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Messaggi del 17/04/2020
Post n°2773 pubblicato il 17 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet QUANDO LA NATURA INCONTRA LA LETTERATURA L'appello per la natura di Tolstoj Per quanto cercassero gli uomini, raccoltisi in un piccolo spazio a centinaia di migliaia, di deturpare quella terra sulla quale si stringevano, per quanto lastricassero di pietre la terra per non farvi crescere nulla, per quanto strappassero ogni filo d'erba che spuntava, per quanto affumicassero l'aria col carbon fossile e col petrolio, per quanto mutilassero gli alberi e cacciassero via tutti gli animali e gli uccelli, la primavera era primavera, perfino in città. Lev Tolstòj, Resurrezione A queste parole di Tolstoj, che possono rappresentare un appello per la difesa contro gli scempi che l'uomo compie nei confronti del nostro pianeta, si uniscono tutte le voci di coloro che in diverse forme artistiche, in differenti voci, in diverse modalità, con numerosi incontri, con precise ricerche scientifiche, con infiniti libri pro Terra, hanno sempre portato in primo piano la necessità di difendere il meraviglioso mondo in cui abitiamo. Siamo davvero tanti e se non impariamo ad aver cura di questo luogo, a cessare di soffocare la terra lastricandola di pietra e di asfalto, strappando ogni filo d'erba, inquinando l'aria e distruggendo l'ecosistema globale, il nostro futuro rimarrà nebuloso. Sembra incredibile, ma è la Natura stessa che indica le possibilità: nonostante tutto la primavera rimarrà tale. Allo stesso modo l'estate, l'autunno e l'inverno. La rinascita avviene sempre in qualche modo, con tempistiche sempre nuove. Siamo ancora in tempo per continuare a credere che la vita non si ferma sotto l'asfalto e che non abbiamo alcun diritto a tagliare un solo platano in città. © RIPRODUZIONE RISERVATA FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2772 pubblicato il 17 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
GEOLOGIA Le faglie dello Ionio che allontanano la Sicilia dalla Calabria La complicata geologia del margine di placca su cui si trovano l'Italia e, soprattutto, la Sicilia, ha da oggi meno segreti. Un team internazionale composto da ricercatori dell'Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ismar-Cnr) di Bologna, dell'Università di Parma, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Geomar di Kiel (Germania), ha scoperto un grande sistema di faglie molto profonde nel settore del Mar Ionio. Una scoperta importante per le numerose implicazioni geologiche e pubblicata su Nature communications. Il sistema permette la risalita di materiale profondo che apparterrebbe alla Tetide, l'antico oceano che occupava un tempo le regioni del Mediterraneo attuale e che è stato 'riassorbito' dai movimenti relativi delle placche tettoniche. Una vera e propria 'finestra' sulle profondità della Terra, che permette di osservare indirettamente blocchi dell'antico oceano e di studiarne l'evoluzione nel tempo. Il movimento delle faglie sarebbe inoltre responsabile dell'allontanamento della Sicilia dal resto d'Italia ed è capace di innescare ancora processi vulcanici e sismici. Il sistema di faglie dello Ionio A partire dall'Oligocene, lo scontro tra la Placca Africana e quella Eurasiatica ha prodotto l'assorbimento della Neo-Tetide e la formazione del sistema di subduzione di cui espressione superficiale sono i vulcani eoliani e l'arco calabro. In questo complesso quadro geologico si inseriscono i due sistemi di faglie scoperti, che sono stati battezzati "la Faglia dello Ionio" e "la Faglia Alfeo-Etna". l primo sistema è leggermente arcuato, corre in direzione ESE-NNW attraversando l'intero mar Ionio e terminando in una zona imprecisata tra il messinese e le isole Eolie; il secondo sistema, invece, ha una direzione SE-NW e si sviluppa a largo della costa siciliana orientale allineandosi con il vulcano Etna. Entrambi i sistemi sono caratterizzati da movimenti trastensivi (estensione e trascorrenza) e