e quindi la scaletta che da nel quadrato con a destra il tavolo da carteggio e a sinistra la cucina. Un ampio tavolo da 6 persone con divani e un tavolinetto sulla sinistra per leggere o ascoltare musica. Alle pareti libreria e porta CD e DVD con tanta bella musica. Verso prua si aprono due cabine con letti sovrapposti  e bagno. Cala vele ampia nell’estrema prua. Sotto la scaletta il vano motore e dietro l’ampia cabina armatoriale con bagno. Disposizione tradizionale ma ben proporzionata, marina ed elegante nei legni e nelle rifiniture. Desalinizzatore per avere acqua potabile a volontà, generatore di corrente elettrica per frigo e surgelatore ecc. Tutta l’attrezzatura necessaria per fare il giro del mondo.

A vela si comporta ottimamente, sia di bolina che nelle andature larghe. Veloce, stabile e sicura, mai ha creato problemi di tenuta di mare, non batte sull’onda.

Insomma una gran bella barca, non veloce come una Ferrari, tanto per fare un paragone, ma forte ed elegante come  una Mercedes o meglio una Jaguar.

 

 

 
 
 

L'EQUIPAGGIO DI CHLOE

Post n°97 pubblicato il 27 Agosto 2010 da lukyll
Foto di lukyll

I COMPAGNI D’AVVENTURA

 

GIUSEPPE: armatore e skipper

Come già detto ho incontrato Giuseppe, armatore e skipper di Chloe, su Velanet.it, un sito di nautica dove si incontrano armatori che hanno bisogno di una mano e marinai disposti a dare un aiuto per realizzare la crociera tanto sognata: normalmente il Giro del Mondo.

Giuseppe è un medico di Catania andato in pensione da pochissimi anni, si è comprata questa bella barca usata, l’ha fatta risistemare in Turchia e da lì è partito per il giro del mondo.

Personaggio molto calmo, sempre disposto alla battuta e a ridere su tutto. Persino anche quando si è rotto il motore, alle Galapagos, luogo dove è già difficile trovare un meccanico, ha avuto lo spirito di ridere e fare battute. Un comportamento davvero invidiabile. Sempre disposto alla discussione e a prendere in considerazioni consigli ed osservazioni nei confronti dei quali risponde sempre con serietà e raziocinio. Elegante e a volte un po’ fighetto.

Amante della buona tavola e del buon bere, non ha fatto mancare mai l’aperitivo prima ed un bicchierino di rhum dopo la cena. Bravo cuoco si è esibito diverse volte con piatti riusciti nonostante le materie prime di difficile reperimento in barca.

Conosce molto bene la propria barca ed è un bravo velista, visto che pratica questo sport ormai da qualche decennio. Sempre attento alla regolazione delle vele e disposto ad ingaggiare battaglia nei confronti di altre barche che avessero l’ardire di incrociare Chloe (anche se non sempre con successo!).

L’armatore ideale con il quale realizzare una crociera.

 

Cesare: il secondo dello skipper

 

E’ salito su Chloe in novembre a Trinidad, ha contribuito a sistemare la barca ed è partito per un anno fino ad arrivare il prossimo novembre in Nuova Zelanda.

Ha lasciato il lavoro a Milano e vuole dedicarsi alla vela e diventare skipper o comandante di imbarcazioni a vela, proprio come mestiere.

32 anni, ha lasciato la fidanzata di 42 in Lombardia e forse per sempre. Sono queste scelte di vita che hanno riflessi anche nella sfera sentimentale. Può così tanto il mare, la vela e l’avventura? Evidentemente si!

Liceo scientifico, tranquillo, sempre disponibile, gentile, competente anche se questa è la prima volta che compie crociere così lunghe nell’oceano. Volenteroso nell’apprendere, modesto e sempre pronto a lavorare e ad aiutare gli altri.  Persona molto positiva.

 

 

Giovanni: amico di Giuseppe e suo concittadino

 

Appartengono allo stesso club velico di Catania dove Giovanni è il segretario. Inoltre entrambe sono iscritti ad una associazione marinara chiamata” Gli amici della costa” alla quale tengono molto tanto che espongono le loro bandiere nere in barca sotto la crocetta di sinistra. Non ho capito bene quale sia lo scopo di tale congregazione ma raccontano sempre di riunioni conviviali, insomma va sempre a finire in grandi mangiate. Anche in barca quando si parte per una traversata ci si augura che tutto vada bene e di avere buon vento naturalmente brindando con un bicchiere di rhum dopo i soliti riti propiziatori declamati da Giovanni in spagnolo maccheronico e marinaro.

Ingegnere, in pensione, da sempre velista, lascia moglie per due o tre mesi e raggiunge Giuseppe  bisognoso di aiuto. Anch’esso tranquillo e molto educato tanto da non ribellarsi al mio russare dato che dorme sotto di me a 60 cm. Dice che russo con signorilità! Troppo gentile! Cambusiere e tesoriere, ottimo cuoco, sempre cortese e disponibile.

 

 

 

Fabio: ha partecipato con Giuseppe alla traversata atlantica.

 

33 anni, di Nettuno provincia di Roma, fin da piccolo amante della barca e della vela, per mestiere si dedica alla nautica come marinaio o comandante di imbarcazioni a vela o motore. Competente, e con buona esperienza. Molto attivo in barca, cerca di accomodare tutto ciò che si rompe, bravo cuoco. Anche lui fidanzato con una quarantenne di Bologna che lascia per lunghi periodi causa il lavoro. Naturalmente è presente su Chloe solo per piacere e presto tornerà in Italia in cerca di lavoro. Cortese, affabile, si presta sempre per dare una aiuto, insomma un ottimo compagno di viaggio.

 

 
 
 

RITORNO IN ITALIA

Post n°98 pubblicato il 27 Agosto 2010 da lukyll
Foto di lukyll

18 Maggio    Londra – aeroporto di Heathrow

 

Dormiamo nella Baia di Ta-ipi, Isola di Nuku Hiva, tranquilla, finalmente senza risacca che ci fa rollare come nelle ultime baie. Sistemiamo la barca, Cesare ed io rimettiamo la drizza dentro l’albero, Giuseppe e Fabio lavano lo spinnaker e mettono delle piccole toppe nei buchini del Gennaker. All’una tutto finito e possiamo pranzare. I soliti fagioli o lenticchie, non ricordo, tanto la differenza è solo nel pranzare a fagioli e cenare a lenticchie o l’inverso. Il pomeriggio andiamo al villaggio, poche case lungo la strada ma preparativi per il weekend: gare di bocce sulla spiaggia e le signore in terra sotto una capanna a giocare a tombola mentre si accendono dei grill e qualcuno si prepara a cucinare. Il capretto ci ispira e la sera Giuseppe e Fabio vanno a comprare la carne, finalmente dopo tanto tempo con la speranza che non ci faccia male. Pollo alla griglia, capretto alla salsa di cocco, riso in bianco al posto dl pane e delle verdure sconosciute. Non male ma niente di speciale. La notte ed  il giorno dopo Fabio e Giuseppe stanno poco bene, diarrea e tanta stanchezza. Bighelloniamo fra la barca ed il villaggio, tanto per fare due passi. E così anche il giorno successivo, Lunedì.

Martedì partiamo per raggiungere la baia di Taihoae, a motore, tanto è a pochissime miglia. Molto bella, sufficientemente riparata dal mare, dalla forma rotonda con tante barche a dondolare, la bella baia così come ce la possiamo immaginare.

Andiamo alla Gendarmeria così Giuseppe sbarca me e Giovanni, possiamo abbandonare la nave, il comandante ci restituisce i passaporti. Facciamo la spesa e cerchiamo un’auto a noleggio per il giorno dopo. La prendiamo alle 12 e in pochi minuti siamo in viaggio per visitare l’isola ed i siti archeologici più importanti. Il primo vicino alla baia di Ta-ipi, ma niente di speciale, delle sopraelevazioni rettangolari alte 80 cm, in pietre laviche con qualche Tiki negli angoli, in mezzo alla foresta. Ripartiamo e attraversiamo l’isola, strada sterrata con qualche tratto in cemento nei punti più scoscesi, ad una velocità di 10-20 Km/h. I due villaggi che visitiamo sono belli, puliti, con prati sotto le piante di cocco o di banano, in belle baie, con gente tranquilla che chiacchiera o svolge piccoli lavori.

Il sito archeologico non dice niente se non per un albero secolare che per abbracciarne il tronco occorreranno 8 persone. Bellissimo.  Ma al ritorno in una stretta curva con il cemento nella strada arriva una macchina che ci incrocia e Giuseppe mette una ruota nell’erba che è alta fino all’asfalto ma lo scalino è profondo. Quando rientra sul cemento con la ruota questa si taglia  e ci ritroviamo a camminare con il solo cerchione. Meno male che non è successo in un punto con qualche strapiombo dato che se ne incontrano molti. Cesare e Fabio cambiano la gomma in una curva e finalmente,risolti diversi problemi tecnici, ripartiamo per la nostra baia.

Sembrerà strano ma dopo 4000 miglia in mezzo all’oceano Pacifico gli unici momenti di pericolo li troviamo a terra: la prima volta con il piccolo bus che alle Galapagos ha urtato uno scalino, il muretto e stava per rovesciarsi e poi la gomma rotta a Nuku Hiva! Poi si dice che il mare è pericoloso! La mattina dopo ci inoltriamo nell’isola con il fuori strada senza ruota di scorta e andiamo nell’unica altra strada che esiste: verso l’aeroporto. Montagne scoscese e molto tornanti, pini in alto ed un bel fresco, mucche a pascolare insieme a cavalli e capre. Arriviamo in vista della pista di atterraggio e decidiamo di ritornare anche perché una seconda ruota risulta un poco sgonfia, meglio non rischiare visto che siamo senza quella di scorta! Il noleggiatore è stato onesto e gentile, solo 100 euro per una gomma nuova, se ne poteva approfittare!

