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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Gli esordi di una cuoca provetta

Post n°224 pubblicato il 26 Giugno 2008 da bimbadepoca
 

Una volta le donne erano educate per essere mogli e madri. Così era e non c'era nulla da fiatare.
Un giorno scesero in strada proprio per rivendicare il diritto di essere altro, ma quella parità non fu altro che un'utopia, bella finché è durata.

Sono nata in una famiglia dove gli echi di quelle rivoluzioni non erano arrivati, la regola rimaneva quella: chi nasce donna deve essere moglie e deve imparare i suoi compiti già in tenera età.
Io sono stata la prima a non accettare questo stato di cose, probabilmente avevo mangiato i germi della rivoluzione nei primi omogeneizzati per bambini. Ogni volta che mia madre mi metteva il grembiulino per aiutarla a lavare i piatti, io capivo che quell'inganno non era un gioco e mi rifiutavo. Giocare era correre scalza in terrazzo con i miei fratelli.
Il mio rifiuto ostinato fu immune anche agli schiaffi, alle minacce, ai rimproveri e ai sensi di colpa. E soprattutto fu immune alla vergogna.

Tutte le mie amiche aiutavano le loro madri, era normale che fosse così, nel quartiere popolare dove abitavo il tempo scorreva in modo diverso rispetto alla storia, qualcuna tra le mie amiche sapeva già cucinare e molte preparavano il corredo.
Bambine della scuola elementare, non sospettavamo che saremo diventate donne mettendo in discussione tutte le nostre certezze, che avremo barattato il sesso con l'amore e la dignità con la falsa libertà.
No, non lo sapevamo ed in quegli anni io ero l'eccezione, quella da tenere a distanza perché destinata a diventare una cattiva persona, una donna perduta senza un marito.
Perché ero quella che, il sabato a scuola, buttava per aria uncinetto e gomitoli di filo per andare ad impiastricciarsi le mani con la plastilina dei maschi.
Perché ero quella che aveva gettato giù per le scale le pentole destinate al suo corredo, firmando in quel rumore di ferraglie il titolo della sua diversità.

Sono diventata grande senza mai cucinare, senza avere nessuna competenza per essere moglie, ma un giorno ho annunciato che mi sarei sposata in primavera.
- Lui lo sa che non sai cucinare? - mi chiese subito mia nonna allarmata, dall'alto della sua età sapeva che la vita in comune ha bisogno d'argomenti più pratici dell'amore. Un uomo si conquista in cucina ed io partivo completamente svantaggiata.
Quando presentai il futuro sposo in famiglia, mia nonna gli fece subito l'elenco di tutto quello che non sapevo fare, nemmeno il caffè che per una donna napoletana rappresenta il massimo del disonore.

Anche il giorno che ero sull'altare gli ricordò il mio grave difetto, gli occhi profani non avrebbero mai sospettato quella mancanza, confusa com'era tra il tulle da sposa ed il bouquet di rose.
I primi tempi mangiammo panini, pizze al taglio e risotti liofilizzati in busta e lui sembrava felice lo stesso. Non fu per amore che accettai lo smacco, ma per fame, il mio stomaco era abituato ai manicaretti della nonna.

E quella che era stata, per secoli, una tradizione passata da madre in figlia direttamente sul campo, io cercai di riassumerla in poche righe, in un taccuino d'appunti.
- Nonna siediti... spiegami come si cucina -  sul suo viso non c'era l'ombra della soddisfazione, ma il timore che non ne sarei mai stata capace. Lei non conosceva il concetto di quantità, per le dosi usava l'esperienza, mentre io avevo un bisogno disperato di quantificare. Entrambe attuammo delle selezioni, io le chiesi le ricette dei piatti che più mi piacevano, ma dove lei dettava lardo, io scrivevo olio.
Lei si rifiutò di spiegarmi le ricette più complesse: la parmigiana di melanzane, il ragù, il risotto alla pescatora, la pizza di scarole, gli involtini di peperoni.

I primi tentativi furono un disastro, la prima volta che provai a fare della pasta m'accorsi che non avevo nemmeno un colapasta per scolarla e rimpiansi le pentole buttate giù per le scale con l'orgoglioso gesto di vaiassa.

Poi ho imparato... ma mia nonna non ha avuto il tempo per vedere come sono diventata brava.

 
 
 
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