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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Gli esordi di una cuoca provetta

Post n°224 pubblicato il 26 Giugno 2008 da bimbadepoca
 

Una volta le donne erano educate per essere mogli e madri. Così era e non c'era nulla da fiatare.
Un giorno scesero in strada proprio per rivendicare il diritto di essere altro, ma quella parità non fu altro che un'utopia, bella finché è durata.

Sono nata in una famiglia dove gli echi di quelle rivoluzioni non erano arrivati, la regola rimaneva quella: chi nasce donna deve essere moglie e deve imparare i suoi compiti già in tenera età.
Io sono stata la prima a non accettare questo stato di cose, probabilmente avevo mangiato i germi della rivoluzione nei primi omogeneizzati per bambini. Ogni volta che mia madre mi metteva il grembiulino per aiutarla a lavare i piatti, io capivo che quell'inganno non era un gioco e mi rifiutavo. Giocare era correre scalza in terrazzo con i miei fratelli.
Il mio rifiuto ostinato fu immune anche agli schiaffi, alle minacce, ai rimproveri e ai sensi di colpa. E soprattutto fu immune alla vergogna.

Tutte le mie amiche aiutavano le loro madri, era normale che fosse così, nel quartiere popolare dove abitavo il tempo scorreva in modo diverso rispetto alla storia, qualcuna tra le mie amiche sapeva già cucinare e molte preparavano il corredo.
Bambine della scuola elementare, non sospettavamo che saremo diventate donne mettendo in discussione tutte le nostre certezze, che avremo barattato il sesso con l'amore e la dignità con la falsa libertà.
No, non lo sapevamo ed in quegli anni io ero l'eccezione, quella da tenere a distanza perché destinata a diventare una cattiva persona, una donna perduta senza un marito.
Perché ero quella che, il sabato a scuola, buttava per aria uncinetto e gomitoli di filo per andare ad impiastricciarsi le mani con la plastilina dei maschi.
Perché ero quella che aveva gettato giù per le scale le pentole destinate al suo corredo, firmando in quel rumore di ferraglie il titolo della sua diversità.

Sono diventata grande senza mai cucinare, senza avere nessuna competenza per essere moglie, ma un giorno ho annunciato che mi sarei sposata in primavera.
- Lui lo sa che non sai cucinare? - mi chiese subito mia nonna allarmata, dall'alto della sua età sapeva che la vita in comune ha bisogno d'argomenti più pratici dell'amore. Un uomo si conquista in cucina ed io partivo completamente svantaggiata.
Quando presentai il futuro sposo in famiglia, mia nonna gli fece subito l'elenco di tutto quello che non sapevo fare, nemmeno il caffè che per una donna napoletana rappresenta il massimo del disonore.

Anche il giorno che ero sull'altare gli ricordò il mio grave difetto, gli occhi profani non avrebbero mai sospettato quella mancanza, confusa com'era tra il tulle da sposa ed il bouquet di rose.
I primi tempi mangiammo panini, pizze al taglio e risotti liofilizzati in busta e lui sembrava felice lo stesso. Non fu per amore che accettai lo smacco, ma per fame, il mio stomaco era abituato ai manicaretti della nonna.

E quella che era stata, per secoli, una tradizione passata da madre in figlia direttamente sul campo, io cercai di riassumerla in poche righe, in un taccuino d'appunti.
- Nonna siediti... spiegami come si cucina -  sul suo viso non c'era l'ombra della soddisfazione, ma il timore che non ne sarei mai stata capace. Lei non conosceva il concetto di quantità, per le dosi usava l'esperienza, mentre io avevo un bisogno disperato di quantificare. Entrambe attuammo delle selezioni, io le chiesi le ricette dei piatti che più mi piacevano, ma dove lei dettava lardo, io scrivevo olio.
Lei si rifiutò di spiegarmi le ricette più complesse: la parmigiana di melanzane, il ragù, il risotto alla pescatora, la pizza di scarole, gli involtini di peperoni.

I primi tentativi furono un disastro, la prima volta che provai a fare della pasta m'accorsi che non avevo nemmeno un colapasta per scolarla e rimpiansi le pentole buttate giù per le scale con l'orgoglioso gesto di vaiassa.

Poi ho imparato... ma mia nonna non ha avuto il tempo per vedere come sono diventata brava.

 
 
 

LOVE ROOMS

Post n°223 pubblicato il 23 Giugno 2008 da bimbadepoca
 

In questi giorni sto cercando un albergo per una vacanza in Svizzera. No, non sono stata influenzata dai recenti Europei di calcio, ma so che non mi credereste mai.
Mentre cercavo un albergo con camera quadrupla, per una tranquilla e comune famigliola italiana, mi sono imbattuta in un hotel che aveva, tra le altre, una stanza dell’amore, con tanto di letto rotondo, copriletto a cuori e petali di rose sparsi sul pavimento. Mi sono detta che, probabilmente, doveva essere destinata alle coppie in luna di miele, oppure a quei novelli sposi che festeggiano con cattivo gusto la prima notte di sesso ufficiale.
E invece… queste mie ipotesi erano soltanto una parte di una realtà ben più articolata, difatti dopo essere capitata più di una volta su siti di alberghi dotati di camere dell’amore, mi è venuta la curiosità di approfondire l’argomento ed ho scoperto che in Svizzera esiste un culto per questo tipo di camere, tanto che gli albergatori si sono riuniti in un’associazione e sono nati alberghi a tema, del tutto dedicati alle gioie dell’amore.
L’home page del sito chiarisce in perfetto tedesco (a proposito ma in Svizzera non erano lingue ufficiali anche l’italiano e il francese???) che si tratta di “der erste erotisch-romantische hotelführer”, quindi di amor sacro e di amor profano per dirla con le parole di De Andrè.