Il pomeriggio partiamo con la barca verso una baia meno frequentata, con un po’ di barriera corallina e speriamo con acqua limpida per fare l’ultimo bagno. In verità dopo più di due mesi di barca non è che ne abbiamo fatto molti a causa delle baie molto frequentate e con acqua torbida e poco invitante. Senza considerare gli squali che dicono essere tranquilli e che non hanno mai mangiato nessuno. C’è sempre una prima volta e poi solo il rammentarli fa paura e caso mai ci si tuffa un minuto accanto alla barca tanto per rinfrescarci.

La baia di Anaho è bellissima, entrando sulla destra c’è un promontorio che ci protegge da tutti le direzioni, almeno sembra, con intorno delle montagne molto scoscese e delle guglie di roccia. Vale la pena starci qualche giorno. Solo tre barche. Facciamo subito un bagno e anche la barriera corallina, l’unica di tutta l’isola è bella con le sue molteplici forme che ricoprono il fondale, anzi, ne sono l’unico costituente. Si vedono anche molti pesci e trascorro almeno venti minuti ad osservarli mentre percorro parte della barriera nuotando.

In mattinata abbiamo preparato le valigie, sembra che pesino  più del normale!

 

 

 

Il rientro in Italia inizia il sabato mattina, ore 8,30 partenza per la baia accanto , Hatihe, dove ci attende un taxi che in quasi due ore ci porta all’aeroporto. Avremo percorso 25 o 30 Km, immaginatevi come doveva essere la strada se ci abbiamo impiegato poco meno di 2 ore!

3-4 ore di attesa ed infine partenza per Papeete. Dall’aereo vedo qualche atollo, azzurro, il sogno che vediamo nelle foto nell’agenzia viaggi…. E che pur essendo così vicino non vedrò!

Attesa anche all’aeroporto dell’isola di Tahiti e a mezzanotte si parte. Atterriamo a Los Angeles da dove dovremmo ripartire nel primo pomeriggio. Si sale in aereo, si aspetta un poco, l’aeromobile si dirige nella pista di decollo, non parte, aspettiamo con trepidazione diversi minuti ed alla fine ci viene comunicati che l’aeroporto inglese dove dovremmo atterrare è chiuso per la polvere del vulcano islandese. Scendiamo, ci dicono che ci ospiteranno in un albergo, ciondoliamo tutti nell’aeroporto per 3 ore fino a che arriva la navetta per l’hotel. Decente. Cena in una trattoria messicana, indecente, offerta dalla compagnia Air New Zealand. Il giorno dopo si parte, finalmente, ma abbiamo perso la coincidenza per l’Italia! Per fortuna mi do da fare e a Londra, all'aeroporto di Heathrow, nonostante il mio inglese maccheronico, mi faccio spiegare dove si trova il terminal della British Airways. Ovviamente lontano. Devo prendere il trenino e andare dal terminal 5 al 2. Meno male che è gratuito perché non ho nemmeno una sterlina. Al checkin sono molto gentili e mi offrono un volo pomeridiano per Pisa, migliore di quello che avevo scelto io che era serale e soprattutto gratuito. Non ci speravo. Dall’aeroporto di Pisa trenino per la stazione FFSS ed infine per Firenze e poi veloce coincidenza per Arezzo. Totale: da sabato mattina a Martedì sera alle 9.  Viaggio un poco allucinante.

In Italia è fresco e sono solo con la magliettina ed un leggero golf di cotone. Era tanto che non sentivo del fresco, veramente piacevole, almeno cambia qualcosa! E’ finito il solito caldo umido e afoso. Mi lavo le mani prima di cenare e sento l’acqua che è fredda e dopo pochi secondi mi scottano le mani. La Ciguatera non è passata, anzi,trovando qui l’acqua fredda la sento molto di più. Passera? Speriamo!

 

 

L’avventura è finita dopo due mesi e mezzo, mia moglie non ha cambiato la serratura della porta di ingresso come tante volte promesso e la vita riprende il suo corso.

Il pensiero però vola subito alla mia barca che deve essere verniciata con l’antivegetativa, sistemata, pulita, curata per bene e messa in acqua per partire per le ferie estive.

Incorreggibile vagabondo?  Ebbene si, lo ammetto, ma che male c’è?

 
 
 

OCEANO ATLANTICO

Post n°99 pubblicato il 15 Ottobre 2011 da lukyll
Foto di lukyll

 MALAGA

9 Ottobre  2011   

Arrivati a Malaga porto verso mezzogiorno, caricato Carlo a bordo e ripartiti subito per un marina più carino ed economico del porto commerciale di Malaga. Preparati da me spaghetti aglio olio e peperoncino ( ma con troppo poco peperoncino) e poi ormeggio in marina.

A proposito! Devo dire che è iniziato il viaggio su CRILU per la traversata dell’Oceano Atlantico.

Ancora una volta una lunga navigazione, una crociera dalle Baleari ai Caraibi, dove anche l’inverno è sempre caldo.  Un altro viaggio, in compagnia di amici, amanti della vela e del mare, a senza una sfida, ben sapendo che contro Nettuno non c’è niente da fare quando vuole, ma senza farci troppo intimorire, con la consapevolezza del rispetto verso il mare, dell’ottima barca progettata per le navigazioni oceaniche, della nostra conoscenza e preparazione marinara.

Il giro del mondo??!!  Il sogno di una vita di tanti, fatto ormai da molti, fatto a puntate da pochi fra i quali ormai anche io. Anche se a puntate è sempre una bella e piacevole esperienza.

Loris, l’armatore della barca, l’ho conosciuto su velanet.it, anche lui come me cercava marinai per formare un equipaggio per la traversata, ha risposto ad un mio annuncio e poi ci siamo incontrati nell’isola di Zante, nella bellissima baia del relitto. Siamo stati insieme 2 giorni e  mi sono accordato per andare con lui invece che con la mia barca. Non che la mia barca non fosse adatta ma sarebbe stato necessario fare un accurato controllo  di tutta l’attrezzatura e della strumentazione prima di un impegno così importante. E poi, gira e rigira, è anche abbastanza costoso considerate  le finanze di un pensionato statale!

La partenza era decisa per il 26 settembre da Hyeres, vicino a Tolone, dove Crilù era a fare manutenzione, ma a causa dei problemi alla mia dentatura ho ritardato la partenza al 4 ottobre raggiungendo la barca a Palma di Maiorca.

Poco prima di atterrare in aereo ho fatto la conoscenza con Giorgio ( la mia età)e Claudia (trenta anni), di Venezia. Insieme abbiamo raggiunta la barca dove ci attendevano Loris, Fabio ( un trentenne di Arcore ) che vuole dedicarsi alla nautica come lavoro, e Petra, un po’ più giovane di noi, che vive nell’isola d’Elba.

Cenato alla Oktobersfest con birra e salsiccione e la mattina dopo, rifornita la cambusa, partenza per Ibiza. Navigazione  tranquilla, vela e motore.  Bagno serale in baia e la mattina partenza per la città di Ibiza, sosta per altro bagno e la sera arrivo in baia dietro la città. Il giorno salpiamo per Malaga. Il bollettino ci da tempo brutto, vento intorno ai 25 nodi e mare forza 5 e anche più. Per  fortuna  il vento è in poppa ma la barca non sta ferma un secondo beccheggiando e rollando continuamente inoltre, essendo vento da nord, la temperatura era   abbastanza fresca. Turni di notte di 2 ore, a me è toccato da mezzanotte alle 2. Tutto bene e tranquillo. Attenzione alle navi che naturalmente essendo grosse non danno certo la precedenza e al mattino sono stato costretto a delle repentine deviazioni seguite da cori di vaffa… con dito medio alzato!

Pescati ben 4 Lampughe da più di un chilo, carne non pregiata ma buona soprattutto al sugo di pomodoro cucinate dal nostro cuoco Giorgio. Ma altre ce ne sono sfuggite slamandosi. La più bella, almeno due chili, l’ho tirata su fino alla barca ed una volta in coperta Petra la doveva mettere in una sporta per poi ucciderla. Ma non ci voleva entrare, si dimenava come moltissimo, allora l’ho posata sulla coperta della barca e ben 4 persone gli erano attorno per prenderla ma scivolava a tutti. Ben 8 mani si protraevano per afferrarle e nella colluttazione Loris batteva uno zigomo nella panchetta del pulpito di poppa procurandosi un taglio. Naturalmente nessuno si è preoccupato di Lui e tutti dietro il pesce che alla fine si è slamato ed è finito nella scaletta apparentemente  esausto.  Allora ho saltato la draglia di poppa per afferrarlo ma con un ultimo guizzo è riuscito a scivolare in acqua guadagnandosi la libertà e la vita. Meritata, meritatissima, ha lottato fino alla fine, senza mai desistere fino alla salvezza.  Impariamo anche noi a non mollare mai fino a che riusciremo ad ottenere quello che vogliamo!

Intanto, durante la navigazione, Cupido a centrato il bersaglio dei cuori due giovani ragazzi, e la sera sono usciti per visitare la città di Ibiza

In barca Lei lavava i piatti e Lui li asciugava, che tenerezza! Claudia doveva scendere a Malaga per prendere l’aereo per tornare a Venezia e Fabio, pur avendo avuto il consenso dell’armatore di venire fino alle Canarie con noi, ha preferito scendere e salire su di una altra barca di amici incontrati a Palma di Maiorca con i quali fra qualche giorno partirà per le Canarie. Insomma è riuscito a stare altri due giorni con Lei e a raggiungere lo stesso le isole da dove cercherà un imbarco per la traversata.  Come la Lampuga, non molla mai! Cerca di farci entrare tutto!  Bravo!

10 Ottobre 2001

Da Malaga, o meglio dal marina di Benalmadena  a 10 miglia da Malaga, siamo partiti dopo aver fatto cambusa. Salpati alle ore 12 praticamente senza vento.  Dopo poco gettato l’amo e nel primo pomeriggio pescata un’altra Lampuga. Credo che siano molto peggio dei tonni! Dobbiamo cambiare il detto che il tonno è il più stupido e che abbocca facilmente. Credo che la Lampuga lo batta! E’ toccato a me pulirla, domani vedremo come cucinarla. Che ne dite di fare un sughetto per dei crostini come antipasto?