descrivono un ampio settore in cui si riconoscono anche altre faglie minori. Blocchi di storia in risalita dal profondo: il diapirismo Durante questa ricerca, lungo il sistema Alfeo-Etna, l'elaborazione dei dati geofisici acquisiti ha portato all'individuazione di almeno 13 corpi magnetici sub-circolari. L'incrocio di dati di diversa natura ha portato a scartare alcune ipotesi sulla genesi di questi corpi, tra cui il magmatismo e il diapirismo salino o da fango. Si tratterebbe piuttosto di materiale roccioso della Tetide, risalente al Mesozoico, e in particolare di rocce serpentinitiche. Le serpentiniti sono rocce sottoposte a un processo metamorfico di bassa temperatura, che trasformano i minerali originari anidri (es. pirosseno e olivina) in minerali idrati. Il processo è noto come 'serpentinizzazione' e provoca non solo il rilascio di calore, ma anche una modifica profonda delle carat- teristiche fisiche della roccia stessa: il volume della roccia aumenta, mentre la sua densità diminuisce drasticamente. In questo senso le rocce serpentinizzate possono trovarsi con una densità minore rispetto a quelle circostanti, motivo per cui tendono a risalire verso l'alto. Si chiama 'diapirismo della serpentinite' ed è il processo che, secondo gli autori della ricerca, sarebbe alla base dei corpi sub-circolari trovati nella crosta dello Ionio. Si tratterebbe dunque del primo esempio al mondo di questo fenomeno in un contesto di subduzione. La presenza di queste rocce potrebbe favorire inoltre la formazione di terremoti, come osservato in altre zone del pianeta. La posizione dell'Etna Numerosi studiosi concordano sul fatto che la formazione dell'Etna deve essere legata alla presenza di una significativa discontinuità della crosta che faciliterebbe la risalita dei magmi. L'esistenza di questa struttura sembra essere confermata anche dalla geochimica dei prodotti eruttivi del vulcano siciliano. I magmi etnei, a differenza di quelli delle vicine Eolie, sembrano affini a una zona di sorgente non contaminata dalle rocce in subduzione. Per spiegare ciò, alcuni studiosi hanno invocato una situazione tipo "slab window": ovvero la presenza di una 'finestra', di uno squarcio , nella placca in immersione, permetterebbe l'afflusso sotto l'Etna di un mantello libero dalla contaminazione di rocce superficiali. Secondo altri autori, invece, l'origine dei magmi etnei sarebbe legata a una fusione delle rocce sottostanti il vulcano, indotta da una diminuzione di pressione di origine tettonica (es. estensione). La struttura Alfeo-Etna ben si inserisce in entrambi gli scenari previsti e a questo punto spiegherebbe facilmente l'esistenza del vulcano siciliano, come peraltro suggerito anche dal confronto tra l'età della struttura tettonica e l'inizio dell'attività vulcanica in zona. Questo studio dunque non è solo di grande importanza per l'approfondi- mento delle conoscenze geologiche, ma anche e soprattutto perché può aiutare a mitigare il rischio legato a fenomeni come i terremoti o le eruzioni vulcaniche in zone densamente popolate del nostro Paese. © RIPRODUZIONE RISERVATA RIPRODUZIONE CONSENTITA CON LINK A ORIGINALE E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2771 pubblicato il 17 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet SOCIETÀ E AMBIENTE L'altra faccia del Coronavirus: economia in crisi, crollo dei consumi e dell'inquinamento in Cina Difficile vedere il bicchiere mezzo pieno nel caso di epidemie o addirittura di potenziali pandemie. Eppure anche nel caso dell'ormai famoso Coronavirus 2019-nCoV vi è questa possibilità: nelle ultime settimane l'inquinamento atmosferico in Cina è drasticamente diminuito, pari addirittura a quantità equivalenti al 6% delle emissioni mondiali di anidride carbonica. Infatti secondo una recente indagine del Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) in Finlandia e pubblicato sul sito inglese del Carbon Brief, le emissioni cinesi di CO2 sono diminuite di almeno 100 milioni di tonnellate nelle ultime due settimane. Ciò a seguito delle misure governative adottate per contenere l'epidemia, che di fatto hanno portato ad una decrescita forzata (e in questo caso tutt'altro che felice) dell'economia cinese, con riduzioni della produzione dal 15% al 40% nei settori industriali chiave. In picchiata la produzione delle fabbriche Infatti, nelle ultime settimane la domanda di elettricità e la produzione industriale cinese rimangono di gran lunga al di sotto dei livelli abituali come suggerito da una serie di indicatori, tra cui:
