Come ho già scritto, nei commenti ai capitoli precedenti, questo abbozzo di romanzo era basato su quattro personaggi, le cui storie s'intrecciavano con quelle di una misteriosa donna.
Oggi farete la conoscenza con Paolo, che di tutti resta il mio preferito. L'avevo immaginato fisicamente uguale al mio ex ragazzo, ma nel carattere avevo delineato la me stessa d'allora, che poi rileggendomi non è tanto diversa da quella che sono attualmente.
Paolo è anche la chiave di volta per svelare il mistero sull'identità della donna.
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Paolo viveva da solo in un minuscolo monolocale, l'affitto lo pagava la nonna, l'unica della famiglia che aveva sempre creduto nel suo talento.
Aveva lasciato la casa dei genitori sette anni prima, quando era venuto a studiare in città, i suoi genitori non erano mai stati d'accordo con le sue scelte e da quando, finite le superiori, aveva voluto frequentare l'Accademia di Belle Arti non gli passavano più nessuna retta. Sua madre avrebbe voluto che diventasse veterinario, mentre il padre sognava per lui un futuro da notaio e già guardava in giro il locale più adatto per farne lo studio del figlio.
Ma lui era un pittore.
Era difficile spiegare la smania che gli prendeva quando doveva dipingere, quando sentiva che doveva mettere su tela le suggestioni che gli illuminavano d'improvviso la mente. Erano lampi di colore acuti come un tormento. Erano lacrime di vita nascoste in punta di ciglia.
Aveva frequentato la scuola d'arte, che gli aveva fornito una bella infarinatura sui metodi, gli stili e la storia dei maggiori pittori. Ma nessun professore aveva notato ed incoraggiato il suo talento.
Ottimi risultati scolastici, lodi sperticate per la sua bravura, ma concretamente ancora non riusciva a trovare un gallerista pronto ad investire su di lui.
Per continuare gli studi era costretto a lavorare di sera come cameriere. Qualche altra cosa la guadagnava facendo caricature e ritratti per strada, gli piaceva sbalordire la gente che si fermava ad osservarlo, era padrone dei tratti di china da cui faceva nascere disegni surreali oppure visi d'incredibile fattura.
Ed intanto i suoi lavori più belli erano accantonati un po' dovunque nella sua stanza. Capolavori lasciati a marcire sotto al letto, sull'armadio, arrotolati e stipati dentro i cassetti. Come una madre ingrata che ripudia i suoi figli.
Paolo viveva così, senza porsi il problema di cosa fare domani, sempre pieno d'impegni incoerenti, sempre con la testa fra le nuvole, sempre pieno di grandi speranze ed inutili utopie.
Costantemente corteggiato dalle donne per la sua eccessiva bellezza, aveva avuto diverse storie, ma non si sentiva ancora pronto ad impegnarsi seriamente con nessuna. C'erano giorni che avrebbe voluto mandarle tutte al diavolo con le loro moine e le loro voglie da cagne. E giorni in cui avrebbe voluto, invece, bruciare i suoi lavori, accettare un'occupazione qualunque al suo paese e scegliersi una donna a caso. E proprio al centro di questa contraddizione si trovava la sua vera essenza.
Quel pomeriggio era seduto sulla scalinata, era il momento migliore per via della luce particolare che assumeva la piazza a quell'ora, un blocchetto da disegno sulle gambe, la sua vita era tutta lì, nella felicità d'esercitare l'occhio e la mano schizzando con estrema semplicità i particolari anatomici del leone di pietra che aveva davanti. Era tutto preso da quest'occupazione che non s'accorse della donna che si era seduta al suo fianco per ammirare i disegni.
Quando, dopo vari minuti, se ne rese conto, la riconobbe immediatamente e sentì come un morso stringergli lo stomaco.
- Ciao - le disse, guardandola intensamente - Non ti ho più vista da quella volta. Credevo che volessi un ritratto -
Lei sorrise, cercando di distogliere lo sguardo da quei suoi occhi neri come il carbone. Erano occhi capaci di far divampare incendi in qualsiasi cuore.