Arrivati alle 19 a Gibilterra, già da lontano si vedeva la rupe con un la caratteristica nuvoletta sopra,  abbiamo  ormeggiato e dopo aver cenato ci accingiamo ad uscire per vedere la cittadina con la speranza di trovare un po’ di vita. Molta delusione, strade deserte, anche quelle centrali con negozi che vendono liquori a buon prezzo in quanto è zona franca. Siamo andati nell’unico locale da dove usciva un po’ di musica. In realtà i clienti si esibivano in un Karaoke di musiche americane ed inglesi. In realtà anche abbastanza bravi, per nostra fortuna.  Bicchiere di birra e via a passeggio per la città semideserta.  Ma presto siamo rientrati in barca, la città non dice niente, è mitico il luogo, lo stretto di Gibilterra, le cosiddette “Colonne d’Ercole”, il passaggio tra il Mediterraneo e L’Oceano Atlantico attraverso il quale si raggiungono le Americhe, dal Canada agli Stati Uniti, dai Caraibi al Brasile fino alla fine del continente, all’estremo sud, alla Terra del Fuoco.

 Domani partenza per Madera, più di 600 miglia, almeno 5 giorni di navigazione.

Ci risentiamo !

 

14 Ottobre 2011

Partiti alle ore 12 da Gibilterra dopo aver fatto cambusa e riforniti di 650 litri di gasolio.

Vento da nord est che ci spingeva al lasco con una buona andatura anche se la barca rollava abbastanza oltre a beccheggiare.  A tratti il mare era molto increspato per la corrente contraria, almeno un nodo e mezzo.  Si vedevano vicini i due continenti, l’Europa e L’Africa, separati solo da poche miglia di mare. Il cielo era sereno e tutti guardavamo avanti, verso prua, in attesa di percepire l’onda lunga dell’oceano. Ma il vento veniva  quasi da poppa, insistentemente e noi non abbiamo avvertito un bel niente. Solo onda corta e fastidiosa.

Alla sera il vento cala e dobbiamo accendere il motore. Lo spegneremo quasi dopo due giorni.  Infatti siamo entrati in un campo di alta pressione livellato dove il vento era al massimo di due nodi e spesso anche meno. Il mare liscio come l’olio rifletteva  lo sbiadito azzurro del cielo, l’onda era scomparsa e si vedevano solo piccole ondine più scure che si muovevano lentamente nel mare a specchio. A tenerci compagnia c’erano di quando in quando delle tartarughe, piccole, venti centimetri di diametro che incontravamo sole, immerse in quell’oceano immenso, con le loro testine in cima al collo che si sforzava allungandosi di tenerle fuori dall’acqua. Possibile da sole, nemmeno un piccolo branco, un po’ di compagnia!, in attraversamento di un oceano grande, magari provenienti dai Caraibi per venire in Mediterraneo ed andare in una precisa isola a deporre le uova nella calda sabbia.

Intanto peschiamo tre tonnetti che verranno cucinati il giorno dopo in umido. Uno l’ho ucciso io e sfilettato come si conviene ad un provetto pescivendolo.  Voleva scappare da secchio dove era stato cacciato ma prontamente l’ho coperto con il tagliere dove l’avrei dovuto sfilettare nonostante fosse già stato trafitto alla testa dal coltello! Pescare e tirare su il pesce è anche bello ed emozionante ma quando si deve uccidere per non farlo soffrire diventa un problema serio. Di coscienza! E’ giusto ucciderlo per mangiarlo o è soprattutto un sadico divertimento? La spiegazione della fame ha il sopravvento ma non so se perché sentita o per coprire un divertimento.

Stamani, 14 Ottobre, finalmente è ritornato il vento, 10 12  nodi di vento apparente, di bolina, proveniente da nord, il cosiddetto Aliseo Portoghese ci spinge a 7 nodi, velatura completa compresa la trinchetta, barca stabile che fila tranquilla. A sera arrivano i delfini a giocare serfando sull’onda prodotta da Crilu e poco prima avevamo scoperto un clandestino a bordo: un uccellino!  E’ salito a 100 miglia da Madeira, chissà da dove proviene e dove andrà, forse in Africa. Ma è lontana 500 miglia! Si è riposato un’oretta e poi è ripartito. Speravo rimanesse con noi, poteva diventare la mascotte della barca, invece ha preferito seguire, giustamente, il suo istinto.

Arriveremo a Madeira domani mattina.

 

15 Ottobre 2011

Arrivati a Madeira e subito sono al computer per inviare contributo al blog. Spero di riuscire ad minviare anche delle foto. Provate a vedere.

Se volete vedere la posizione di Crilu andate su www.youposition.it poi su sms ed infine su " il grande viaggio di Crilu"

 
 
 

MADEIRA

Post n°100 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da lukyll
Foto di lukyll

MADEIRA

16 ottobre 2001

Arrivo a Madeira dopo 4 giorni e mezzo di navigazione, nel marina non c’era posto pertanto ci siamo diretti nel porto della capitale Funchal mettendosi all’ancora nell’avanporto verso le ore 12.

L’isola si presenta con una grande montagna che degrada sul mare. La cima e le scogliere sono formate da rocce aguzze e di colore rosso ruggine e se ne  intuisce l’origine vulcanica recente. Case singole riempiono parte dell’isola dal mare salendo fino a 1/3 della montagna  che prosegue verde di boschi.  Il nome Madeira in spagnolo vuol dire “legno” ed infatti l’isola veniva sfruttata  per questa preziosa materia prima usata soprattutto per la costruzione delle navi. Era famosa anche per le verdure e per il vino, il Madeira, vino liquoroso. Le navi inglesi un tempo si fermavano qui per fare rifornimento di verdure e di vino prima di salpare per le Americhe. E’ scritto che il famoso Capitan Cook prima di partire per uno dei suoi giri del mondo, che duravano almeno un paio di anni, imbarcò ben 14.000 litri di vino, ovviamente a beneficio dei soli ufficiali e dei coraggiosi nobili che seguivano  le imprese del famoso Capitano.

Nel primo pomeriggio sono sceso a terra e subito ho cercato un internet point dove poter aggiornare il blog e leggere la posta. Poi ho visitato un po’ la città, il centro storico, formato da abitazione in stile coloniale portoghese con portali e contorno finestre in nera pietra lavica e il resto in intonaco color crema.  Abbastanza gradevole ma niente di speciale.  Cena: capesante alla griglia, ed una enorme quantità  di fette di filetto cotte sulla pietra ollare rovente portataci sul tavolo e vino.

Passeggiata con gelato e prima di  dormire  un gin tonic in barca.

Per il giorno dopo il Comandante aveva deciso la sveglia per le 7 e subito la partenza. Allora scherzando gli ho detto che se fosse stato come la sveglia di qualche giorno prima, sempre alle 7 ma poi in realtà sveglia alle 9, potevo dormire tranquillo! La battuta deve avere colpito sull’onore il Comandante che ha avvisato  che ci avrebbe svegliato al suono della campana, appesa accanto all’ingresso della dinette. Ho pensato subito di fargli uno scherzo  smontandola e nascondendola mentre dormiva. Purtroppo è fissata bene alla staffa che la sorregge e troppo lungo il lavoro per eliminarla. Al mattino infatti sveglia con tre colpi di campana ma invece che alle 7 l’ha suonata alle 8. Il gin tonic ha avuto un effetto benefico!Siamo riusciti a dormire un’ora in più!

Partenza  alle 8, appunto, per le isole Selvagge che si trovano lungo la rotta per raggiungere le Canarie.

Vento al traverso da nord est tra i 10 e i 14 nodi, mare poco mosso e navigazione tranquilla dedicata alla lettura: “ Sulla Strada” di Kerouac. Un “viaggio” sulle strade degli stati uniti in cerca di una realtà diversa da quella  del conformismo imperante in quel periodo in cui credere. Il libro che ha ispirato la “beat generation”.  Avrei dovuto leggerlo quando ero giovane …… ma ,come si dice, meglio tardi che mai!

 
 
 

SANTA CRUZ DI TENERIFE

Post n°101 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da lukyll
Foto di lukyll

SANTA CRUZ DI TENERIFE  -   ISOLE CANARIE

18 Ottobre 2011

 

La mattina del  17 Crilu è salpata per le Isole Selvagge, due piccole isole a 10 miglia circa l’una dall’altra, disabitate e costituenti  Parco Nazionale. La distanza da percorrere è di 160 miglia, quasi 300 Km. L’arrivo  è previsto per  la mattina del giorno dopo. Vento costante sui 10-14 nodi al lasco e velocità della barca sui 6-7 nodi. Traversata tranquilla anche di notte e la mattina arriviamo davanti all’isola verso le 9,30. Dobbiamo entrare nella baia per l’ancoraggio ma ci arriva un avviso dei guardiani via radio che ci sconsiglia l’ancoraggio causa forte risacca. Nel frattempo Loris accende il motore e sente una forte vibrazione dello stesso. Tutti preoccupati ci  mettiamo all’ascolto del rumore che si diffonde e accelerando un po’ risentiamo bene la vibrazione del piede dove ha sede l’elica e tutti gli ingranaggi che  le trasmettono il moto. Iniziano le supposizioni ed ognuno dice la sua. Che si sia rotto ancora una volta l’asse di trasmissione come avvenuto sei mesi fa ? Allora Giorgio si è calato nel vano motori cercando di vedere  se fosse davvero rotto l’asse ma  era necessario smontare parte della scatola ingranaggio della trasmissione. Qualcun altro pensava che ci fosse qualcosa nell’elica, tipo una cima o una rete che si fosse avvolta  e ne determinasse il disturbo. Al Comandante giravano abbastanza le scatole. Il suo meraviglioso gioiello si era rotto e le premesse per un sicuro affidamento sul motore erano diminuite vistosamente. Altre ipotesi sembravano improponibili.  Prove e riprova alla fine il motore parte senza vibrazioni e sembra tutto a posto.  Proseguiamo comunque a vela ed il motore riacceso verso le 21 per mancanza di vento.