Un giro su questo sito è veramente istruttivo, perché si viene a sapere che è possibile scegliere una camera in base alle proprie preferenze in materia di comodità, CD romantici, champagne in camera, sauna, camino, menù afrodisiaci, DVD, libri o stampe erotiche, ma soprattutto in base all’ambientazione della camera, una tacita ammissione delle proprie perversioni o fantasie.
Si parte dalla stanza Fujiama, di chiara derivazione giapponese, interamente laccata di rosso, dotata di un immenso futon e stampe del kamasutra alle pareti, per un veloce ripasso o per eventuali varianti. Ma il pezzo forte della stanza è la sauna in terrazza, una sciccheria a forma di botte. Sì signori, proprio come quella di Diogene, in altre parole l’antitesi del piacere, ma sono certa che anche in questa contraddizione c’è una spiegazione razionale. Forse si tratta di una filosofia orientale, l'ascetismo che predica la mortificazione della carne dopo l’abbuffata.

Passiamo alla camera Cadillac, dove già il nome è tutto un programma, ebbene sì, l’alcova è ricavata in una vera Cadillac rosa. Per tutte quelle coppie in cerca d’amarcord, che vogliono rinfrescare la memoria sulle possibili evoluzioni in macchina.
Continuiamo la visita con la camera Chalet, a mio avviso una delle più belle, non fosse altro perché è un continuo richiamo a una delle eroine della mia infanzia: Heidi.
La camera ricorda tantissimo quella che la bambina aveva nella baita del nonno, con finestrella con vista sulle montagne e la fedele riproduzione di Fiocco di Neve, che per chi non lo sapesse era una capretta. Giuro che è vero!!!
Ammiriamo la romantica camera Giulietta e Romeo, ovviamente soppalcata, per permettere alla donna di affacciarsi a un improvvisato balconcino, per ascoltare il compagno che declama gli immortali versi di Shakespeare. Il risultato di questa patetica scenetta suscita notoriamente incontrollabili pulsioni erotiche.
C’è poi la suite Bounty, per chi vuole giocare all’ammutinamento, i naufraghi sono sistemati in una camera con tavolino e sedie sistemate in un quadrato di vera sabbia, alle pareti un timone e un’amaca al centro della stanza per complicati amplessi.
La camera Laguna è indescrivibile, davvero non riesco a trovare tutto le iperboli che una meraviglia del genere meriterebbe, per cui mi limito a farvi vedere un’immagine esaustiva.

Purtroppo non posso descrivervi nemmeno la camera Cucina erotica, perché è in allestimento e sarà visionabile solo dal mese di luglio, più che il nome m’incuriosisce il prezzo esorbitante, 680 franchi svizzeri per notte, pari a circa 450 euro. Non riesco proprio a immaginare quali mirabolanti sorprese celino il nome e il costo.

Passiamo adesso ai menù afrodisiaci, mi sono ritrovata a sfogliare immagini oltremodo esplicite, ho trovato piatti di haute cuisine, un bocconcino di tenera carne al sangue penetrato da un gambo di sedano, e trionfi di cozze dalle valve aperte su cui capeggiavano provocanti gamberoni con le code rigorosamente all’insù. Mancava solo lo scurrile scherzo dei vecchi pranzi di nozze, banana e albicocche a disegnare un pene, e il quadro sarebbe stato completo.
Non posso esimermi dal rivelarvi che una delle sale da pranzo era decorata con statue di satiri e diavoletti.

Tra i vari alberghi ce n’è uno dalle evidenti pretese imprenditoriali, infatti, il proprietario ha messo su un commercio di souvenir a tema, anche in questo caso la scelta è vasta, si passa dalle saponette a forma di cuoricini alle candele, sempre a cuore, su cui è impressa una struggente poesia: “Amore mio, fin dall’inizio ho amato te e la mia vita è bella”.
Uno degli alberghi presenta le sue camere con queste testuali parole “Restituite alla vostra coppia lo slancio dei primi baci”, come se davvero bastasse un’ambientazione diversa per ritrovare la perduta passione, come se l’emozione di quei primi baci si potesse ripetere a comando. L’inganno delle sovrastrutture con cui abbiamo banalizzato l’amore e il sesso.

 
 
 

Cronaca della bellezza

Post n°222 pubblicato il 16 Giugno 2008 da bimbadepoca
 

Sono stata a Napoli negli ultimi dieci giorni, la mia città, ritrovata sporca come mai l’avevo vista. La spazzatura agli angoli delle strade è stata come una pugnalata alle viscere. Inspiegabili i motivi di un’occulta regia che preleva regolarmente l’immondizia nel quartiere un po’ nascosto dove sono vissuta e lascia marcire quella sulle vie principali, sotto gli occhi implacabili dei media, che nulla perdonano a questo strano popolo, di lazzari e santi, fino ad accusarlo di colpe non sue.

Altre volte, già su via Toledo, la strada dell’antico passeggio, riuscivo a percepire l’odore di salsedine che veniva dal mare, in questi giorni, invece, quell’effluvio consueto era offuscato dall’olezzo fetido della spazzatura in decomposizione. Un’altra pugnalata nel cuore, per chi come me esule in patria, ama in modo viscerale la sua terra.
Nell’attesa che venga al più presto ripristinata la legalità, quella normalità di una vita civile data per scontata nelle altre città, ho cercato la bellezza per difesa.
L’ho cercata nei soliti luoghi che mi sono cari, dove la filosofia ironica che ci appartiene è riuscita a creare un nuovo pastorello per il presepe, un Berlusconi assiso sui sacchetti d’immondizia come un sovrano, in testa una corona simbolo di quell’effimero potere. Il sorriso non è servito a lenire le ferite inferte alla mia splendida città.

