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Ilmondodellefate

il fantastico mondo

Messaggi di Dicembre 2017

L’amor è……

Post n°656 pubblicato il 29 Dicembre 2017 da fataeli_2010
 

L’amor è……

L’amore è un fuoco ardete

che se si spegne

non è più niente.

L’amore è un sentimento profondo,

è un mondo fatato

che non fa ritorno.

È un lago infinito con

molto amore e molto calore.

Come il sorriso di un

neonato sincero e

beato.

In poche parole l’amore è così

è un mondo magico

che non finisce qui.

 

Tratto dal sito: www.filastrocche.it

 
 
 

La nanna di Tommaso

Post n°655 pubblicato il 27 Dicembre 2017 da fataeli_2010
 

 

La nanna di Tommaso


 Quando la sera dà il passo alla notte,

svelto Tommaso a letto si mette.

Al caldo si coccola dentro al piumino,

il libro del cuore sotto il cuscino.

Stringe vicino il morbido orsetto,

il viso premuto sul buffo musetto.

Tutto tranquillo, ma il sonno non viene…

Ed ecco la mamma: la mano gli tiene,

gli dà un bacio dolce, gli fa una carezza,

gli dice una storia di rara bellezza…

Pian piano il sonno lo porta lontano,

tra fate dei boschi e gnomi del grano,

per ricondurlo, di primo mattino,

nel caldo tepore del suo lettino.

 

Tratto dal sito: filastrocche.it

(dal web)

 

 
 
 

Alla ricerca di Leo

Post n°654 pubblicato il 25 Dicembre 2017 da fataeli_2010
 

Alla ricerca di Leo

C’era una volta, tanto tempo fa, una Fatina di nome Lorena Lantie Lantis, che tutti però

Chiamavano  Pammete. Piccola, deliziosa e mattacchiona, pur avendo 250 anni umani,

nel mondo fatato ne aveva appena 5. Un giorno, mentre ne combinava un’altra delle sue,

nella camera segreta del Sommo Mago Salmonreo, da uno scritto antichissimo come

il Mondo, una magia andata a male la fece nel mondo umano, ritrovandosi in un bellissimo giardino circondata da fiori colorati, e alberi alti, verdi e rigogliosi. Sembrava essere ancora

nel mondo fatato, però, la mancanza degli inseparabili pimmete e pumette e alcuni giocattoli

umani sparsi qua e là, le fecero capire che non poteva trattarsi di casa sua.

Qualcuno chiamava a gran voce: “Leo! Leo! Dove sei?”

Una bellissima ragazzina dai lunghi capelli biondi e brillanti occhi azzurri, vestita in modo

bizzarro, girava in lungo e in largo chiamando piangendo. Pammete le apparve davanti chiedendole chi cercasse. La ragazzina la guardò stranita; non aveva mai visto una libellula parlante.

“Non sono una libellula!” protestò Pammete stizzita, mostrandosi in tutta la sua personcina.

“Io sono una Fatina”. Sillabò affinché capisse.

“Le fatine esistono solo nelle favole!” replicò la ragazzina scettica, guardandola da tutti i  lati;

Pammete lo prese come un affronto.

“Anche gli umani nel mio mondo esistono SO.LO nei libri!” Proclamò. Pan focaccia era quello che avrebbe dato. “ Non ho visto una fatina così petulante…..nemmeno nei cartoni animati!” La  ragazzina sembrava convinta.

“Non ho mai visto un’umana….”Pammete si fermò. Che poteva dire? Anche spremendo

le meningi non veniva fuori nulla. “ Non ho mai visto un’umana.. e basta!” concluse divenendo

di tutti i colori dell’arcobaleno. Sembrava così buffa mentre s’illuminava, cambiando di colore continuamente. La ragazzina si mise a ridere divertita perché non aveva mai visto qualcosa

del genere e chissà come, anche Pammete lo trovò divertente; non le era mai successo di non trovare un modo di replicare. Dopo che si furono e asciugati gli occhi che lacrimavano per

il gran ridere, cominciarono a parlare del problema della ragazzina.

“Come mai piangevi, umana?”

“Mi chiamo Lorena e sono umana” disse la ragazzina mostrandole un’ immagine dentro a uno specchio magico che teneva in mano.