L’arrivo a Santa Cruz di Tenerife è previsto per la notte infatti arriviamo a mezzanotte. Per fortuna che esiste il gps  altrimenti sarebbe stato difficile tra le migliaia di luci individuare quelle dell’ingresso del porto dove si trova il nostro marina.  Entriamo e via radio avvisiamo del nostro arrivo: ci attende il marinaio con una barchetta. Facciamo un po’ di manovre per l’ingresso del marina e poi ci viene indicato il pontile dove dobbiamo andare. Ma, proprio nel momento in cui il motore diventa indispensabile, lo stesso non risponde più ai comandi, bloccato. Allora il comandante agisce sull’elica di prua per spostare la barca e girarla nella giusta direzione ma anche quella si blocca girando solo da una parte! Il fumo esce dalle  narici ed anche dalle orecchie dello skipper mentre dalla bocca escono parole che sicuramente il padreterno non avrà apprezzato. Si chiama il ragazzo con la barchetta per farci tirare in una banchina laterale dove ormeggiarsi all’inglese e passare la notte. Poi domani …… sarà un altro giorno!

La preoccupazione è notevole,  se la barca già si comporta male ancor prima di partire per la traversata con guasti ripetuti al motore e all’elica di prua, anch’essa già con qualche problema nei mesi precedenti, e  il morale del comandante è a terra. Domani mattina alle 9 partiremo in cerca di un meccanico e di un elettricista.

Infatti già verso le 10 arriva il meccanico, guarda, mette in moto e sentenzia che la vibrazione è determinata dall’elica o dall’ingranaggio appena a monte di essa. Quindi va a casa a mettersi la muta, Loris tira fuori la bombola dell’aria compressa, pinne e maschera e il meccanico va sott’acqua ad ispezionare l’elica. Esce poco dopo chiedendo un coltello, si immerge di nuovo per uscirne pochi minuti dopo con una grande matassa di cime. Si erano avvolte all’elica e ne bloccavano il movimento. Grande sollievo di tutti e finalmente il sorriso torna sulla faccia del Comandante. La prova motore toglie qualsiasi altro dubbio. Il più è fatto. 

Rimane l’elica di prua indispensabile per ormeggiare nei pontili in presenza di altre barche. Sembra che Crilu non sia molto docile al timone in retromarcia. Il meccanico va a farsi la doccia e dopo una mezz’oretta torna per affrontare il problema dell’elica di prua.  Dopo un po’ viene fuori dal gavone di prua con un pezzo indicando quale, secondo Lui, è il guasto. Un interruttore comandato elettricamente presenta un buco fatto precedentemente da chi lo ha montato  per alloggiarlo con una vite nella sua sede e sembra che sia stato intaccato l’avvolgimento. Il pezzo era stato cambiato di recente ( un mese prima circa)dalla casa costruttrice della barca. Viene avvisata la ditta che lo aveva sostituito la quale dopo due giorni invia una mail annunciando l’invio del pezzo nuovo. In ritardo perché Loris lo aveva già ordinato versando anche un anticipo. Servirà come ricambio data la evidente delicatezza dell’apparato ( ricambio che costa circa ben 700 euro!! ).

Lo skipper , sollevato dei problemi risolti, ci invita a pulire tutta la barca: cabine, frigo, forno ecc. fatte diverse lavatrici per lavare i vestiti  e le copertine dei cuscini che stanno in pozzetto. E, come si sa, a togliere le fodere è facile, molto più difficile rimetterle. Infatti il Loris ci prova con una e dopo un quarto d’ora di lavoro infruttuoso getta via il cuscino e se ne va. Toccherà a me, armato della mia santa pazienza, con l’aiuto di Petra a rimettere le fodere ai materassini, lavoro che ha richiesto grande dispendio di sudore non tanto per la fatica ma per il nervoso dovuto alla pazienza necessaria per non gettare tutto in acqua, considerato che nel frattempo Giorgio faceva bollire l’acqua per la pasta e cucinava altri manicaretti producendo grande quantità di calore. Dopo un’ora e mezza la missione poteva considerarsi compiuta e potevamo sederci a tavola per la meritata cena.

La città di Santa Cruz di Tenerife non presenta particolari bellezze, solo dei palazzi in centro fine ottocento o primi novecento che la impreziosiscono di tanto in tanto e le danno un po’ di storia recente. L’edificio più moderno è l’Opera House, una specie di conchiglia con la parte superiore del guscio aperta. Simile a quella di Sidney, come concetto, ma più piccola e molto meno bella!

Partiremo per il ritorno in Italia il 21 ottobre perché Loris deve tornare per 3 settimane a casa e poi il periodo per la traversata è dalla fine di novembre fino a maggio, quindi partire adesso sarebbe poco prudente. Torneremo a Santa Cruz per fare cambusa e preparare la barca per la traversata  da iniziare verso il 23-24 novembre.

 

 
 
 

L'EQIPAGGIO

Post n°102 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da lukyll
Foto di lukyll

L’EQUIPAGGIO

 

L’equipaggio è formato dall’armatore e skipper Loris, dal cuoco,Giorgio, veneziano come l’armatore, da Carlo di Como, dal giovane Fabio di Monza e da me.

 

Il comandante è un tipo tranquillo come indole anche se spesso si incavola e gli scappa qualche moccolo che però in veneziano diventa più gentile!  Arrivato alla mia età, dopo anni di intenso lavoro come albergatore, ha pensato bene che il tempo non gli sarebbe bastato per fare quello che desiderava se avesse aspettato ancora un po’. Con la passione della vela, ha acquistato una bella barca di 16 metri adatta alle lunghe navigazioni, un Amel 54 (piedi), armata ed equipaggiata di tutto punto: lavastoviglie, microonde lavatrice ed asciugatrice. E poi via per il mondo. Prima però ha scritto una lettera ai figli Cristina e Luca, da qui il nome della barca CRILU, con tutte le date del Grande viaggio di Crilu intorno al mondo e quindi dichiarando loro la sua determinazione e di conseguenza anche il compito loro affidatogli di portare avanti l’azienda con diversi alberghi e ristoranti annessi.

Moltissimi uomini arrivano all’età biologica della pensione e capiscono che è il momento di realizzare il sogno che tengono nel cassetto, non possono  aspettare altro tempo pena l’impossibilità fisica, e del fisico, di realizzarla.

Loris  è affabile, simpatico, amante del buon vino, della birra, del gin ecc. ecc. come si conviene ad un  buon veneto e soprattutto ad un buon marinaio. Senza, ovviamente, esagerare mai. Mi raccontava ieri che appena comprata la barca in Sardegna si è fatto spedire un carico di vino ed è arrivato in banchina un camioncino della DHL pieno di scatoloni di vini.

Gli piace la sua barca e ne parla con soddisfazione,  ed  alla quale non fa mancare assolutamente niente, come tutti gli armatori e mano a mano che passano i giorni  il desiderio  di fare il giro del mondo prende sempre più corpo anche se afferma che: intanto arriviamo ai Caraibi …. poi si vedrà.

Alle volte si irrita facilmente ma per fortuna dopo soli due minuti ritorna affabile ed amichevole come prima. Grande cosa questa.

In conclusione : un gran Signore.

 

Giorgio: ha risposto ad una inserzione sul giornale velico “Bolina” ed ha incontrato Loris dicendo chiaramente che Lui si sarebbe interessato alla cambusa ed alla cucina. Visto e preso! Loris infatti non ama la cucina o meglio gli piace mangiare bene ma non ama stare ai fornelli..

Così Giorgio prepara tutto, anche gli spuntini e l’aperitivo e soddisfa qualunque esigenza del comandante.

Diremo, quasi, un cameriere e cuoco a disposizione del sogno del Comandante.

Giorgio ha un anno più di me ma onestamente ne dimostra qualcuno in più, ha lavorato a Venezia come aggiustatore meccanico nei cantieri navali, preparatore e istruttore di canottaggio presso la Lega Navale di Venezia, separato, amante della vela da sempre, ha deciso di andare in giro  per il mare fino a che la salute glielo permette.  L’alternativa sarebbe stata di stare a casa e dare una mano alle figlie Le quali, naturalmente non sono entusiaste della Sua decisione. I genitori sempre a disposizione per i figli!

E’ un bravo cuoco, domanda sempre come si deve fare, chiede consigli e poi fa come gli pare, inutile tentare di convincerlo a fare diversamente. Vuole essere apprezzato ed alla fine chiede: zè bon?  In veneziano, perché Lui non parla italiano ma solo veneziano. Dialetto molto piacevole, gentile e simpatico.

Oggi ha cucinato il baccalà mantecato ed era ottimo anche se il comandante pur apprezzando non lo ha ritenuto perfetto.

E’ commovente vedere la sua faccia e l’espressione degli occhi quando chiede se il  piatto appena cucinato è buono: gli occhi dolci, un leggero sorriso di sperata soddisfazione e se il verdetto del comandante tarda un po’ a farsi sentire allora aggiunge, tanto per giustificarsi: “ ciò, semo in barca, in mezzo all’atlantico, co la roba ch’avemo…. non potemo far de più, ciò ..!! “ Allora deve e dico deve, arrivare la lode per l’ottimol piatto, altrimenti c’è una alzata di spalle, un “ … ma ti te crede sia facile cucinar in ste condizioni .. “, “ doman te cucini ti..” ed assume l’espressione del  bambino che fa il broncio e l’offeso.

Insomma un gran simpaticone, buono, tranquillo, chiacchierone e disponibile sempre alla battuta e allo scherzo.

 

Carlo:  ha appena superato la cinquantina, scapolo, lavora saltuariamente presso l’azienda di un amico dopo aver perso il lavoro che svolgeva da 20 anni in ambito turistico. Silenzioso, preciso, anzi precisino se non molto pignolo. Comasco,  ha lasciato la compagna a Como e si dedica, quando gli è possibile dedicarsi alla vela. Regola continuamente le vele, è diventato assistente di cucina di Giorgio, partecipa attivamente alle manovre, pulisce il pesce pescato facendone filetti. Di poche parole anche se non certo un musone.