Ho cercato la bellezza nell’abbraccio dei miei soliti amici, in tutti quelli con cui sono uscita, in quelli che non ho potuto incontrare per mancanza di tempo e anche in quel paio che non ho incontrato per mancanza di voglia.
Ma ho cercato la bellezza, soprattutto, rifugiandomi nella storia gloriosa del passato, quando Napoli era capitale di un regno, terra di conquista per principi stranieri che la amavano più di quanto la amino oggi i suoi stessi figli.
L’ho fatto entrando in punta di piedi nel bellissimo palazzo Zevallos Colonna di Stigliano, un superbo edificio edificato nel 1639 da un ricchissimo ufficiale di corte, conobbe vari passaggi di proprietà finché nel 1898 fu acquistato della banca commerciale italiana, la quale trasformò il cortile interno, opera di Cosimo Fanzago, nel salone per il pubblico.
In questo scenario fastoso è nascosta una perla rara, l’ultimo quadro dipinto da Caravaggio prima della morte, “Il martirio di Sant’Orsola” appena restaurato.
Forse già presago della sua morte, Caravaggio dipinse sul volto della giovane la sgomenta rassegnazione di chi osserva la vita sfuggirgli da una freccia nel seno. Ma più della drammaticità del momento è il colore esangue della donna a dominare la scena.

Ho cercato la bellezza nel Pio Monte di Misericordia, una tra le più antiche istituzioni benefiche d’Italia, l’ho fatto entrando nella piccola chiesa e ammirando in silenzio quell’altra meraviglia di Caravaggio, “Le sette opere di misericordia”. Ci sono altri quadri, di pittori altrettanto famosi, che adornano gli altari della chiesa, ma lo sguardo indugia più del dovuto solo su quello dell’altare.  Sembra una scena di strada, quel popolo minuto che ancora oggi, con abiti diversi, gremisce i vicoli della città, guardato con indulgenza dalla divinità, perché solo tra la peggiore miseria esiste la solidarietà spontanea.

Ho cercato la bellezza nel delizioso Chiaja hotel e qui apro una doverosa parentesi, perché ho saputo dell’esistenza di quest’albergo proprio sulle pagine del mio blog, grazie ad una segnalazione di Quotidiana_mente. Uno dei proprietari, Pietro Fusella, dopo aver letto un mio vecchio post in cui parlavo di ruffiane e prostitute, è stato felicissimo di accogliermi, insieme con una mia amica, per mostrarci quelle che furono le camere di un vero bordello.
Ma sarebbe riduttivo liquidare questo gioiellino parlando solo del suo lato pruriginoso, perché l’albergo nasce dall’entusiasmo contagioso del suo proprietario, che in pochi anni è riuscito a creare un luogo ricco di fascino, ristrutturando quello che era l’appartamento nobiliare del suo bisnonno, il marchese Nicola Lecaldano Sasso la Terza. Un eccentrico nobiluomo appassionato di viaggi, che nell’ottocento si spinse fino in Cina, ritornando con un carico di porcellane, le quali ancora oggi fanno bella mostra di se nelle case dei suoi pronipoti.
Il restauro è stato fatto conservando per ogni camera, una diversa dall’altra, l’incantevole atmosfera dell’epoca, grazie anche all’utilizzo dei mobili di famiglia.
L’albergo sito in un antico stabile su via Chiaia, conosciuto come palazzo Giroux, era la residenza anche dei conti Lucchesi Palli. Il conte Febo Edoardo si era addirittura fatto costruire un teatro in casa, dove metteva in scena opere in prosa, difatti l’ultimo piano del palazzo conserva, sul pianerottolo e sulla scalinata, diverse effigi di personalità ignote, presumibilmente autori o personaggi teatrali.  
Altra storia è quella del “3”, la casa di tolleranza più famosa della città, che solo per un caso confinava con la residenza del marchese, l’appartamento acquistato successivamente, grazie ad un sapiente restauro che ha mantenuto l’ambientazione del bordello, ha permesso di ricavare un'altra ala con camere che profumano di peccato, a cominciare dai nomi sulle porte delle stanze che ricordano le più famose” lavoratrici “della casa. Le finestre delle camere affacciano su di un ballatoio coperto, dove le allegre signorine appoggiate alla ringhiera si mostravano ai clienti di sotto.

In una città come la nostra, punita da amministratori incapaci, conoscere una persona come il signor Pietro Fusella è stato come respirare una boccata d’aria pura, è ammirevole la passione che anima questo ragazzo nella ricerca di documenti per ricostruire sia la storia della sua famiglia che quella del palazzo. Una storia a cavallo tra ottocento e primi del novecento, animata da diverse storie, viaggi esotici e tournèe musicali (l’ultima figlia del marchese aveva sposato il musicista Gaetano Fusella), che meriterebbe di essere raccontata in un romanzo.

 Ho apprezzato particolarmente l’estrema disponibilità e la gentilezza con la quale il signor Fusella si è dedicato alle mie curiosità, la stessa usata per viziare i suoi ospiti che lo ripagano continuando a scegliere il suo accogliente albergo ogni anno, a dispetto della spazzatura e dei facili luoghi comuni su Napoli e i napoletani. 
Durante la visita ci ha portato a vedere anche i locali dove esisteva un’antica stamperia, finanziata dal bisnonno.
E’ stato affascinante conoscere un altro aspetto della mia città, un anonimo palazzo dei quartieri spagnoli che nasconde nel suo interno una vera e propria corte dei miracoli.

Post pubblicato anche sul blog "Non solo Gomorra"

 
 
 

Anche dalle poste, passa la civiltà di un popolo...

Post n°221 pubblicato il 05 Giugno 2008 da bimbadepoca
 

Martedì mattina avevo da pagare due bollette alla posta, così mi sono recata nell’ufficio postale più vicino, quello di via Ascenzi. Scusate se specifico l’indirizzo, ma come ben sapete, sono un tipo preciso e meticoloso, ritengo doveroso fornirvi quanti più dettagli possibili su quest’ufficio postale di Viterbo, per non fare la figura dell’azzeccagarbugli.
Dovete sapere che l’ufficio in questione si è rifatto il look meno di un anno fa, istallando degli elimina code all’avanguardia, i quali, probabilmente a causa di qualche folletto dispettoso, non hanno mai funzionato come si deve.
L’altra mattina ho preso il mio bravo numeretto e sono entrata in una sala strapiena di gente, per la maggioranza vecchietti, guardando il display ho fatto l’amara scoperta di dover attendere più di quaranta persone. Purtroppo in borsa non avevo nessun libro da leggere e nemmeno un pezzetto di carta su cui scarabocchiare, per colmo di sfortuna non avevo nemmeno credito al cellulare, per cui non potevo ingannare l'attesa chiacchierando con qualcuna delle mie amiche.
La giornata era grigia e piovigginosa non mi restava altro da fare che aspettare pazientemente. Mi sono cercata un posto per sedere e ho cominciato a guardarmi intorno, poiché dalla folla proveniva un rumoreggiare sommesso ho capito che c’era qualcosa che non andava e ho immediatamente drizzato le orecchie.