Anche le emissioni di biossido di azoto - un sottoprodotto della combustione di fossili nei veicoli e nelle centrali elettriche - sono diminuite in Cina del 36% nella settimana successiva alle vacanze di Capodanno lunare, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Riduzioni, ancora però da quantificare e confermare, si segnalano anche in Giappone e in Corea, mentre c'è da aspettarsi qualcosa di simile in prospettiva anche in Pianura Padana, a seguito anche qui delle misure governative in corso di adozione, che vanno ad incidere su tutta una serie di attività collegate all'industria, al commercio ed anche alla mobilità. Cosa succederà alla fine dell'emergenza? Tutte condizioni che, se continueranno nei prossimi mesi, secondo analisi dell'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) e dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) potrebbero influenzare anche la domanda mondiale di greggio, con conseguenti fluttuazioni dei prezzi (in teoria diminuendoli). Peraltro se da una parte si stanno creando le condizioni, per quanto forzate, per incrementare alcune pratiche virtuose come il telelavoro, dall'altra in Cina ci si comincia a chiedere se queste riduzioni degli impatti ambientali legati all'inquinamento atmosferico saranno mantenuti anche in futuro o se invece , una volta finita l'emergenza, verranno ripristinati o addirittura peggiorati. Potrebbe infatti trattarsi di una riduzione temporanea, con una risposta alla conseguente riduzione del PIL da parte del governo cinese che si potrebbe tradurre in un incremento della produzione industriale, e di conseguenza delle emissioni, su livelli ancora maggiori rispetto a quelli pre-epidemia, in modo da recuperare la produzione perduta nel lungo stop. Sperimentare modelli più sostenibili Al contrario, un po' paradossalmente, i cambi forzati di abitudini che l'epidemia sta apportando (anche da noi in Italia) potrebbero invece tradursi in qualcosa di buono e utile, per l'ambiente e non solo. Se infatti fossimo saggi o almeno un pochino lungimiranti, coglieremmo questa forzata occasione per sperimentare modelli più sostenibili (in particolare nel campo del telelavoro, nella gestione più razionale di eventi pubblici, nella sanità e nella mobilità privata e pubblica), evitando poi, una volta finita l'emergenza, di riprendere a correre in modo ancor più forsennato e consumistico. Questo almeno noi, in Italia, potremmo provare a farlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2770 pubblicato il 17 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet QUANDO LA NATURA INCONTRA LA LETTERATURA Spoon River e la durezza della natura messa in gabbia L'ignoto Questa poesia è il racconto - non solo metaforico - di quanto spesso succede: l'uomo armato (schiavo) e la Natura (libera). Un incontro che troppe volte ha avuto impatti negativi per la nostra Terra. È sufficiente bighellonare con un fucile per distruggere la vita ad un falco e, quasi fosse una morale di Esopo, alla fine il gesto di mettere in gabbia il rapace è risultato quasi più letale dello sparo "accidentale". Il protagonista si accorge del proprio errore quando ormai è troppo tardi ed è qui che entra in gioco la poesia. Il poeta vuole che si ascolti questa storia affinché possa non ripetersi in futuro e si possa invece puntare verso l'opposto; addirittura, magari, nel vedere un falco (libero) su un albero vivo anziché morto. americano, pubblicò l'Antologia di Spoon River nel 1915, ottenendo un grandissimo