- Non è ancora il momento - rispose lei e contro la sua volontà si perdeva nello sguardo del ragazzo - Sei proprio bravo - aggiunse per cambiare piega al discorso - Tecnica eccelsa ma niente passione. I tuoi sono dei bellissimi disegni freddi -
Paolo la scrutò da capo a piedi, indossava un corto vestitino bianco che gli ricordava un lezioso baby doll visto in vecchie foto d'epoca. Sopra portava un giubbotto di pelle nera che strideva in maniera evidente con i nastrini ed i merletti dell'abito. Calzava un paio di anfibi slacciati e sembrava non portare le calze, nonostante il clima rigido dell'inverno ormai imminente.
A Paolo sarebbe parso naturale sincerarsene allungando una mano, toccare la sua bella pelle che immaginava morbida e vellutata al tatto, con chiunque altra l'avrebbe fatto senza pensarci troppo, ma non con lei e non sapeva spiegarsene il motivo. Per la prima volta in vita sua era intimidito davanti ad una donna.
Eppure la desiderava in modo pazzesco, l'avrebbe presa subito, lì sulle scale, se solo avesse avuto il coraggio di farlo.
- Sei proprio bella - fu l'unica cosa che seppe dire. Era come se le parole si perdessero prima d'arrivare alle labbra.
- Non è per questo che sono venuta - sussurò lei in un respiro.
- Non conosco nemmeno il tuo nome - chiese Paolo.
- Non ha importanza. Un nome non conta nulla - rispose lei ed aveva nella voce un accenno di tristezza.
Paolo cominciò ad elencare vari nomi di donna e lei rideva scuotendo la testa - Non indovineresti mai. Non è ancora il momento -
- Questo momento - fece lui cercando di avvicinarsi alla sua bocca. Ma la donna capite al volo l'intenzioni del ragazzo, prese il blocchetto da disegno che lui aveva sulle ginocchia e lo pose tra loro due.
- Vedi, questa è bravura fine a se stessa - disse indicando i riccioli dellla criniera - Non sono i tuoi disegni ad essere sbagliati, sei tu che non sei capace di infondergli la passione necessaria per farli diventare opere d'arte. Sei tu che parti sconfitto prima ancora di provarci -
Era la verità, Paolo non aveva voglia di mostrare i suoi lavori perché, in fondo, era convinto che non sarebbero piaciuti a nessuno, che il suo talento non fosse nulla di speciale, che la sua smania di dipingere fosse soltanto il capriccio di uno sfaccendato. Quelli che avevano veramente del talento lottavano per affermarsi, credevano nelle loro capacità, perché l'artista vero non è mai modesto era questa la verità.
Come lei facesse a leggere nei suoi pensieri non lo sapeva, ma trovava buffo che la prima volta in cui desiderasse una donna così tanto, lei al contrario di tutte le altre sembrava più interessata a ciò che lui disegnava.
- Uomini e donne sono così diversi. Fatti per non capirsi mai - disse lei inaspettatamente, quasi a riprova che leggeva sul serio nei suoi pensieri - Io poi non sono nemmeno una donna - concluse con un filo di voce e di nuovo ritornò quell'accenno di tristezza.
- E cosa sei?- fece lui di rimando, quasi arrabbiato - Dimmelo cosa sei? Sei un fantasma, una strega, una pazza che se ne vai in giro con le scarpe slacciate?-
Lei s'alzò di scatto, si strinse nel suo giubbino rabbrividendo. Anche Paolo s'alzò, le era accanto vicinissimo, ma non osava sfiorarla.
- So solo che sei bellissima - ed aveva sulle labbra una smorfia di dolore.
- Non è ancora il momento - ripetè lei meccanicamente, abbassando lo sguardo per non incontrare i suoi occhi. Poi scappò via, senza dire nient'altro, senza spiegazioni, senza salutare.
Paolo la vide allontanarsi nello scenario immenso della piazza, restò a fissarla mentre lei, man mano che s'allontanava, diventava sempre più piccola fino a scomparire dalla sua visuale...
(continua???)