L’avveniristico elimina code era in tilt. Appena un impiegato allo sportello si liberava e schiacciava il pulsante per chiamare il numero successivo, sul display comparivano in rapida sequenza più numeri. Se nel caso si liberavano due impiegati nello stesso momento, il caos era totale, con gruppetti di persone che correvano come trottole da uno sportello all’altro.
Ho sorriso nella mia ingenuità pregustandomi uno spettacolo divertente, non sospettavo minimamente che avrei assistito alla messa in scena delle meschinità umane.

Immediatamente mi sono accorta che la maggioranza delle persone non si curava che il display fosse in tilt e pretendeva di passare davanti, infischiandosene delle persone che non erano riuscite a scapicollarsi in tempo allo sportello.

Per ovviare a questo increscioso inconveniente una saggia impiegata, che dall’atteggiamento ostentato doveva essere la più alta in grado, ha avuto la brillantissima idea d’appiccicare un bel cartello con la scritta GUASTO alla macchinetta distributrice dei numeretti. Probabilmente in cuor suo era convinta che bastasse questo gesto per dare ai cittadini una dimostrazione pratica dell’efficienza delle poste italiane.
Purtroppo il primo signore che si è trovato davanti il distributore guasto e il display impazzito, ha osato chiedere spiegazioni alla nostra eroina, che prontamente ha replicato che, appena gli impiegati finivano di “servire” i numeri presenti in sala, avrebbero cominciato a chiamare tutti quelli senza numero. Il signore ha osato domandare secondo quale criterio sarebbe stata stabilita una priorità, considerando che cominciava a entrare altra gente sprovvista di numero. Ma la solerte, nostra eroina, non ha saputo rispondere a questa problematica domanda, il suo cervello si era già sforzato oltremisura nel prendere la saggia decisione del cartello. Inoltre tra le file dei nuovi arrivati ha riconosciuto una sua conoscenza e le è andata incontro sorridendo.

La sua amica era una di quelle signore spocchiose dagli abiti costosi, pezze griffate con le quali sbandierare al mondo la propria, presunta, superiorità sociale. La nostra saggia eroina postale dopo pochi convenevoli ha preso talmente a cuore le faccende dell’amica, che ha deciso d’occuparsene personalmente, facendola passare davanti a quasi cinquanta persone in attesa, con e senza numeretto.
Lo so avrei potuto dimettermi dal ruolo di spettatrice passiva e far notare alle due suddette la loro scorrettezza, magari giacché c’ero, potevo far notare all’impiegatuccia che si credeva dirigente l’inutilità del suo lampo di genio. E per finire avrei potuto far notare alla signora spocchiosa che, per fortuna, un abito costoso non regala automaticamente classe, eleganza e dignità. E che un sedere basso e sformato è osceno anche inguainato nei pantaloni del più famoso stilista.

Ma non l’ho fatto perché lo spettacolo intorno a me continuava a ritmo sempre più serrato. Due vecchiette hanno cominciato a insultarsi a vicenda, per ragioni di precedenza, tra loro sono volate parole grosse come una montagna.
Dio mio!!! Ma dove andremo a finire se due nonnine, emblema della dolcezza e della tranquillità, pronunciano parole come quelle, con quell’astio, quella violenza, tutta quella rabbia repressa.
La nostra eroina è intervenuta anche in questo caso, ha preso in disparte la vecchietta che non era riuscita ad arrivare in tempo allo sportello e l’ha rimproverata con tono materno, come si usa fare con i bambini molto piccoli e con i vecchi rimbambiti.
Chiaramente si è guardata bene da aiutarla, così come aveva appena fatto con l’amica bisognosa, per carità era già così impegnata a dare il suo prezioso contribuito per redimere quella bolgia infernale.

A pochi metri da loro scoppiava un nuovo litigio, tra un’altra vecchietta che a malapena si reggeva in piedi e una zotica arricchita. Il malumore della folla mi ha impedito di ascoltare le parole, è stato come vedere un film muto, ho dovuto interpretare dalle espressioni e dalla gestualità.
La signora arricchita, fasciata anch’essa in abiti griffati fatti dai cinesi, protestava vivacemente perché la vecchietta le era passata davanti. Probabilmente aveva anche ragione… ma che cavolo, a me è stato insegnato di cedere sempre il posto alle persone anziane. Bastava mettersi in coda dietro di lei e far notare all’impiegato di non continuare a chiamare numeri.
Invece, la zotica arricchita, non riusciva a mascherare il suo dispetto che una vecchina insulsa avesse osato rubarle il posto che le spettava. L’impiegato allo sportello deve averle detto qualcosa, infatti, lei si è allontanata inviperita, ma dopo pochi secondi è tornata sui suoi passi per litigare anche con l’impiegato, colpevole di non essersi lasciato impressionare dai simboli costosi che pateticamente indossava e che, nella sua mente, avrebbero dovuto conferirle un maggiore riguardo da parte della plebe.

Nel frattempo due ragazzi rumeni avevano perduto il loro turno, vagando da uno sportello all’altro e nessuno dei nostri onesti e gentili connazionali, uomini e donne, giovani e anziani, ha ceduto loro il posto. Questi due poveri ragazzi continuavano a girovagare da uno sportello all’altro, tenendo d’occhio il tabellone impazzito e non capacitandosi di quello che stava succedendo. L’Italia, bel paese, la settima potenza economica del mondo.