Un ottimo compagno di viaggio.

 

 

Fabio:   il più giovane soli 32 anni, di Arcore, e questo già non lo mette in buona luce, comunque è un bravo ragazzo che ha lasciato un sicuro lavoro a Milano, gru e piattaforme, scocciato del lavoro ma soprattutto dell’ambiente e dei rapporti personali nonché del clima, ha lasciato baracca e burattini , come si dice, ed ha scelto la professione di marinaio. Molto determinato, abile nei rapporti umani, studia spesso sia materie nautiche che lo spagnolo e appena arriveremo a Guadalupe andrà in cerca di lavoro come steward e poi, finita la stagione ai Caraibi andrà in sud America, Perù, Brasile Argentina.  E poi? Si vedrà, questa la risposta.

Valli a capire questi giovani, nel mezzo del cammin di loro vita se ne van in giro per il mondo, in cerca d’avventura e di scoperte, infischiandosene del futuro,  di una famiglia, di figli eventuali,  della pensione che dovrà aiutarli nella vecchiaia. E in questo anno ne ho trovati diversi di ragazzi che ambiscono a diventare marinai di professione e partire per l’avventura che è bella ma alla fine quali sicurezze  può dare? E quali soddisfazioni? E mentre un tempo queste cose si facevano e si fanno ancora,  soprattutto nei paesi anglosassoni , da giovani, quindi come esperienze giovanili, oggigiorno si fanno a trenta anni passati per arrivare ai quaranta quando la parabola della vita già comincia a scendere e certe scelto diventano precluse o se fatte, assurde.

 
 
 

LA BARCA

Post n°103 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da lukyll
Foto di lukyll

 LA BARCA

 

È un AMEL 54 della lunghezza di 16,5 m circa, francese. Progettata per lunghe navigazioni, anche oceaniche quindi sicura nella sua robustezza, nel pozzetto centrale lontano da eventuali frangenti ed in questo caso nella facilità di conduzione in quanto tutte manovre sono comandate elettricamente dalla consolle seduti  su di una comoda poltrona imbottita. Sono presenti due alberi, di maestra e di mezzana, per avere un baricentro velico più basso ed anche se con più vele ma più piccole e più facilmente manovrabili. Il ponte è in finto teck  così come i paglioli dell’interno mentre i bagni sono quasi completamente in plastica bianca. Quindi tutto facilmente lavabile così da non avere perdita di tempo in lunghe manutenzioni. Gli interni comunque sono eleganti ed abbondano i legni, come è nella tradizione marinara.

Si entra dal pozzetto centrale in una ampia dinette con a destra il tavolo da carteggio e a sinistra la cucina. Poi il tavolo ad U e di fronte due poltrone. Verso poppa si accede ad una cabina con cuccetta per il navigatore e poi ad una ampia cabina a tutta poppa con letto matrimoniale e bagno con doccia. Invece verso prua si accede ad un vano con sulla destra due cuccette sovrapposte e a sinistra un’altra cabina matrimoniale.  E verso prua il bagno con box doccia. Giusto spazio per sei persone e per lunghe navigazioni.

I confort sono notevoli, sembra di stare in una casa e lo è a tutti gli effetti. Cucina con forno, microonde, lavastoviglie, frigo e surgelatore ampio nonché lavatrice e asciugatrice. Dissalatore per avere acqua potabile a volontà, generatore elettrico da 11 KW, quando nelle nostre case il contratto è per 3 KW, ed un buon motore Volvo Penta da 120 CV.

L’elettronica a bordo è completa anzi Loris ha aggiunto un apparecchio cartografico in più, radio ad onde corte SSB ed altre diavolerie che danno senz’altro una grande sicurezza di navigazione.

Insomma una gran bella barca dove ci sono tutti i confort,  si sta comodi e soprattutto sicuri.

 
 
 

LA TRAVERSATA DELL'OCEANO ATLANTICO

Post n°104 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da lukyll
Foto di lukyll

 LA TRAVERSATA DELL’OCEANO ATLANTICO

 

23 ottobre – 09 dicembre

 

 

Siamo partiti per la traversata dell’Atlantico alle ore 12 del 23 Novembre 2011 dal porto di Santa Cruz di Tenerife, nelle isole Canarie.

Ci attendono 2800 miglia prima di arrivare all’isola di Guadalupe. La rotta è già tracciata nel plotter e quella seguiremo. Iniziale direzione verso sud ovest, verso le isole di Capo Verde e poi deviazione verso ovest, scendendo lentamente verso sud,  con una rotta di 265° circa. Si fanno le scommesse sui giorni necessari per arrivare a destinazione. Loris  sottoscrive per 17 giorni, io e Giorgio per 18 e Carlo per 19. Fabio per 20. Poi Loris afferma che se il vento scarseggia si accenderà il motore, così come è stato fatto più volte, e quindi è chiaro che forse arriveremo in 17 giorni. Basta mantenere una velocità media di 6,5/7 nodi ed a motore si superano normalmente i 7 nodi. Quindi non ci saranno grosse sorprese sulla data di arrivo.

A Santa Cruz il cielo è nuvoloso e la partenza avviene sotto una leggere e intermittente pioggerellina:  partenza bagnata partenza fortunata!  I proverbi si sprecano! L’uomo ha una indiscussa capacità di adattamento alle avversità cercando sempre di rigirare i fatti affinché  siano soddisfacenti ai propri interessi e ambizioni.  Come quando un piccione te fa addosso e si dice che porta fortuna …. Intanto, secondo me, si comincia male !!! ma così si dice …!!

Alterniamo vela e motore per poi andare solo a vela il giorno dopo dato il buon vento che ci spinge da poppa verso sud ovest e verso Capo Verde. Al mattino tiriamo giù la lenza per pescare lo sperato tonno quotidiano.  Loris ha comprato una canna nuova con mulinello ed una lenza  adeguata a tirare su pesci di 30 e più chili. Non passa molto tempo che il mulinello ruota a gran velocità facendo sentire il suo cicalino. Sobbalziamo dalla panca e ci mettiamo all’opera per recuperare il pesce.  Chi recupera la lenza chi cerca straccio e rhum per uccidere il malcapitato senza prenderlo a randellate, chi prende il secchio ed il coltello per la pulizia. Si vede già in lontananza dallo sgargiante colore verde giallo-oro che il pesce è un Dorado e non il tonno che cercavamo.  Lo tiriamo su, gli gettiamo il liquore nelle branchie e muore velocemente senza spiccicare parola! Altrimenti chissà dove ci avrebbe mandati ….. ! Pulito e preparati i soli filetti. Il Dorado,  chiamato anche Lampuga, ha carne bianca ma di poco sapore e se cotto troppo diventa  stopposo. Verrà cucinato alla sera da Giorgio, al forno ma risulterà, appunto,  stopposo.  Anche se cucinato in altri modi non risulta molto gradevole al gusto. Ecco perché volevamo il tonno!

Il giorno dopo abbiamo pescato ancora ma sempre dei dorado che abbiamo ributtato a mare. Ero io quello che li liberavo dal terribile amo doppio armato di due pinze ed operavo la povera bestia velocemente per non farla morire prima, mi sembrava di essere un dentista ! Devo essere proprio bravo, mai uno che si sia lamentato !! Noi siamo ecologici peschiamo solo quello che ci serve per mangiare, non peschiamo e uccidiamo animali per il solo divertimento della pesca!

Comunque non siamo riusciti a pescare nemmeno un tonno, se non nel mediterraneo. Abbiamo anche preso qualche bel pesce  grosso, tanto che ci ha srotolato tutta la lenza del mulinello e poi l’ha strappata portandosi dietro esca di plastica, piombo da 150 gr. e  200 metri almeno di lenza. Speriamo riesca a liberarsene! A questo punto una canna è fuori uso per mancanza di lenza  ed abbiamo rimesso in funzione la vecchia che ha dato gli stessi risultati. Solo dorado che abbiamo ributtato in mare dopo la solita operazione “dentistica”.

Il vento è stato favorevole fin dal secondo giorno, quasi di poppa o poppa piena tanto che andavamo con randa e genoa a farfalla. Quasi sempre dai 15 ai 20 nodi. Un andare tranquillo e veloce, dai 6 ai 7-8 nodi.

Certo che con l’onda da poppa  la barca rolla abbondantemente rendendo la navigazione dei passeggeri un poco faticosa perché si è spostati continuamente a destra e poi a sinistra ed il corpo per mantenersi in equilibrio deve mettere in contrazione i muscoli addominali in continuazione, anche se non ce ne accorgiamo e la cosa , a lungo andare stanca. E pensate questa situazione non per alcune ore ma per giorni e giorni, settimane … e senza sosta alcuna. Anche nella cuccetta si è spostati in qua e in là e conviene dormire con i gomiti  e le gambe in fuori così che il nostro corpo risulti più stabile e per non finire fuori dalla cuccetta con un salto che certo farebbe male. E’ vero che ci sono anche i teli antirollio proprio per non cadere e dormire tranquilli ma personalmente fino ad ora non li ho usati in questa traversata.

Possiamo essere contenti del vento che ci è stato molto spesso favorevole e solo gli ultimi tre giorni è calato di intensità  costringendoci ad usare il motore,  soprattutto a causa di una perturbazione è cambiato di direzione venendoci proprio da prua, sul “muso”, come si dice e rallentando la nostra corsa verso  i Caraibi.

A parte i primi 4-5 giorni che la temperatura è stata bassa costringendoci a mettere calzoni , maglione e cerata, e dove mi sono preso una bella bronchite che mi sono trascinato fino quasi all’arrivo  e per la quale ho  ingurgitato ben 2 scatole di amoxicillina, un antibiotico, con 24 pastiglie per 12 giorni.  La mia preoccupazione era che avendo avuto una ricaduta perché interrotta la cura con gli antibiotici troppo presto, poteva la bronchite trasformarsi in broncopolmonite che se curata da medici a casa o in ospedale non da grossi problemi, ma in mezzo all’oceano, senza medici e solo con un tipo di antibiotico poteva risultare pericolosa.  Sembra sia andato tutto bene !