successo. © RIPRODUZIONE RISERVATA CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2769 pubblicato il 17 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato da Focus PENSIERO ECOLOGICO Perché l'uomo distrugge la Natura? Idrammatici eventi di questa caldissima estate 2019, dagli incendi in Siberia allo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, hanno evidenziato l'accelerata degli effetti dei cambiamenti climatici innescati dalle attività umane. Di fronte a tale disastro, di cui non si vede la fine e, anzi , si possono facilmente intuire e leggere prossimi peggiora- menti, una parte sempre più estesa dell'opinione pubblica comincia a reagire, almeno a livello di preoccupata presa di coscienza. Nei commenti sui social e nelle lettere a giornali e mass- media mainstream - che purtroppo in molti casi stanno affrontando questi argomenti con il consueto tono apocalittico, scandalistico, superficiale - si notano spesso definizioni del tipo: "Siamo una specie folle, ci meritiamo di estinguerci"; "Siamo i parassiti del Pianeta"; "L'Umanità è solo un'accozzaglia di predoni egoisti"; "Siamo pazzi e ciechi e ormai stiamo cadendo nel baratro", ecc. Un misto, dunque, di lamentose e disperate affermazioni, dove emerge la mancanza di speranza per il futuro e la rabbia per la stupidità umana. Ma è davvero così? Può una specie che, in poco più di 200mila anni (ovvero pochissimo, se consideriamo le scale geobiologiche), è di fatto arrivata a dominare l'intero Pianeta, pur avendo una capacità riproduttiva limitata, dei corpi deli- catissimi e molta meno forza fisica rispetto alle altre specie più simili a noi (ovvero le grandi scimmie), avere intrapreso una strada evolutiva destinata "al vicolo cieco", ovvero all'estinzione, puntando sull'intero consumo delle risorse vitali e alla distruzione dell'habitat in cui vive!? Perché allora questa follia, da dove nasce, che senso ha? In ultima analisi: perché l'Uomo continua imperterrito a distruggere la Natura (ovvero la famosa "casa comune" in cui abita) nonostante almeno mezzo secolo di avvisi e allarmi sempre più stringenti lanciati dalla comunità scientifica e nonostante i disastri più o meno naturali (molti palesemente di origine antropica) che sempre più spesso mietono migliaia di vittime? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe scrivere un'intera enciclopedia, tante sono le probabili concause che, in modo più o meno complesso, s'intrecciano tra loro: cause sia socio-politiche, storiche ed economiche, sia psicologiche, biologiche ed ecologiche. In questa sede vogliamo solo provare a proporre qualche pensiero tra quelli di solito meno diffusi; qualche punto di vista un po' diverso che aiuti a cogliere alcune sfumature che, come spesso capita, possono fare in realtà la differenza nella formazione di un'idea. Come, infatti, diceva Sherlock Holmes, è dai dettagli che si può arrivare al cuore del problema (nel suo caso scoprire il colpevole di turno). Noi già sappiamo chi è il colpevole, ma in questo caso il cuore del problema allora è un altro: la nostra specie ama il luogo in cui vive? Ovvero, ama la Natura? Poiché sappiamo benissimo che, al di là di tante belle parole o dei vari "sensi duri" (senso del dovere, senso di colpa, ecc.) nei fatti solo chi ama qualcosa/qualcuno se ne prende davvero cura. Oggi è facile dire che, almeno in Occidente, la maggior parte degli uomini NON ama la Natura. Ma per amare davvero qualcosa/qualcuno ci sono solo due strade: quella del cuore (l'emozione, l'empatia che ci coglie in certe situazioni, magari sostenuta da un legame di sangue, come quello per i figli) o quella della testa (la conoscenza, conoscere bene qualcosa o qualcuno, in modo da arrivare a coglierne il valore). Solo così arriveremo al volere bene (philéô) e magari ad amare (agapáô) e di conseguenza a impegnarci davvero per proteggere l'oggetto del nostro amore (sappiamo, infatti, che il "voler bene" non è proprio la stessa cosa che "amare", come fece notare Gesù a Pietro nel famoso dialogo