Intanto la folla dei senza numeri era aumentata a vista d’occhio, tra loro cercavano d’organizzarsi alla men peggio per stabilire i turni, persone appena arrivate spergiuravano di essere colà da tempo immemore. Ignorando volutamente un’anziana signora straniera, dall’aspetto dimesso di badante, che sprovvista anch’essa di numero guardava ipnotizzata il tabellone nella speranza di capirci qualcosa.  E’ stato allora che ho smesso di fare la spettatrice ed ho assegnato i turni, secondo l’ordine in cui ognuno di loro era comparso in scena, restituendo alla badante il suo meritato secondo posto.

Purtroppo non so com’è andato a finire lo show, è arrivato il mio turno, ho pagato in tutta tranquillità e sono uscita. Però mi è rimasta una strana inquietudine addosso, come quando ascolti al telegiornale le consuete notizie di cattiva giustizia, oppure quando guardi un film che avrebbe potuto essere bellissimo se gli attori non avessero recitato da cani.
Io non posso appartenere a questa gente cui pur appartengo.

P.S. Per la cronaca, non ho ancora terminato il mio capolavoro, anzi alla luce di quel poco che sto facendo in questi giorni, avrò bisogno ancora di diversi mesi; ma siccome non ho più l’urgenza di concludere entro metà giugno, procederò nella scrittura con più calma. E nel frattempo mi riapproprio del blog!!!

 
 
 

Au revoir...

Post n°220 pubblicato il 22 Aprile 2008 da bimbadepoca
 

Stamattina ho comprato un quadernone a quadretti, ha una bella copertina rigida. E poi ho comprato una nuova penna, con la punta fine come piacciono a me, ha l'inchiostro verde.
Era già da qualche tempo che ci pensavo, ma sono stati questi due oggetti comuni a suggellare la mia decisione.

No, questo non è un post d'addio, mi prendo semplicemente una pausa lunga più di un mese, perché voglio scrivere un libro, o almeno provarci.
Lo so che non si sentiva il bisogno di questa mia bella pensata, che in Italia ci sono migliaia di aspiranti scrittori, che i 3/4 tra loro saranno indubbiamente più abili di me con le parole, che tutto ciò che c'era da scrivere è stato già detto e ridetto.

Lo so, sono la prima a non crederci, quasi sicuramente il mio "romanzo" non sarà preso in considerazione da nessun editore. Molto probabilmente, conoscendo la mia incostanza,  non riuscirò nemmeno a finirlo. Sicuramente riempirò il mio bel quadernone a quadretti di cancellature furiose.
Lo so, potrei scrivere in word ed evitarmi questo problema, ma sono legata a una visione romantica della scrittura. E poi ho intenzione di far nascere il mio capolavoro all'aria aperta, su una panchina del parco, o al tavolino del bar in piazza.

Lo so, mille volte mi verrà la tentazione di buttare tutto per aria, di ritornare alle mie facili storielle, alla piccola platea del blog, ai miei quattro lettori.
Lo so, avrò bisogno dell'incitamento dei miei amici reali, del conforto di mio marito tutte le volte che mi sentirò un'incapace.
Lo so, è un impegno gravoso che somiglia troppo a un lavoro, ma questa volta voglio farlo, lo devo a me stessa. Non voglio avere il rimpianto di non averci mai nemmeno provato.

Non voglio concludere questo post con le solite frasi mielose, del genere "mi mancherete tanto tanto", è assolutamente scontato che sarà così .
Vi confesserò, invece, che non ho la più pallida idea di cosa scrivere, che mi sembra un'ottima premessa per cominciare un romanzo, però ho in mente un incipit fantastico, l'odore di plastica dei preservativi...

Ci rivediamo a metà giugno.
 

 
 
 

La maga

Post n°219 pubblicato il 18 Aprile 2008 da bimbadepoca
 

L’altro giorno eravamo a casa di Anna, per l’abituale appuntamento del mercoledì, il giorno dedicato alle nostre chiacchiere da comari, consumate tra pasticcini, tè e gioco del ramino.
Com’era prevedibile, i nostri discorsi, inizialmente, vertevano su questa brusca sterzata dell’Italia verso destra, lo spauracchio della dittatura dietro l’angolo.

- Poveri noi! – ha sbuffato sconsolata Laura, già immaginandosi scenari più funesti del reale – Chissà cosa ci riserverà il prossimo futuro? -
- Chissà… ci vorrebbe una maga per saperlo – ha risposto Mavì, guardandomi con fare ammiccante. Il suo atteggiamento non è sfuggito alle altre, che si sono interrogate e risposte tra loro, con una rapida sequenza di sguardi e un’alzata di spalle.
Io ho finto di non accorgermi di nulla, ho continuato a distribuire le carte francesi, ma a quel punto le arpie avevano capito che c’era qualcosa nell’aria.
- Come mi piacerebbe sapere in anticipo quali carte avete pescato – ha cinguettato Eugenia con dovuta nonchalance.
- Solo una maga potrebbe – ha ridacchiato Mavì, subito complice del loro gioco sleale.
- Chissà se domani pioverà?- ha aggiunto Isabella – Mi piacerebbe indossare le mie nuove scarpette di vernice-
- Solo una maga potrebbe prevedere questo tempo strano – ha risposto Mavì, cambiando tono di voce alla parola “maga”, che gli è uscita dalle labbra come un raglio.
-Potreste sempre telefonare al colonnello Bernacca – ho aggiunto sfidandole, con aria indifferente.
- E dai Nancy, non farti pregare – ha protestato Laura – Raccontaci questa novità della maga-