Poi raggiunto quasi Capo Verde abbiamo incontrato l’Aliseo, il vento che ci ha portato per gran parte dei giorni attraverso l’Atlantico. La temperatura è risalita fino a diventare, negli ultimi giorni caldo e umido, appiccicoso, con le lenzuola appiccicose, ecc. non proprio un bello stare! Ma si sa, l’abbiamo scelto noi di venire qui quindi non possiamo lamentarci troppo …! E poi, qui sarà un clima caldo umido e appiccicoso ma in Italia sarà a Dicembre umido e freddo, quello che ti penetra nelle ossa e non te lo togli più …!

Speriamo nel clima della Guadalupe, dovrebbe essere la stagione asciutta, ed avere una temperatura molto mite, come fosse sempre primavera.

 

 

La vita a bordo si svolge con tranquillità, abbiamo organizzato dei turni di 4 ore ciascuno in coppia ma sfalsati di due ore. Cioè quando inizio faccio due ore di assistenza al timoniere per eventuali manovre che dovessero essere necessarie e le altre due come timoniere e di guardia. La barca ha il timone automatico ed usiamo sempre quello quindi si tratta di stare comodamente seduti in poltrona davanti alla consolle e controllare gli strumenti: radar, anemometro,  direzione vento,  velocità  della barca, rotta  ecc..  Qualcuno imposta l’allarme del radar e del fuori rotta e va a dormire ma non mi sembra affatto una buona idea, se qualcosa non funziona potremmo trovarci davanti una petroliera da 200 metri  e non so come andrebbe a finire …. Anzi lo so proprio ed è  per questo che stiamo svegli.  Svegli ….  anche qui ci sarebbe qualcosa da ridire perché qualche leggero “ abbiocco “ forse ce lo abbiamo avuto tutti , si sa alle 3-4 di notte la palpebra cala ma pochi secondi dopo siamo di nuovo all’erta per controllare radar e tutto il resto.  Se poi avvistiamo con il radar una imbarcazione la seguiamo costantemente  per controllare che non sia in rotta di collisione con noi e fino che non va fuori dallo schermo.

Per  il resto del tempo si dorme di tanto in tanto e si legge quando non siamo impegnati nella cucina.

Anche dormire non è facile perché avendo turni di 4 ore, notte e giorno, a scalare, cioè ad ore sempre diverse, ed avendo libere solo sei ore, siamo costretti a dormire ad ore sempre differenti e non è possibile prendere un ritmo. Questo almeno a me da abbastanza fastidio, non possiamo programmare la giornata con gli stessi ritmi e si vive seguendo solo le esigenze che il fisico richiede. Si dorme quando si ha sonno, si fa colazione quando ci svegliamo, le 7 o le 10, si mangia pranzo e cena insieme, questo si, ma per il resto ognuno fa come gli pare. In barca è così !!

Ogni tanto qualche pesce volante salta in coperta, si sente sbattere e se ce ne accorgiamo lo ributtiamo in acqua. I pesci scappano dai loro predoni volando fuori dall’acqua, così spariscono alla vista del predone che ne perde la traccia e si salvano.  Spesso anche l’avvicinarsi della barca è scambiata per un predone e quindi saltano fuori volando anche per 50 metri fuori dall’acqua. E qualcuno più sfigato atterra sulla barca e ci muore. Lo ritroviamo al mattino intirizzito. L’altra notte uno è volato sopra la barca ed è penetrato dall’osteriggio aperto  fino a cadere sopra o vicino al viso di Giorgio mentre se la dormiva. Naturalmente spavento, gettato nel buio con le braccia agitate nel pagliolo della cabina e quindi, accesa la luce e visto che si trattava di un pesce volante, lo ha rigettato in mare e poi se ne è tornato a letto. Passando prima dal bagno per lavarsi dal viso le squame e l’odore di pesce.

 

Una attività importante è quella della preparazione dei pasti, degli spuntini e degli aperitivi. Il cambusiere capo è Giorgio il quale passa ore ed ore ai fornelli preparando piatti veramente gustosi, tutti di tradizione veneta. Risotti, pasta con vari sughi, carne di pollo o coniglio al sugo, frittate ecc.  Tartine con tonno e maionese, con olive, con acciughe con pomodori, affettati vari che abbiamo portato ognuno di noi da casa secondo le nostre specialità locali. Insomma il mangiare non ci manca e fino adesso abbiamo cucinato sempre piatti diversi e gustosi.

Anch’io ho preparato qualcosa, il peposo con il purè di patate, spaghetti aglio olio e peperoncino, l’Amatriciana, la Carbonara, patatine fritte-arrosto come fa la mia moglie, la piadina, il dolce al limone ecc. Sono il secondo cuoco!

 Verso le 7 la sera beviamo l’aperitivo con patatine, noccioline, pistacchi e  cose varie, come lo chiamano in veneto, dove è nato, uno spritz: prosecco con un poco di Campari e limone. Qualche volta abbiamo bevuto anche gin tonic ma da quando un’onda malandrina ha fatto rovesciare il bicchiere di Loris sul computer non ne abbiamo più bevuti. Il computer infatti non risponde più ai comandi e non si accende nemmeno: che si sia ubriacato di gin? Oppure che sia stato astemio e l’alcool lo ha ucciso? Non si sa. Il fatto è che non funziona e non possiamo ricevere la posta ne inviarla e soprattutto, non possiamo ricevere i servizi meteorologici che sono molto utili se non indispensabili in queste traversate. Per fortuna la cosa è successa a pochi giorni, 5-6, dall’arrivo alla Guadalupa, comunque non è affatto piacevole non poter ricevere bollettini meteo!

In verità Loris ha un altro computer ma non sa installare il programma necessario, per farlo ha telefonato ad una ditta in Italia con il satellitare ma senza un contatto internet non è possibile trasferire i file necessari per l’installazione e così dovrà aspettare di arrivare a destinazione.

La posizione giornaliera su Youposition viene aggiornata tramite telefonata satellitare quotidiana al genero di Loris.

Oggi abbiamo visto per la seconda volta i giovani delfini che giocano davanti la prua della barca, 10 minuti e poi via con i genitori, il divertimento per loro, ma anche per noi è finito.

Ogni tanto guardiamo qualche film con il videoregistratore, tutti film d’azione che a me non entusiasmano ma che qualche volta vedo perché non ho altro da fare. Invece mi sono rivisto al mio computer il film “ Il postino” con Troisi e mi è piaciuto ancora più della prima volta.

 

Tutti i giorni ci colleghiamo via radio ad onde corte con i radioamatori che stanno attraversando l’Atlantico e con dei personaggi residenti in Italia che gentilmente, per hobby, tengono i contatti radio. In particolare ce ne sono due chiamati DJ e Grande Laguna che puntualmente alle ore 13 UTC, cioè alle 14 italiane, chiamano e tengono i contatti fra le varie barche. Io sono addetto alla radio e dato che è poco legale usare tali frequenze se non si è radioamatori autorizzati siamo tutti costretti ad usare in nickname. Il mio è Luky.

Ognuno da giornalmente le proprie coordinate così che in Italia possano seguire le rotte di ognuno. Ci si scambiano informazioni meteo così coloro che si trovano dietro hanno informazioni meteo importanti per seguire una conveniente rotta.  Poi qualche battuta,  qualcuno che è rimasto in panne con il motore che chiede delucidazioni su cosa andare a toccare per capire quale sia il guasto, e naturalmente ognuno dice la sua creando credo non poca confusione al povero cristo che si ritrova senza motore in mezzo all’Atlantico.

Arrivano anche cattive notizie come quella del decreto ministeriale sulle tasse da pagare per i possessori di barche e tutto per sentito dire senza certezze così da creare ansia e rabbia da parte dei velisti in ascolto, me compreso!!

Comunque è piacevole sentire e scambiare informazioni e opinioni da parte di amici che partecipano ad una analoga avventura, compagni di viaggio ! Ci facciamo compagnia.

Dopo tanti giorni di navigazione il testosterone in barca è salito a discreti livelli, nonostante l’età dei partecipanti alla spedizione. L’argomento principale dei discorsi e soprattutto delle battute è sempre quello …. ! Spero lo immaginate …. Non vengono raccontati i sogni, che come si sa sono molto intimi … ma le battute su tali immaginazioni si sprecano. Qualcuno racconta di aver riepilogato nella mente tutte le occasioni perdute, spesso per stupidaggine o pensando magari, molto erroneamente,  di averla in pugno, e poi si fa sfuggire l’attimo propizio e dopo non c’è più niente da fare. Come si dice: ogni lasciata è persa! E si mangiano le mani, adesso che  basterebbe anche la meno bella, anche se un po’ antipatica, ma quanto basta ….! E ti ripassano tutte in mente, non ne lasci nemmeno una, impietosamente a dimostrazione della propria stupidaggine e ci si accorge quante occasioni  abbiamo perso, più di quelle che abbiamo sfruttato. Questi sono i discorsi ricorrenti negli ultimi giorni di navigazione.  L’altra sera ho svegliato Fabio, 32 anni, per il cambio del turno, si è precipitato in pozzetto, si è sdraiato e si è rimesso a dormire bisbigliando … sognavo che ero al bar con una bionda …. Fammi continuare il sogno …. Voglio sapere come va a finire!! A questi livelli siamo ridotti !!