del Vangelo di Giovanni (21, 15-17) ). Per millenni l'Uomo nomade cacciatore-raccoglitore ha vissuto la Natura con l'amore istintivo che avvolge un essere la cui vita dipende da essa, con un misto di paura e attrazione, sapendo appunto che dalla Natura poteva arrivare anche la morte. Ma sempre con il rispetto e con l'equilibrio di chi sa anche che della Natura ha bisogno e che essa è sempre più grande di lui. Dalla Natura gli uomini prelevavano solo quanto gli serviva per la sopravvivenza, ovvero "gli interessi", lasciando intatto "il capitale". Poi, circa 10.000 anni fa, con la nascita e lo sviluppo dell'agricoltura, il panorama è cominciato a cambiare. L'Uomo si è fermato in un posto e, per sopravvivere, ha dovuto iniziare a sfruttarlo, con i vari processi di coltivazione del suolo e di domesticazione di piante e animali e con metodi sempre più raffinati e intensivi. Ovvero, ha iniziato a intaccare il capitale. Fino a quando ciò avveniva con metodi tradizionali e solo con la forza di uomini e bestie, attraverso il lavoro di comunità umane costituite al massimo, nel complesso, da milioni di individui, la Terra ha ben sopportato tale pressione. Inoltre, la presenza di eventi tragici come pandemie, carestie e guerre effettuava un certo controllo sulla popolazione antropica. Con la cosiddetta Rivoluzione Industriale iniziata in Occidente nel XVII secolo, si è però accesa la miccia: la società umana da sistema agricolo- artigianale-commerciale è diventata un sistema industriale moderno, caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come , per esempio, i combustibili fossili), il tutto favorito da una forte componente di innovazione tecnologica e accompagnato da fenomeni di sviluppo demografico, sviluppo economico e da profonde modificazioni socio-culturali e anche politiche . E soprattutto di incremento di popolazione, che rapidamente è passata da 1 miliardo di individui nel 1800, ai circa 7,5 miliardi di oggi, con un aumento medio annuo di circa 75 milioni. In pratica, gli esseri umani si sono quadruplicati nell'arco degli ultimi 100 anni, dopo essere rimasti per millenni limitati a pochi milioni di persone (all'epoca della nascita di Cristo si stima vivessero sul Pianeta circa 160 milioni di individui). Ciò non solo ha aumentato in pochissimo tempo e a dismisura la richiesta, e quindi lo sfruttamento, di risorse naturali - oltre che la conseguente produzione di scorie di ogni genere quasi mai realmente smaltibili -, ma, attraverso il fenomeno dell'inurbamento, ha sempre di più allontanato gli uomini dalla Natura. A seguito di ciò, non solo una parte significativa degli esseri umani non conosce più il mondo naturale (per esempio non sa distinguere le varie specie animali e vegetali) ma, soprattutto negli ultimi decenni, si è creata una vera e propria sindrome di disconnessione con la Natura, come scrivono vari filosofi e psicologi, per cui alla fine sempre meno si sente il bisogno di una sua vicinanza, di un suo rapporto profondo e vero con essa. In pratica oggi per molte persone la Natura vale solo perché serve (per esempio, un albero non va abbattuto perché produce ossigeno) o, nei casi migliori, erché "è bella" o perché "fa bene" (che son sempre forme d'uso, seppur scenografiche o salutistiche). E non essendoci più contatto, è sempre più difficile rimanere in sintonia. Questo è il vero dramma dell'Uomo, poiché innesca un processo a cascata di impoverimento interiore che porta all'ignoranza cognitiva e culturale, alla perdita di identità (di specie, di popolo ma anche almeno in parte personale), all'inaridimento emotivo, ma soprattutto all'incapacità di essere in risonanza con il mondo che ci circonda che, volenti o nolenti, è ancora in massima parte naturale (per quanto rovinato e contaminato). Questo processo, che è aumentato in maniera esponenziale nell'ultimo secolo e in particolare dalla fine della seconda Guerra Mondiale, produce a sua volta due importanti effetti. Il primo, pericolosissimo, incide sulla nostra capacità di adattamento. La