Già, la storia della maga, come se certe situazioni paradossali me le cercassi apposta. E invece quella sera, di un paio di mesi fa, ero andata a cena da mio fratello per una tranquilla riunione familiare, non potevo certo immaginare  che mia nipote si sarebbe presentata con quella nuova amica. Una ragazza stramba, vestita di giallo e di viola, i lunghi capelli arruffati, una figlia dei fiori fuori tempo massimo, subito guardata con sospetto da mia cognata Valeria.
- Questa si droga! – mi aveva detto in un orecchio, preoccupata, mentre la ragazza parlava senza soste di sé, dei suoi studi, delle sue idiosincrasie.
Durante la serata la ragazza mi venne vicino e con un improvviso tono confidenziale mi disse – Guarda che ti telefona-
- Ma chi??? – risposi io al colmo della sorpresa.
- Vedrai - fece lei con un sorriso enigmatico. Avevo del tutto rimosso questo episodio dalla mia mente, ma poi il giorno di Pasqua, ho ritrovato la stramba ragazza al tradizionale pranzo di famiglia. Mio fratello benediceva la tavola imbandita, il cui posto d’onore era occupato dal capretto di cui mi aveva omaggiato Erminio Ovini; farfugliando parole incomprensibili.
La ragazza era seduta al mio fianco e come me non partecipava a quella pia pantomima.
- Ti ha chiamato? - mi chiese a bassa voce, per non infastidire la preghiera generale.
- Ma chi avrebbe dovuto chiamarmi?- bisbigliai, beccandomi lo stesso un severo sguardo di Valeria, per aver disturbato la sacra litania.
- Ti chiamerà quanto prima – rispose lei, poi accorgendosi di come Valeria ci guardasse con aria di  rimprovero, terminò la sua frase con un sonoro amen.

- E ti ha chiamato? – mi ha interrotto Laura, incuriosita dal mio racconto. Ho annuito e non c’è stato bisogno d’aggiungere il nome, l’hanno compreso dai miei occhi e dal mio sorriso.
- Ma avevi spergiurato che non volevi vederlo mai più- mi ha rimproverato Eugenia – Hai detto di lui peste e corna-

Sì, è vero, ma poi mi ha chiamato e ci siamo incontrati poco dopo, in un anonimo bar di periferia, lontano dagli sguardi indiscreti, nascosti come sorci, un paio di tavolini sistemati in un angolo illuminati dalla squallida luce di un neon.
Io e lui, in quell’assurda cornice, la sua tazzina di caffè, la mia bottiglietta d’acqua minerale e un bicchiere di plastica. E parole tra noi, le mie accuse e le sue spiegazioni, le mie richieste e le sue promesse. D’improvviso mi ha sfiorato un polso, un gesto involontario, ma il contatto inaspettato delle sue mani sulla mia pelle ha reso  inutili tutte quelle parole.
Ho sentito il sangue affluirmi al viso e un languore indecente tra le gambe.

- Sintomi inequivocabili della menopausa – ha riso Anna, forse per sdrammatizzare quella relazione che non approvava. Il signor non mi sporcare la camicia non gode più della simpatia delle mie amiche.

Ma a me è bastato che mi sfiorasse il polso per mandare all’aria tutti i buoni propositi e le ragionevoli intenzioni.
- Tu sei mia! – una frase che era quasi un sigillo ai miei stessi pensieri. Mi sono alzata i capelli per nascondere il turbamento, quel rossore colpevole che mi colorava il viso, li ho fermati in uno chignon con la penna che spuntava dal suo taschino.
Ancora parole spese in quell’anonimo bar di periferia, io e lui in quei pochi, lunghi minuti che ancora ci restavano, a parlare di noi con l’imbarazzo della prima volta, come se non ci fossero state già tante altre volte.
Ci siamo salutati e ho fatto per restituirgli la penna, ma lui me ne ha fatto dono diverso.

- Oddio Nancy, ma non sarà la penna BIC che mi hai prestato l’altro giorno all’ufficio  postale? Quella con cui quasi non mi facevi finire di scrivere – ha chiesto Isabella.
Ho annuito di nuovo, non mi andava di vedere la sua penna in mani estranee, il mio regalo toccato da altri, l’ho capito solo mentre Isabella scriveva.
- Noi donne non potremo mai essere prese sul serio, finché conserveremo una penna BIC come se fosse una reliquia preziosa-  ha detto severa Mavì, disapprovando in maniera palese il mio comportamento.

Lui, invece, ne è stato giustamente orgoglioso, come se davvero mi avesse regalato un gioiello d’inestimabile valore. Glielo ho confidato pochi giorni fa, quando mi ha richiamato, la gioia imprevista di risentire la sua bella voce, il suo modo di fare che riesce sempre a  confondermi, le nostre risate, il mio desiderio che lui sia felice lontano da me.

- E quindi come finirà questa storia infinita? – ha chiesto Isabella, che tra tutte è quella più pratica, quella che va subito al sodo.

Non lo so, non riesco a capire in questo momento, per questo ho cercato la “maga”, la ragazza che mi aveva predetto la sua telefonata. Perché voglio sapere qualcosa della mia vita, perché non è possibile che con ben due uomini che mi fanno girare la testa, io non ho nessuno che mi accompagni a visitare un museo, nessuno con cui andare al cinema, nessuno con cui fare l’amore tutta la notte, nessuno con cui ridere fino al mattino.
La maga non è stata molto chiara nelle sue risposte, sibillina come vuole il suo ruolo, tra me e il signor non mi sporcare la camicia vede una possibilità che finora non c’era mai stata.
Mentre mi ha consigliato di prendere le distanze dal geometra Tatafiore, di cui, proprio ultimamente,  ho collezionato il settimo rifiuto.

- Una delle sue solite scuse addolcite – ha riso Laura, ricordandosi il vezzo del bel geometra di alleggerire le sue bugie con parole zuccherine.
- No Laura – ho sorriso senza allegria – quelle le riserva alle donne che ancora gli interessano. Con me adesso usa la verità senza cortesia-

E non ho raccontato loro, d’averlo rivisto pochissimi giorni fa, all’inaugurazione di una galleria d’arte, è stato lui a salutarmi, lui a volermi informare dei suoi successi lavorativi, lui a cercare i miei complimenti, lui a farmi ridere con il suo modo di fare, lui che mi ha abbandonato a metà di un discorso, sospesa come la mia frase,  senza risposta,  in mezzo alla sala.
Senza sentire il bisogno di congedarsi, senza la gentilezza di salutarmi, senza l'educazione di scusarsi nei giorni seguenti. Macché, solo una fra tante, un’estranea qualunque con cui scambiare due chiacchiere nell’attesa di persone ben più importanti.
E non lo so perché mi sale un groppo alla gola, impensato sento scendere il pianto lungo le guance. Lacrime senza valore, lacrime sceme.