“Hai un bellissimo specchio magico. Si possono vedere le cose le persone!” Pammete

sembrava estasiata. “Da noi solo il Sommo Mago Salmonreo può guardare nello specchio

magico”.

La ragazzina le spiegò che non era uno specchio magico ma un cellulare, un apparecchio

che serviva per parlare con le altre persone e poteva anche fare delle foto; e proprio mentre

giocava con il suo cellulare, distraendosi, aveva smarrito Leo, il suo chiwawa bianco.

“Anche io mi chiamo Lorena!” esclamò Pammete sorpresa per la novità del marchingegno

che, a loro non serviva, e per la coincidenza dei nomi. “Davvero?”

Si! Lorena Lantie Lantis, però tutti mi chiamano Pammete”

Lorena prese Pammete nella sua mano guardandola attentamente. “ Ci assomigliamo!”

disse sorpresa ammirando la sua versione in miniatura.

Pammete si accorse che aveva ragione, Lorena sembrava una sua versione gigante adulta,

anche sei lei nel mondo umano sarebbe stata una vecchia, vecchia, vecchia signora.

Si viveva fino a 250 anni nel mondo umano? Boh !

Pammete spiegò a Lorena, ciò che avrebbe fatto; essendo una fatina poteva volare, perciò

avrebbe cercato dall’alto il cagnolino di nome Leo. Lorena acconsenti dicendo che avrebbe

cercato da terra. Le due si misero alla ricerca del chiwawa, mandandoli segnali, fermandosi

a parlare, a volte giocando, discutendo o raccondandosi pezzi della loro vita, ma di Leo

nessuna traccia. Verso sera Pammete si accorse che cominciava a svanire; qualcuno

la richiamava nel suo mondo, sicuramente il Sommo Mago Salmonreo. Veloce veloce,

volò da Lorena per avvisarla che forse non sarebbe stata in grado di aiutarla per molto perché doveva ritornare indietro. Lorena ne fu dispiaciuta, non aveva mai visto un’amica così

minuscola, carina, divertente e per giunta con lo stesso nome. La ringraziò per la sua

generosità e le augurò buona fortuna, però, mentre stava per scomparire, Pammete notò

ai piedi dell’albero più grande del giardino, dentro al suo tronco cavo, qualcosa di bianco

e rotondo.

-racconto tagliato-

tratto dal sito: tiraccontounafiaba.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

I sortilegi delle tredici Fate

Post n°652 pubblicato il 14 Dicembre 2017 da fataeli_2010
 

 

 

I sortilegi delle tredici Fate

 

C’erano una volta un re e una regina. La regina non faceva figli. Il marito usciva in giardino e diceva:- Albero che non fa frutto, tagliato! La moglie l’udiva dir così e pensava: “Ahimè, è di me sta parlando!” Allora disse:- Madonna mia, aiutami tu! Ed io, a chiunque si presenti alla mia porta, farò la carità-. Fece la carità per molto tempo, ma non ottenne mai la grazia.

Un giorno si presentò un vecchio e disse:- Carità, per l’amor di mio!- Lei rispose:- Ma quale carità! Son tanti anni che faccio la carità e il Signore non mi fa avere un figlio!- Per questo mi tratti in malo modo?- disse il vecchio:- ti farò avere io un figlio-. Diede allora alla donna un’ invidia lei ne mangiò il cuor cuore e diede alla serva le foglie meno buone, più scure, perché  le bussasse; la serva, invece di buttarle, se le mangiò.

Poco tempo la padrona era incinta e, dopo di lei, era incinta anche la serva. Passarono i nove mesi e partorirono tutt’è due insieme. Prima di partorire, la serva era molto angustiata; la padrona le diceva:- Su, non t’affiggere!- Lei rispondeva:- Come non affiggermi? Senza saperne nulla! Io sono stata sempre virtuosa-.

Insomma, s’affiggeva. Poi partorirono entrambe e ognuna di loro diede alla luce un bambino: prima la padrona, poi la serva. Li battezzarono e chiamarono uno Peppino, l’altro Antonio; Peppino, il figlio della padrona, e Antonio il figlio delle serva. La regina cominciò ad allevarli tutt’e due- lo dimenticato di riferire che la padrona aveva detto alla serva di non aver paura, perché una volta che avesse partorito, avrebbe allevato lei i due bambini; sicché la serva s’era tranquillizzata; però aveva conservato il rammarico per quella vergogna essendo lei nubile.