Siamo al 16mo giorno di navigazione, procediamo a motore perché non c’è vento, il mare è quasi come l’olio, mancano ancora 230 miglia e già si guarda lontano, a prua, per vedere terra, ben sapendo che a questa distanza è impossibile vederla, ma ci proviamo lo stesso come se il desiderio così forte ci aiutasse a vedere più lontano.  Il cielo è quasi sgombro da nuvole che ormai sono rimaste a corona dell’orizzonte, il cielo è di un blu intenso ed il sole, come si dice, “picchia”! Dovremmo arrivare alla Guadalupa domani in serata e speriamo prima della notte così da poter entrare in porto con la luce del  giorno, agilmente e non dover attendere l’alba successiva gironzolando per la baia in attesa della luce.  Come si sa entrare in un porto sconosciuto può essere pericoloso con le luci della città che ci confondono e non è difficile scambiare un semaforo del viale con le luci rossa e verde dell’ingresso al porto, occorre stare molto attenti e procedere con cautela e poi ci deve essere qualcuno che ci indica il posto barca nel marina, ecc. ecc.

Speriamo di arrivare con la luce del giorno …. È più piacevole e sicuro.

 

 
 
 

L'ATTERRAGGIO

Post n°105 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da lukyll
Foto di lukyll

Sabato 10 dicembre 2011

 

TERRA !!  TERRA !!!   FINALMANTE TERRA!!  Siamo arrivati nelle Indie !!!  Vediamo l’isola di  La Desirade, la prima isola vista da Colombo nel secondo viaggio quando era senza cibo e senza acqua come il nome chiarisce. E subito dopo avvisteremo la Guadalupe ( che in lingua india vuol dire “terra dalle acque splendide”). Intanto piove a dirotto e questo ci fa molto piacere così risciacqua la barca di tanta salsedine. Vedere terra è una grande gioia, almeno per me, perché dopo 17 giorni di navigazione senza vedere ne terra ne altre barche, dispersi in un mare così grande, con il timore nascosto che qualcosa non funzioni, che una tempesta magnetica abbia sballato il satellite del GPS e magari con i dati sballati giriamo in qua e la per l’Atlantico, dispersi , con acqua e viveri che si consumano ignari della nostra vera posizione.  Acqua, mare, oceano dappertutto, andremo bene per di qua? Speriamo, ci affidiamo alla bussola, agli strumenti magici dai colori fosforescenti nella notte buia con in cuore la speranza che tutto, magicamente funzioni.

Le onde ci rincorrono, lunghe e possenti, per fortuna non alte e ripide, e ci fanno ballare. In un momento di allegria, forse dovuta ad un gin tonic più abbondante, mi sono divertito a calcolare quante rollate la barca avrebbe fatto in tutta la traversata: ogni minuti passano sotto la chiglia 11 onde che moltiplicato per i 60 minuti di un’ore e poi per 24, le ore di un giorno e poi per 17 i giorni della traversata viene all’incirca 300.000 rollate con 300.000 onde che ci passano sotto. Un bel movimento.

Gli ultimi giorni sono i più faticosi, si guarda in continuazione il contamiglia per vedere quante ne mancano all’arrivo a destinazione, si contano i giorni, le ore. Ho voglia di terra, di camminare, di sentirmi su un pavimento che sta finalmente fermo. Di lavare le lenzuola diventate umidiccie e inconfondibilmente profumate. Voglia di una scansione giornaliera degli impegni regolare e di un sonno senza interruzioni per le guardie. E non dite : potevi startene a casa! Si sa che c’è un prezzo da pagare per ogni cosa, e questo è quello per poter attraversare il grande mare, l’Atlantico, in verità una avventura tranquilla, senza sorprese, o magari con qualche colpo di vento che impegna per qualche ora o qualche mezza giornata, come succede in Adriatico infondo. Ma l’avventura, anche se tranquilla e sicura, è sempre un’avventura, non si sa mai cosa può capitare, dal mare o dalla barca si possono avere sorprese e l’avventura infondo è determinata nel momento della scelta di attraversare l’oceano, è in quel momento che devi avere il coraggio di mettere in gioco la propria esperienza marinara e con un equipaggio ed una barca che a malapena conosci, perché una volta partito non puoi tornare indietro. Certo, avventure facili, che in tantissimi fanno e faranno, con strumentazioni e barche facili e sicure, ma sempre rimane l’infantile desiderio di avventura di attraversare l’oceano con il tuo guscio di noce.

Tutto ha funzionato a dovere, non c’è possibilità di sbagliare, i gps sono tutti concordi, anche il mio collegato al computer,  infatti arriviamo proprio dove ci aspettavamo di essere. Viva le moderne tecnologie!! A parte il computer che si è ubriacato di gin e non ci ha permesso di ricevere i bollettini meteo e la posta.

 

E adesso, ormeggiata la barca, via verso una vera doccia, almeno mezz’ora, anche se ne abbiamo fatte, e poi una passeggiata con un bel gelato in mano alla scoperta della Guadalupe. Come si vede mi contento di poco.

 
 
 

ISOLA DELLA GUADALUPE

Post n°106 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da lukyll
Foto di lukyll

 11/12/2011   Pointe-à-Pitre,  Guadalupe

  La città.

Il giorno dopo l’arrivo lo trascorriamo in barca a pulire la coperta.  Il clima è caldo e umido e naturalmente ci litighiamo il tubo dell’acqua dolce che serve a togliere il sale incrostato un po’ dappertutto, così ogni tanto ce ne spruzziamo un po’ addosso per  rinfrescarci. La lavatrice è in funzione dal giorno prima e la prua è piena di cime con stesi i panni lavati. Siamo in 5 e per 17 giorni !!!

“La Marina”, così si chiama il porto turistico dove siamo ormeggiati è carina,  un villaggio alla periferia della città, luogo di ritrovo, molti bar, ristoranti, negozi e cantieri di nautica. Al bar-ristorante “Le Pirate” c’è il wi-fi e così tutti i giorni andiamo per scambiare e-mail con i familiari e sentire le ultime notizie sull’Italia. Lo spread arriva dunque fino in questi lontani luoghi e così pure la conferma delle nuove tasse sulle imbarcazioni!!

Il giorno dopo, nonostante il caldo, mi reco in città, a piedi. Dista soltanto un chilometro e mezzo, si passa per strade desolate, con casine di legno che sono  diroccate e sembrano disabitate, nell’interno fra gli alberi se ne scorgono altre che sono abitate ma ancora più desolanti. Poi c’è la strada delle prostitute, donne di colore, nemmeno tanto giovani e grassocce che stanno sedute a chiacchierare lungo la strada e davanti alle solite case di legno che poi dietro, nelle vie traverse, diventano capanne con il tetto di lamiera e la strada in terra battuta.

Quindi l’autostazione con studenti in divisa che aspettano il loro bus per tornare a casa ed infine la città.

Trovo poi una grande piazza con giardini che guarda il mare, la pescheria e poi inoltrandosi fra le strade il mercato coperto e la strada principale. Negozi dappertutto ma di scarso interesse se non quelli che vendono il famoso tessuto di Madras, stoffe a quadrettoni molto vivaci, belle, e vestiti creoli con trine, come quelli di un tempo passato. Viene voglia di comprarne qualche metro ma poi non sapresti cosa farne, meglio desistere dalla tentazione. Molta gente che fa spesa, molti creoli ma anche francesi che sono rimasti nell’isola, venuti forse in cerca di fortuna ma a vederli non sembra che ne abbiano trovata tanta. Sicuramente il caldo ed sole!

La città è abbastanza desolante, senza attrattive eccettuata qualche costruzione dei primi del novecento, comunque in cattive condizioni, “sgarrupate” direbbero a Napoli. Oltretutto i prezzi delle merci, cibo compreso, sono abbastanza alti, sembra di essere a Parigi!

 
 
 

LA BARRIERA CORALLINA DA VICINO ....

Post n°107 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da lukyll
Foto di lukyll

15/12/2011 Pointe-à-Pitre  

 La barriera corallina da vicino..!!

 

Dopo aver fatto controllare il motore e le batterie, esserci riposati e pulita la barca decidiamo di andare a vedere un arcipelago di isole a sud della Guadalupe chiamate Le Saintes.

Salpiamo al mattino, con calma,  verso le 11 e ci dirigiamo lungo il canale di uscita preceduti da un catamarano. Al timone c’è il comandante, Loris, che fuori dal marina vira a sinistra dirigendosi nel canale di uscita, sempre dietro al catamarano.  Il canale è delimitato da due serie di miragli di colore rosso e verde e noi dobbiamo passare nel mezzo. Intanto si chiacchiera. Vedo che la direzione porta fuori oltre l’ultimo  miraglio di sinistra ma penso che la rotta sarà corretta. Intanto vado in cabina a prendere la macchina fotografica. Torno in coperta e Loris si domanda ad alta voce cosa sta facendo il catamarano davanti a noi in quanto si è fermato ed ha virato di 90° a dritta procedendo lentamente. Nel frattempo mi dirigo verso prua per scattare della foto della costa quando vedo la barriera corallina scorrere sotto di noi. Mi giro per dire a Loris che il fondale è basso e di controllare dove si sta andando quando si sente un sordo colpo e la barca quasi si ferma. Abbiamo urtato la barriera corallina!! Si comprende all’istante perché il catamarano ha rallentato e virato di 90° ! Il motore viene fermato e si rimane un attimo in attesa mentre guardiamo il fondale per capire come uscirne.

Ci sembra di intravedere delle zone che sembrano più profonde e cerchiamo di dirigersi a dritta per rientrare nel canale. Ma si batte ancora. Leggermente la barca tocca il bulbo nella barriera, basterebbero pochi centimetri di profondità in più per uscire da quella brutta situazione. Insistiamo nell’andare in avanti zigzagando fra gli scogli, si tocca ripetutamente ma sempre molto piano. Infine la barca si ferma e non intende muoversi più, il bulbo tocca e si è appoggiato sopra la barriera corallina.