- Nancy ma ora perché piangi? – mi chiede allarmata Mavì, abbracciandomi forte - una come te può avere ancora tutti gli uomini che vuole -.
Mi vengono tutte intorno, tutte a tessere le mie lodi, fin quasi a santificarmi – E allora perché avete cercato di propinarmi Erminio Ovini – piagnucolo, ma poi ripensando all’agnellino macellato comincio a singhiozzare più forte, più disperata.
Poi guardo i loro visi accorati e mi viene da ridere. E rido mentre assaggio il sapore insipido delle mie lacrime
.

 
 
 

Il puzzle

Post n°218 pubblicato il 14 Aprile 2008 da bimbadepoca
 

Emme sarebbe dovuta nascere a fine ottobre, invece è nata a metà novembre, in ritardo, come suo solito.
Quella volta però me l'aspettavo, facendo due calcoli e in barba al metodo Ogino Knaus, Emme è stata concepita il giorno prima della comparsa delle mestruazioni. In ritardo e per questo più piccola, fin da quando era dentro la mia pancia.

Anche oggi, rispetto alla sua età anagrafica, Emme è più piccola, ha i comportamenti e la maturità di una bambina di sei anni. Nulla di preoccupante, i medici che la seguono per i disturbi del linguaggio, mi hanno assicurato che è perfettamente normale, che prima o poi compenserà questa leggera differenza con gli altri. Per il momento è solo più ingenua e indifesa delle sue coetanee. Più fragile e più vulnerabile.

Ma Emme ha un talento speciale, se ne accorse la sua logopedista quando aveva quattro anni, a lei basta guardare un tassello di puzzle per capire immediatamente dove posizionarlo.
Per Emme continuo a scegliere letture e giochi inferiori alla sua età, ma ho sempre comprato puzzle per una fascia d'età superiore alla sua.

A cinque anni già era in grado di fare puzzle di 250 pezzi con estrema facilità. Lo scorso anno le fu regalato un puzzle di 108 pezzi, chiaramente troppo semplice per lei, qualche giorno dopo, con mia grandissima sorpresa, trovai proprio quel puzzle capovolto. Le chiesi come avesse fatto a girarlo dalla parte bianca, senza smuovere nemmeno una tessera, lei candidamente mi confessò di non averlo girato, ma d'averlo fatto proprio così, perché s'annoiava a costruirlo dalla parte figurata.

Quel giorno stesso ho capito che Emme era pronta a passare a puzzle più impegnativi, questo di cui potete ammirare le vari fase della costruzione, è il suo terzo puzzle da 1000 pezzi.
L'ha cominciato lo scorso martedì e l'ha finito ieri mattina, quando ha chiamato tutta la famiglia a raccolta, per farsi tributare i dovuti complimenti. Piccola vanitosa della mamma.

Io non so a cosa le potrà servire questa sua capacità, non so se resterà una semplice passione, oppure se le potrebbe servire per un eventuale professione futura.
So solo che mi piacerebbe che Emme avesse chiaro in mente il disegno della sua vita, che riuscisse a cogliere soltanto i "pezzetti" giusti, senza perdersi per strada.

Non come ho fatto io, che avevo in mente tanti sogni lavorativi da realizzare, che ero brava e volevo laurearmi, che volevo fare e dire e nel frattempo raccoglievo i tasselli sbagliati, quelli che non mi servivano a niente.

Io vorrei che Emme riuscisse a costruire la sua vita, con la stessa caparbietà con cui costruisce i suoi puzzle. E senza farsi male...

 
 
 

A te...

Post n°217 pubblicato il 11 Aprile 2008 da bimbadepoca
 

Pochi minuti fa ho aperto la mia casella di posta ed ho trovato una mail di mio marito, con allegato un file musicale.

"Ascolta questa canzone, se fossi stato bravo con le parole l'avrei scritta apposta per te. Leggi il testo, le frasi che ho evidenziato sono le mie, sono i miei pensieri"

(Voi ascoltatela qua)

A te che sei l'unica al mondo
L'unica ragione
Per arrivare fino in fondo
Ad ogni mio respiro
Quando ti guardo
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente
Tutto si fa chiaro
A te che mi hai trovato
All'angolo coi pugni chiusi
Con le mie spalle contro il muro
Pronto a difendermi
Con gli occhi bassi
Stavo in fila
Con i disillusi
Tu mi hai raccolto
Come un gatto
E mi hai portato con te
A te io canto una canzone
Perchè non ho altro
Niente di meglio da offrirti
Di tutto quello che ho
Prendi il mio tempo
E la magia
Che con un solo salto
Ci fa volare dentro all'aria
Come bollicine
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita
E ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo
Senza misurarlo

A te che sei il mio amore grande
Ed il mio grande amore
A te che io
Ti ho visto piangere nella mia mano
Fragile che potevo ucciderti

Stringendoti un pò
E poi ti ho visto
Con la forza di un aeroplano
Prendere in mano la tua vita
E trascinarla in salvo
A te che mi hai insegnato i sogni
E l'arte dell'avventura
A te che credi nel coraggio
E anche nella paura
A te che sei la miglior cosa
Che mi sia successa
A te che cambi tutti i giorni
E resti sempre la stessa
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei
Essenzialmente sei
Sostanza dei sogni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che non ti piaci mai
E sei una meraviglia

Le forze della natura si concentrano in te
Che sei una roccia sei una pianta sei un uragano
Sei l'orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
A te che sei l'unica amica
Che io posso avere
L'unico amore che vorrei
Se io non ti avessi con me
A te che hai reso la mia vita
Bella da morire

Che riesci a render la fatica
Un immenso piacere
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita
E ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo
Senza misurarlo
A te che sei il mio amore grande
Ed il mio grande amore
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei
Semplicemente sei
Compagna dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei

Ho sempre affermato con convinzione di essere una donna razionale, poco incline alle romanticherie. Non posso confessare che mi sono emozionata come una bambina...