specie umana ha fatto di questa sua sensazionale facoltà, sostenuta dalla sua intelligenza, la carta vincente per sopravvivere e imporsi come specie dominante sul Pianeta. Ma, a livello basico, come scrive l'ecologo Timothy Morton, "essere vivi significa adattarsi senza sparire completamente, essere protetti dalla propria sintonia ma non fino al punto di dissolversi del tutto". Senza più contatto e sintonia con la Natura, perdiamo quindi la capacità di adattarci ai suoi mutamenti, tanto più a quelli repentini degli ultimi anni e di quelli che ci attendono. E l'adattamento di una specie è un processo biologico, oltre che culturale, che richiede tempo e che può essere solo in parte (minima?) compensato o contenuto dalla tecnologia. Il secondo effetto è la riduzione della nostra istintiva biofilìa, ovvero il nostro amore e attrazione per la Vita. E che la nostra società sia sempre più orientata verso scenari necrofili ce lo dicono una serie numerosa di segnali: dalla cultura (soprattutto giovanile) verso immagini/situazioni mortifere (basti pensare all'attrazione dei ragazzi verso zombi, vampiri, situazioni "dark", sport estremi, ecc.), all'uso di tecnologie "comode" (quindi in realtà non indispensabili) ma di dubbio effetto sulla salute (per esempio, eccesso di tecnologie basate sull'elettromagnetismo come i vari cellulari 3-4-5G, ecc.), a un'alimentazione sempre più priva di vere forze vitali. Ovvio, quindi, che tutto ciò ci porti a diventare sempre più insensibili e distaccati da ciò che sta succedendo "fuori", nella natura, appunto. Che ormai a molti sembra lontanissima e quasi irreale e dove anche le immagini delle catastrofi ambientali che stanno avvenendo in varie parti del pianeta assumono una percezione surreale. Allora è a questo punto che si può scatenare una sorta di "effetto Lemmig" o anche "ultimo ballo sul Titanic". Incuranti della nave (il Pianeta così come è oggi) che affonda, continuiamo a ballare, cercando di godercela il più a lungo possibile, senza credere in realtà all'avvicinarsi della fine. Che non è quella della Terra, è bene ribadirlo ancora una volta, ma di "questa" umanità. Credo, infatti, che il Pianeta sopravviverà abbastanza bene al collasso in corso (sì, è già cominciato!) e che anche l'Umanità non si estinguerà. Tornerà sotto il miliardo di individui, privilegiando i popoli e le culture a bassa tecnologia (per esempio, boscimani, indios amazzonici, aborigeni, ecc.), ma andrà avanti, meno ricca ma forse anche più felice di oggi. Tuttavia in questa situazione pre-apocalittica (e ricordiamo che il termine "Apocalisse" non vuol dire "fine del mondo", ma significa "svelamento, levare il velo") si possono anche osservare alcuni comportamenti molto interessanti sulla natura umana, che probabilmente in situazioni ordinarie non emergerebbero. Una di queste, evidenziata proprio dal non volere pervicacemente "invertire la rotta" nonostante i mille segnali ricevuti, è una sorta di rifiuto, o meglio di fuga, dalla nostra incarnazione materiale, da un legame filogenetico che ci perseguita e connette con tutte le altre creature non umane. È come se, consapevoli di una nostra natura profonda in cui la dimensione carnale è minoritaria (non a caso tutte le religioni ci dicono che siamo fatti di corpo, anima, spirito e coscienza/Io, quindi in fin dei conti di un rapporto di 3 a 1 tra "energia" e materia) la sfidassimo o volessimo addirittura liberarcene. Senza credere in un vero suicidio collettivo o individuale, ma piuttosto in una sorta di "salto quantico" che ci attende. Che dire, a questo punto speriamo sia davvero così! E vengono in mente, un po' per consolazione e un po' per chiudere questo lungo pezzo, le parole di un grande uomo di scienza ma anche di fede che è stato il naturalista (paleontologo) e gesuita francese padre Pierre Teilhard De Chardin "Noi non siamo esseri umani che vivono un'esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che vivono un'esperienza umana". © RIPRODUZIONE RISERVATA FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2768 pubblicato il 17 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet QUANDO LA NATURA INCONTRA LA LETTERATURA William Blake e l'equilibrio del pastore Il Pastore Parlare di William Blake significa andare al di là di quello che si legge (ma del resto quale poeta si ferma all'inchiostro?); significa sapere che dietro a dei versi apparentemente semplici, ci sono riferimenti e simboli archetipici, esperienziali che riportano l'attenzione in un'altra dimensione. Non vuole però esser questa la sede in cui approfondire questi aspetti. Ora si vuole assaporare solamente l'immagine genuina che la poesia ci trasmette, senza nulla togliere all'aspetto simbolico di Blake, ma senza anche aggiungere strampalate osservazioni di interpretazione. Questi versi ci trasmettono una quiete incredibile, che sorge dall'equilibrio rappresentato: un uomo, un pastore, che vive a stretto contatto con i suoi animali. Ma l'elemento che fa compiere un salto in più è il fatto che il pastore non sta semplicemente allevando pecore; non sta solamente portando al pascolo alcuni animali che ha ereditato. Ci piace immaginare che lui abbia scelto di essere pastore e con uno stile particolare: osserva il suo gregge, lo ascolta e vive con le sue pecore, altrimenti gli sarebbe sfuggito il richiamo dell'agnello e la tenera risposta della madre. Egli vigila sulle pecore e loro stanno in pace perché sanno che lui è lì. Questo equilibrio è primordiale, è legato ad un tempo in cui l'uomo conosceva il significato del prendersi cura del mondo intorno a sé e degli altri esseri viventi con cui condividere questo luogo meraviglioso. Questo può essere anche solo un punto di partenza. Lascio a ciascuno la libertà e la possibilità di cercare i differenti (e forse evidenti) aspetti simbolici. William Blake (1757-1827), poeta, incisore e pittore inglese. © RIPRODUZIONE RISERVATA |
Post n°2767 pubblicato il 17 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Locuste in Africa, la seconda invasione sarà «20 volte peggio» Nuovi sciami voraci minacciano Kenya, Uganda, Etiopia e Somalia: l'Onu parla di «una minaccia allarmante» per la sicurezza alimentare Nuovi sciami di locuste tornano a minacciare l'Africa orientale: un numero crescente di insetti si sta riversando nel nord e nel centro del Kenya, in Uganda, in Etiopia e in Somalia e, secondo le stime, questa calamità potrebbe essere 20 volte peggiore dell'ondata di due mesi fa. Le Nazioni Unite parlano di «una minaccia allarmante e senza precedenti» per la sicurezza alimentare e la sussistenza nella regione: uno sciame di poco più di un terzo di 2,5 chilometri quadrati può mangiare la stessa quantità di cibo, in un solo giorno, che può nutrire 35.000 persone. Gli insetti seguono le piogge primaverili, alla ricerca di colture e di altra vegetazione: possono spostasi di circa 145 chilometri al giorno. I funzionari kenioti hanno anche spiegato che gli sforzi per contenere la diffusione del coronavirus hanno rallentato quelli per combattere l'infestazione: l'attraversamento delle frontiere è diventato più ostico e le consegne di pesticidi sono state bloccate. L'irrorazione aerea è l'unico mezzo efficace per controllare le locuste ma alcuni allevatori lamentano il fatto che i pesticidi stiano colpendo anche il bestiame. «Le forti piogge di fine marzo hanno creato condizioni favorevoli per la riproduzione dell'ennesima generazione di locuste nel Corno d'Africa. Emergeranno come giovani sciami a giugno, proprio quando molti agricoltori inizieranno la raccolta», ha affermato Antonio Querido dell'agenzia delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura in Uganda. «Se le operazioni di controllo non verranno effettivamente intraprese, le colture andranno perse e i mezzi di sussistenza basati sull'agricoltura saranno colpiti. Gli sciami giovani sono i più voraci: si alimentano in modo aggressivo e possono causare molti danni alle colture e al foraggio». |
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