Dopo averli allevati, che eran grandi abbastanza per andare a scuola, il figlio della signora disse:- Bene, mamma io vado a scuola, ma tra qualche tempo andrò un po’ in giro per il mondo.- Davvero? Non ti dispiace andartene e lasciarmi?- Se me ne andassi per rimanere, mi dispiacerebbe; ma io solo per conoscere il mondo, non per restarci.- Allora ti sia concesso, il figlio mio.

Così i due fratelli presero un cavallo ciascuno e s’incamminarono insieme; qualsiasi cosa incontrassero, il piccolo rispettava sempre il più grande, oppure, se gli ordinava qualcosa, era sempre pronto, servizievole. A un tratto videro un palazzo, un palazzo tutto rosso, e subito vi si diressero. Arrivarono giù le stalle con le greppie e tutto il resto per lasciare i cavalli; ed assi salirono sul palazzo. Salirono e trovarono tredici sedie attorno al tavolo: dodici uguali ed una più rossa delle altre, d’un colore più vivo, come nelle corone del rosario. Osservarono tutte le sedie, poi il più grande, Peppino, disse- Fammi scegliere una, - e si sedette su quella più rossa di tutte.

C’erano poi tredici stanze, e in ogni stanza c’era un letto rosso. Egli di nuovo scelse il letto più rosso, il più bello, e disse al fratello- Stasera dormirò qui.- Dormi pure, io ti farò la guardia, rispose l’altro,- nel caso venisse qualcuno.- d’accordo; domani dormirai tu.

La sera, all’ora che dovevano rientrare, vennero le fate. Entrarono e la prima disse:-  Io ordino che costui che sta dormendo nel mio letto, quando s’alzerà e andrà per scendere, si rompa una gamba.

E se chi ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà. L’altra disse:- Io ordino che, una volta alzato, prima ch’egli passi attraverso la porta, crolli l’arco e lo uccida.

E se chi ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà.

Il fratello ascoltava. La terza disse:- Io ordino che, nello scendere dal letto, gli si storca il piede e si rompa tutte le ossa.

E se chi ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà.

L’altra ancora disse:- Io ordino che, quando scenderà e andrà a sciogliere il cavallo, questo gli si avventi contro per morderlo e stramazzino entrambi.

E se chi glielo dirà statua di marmo diventerà.

-Io- disse l’altra, - ordino che, quando saliranno sul cavallo e correranno verso il paese, nell’attraversare il bosco, cada la più grossa quercia che incontreranno e li uccida entrambi. E se chi ascolta glielo dirà statua marmo diventerà.

L’altra disse:- Io ordino che, quando avviverà in paese, prima d’entrare, gli crolli l’arco addosso e lo schiacci. E se chi glielo dirà statua di marmo diventerà.

E l’altra- lo ordino che, mentre si dirigono verso il paese, incontrino una macchia e ci sia un rovo; lo calpestino e cadano tutt’è tre.

E se chi ascolta glielo dirà statua marmo diventerà.

-Io- disse l’altra,- ordino che, prima di arrivare in paese, incontri una masseria, escano fuori due leoni e lo uccidano. E se chi ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà.

-Io,- disse l’altra, ordino che, quando passerà sopra la brina, si trovi un ago, si infilzi nell’unghia del cavallo e stramazzino entrambi. E se ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà.

L’Altra disse.- Io ordino che,quando entrerà in paese, si chiuda il portone e li divida tutt’e due. E se chi ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà.

-Io ordino- disse l’altra, - che sia un venditore di pistole,quando arriveranno in paese; che egli voglia prenderne una e, appena l’avrà tra le mani, essa spari e uccida lui e il cavallo.

E se chi ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà.

-Io ordino,- disse l’altra, che quando arriverà dalla madre lei, che non lo vede da molto tempo, gli corra incontro per baciarlo; mentre lo bacia, cada un fulmine e li bruci entrambi.

E se chi ascolta glielo dirà statua di marmo diventerà.

-Io ordino,- disse l’altra,- che quando si sposerà,la prima notte che dormirà con sua moglie, vada un animale con sette teste e li divori. E se chi ascolta dirà statua di marmo diventerà.

