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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Ad occhi chiusi...

Post n°229 pubblicato il 06 Agosto 2008 da bimbadepoca
 

Lo conobbi come avevo fatto con altri prima di lui, su un sito d’incontri, dove mi ero iscritta per cercare compagnia.
Mi lasciò poche parole in messaggeria, rigonfie di una presunzione fuori dal comune. La curiosità mi spinse a visitare il suo profilo, si definiva l’ultimo vessillo di un gallismo italico ormai estinto, la descrizione trasudava della stessa arroganza che mi aveva dedicato.
Sapevo, per esperienza, che l’unico modo per smontare un simile esemplare di uomo era la noncuranza, ed ero decisa a metterla in atto. Ma l’occhio cadde inavvertitamente sulla foto e quel sorriso da canaglia mi sciolse il cuore in burro.
Perché noi donne siamo fatte così, pronte alla battaglia, per dimostrare sempre di essere migliori, fino all’ultimo sangue. E ugualmente pronte a farci incantare dal primo che incontriamo, innamorate come siamo dell’idea dell’amore.

Risposi. So giocare con le parole, calibrai attentamente il tono che dovevo usare, risentito, quasi perentorio, ma lasciandogli ampi margini per giocare al suo stesso gioco. Lui abboccò come un pesciolino all’amo, ne nacque una falsa schermaglia, denigravo debolmente le sue affermazioni, evitando di scrivergli quello che avrebbe effettivamente meritato, avrei potuto distruggerlo con due sole parole, ma non volevo.
La mia era una guerra combattuta con il piumino da cipria, volevo piacergli, desideravo conquistarlo. Presto mi chiese il numero di telefono e continuammo la nostra tenzone a voce, tra finti litigi, sciocche risate e lunghi sospiri.
Mi raccontò di essere un ingegnere e di essere molto corteggiato. Io parlavo al telefono con lui guardando la sua foto, aveva uno sguardo malandrino che mi faceva perdere il sonno e deglutire a vuoto.

Non me la sono sentita di raccontargli com’ero, tipica insicurezza femminile, non potevo certo dirgli che il mio unico corteggiatore era il gelataio, quel patetico ometto, che ogni sabato pomeriggio, mi riempiva il cono più del dovuto, guardandomi con un sorriso compiaciuto.
No, io dovevo restare un mistero per lui, perché solo il potere dell’immaginazione sa creare fantasmi d’amore.
Ma lui voleva incontrarmi, rendere reale la nostra battaglia dialettica e finirla tra le lenzuola. Non ricordo perché cominciammo a parlare d’incontri al buio, né come questa fantasia prese forma dalle nostre parole. So soltanto che a un certo punto mi convinsi che fosse l’unica soluzione possibile, la situazione in sé era talmente sensuale, che non si sarebbe tirato indietro se non gli fossi piaciuta.
Decisi di non raccontare nulla, nemmeno alle mie amiche, non potevo rischiare che con il loro buon senso cercassero di dissuadermi, Laura avrebbe visto pericoli mortali in agguato nella camera d’albergo, sarebbe stata capace di incatenarsi all’ingresso per evitarmi di salire incontro al mio destino.

Già, l’incontro era stato fissato direttamente in albergo, sarei arrivata prima io e l’avrei aspettato. Bendata.
Scelsi con cura il fazzoletto con cui coprire gli occhi, feci le prove davanti allo specchio, sbirciando da sotto la seta del foulard per vedere che effetto gli avrei fatto.
L’appuntamento era per il tardo pomeriggio di un giorno qualunque, ma già dalle prime luci dell’alba il mio stomaco si contorceva per l’eccitazione.

Arrivata in camera, mi preparai con cura, chiusi le imposte per creare la giusta penombra, mi spogliai dei miei abiti, rimanendo con una corta sottoveste in seta, mi sedetti al centro del letto come una bambola di pezza e mi bendai gli occhi.


I lunghissimi minuti d’attesa, li impiegai per cercare di calmare la mia ansia, che era febbre e paura.
Eravamo due perfetti sconosciuti, per quel che ne sapevo lui poteva anche essere un maniaco, entrare in camera con una banda d’amici e seviziarmi.
Il rumore di passi nel corridoio, i sensi amplificati al massimo, lo sentii entrare nella stanza, girare la chiave nella toppa per chiuderci dentro, la sua voce quieta al mio fianco fu una pugnalata tra le gambe.
- Sei bellissima Nancy! – mi disse allungando le mani sul mio corpo che fremeva.

Ebbi voglia di togliermi subito la benda dagli occhi, guardare finalmente il suo viso, il sorriso da canaglia che immaginavo avesse in quel momento, gli occhi malandrini che adesso avevano sguardi per me sola.
Lui me lo impedì, mi bloccò le mani dietro la schiena - Fai la buona – mi disse, cominciando a baciarmi sul collo. D’improvviso mi rovesciò a pancia sotto, mi sfilò le mutandine con un gesto deciso e prese ad accarezzarmi in maniera indecente.
- La prossima volta voglio ricoprirti di gelato e leccarti tutta- sussultai piena di speranza, avevo creduto di non piacergli e lui già pensava a un prossimo incontro. Mi sciolsi tra le sue braccia e non colsi l’inganno nascosto in quella frase.

Era dietro di me e ripeteva i gesti universali del primo accoppiamento tra gli umani. Lentamente mi slegò il nodo del foulard – Non voltarti!- mi ordinò, poi giù indicibili parole, piene di sentimento e sesso.
Dopo quell’amplesso animalesco, mentre lui ancora grugniva di piacere alle mie spalle, io scivolai di fianco per guardarlo.
E ancora a quattro zampe, con l’uccello penzoloni, mi ritrovai di fianco il patetico ometto dei gelati.
Lo presi a cazzotti in faccia, cosa altro potevo fare, mi sentii ingannata e presa in giro. Lui si difendeva dicendo che alla fine era il risultato quello che contava, ed io avevo goduto come mai nessun’altra, questo era innegabile.
Continuai a tempestarlo di pugni, calci, graffi e improperi, piena di vergogna per essermi lasciata andare così tanto, lui mi spiegò che aveva origliato le mie conversazioni nella sua gelateria, che in questo modo aveva saputo del mio nickname. Mi confessò che era stata una sua amica a suggerirgli di utilizzare la foto di un bell'uomo, in questo modo avrebbe potuto scrivere qualsiasi stupidaggine, commettere i più nefasti errori di ortografia e permettersi il lusso di essere banale.
Ero stata io quella che aveva abboccato come un merluzzo all’amo e ora mi mancava l’aria.

Ero infuriata e fui costretta, per sfogarmi, a confidare la solenne disfatta alle mie amiche. Raccontavo i più scottanti particolari tra le loro risate e i loro “Gesù e Maria”.
Vollero vedere la foto che mi aveva tratto in inganno e appena l’ebbero fatto cominciarono a ridere tutte quante.
- Nancy ma non ti sei accorta che questo è Patrick Dempsey??? – mi disse Anna con le lacrime agli occhi.
No, non me ne ero accorta, ero così presa dal mio romanzo perverso che avevo notato solo una vaga somiglianza con il fascinoso attore.
Quest’esperienza mi è servita da lezione, ho imparato a relegare le fantasie erotiche nel mondo dei pensieri inconfessati, da ripescare all’occorrenza per sognare.
Non provo più rabbia nel raccontare questa storia, ciò che mi dispiace veramente, è che ho dovuto cambiare gelateria!!!

 
 
 
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