 
 
 

Segreti e bugie

Post n°216 pubblicato il 09 Aprile 2008 da bimbadepoca
 

Raccolgo l'invito della simpatica Ausdauer per l'ennesima catena e passo subito ad enunciarvi il regolamento:

1 - le regole del gioco copierai
2 - 7 dei tuoi segreti svelerai

3 - 7 felici vincenti individuerai
4 - un messaggio per avvisarli invierai
5 - a consultare il tuo blog li inviterai

 Ed ora mi tocca fare una piccola premessa, ovviamente i miei segreti più oscuri, li conoscono soltanto un paio di amiche ultra fidate e mio marito.
Ovviamente ci sono dei segreti tenebrosi che mi sono ben guardata dal confessare a lui e ce ne sono altri, di cui lui è a conoscenza, ma che non ho potuto rivelare nemmeno alla mia migliore amica.
I segreti che svelerò questa sera, in anteprima mondiale, sono segretucci all'acqua di rose. Ma sono pur sempre una finestra sul mio giardino segreto...


1) Ho rubato un costume da bagno...
Non ne vado orgogliosa, ma è stato il mio personale premio di produzione, per il lavoro svolto in un negozio d'abbigliamento, durante le vacanze scolastiche. La mia paga era ridicola e quel costumino una tentazione irresistibile.

2) Ho ucciso un pulcino...
Da bambina ero un po' maldestra (N.d.A. anche adesso), sono inciampata e praticamente ho schiacciato quel povero esserino pigolante.

3) Ho una cicatrice sulla caviglia sinistra...
E' un ricordo indelebile di un incidente con la Vespa, siccome quella notte dovevo essere da tutt'altra parte, ai miei genitori raccontai di essermi fatta male cadendo dalle scale. Non hanno mai saputo la verità.

4) Mi vendevo i disegni geometrici...
Durante gli ultimi anni di scuola, avevo messo in piedi questa fiorente attività, dato che ero molto portata per il disegno geometrico, disegnavo piante e assonometrie ai ragazzi dei primi anni, dietro lauto compenso monetario.

5) Per tre volte sono scappata di casa...
Le mie fughe erano di breve durata, perché trovavo sempre qualcuno che mi riportava all'ovile. Una sola volta ho passato la notte fuori casa, ospite di un amico. La cosa simpatica fu che per solidarietà, tutti i miei amici quella notte s'accamparono a casa di questo ragazzo.
Il giorno dopo, di primissimo mattino, mia madre andò a cercarmi a casa di un altro ragazzo del mio gruppo d'amici, i suoi genitori ancora assonnati, capirono che avevamo fatto la "fuitina". E ne nacque un mezzo scandalo!!! 

6) Ho mentito durante un sacramento...
Il giorno prima di sposarmi in chiesa, sotto la minaccia di non celebrare il matrimonio, il mio parrocco mi ha estorto una confessione, vuoi per l'ansia del momento, vuoi per l'imbarazzo, ad un certo punto da una mia risposta esitante, lui ha tratto la conclusione che ero vergine.
Ha cominciato a riempirmi di complimenti. Era così felice e sinceramente emozionato, che proprio non me la sono sentita di deluderlo.

7) Nel 1994 ho votato per Berlusconi...
Non ho scusanti, mi sono lasciata incantare dalla sua discesa in campo.

Dopo siffatte rivelazioni, vado mestamente a cospargermi il capo di cenere, ma prima sono obbligata a passare lo scomodo testimone a:

1. Marquez36... per ricambiare il favore della nomination per la catena precedente.
2. Piandeloa... per lo stesso motivo.
3. Donnadistrada... idem.
4. Carmela.. così finalmente sarà costretta a cambiare la poesia pasquale.
5. Carpedy... perché sicuramente ci sarà da divertirsi.
6. Fayaway... perché nonostante le ripetute nomination non ha ancora raccolto il testimone.
7. Cantastorie... perché il "ragazzo" merita di essere letto e poi prosegue l'ambizioso progetto di scalare le classifiche dei blog rilevanti, scrivendo cazzate.



 
 
 

Passate parola...

Post n°215 pubblicato il 07 Aprile 2008 da bimbadepoca
 

Non ho ancora capito perché, pur non avendo sottoscritto nessun abbonamento, di tanto in tanto mi viene recapitata una rivista femminile. Una di quelle riviste che pesano un paio di chilogrammi e che hanno 300 pagine di pubblicità e 10 paginette scarse di notizie striminzite.

Stamattina, prima di buttare la detta rivista nel bustone della carta da riciclare, ho pensato bene di sfogliarla, mentre imburravo pigramente le fette biscottate per fare colazione.
Un bel articolo che parlava di Andrea Vitale... uno scrittore di cui ignoravo l'esistenza e che mi ha incuriosito moltissimo.
E poi un articolo sui nuovi modi di fare beneficenza. Ho così scoperto che esiste un sito, in cui è possibile testare e migliorare la propria conoscenza della lingua inglese. E nello stesso tempo contribuire a sfamare i poveri del mondo.


Per ogni risposta esatta verranno donati 10 chicchi di riso al PAM (Programma alimentare mondiale). La prossima donazione sarà a favore dei rifugiati del Bhutan in Nepal.
Io che sono una schiappa in inglese ho già messo da parte 200  500  900  1500 chicchi di riso. Volete mettere la soddisfazione!!!

Eliminare la povertà è un gioco.

http://www.freerice.com/

 
 
 

LA TRAMA DI QUESTO BLOG:

" E quello che lei mi disse
fu in idioma del mondo,
con grammatica e storia.

 

Così vero
che sembrava menzogna."
(Pedro Salinas)

 

Sa sedurre la carne la parola,
prepara il gesto,
produce destini.

(Patrizia Valduga)

 

 "Altri menino vanto delle parole che hanno scritto: il mio orgoglio sta in quelle che ho letto"
(J.L. Borges)

 

"Quello che ora diamo per scontato, un tempo fu solo immaginato"

(William Blake)

 
 
 

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