Il giovane si svegliò dal sonno e disse:- Oh, che bella dormita che ho fatto! Com’è bello questo letto! Davvero? Rispose il fratello- voglio vedere com’è -. Sali su e scese prima di lui, in modo che l’altro non cadesse e si rompesse la gamba.- Bell’affronto, scendere prima di me!- disse l’altro.- Non importa, siamo fratelli, non importa! Facciamo a chi corre più veloce?- D’accordo-. Questi gli saltò davanti e passò per primo sotto la porta; così non crollò. Poi propose:- Peppino, facciamo a chi scende per primo dalla scala?- Sì, sì -. Di nuovo gli saltò davanti e scese per primo, e l’altro passò sano e salvo. Il fratello disse:- Mi sei passato ancora davanti! Fai sempre così. Quando torneremo a casa, ti accuserò a mia madre. – Che t’importa?-disse l’altro:- tu cerca di correre più veloce di me. Poi disse:- Facciamo a chi scioglie per primo il cavallo?- D’accordo; mi hai superato ogni volta, ma stavolta non ce la farai.- Proviamo! Corse velocissimo, sciolse il cavallo e glielo diede nelle mani. Di nuovo propose:- Facciamo a chi è più veloce ad arrivare al portone?- D’accordo-. Cominciarono a correre. Corsero velocissimi, arrivarono al portone e l’attraverso per il primo Antonio. Il fratello passò ancora sano e salvo:- Vedi quanti affronti mi fai subire?

  • disse: - prima mi portavi  rispetto, adesso non più. A tempo debito mi vendicherò di tutto. – Peppino- disse un’altra volta il fratello, -facciamo a chi passa per primo vicino a quel rovo?- Va bene.- Dai corriamo! - Si misero a correre; nella corsa gli passò di nuovo davanti e si salvano tutt’e due. Egli infatti, mentre le fate dicevano i sortilegi, aveva ascoltato tutto; l’altro invece dormiva- facciamo a chi passa per primo sotto quella quercia altissima del bosco- D’accordo -. Si rimisero a correre. Antonio passò di nuovo avanti:- Ancora!- disse il fratello:- insisti a prenderti sempre gioco di me. A tempo debito, mi vendicherò d’ogni cosa, una per una.- Oh, a cosa pensi! Siamo fratelli:io voglio solo scherzare!- ripose l’altro.

    Disse poi: Facciamo a chi entra per primo in paese attraverso la porta?- D’accordo, vediamo chi corre di più-. Ed ecco, quello corse avanti e passò per primo sotto la porta, furono entrambi salvi.- Siamo passati, ma io dovrò vendicarmi: mi fai tutti questi dispetti! A tempo debito, ti renderò pan per focaccia.- Oh,tra di noi queste storie! Cammina! Vediamo chi riesce ad attraversare per primo quell’apertura della casa?- Dai, a chi passa per primo ! corrono, corrono; alla fine Antonio dà uno slancio e passa prima di Peppino.

    Avevano ormai camminato per parecchio tempo ed avevano fatto molta strada:-  Facciamo a chi arriva prima nel prossimo paese?- D’accordo, mi hai superato finora, ma questa volta arriverò prima di te-. Cominciarono a correre; corsero, corsero, furono vicini, e passò prima Antonio.- Me l’hai fatta anche stavolta, va bene! – Oh,non c’è da arrabbiarsi, tra di noi; e solo uno scherzo. Raggiunsero il paese dove si vendono le pistole:- Io voglio una pistola,- disse il primo, e la prese tra le mani:- vediamo un po’ come spara.- Aspetta,aspetta, Peppino; qui un po’ spaccata-. Prese in mano la pistola e sparò. Vederlo sparare fu, per il fratello, come essere investito dal fuoco e restarne bruciato. Come! Levargli la pistola dalle mani e sparare! Gli parve un terribile affronto, tra tanta gente; ne fu fortemente risentito. Disse:- Quando torneremo a casa, ti farò mettere in prigione.- Ma tra noi c’è da offendersi; te l’ho sempre detto: siamo amici; vuoi che ci siamo risentimenti tra fratelli?

