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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Amor celeste

Post n°236 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da bimbadepoca
 

Il primo giorno di scuola, i ragazzini delle prime classi erano radunati nel cortile, il preside saliva su uno scranno per la solenne occasione. Scandiva, con voce stentorea, i nostri nomi per smistarci nelle varie sezioni. A differenza di Hogwarts, non aveva bisogno di un magico cappello, assegnava i ruoli basandosi sull’esperienza del mestiere.
C’erano tre sezioni nella mia scuola media:
La sezione A, solo maschile, luogo d’assembramento dei peggiori elementi del quartiere.
La sezione B, solo femminile, visto l’alto numero di richieste sospettavo che vi s'insegnassero materie minori. Un piacevole parcheggio per ragazzine che sarebbero diventate madri prima della maggiore età.
E poi c’era la mitica sezione C, mista, l’unica in cui era previsto l’insegnamento dell’inglese. Ambita meta per tutti i genitori con aspirazioni piccole borghesi.

Io fui assegnata proprio a questa sezione, ma al momento non me ne resi conto, non mi accorsi nemmeno di essere stata chiamata dal preside in persona. Io quel giorno vidi soltanto lui.
Aveva bellissimi occhi scuri, un neo sulla guancia e un’aria da furbastro di tre cotte, caratteristica maschile, questa, che negli anni a venire avrebbero posseduto tutti gli uomini da cui mi sarei fatta incantare.
Quel giorno lui indossava una maglietta azzurra e prima ancora di conoscerne il nome, io decisi che l’avrei battezzato Celeste. Quello stesso pomeriggio comprai, sulle bancarelle, un braccialetto di plastica azzurra, che tenni al polso per tutti e tre gli anni delle medie, come suggello d’eterno amore.

Celeste chiaramente, era il ragazzino più corteggiato della scuola, aveva decine di dodicenni che gli ronzavano intorno. Ed io ero gelosa da morire, ma non di loro, della loro disinvoltura, degli atteggiamenti da grande che sapevano ostentare. In cuor mio ero già cosciente che non sarei mai stata capace di riprodurre tutte quelle moine, anche se a casa facevo le prove davanti allo specchio, chiusa in bagno.
Su di me i colori, con i quali loro s’impiastricciavano il viso, avevano un effetto ridicolo. Una pagliacciata da circo.

Celeste era nella sezione A, di pomeriggio invece di studiare, lavorava. Girava con la sua Apecar, consegnando bevande in bottiglia e ritirando i vuoti, quando ancora il vetro era a rendere. Per me era come un principe sul bianco destriero.
Ogni giorno passavo davanti al deposito delle bottiglie vuote. Ogni volta le gambe si rifiutavano di camminare, era come se la pianta dei piedi s’incollasse alla strada, regalandomi un’andatura più goffa del normale.
No, non avevo alcuna speranza, ero solo una ragazzina troppo alta e troppo magra, con ancora i calzettoni di lana.

Ma, come nelle favole, accadde l’incredibile… a furia di passargli sotto il naso, Celeste s’innamorò proprio di me. E solo e unicamente con me, si trasformò in un ragazzino timido e incapace. Mi guardava passare con aria imbambolata, qualche volta canticchiava le melense canzoncine che erano di moda in quegli anni.
Intendiamoci, con le altre dava libero sfogo, senza rossori e timidezze, ai suoi ormoni in subbuglio. Io invece mi dovetti sorbire l’intero repertorio del festival di San Remo.

Finché un giorno di primavera dell’ultimo anno, mentre eravamo in classe, avvertimmo una lieve scossa di terremoto. Ci fu un fuggi fuggi generale, decine di alunni che correvano come una mandria d’ippopotami impazziti, produssero un aumento del tremolio dei pavimenti.
Io ero in preda al panico, ancora negli occhi il ricordo di quella sera del 1980, quando un terremoto segnò un divario tra il prima e il dopo delle nostre vite.
No, non arrivò lui a salvarmi dal cataclisma imminente, scesi in strada da sola, tremando di paura.
Una mia amica cercò di consolarmi, Celeste era a pochi passi e mi guardava piangere. Dovette pensare che era finalmente giunto il momento tanto atteso.
Si fece coraggio e si avvicinò, chiedendomi col tono più dolce del mondo – Hai avuto paura? -
Io tirai su col naso e risposi un laconico sì. Senza aggiungere altro. Nessuno dei due aggiunse niente altro.
Fu così che naufragò il nostro amor celeste.

Piccola postillaCeleste l’ho rincontrato moltissimi anni dopo, quando entrambi eravamo adulti e vaccinati. Nel rivederlo ho riprovato la stessa sensazione invalidante alle gambe. Lui ha assunto subito la stessa faccia imbambolata di quando era ragazzino.
Non siamo stati capaci di scambiarci un saluto. Nemmeno un mezzo sorriso.

 
 
 
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