Siamo tutti esterrefatti e guardiamo da prua quello che ci sta sotto. Proviamo con il motore ad andare in dietro, poi in avanti ma non c’è niente da fare! Dopo poco arriva un gommone sparato a tutta velocità che si dirige su di noi. Un uomo sui quarant’ anni ci dice di volerci aiutare, guarda sotto, ci spinge con il suo gommone ma niente, non si intravede una uscita. Siamo finiti proprio in mezzo alla secca!! Porca miseria !!  L’uomo allora inizia a telefonare per chiamare altre persone e barche per aiutarci. Passa la pilotina che porta il pilota su di una nave e ci dice che al ritorno ci darà una mano. Dopo poco arriva anche una barca di sette metri con due bei motori e ci fa allungare la drizza del gennaker che parte dalla testa dell’albero con due lunghe cime. Nel frattempo è tornata la pilotina che ci tirerà da prua verso il canale. Così mentre la barca tirava la cima dalla testa dell’albero facendo inclinare il nostro yacht, così da diminuire il pescaggio, la pilotina ci tirava verso il canale e noi tutti stavamo con il nostro peso sulla sinistra per cercare di aumentare lo sbandamento. Intanto il gommone spingeva l’imbarcazione lateralmente vicino a prua così da far aumentare ancora lo sbandamento. Dopo qualche minuto, a forza di spingere, la barca è scivolata sopra gli scogli, si è liberata e dopo pochi metri è finalmente entrata nel canale, in acque profonde! L’uomo del gommone poi è andato con la maschera a controllare i danni ma per fortuna niente di grave, solo profondi graffi nella vetroresina che ricopre il bulbo di piombo. Siamo rientrati in porto pensando di tirare su la barca per controllare meglio tutto il bulbo, il timone e la chiglia.

Alla sera è venuto l’uomo del gommone, molto gentile e carino, ha scherzato ed alla fine ha consegnato a Loris una busta con la fattura. 2000 € più IVA oppure 1500 € senza fattura.  In contanti. Tutto il mondo è paese !!!   L’uomo del gommone lavora sulla spiaggia e come vede un bischero che va a scogli sulla barriera corallina si precipita con il gommone per “aiutare”!!  In fondo se non veniva lui non avremmo saputo come fare da soli !  Comunque bella figura di m….. !! La colpa è anche nostra, al primo urto dovevamo immediatamente tornare indietro e ripercorrere la rotta già fatta fino a rientrare nel canale anche se si poteva  battere un’altra volta.  E poi ho notato che Loris l’ecoscandaglio non lo usava mai  anche quando si entrava nelle baie. Invece è indispensabile in quanto avverte quando troppo bassa è la profondità ed avrebbe impedito in questo caso di finire sulla barriera corallina. Andavamo sicuri dietro al  catamarano …  Dopo questo giorno l’ecoscandaglio è stato sempre messo in funzione e ben guardato !!

 

 
 
 

lE ISOLE DELLA GUADALUPE

Post n°108 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da lukyll
Foto di lukyll

16/12/2011 Pointe-à-Pitre

Finalmente le isole….

 

Passato lo stordimento causato dall’incidente di ieri abbiamo pensato di provare la barca e di uscire per  andare in una isoletta vicina con una bella baia ed un bel mare.  Nell’uscita è stata fatta molta attenzione, ovviamente, a non ripetere l’errore di ieri e ci siamo diretti verso l’isola di Le Gosier a pochissime miglia di distanza.  Arrivati abbiamo ancorato e poi siamo andati a visitare l’isoletta. Sabbia bianca finissima, acqua trasparente verde-azzurra, palme e tanta pace. Siamo arrivati al faro, ormai in disuso, e poi un bel bagno nell’acqua trasparente e calda. Al ritorno in barca il pranzo e quindi siamo tornati al marina. Dopo un controllo  in sentina, si è visto che non c’erano falle che permettevano ingresso di acqua marina. Sentina asciutta.  Sospiro di sollievo. Tutto OK.

 

Il giorno dopo siamo partiti per visitare l’arcipelago delle isole Le Saintes a sud della Guadalupe. Dopo una bella navigazione a vela siamo arrivato in baia e ci siamo ormeggiati ad una boa. La baia, riparata da un’isola di fronte, è molto bella, sicura e circondata da verdi ripide colline mentre lungo la riva si estendono dei  gruppi di case, paesi in miniatura.  Siamo scesi a terra e quello che ci ha subito stupito è stato vedere nel molo dove atterrano i traghetti un lungo tappeto rosso che porta nella piazzetta del paese dove finisce in un addobbo costituito da un enorme Babbo Natale gonfiabile con tanto di neve finta, renne e cometa. Considerata la temperatura di 30°, le persone in maglina e calzoni corti contrastavano con le renne e la neve anche se finta. Sensazione buffissima per chi è abituato a convivere il Natale con il freddo,  anche se non sempre con la neve.

Il paese è piccolo e quasi tutto lungo il mare, case ad un piano o massimo due, in legno, dai colori vivacissimi, dal giallo al rosso al verde al blu e tutti colori molto accesi, le persone fuori a chiacchierare, negozietti per turisti e tanta tranquillità e serenità.  Purtroppo il giorno dopo il tempo è nuvoloso e non ci possiamo permettere di aspettare giorni migliori perché fra 48 ore parte l’aereo per il ritorno a casa, pertanto decidiamo di ritornare al marina di Pointe-à-Pitre.

Alla sera  viene a trovarci Angelica, una ragazza molisana, pianista, che insegna musica nelle scuole londinesi, quando gli danno qualche supplenza. Credo che abbia 37 anni, l’abbiamo conosciuta a Tenerife, chiedeva un passaggio per i Caraibi e ha dormito anche nella nostra barca. Il suo scopo è quello di raggiungere Cuzco in Perù passando dai Caraibi e poi dal Venezuela, Colombia,  Ecuador e Perù. Ha degli amici musicisti che l’aspettano e si guadagnerà qualcosa suonando nei ristoranti con loro. Pensa di stare via 4-5 mesi. In barca non sa fare assolutamente niente, poco anche da mangiare, pertanto è abbastanza inutile ma ha dei modi carini ed è abbastanza simpatica. Una discreta ragazza. Da Tenerife è arrivata a Saint Martin con un catamarano di un francese insieme a tre giovani ragazzi. Dice che si è trovata molto bene e dopo aver visitato per  qualche giorno l’isola è venuta in aereo alla Guadalupa. Aveva trovato su internet delle ragazze, infermiere, che la ospitavano gratuitamente. Un sito dove, soprattutto giovani si scambiano questi piaceri.

Aveva stretto amicizia con Giorgio tanto che lo chiamava scherzosamente il suo fidanzato, la sera erano andati a visitare la città e avevano prenotato una auto per andare a fare un giro nell’isola. O meglio a vedere la cascata, alta più di cento metri nella foresta pluviale. Ci siamo aggregati anche io e Carlo, ben accolti, così le spese dell’auto venivano quasi dimezzate, con la promessa però che entro le 14 ci avrebbero accompagnato all’aeroporto.

 
 
 

LE CASCATE E LA PARTENZA

Post n°109 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da lukyll
Foto di lukyll

20/12/2011  Pointe-à-Pitre

Le  Cascate e la partenza

 

La mattina partiamo con la macchina per le cascate ma ritardiamo di un’ora la partenza perché l’auto non arrivava. In questi posti non bisogna avere fretta, la puntualità evidentemente ha un margine di un’ora in più, almeno.  Salutiamo Crilu e Loris, nel pomeriggio arriverà sua moglie con la figlia il genero e un paio di bambini. 

Nel cielo c’è foschia, una umidità spessa e pesante  che rende il mare grigio e nasconde in alto le montagne rigogliose di piante. Attraversiamo il ponte che collega le due isole, perché la Guadalupe è formata da due grosse isole l’una accanto all’altra tanto che sono collegate da due ponti. Ci inoltriamo nell’isola chiamata delle Basse Terre, nonostante ci siano montagne alte più di mille metri con tanto di vulcano, mentre la prima isola è sostanzialmente piatta.  Vai a capire con quale logica hanno dato questi nomi ! Forse perché una è sull’Atlantico mentre l’altra è dietro la prima, più bassa….

Vediamo lungo la strada grandi coltivazioni di banani, con i caschi avvolti in sacchetti di nailon, probabilmente per impedire che gli insetticidi vadano direttamente sui frutti. Saliamo verso la montagna, la strada prima si fa stretta e poi strettissima tanto che dobbiamo accostare e fermarci per far passare le auto che provengono in senso opposto. La vegetazione diviene sempre più verde, mentre siamo ancora più avvolti da una nebbiolina che ci bagna, a tratti spiovizzica. Lasciata l’auto al parcheggio, paghiamo e percorso un chilometro nella foresta arriviamo ad un fiume e finalmente vediamo la cascata. E’ certamente alta, bella ma la portata dell’acqua non è molto grande. Ci inoltriamo nel fiume, camminando sui massi fino ad arrivare quasi sotto. Già sentiamo nel viso l’acqua polverizzata, tante volte non bastasse la pesante nebbia e la pioggerellina. Dice che il tempo è sempre così! Con quel caldo, 30°, e quella umidità è sicuro che le piante crescono belle verdi e rigogliose! Scattiamo le foto di rito e tornati alla macchina ci dirigiamo veloci all’aeroporto. I soliti grandi abbracci le solite promesse: ci scriviamo, ci rivediamo presto, mi raccomando teniamoci in contatto;  infine ci separiamo.

Carlo ed io saliamo in aereo per giungere ad Orly, Parigi, per poi proseguire per  Milano Carlo e per Pisa io.

Tutto bene sembra ?!!  E’ no !! qualcosa ci deve sempre essere che va storto!  Quando facciamo il check-in per Milano e Pisa l’impiegato vede che il biglietto fatto via internet da Carlo ha la data del giorno prima e quindi quell’aereo è già partito, il giorno prima. Il fatto è che noi siamo partiti il 20 dicembre ma viaggiando di notte siamo arrivati a Parigi il giorno dopo, il 21, e Carlo erroneamente non ha pensato a questo e ha prenotato il volo da Parigi a Milano per il 20 ! Dispiace a tutti buttar via 150 € e poi per una svista stupida come questa.  Meno male che io avevo prenotato nella data giusta il biglietto !!

Teniamoci a mente anche gli errori degli altri per non sbagliare anche noi nelle prossime prenotazioni..

Ed anche quest’anno, con grande piacere, il Natale  si fa in famiglia con moglie, figli, nipoti ecc.  ed al freddo !!!

 
 
 
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