    Poi propose:- Facciamo a chi arriva per primo a casa?- D’accordo-. Corre, corre, corre; ecco, arrivò prima Antonio dalla madre credette fosse suo figlio e si lanciò a baciarlo. Il fratello non tollerò che la madre avesse baciato l’altro; lei disse:- Pazienza, lo faremo restare solo un po’ con noi, poi lo metteremo in prigione-. Restarono a casa per diverso tempo, tutt’e due; dopo la madre trovò a Peppino una fidanzata e in breve lo fece sposare. Ora il fratello doveva fare tutto il possibile per ficcarsi sotto il letto. Ma, prima, andò dal fabbro per farsi costruire una spada con sette tagli, che tagliasse da ogni parte. Il fabbro gliela costrui ed  egli si nasconde sotto il letto. Alle sette della notte, sbucò un animale con sette teste. Egli diede un colpo di spada e tagliò la prima testa; il mostro stava per abbassare l’altra; colpì di nuovo la spada e la tagliò; abbassò l’altra, e tagliò anche questa; e sono tre; ne restavano ancora quattro. Di nuovo l’animale abbassò l’altra testa; il giovane colpì con la spada e la tagliò; ad una ad una, ne tagliò sei. Quando andò a colpire l’ultima,invece della testa dell’animale, tagliò i piedi del letto. Gli sposi caddero dal letto:- Ahimè, tradimento!- gridarono. Si alzarono e, il giorno dopo,lo misero immediatamente in prigione.

    Dopo un mese di prigione, lo vollero processare. Ci fu il processo e fu condannato a morte: dovevano ucciderlo. Allora egli chiese un’ora di tempo: -Io- disse,- dovrò comunque morire-. Poi spiegò- il motivo per cui sono lasciato non è stato il tradimento, ma il desiderio di salvarlo; ora, se lui non ricorda tutto il cammino che abbiamo fatto insieme, glielo porterò io alla memoria. Egli doveva morire dal giorno in cui si mise in quel letto; a me dispiacque, perché era mio fratello, e mi sono precipitato a dire che volevo provare com’era il letto; sono salito e sono sceso prima di lui……- E raccontò tutta la storia: Non avevo il coraggio di vederlo morire lontano da casa. E soprattutto vedere lui e la madre, appena fosse tornato e la madre si fosse precipitata a baciarlo, colpiti da un fulmine e inceneriti. E non sarebbe stata ancora questa la tragedia più grande! La prima notte che andato a dormire con la moglie, sarebbe sbucato un animale e li avrebbe divorati tutt’e due. Io, per il dispiacere, ho fatto una spada a sette tagli e mi sono nascosto sotto il letto per salvarli. La sorte ha voluto che alla fine tagliassi i piedi del letto. Ora vi saluto, io muoio-. D’un tratto videro che si trasformava in statua di marmo. Nel vederlo così ridotto in pietra, il fratello ne restò addolorato, oltre ogni misura.

    Andò allora ricerca di qualche farmaco che potesse farlo tornare uomo come una volta. Si attardò molto, nel viaggio che aveva intrapreso, e nel frattempo aveva lasciato a casa la moglie incinta. Strada facendo,sempre a domandare se ci fosse una macchina in grado di farlo ridiventare uomo, incontrò un vecchio e gli chiese:- Nonno,nonno, sapesti indicarmi come posso far ritornare in vita una statua di marmo?- Certo, è possibile,- rispose il vecchio: quando tornerai a casa, troverai che tua moglie ha partorito ed a fatto due bambini; uccidi uno dei bambini, prendine il sangue e ungi tutta la statua con il sangue: essa tornerà in vita.

    Egli così fece. Prese il figlio, lo uccide, raccolse il sangue e andò a ungere tutta la statua. La unse e il fratello ritornò in vita. Egli tornò a casa. La moglie intanto s’era svegliata s’era recata a prendere il bambino e l’aveva trovato ucciso; cominciò a disperarsi e a piangere:- Io mio bambino, il mio bambino! Il mio bambino è stato ucciso!- Venne il marito e le raccontò ogni cosa a proposito del figlio. Saputo che il bambino doveva necessariamente venire ucciso, anche lei rassegnò, pur di far contento il marito. Lei era rimasto l’altro figlio; poteva sopportare d’averne perduto uno.

    Rimasero felici e contenti E, se li vuoi trovare, stanno ancora lì.

     

    Dal racconto di Cesaria Gabrieli

    (dal Web)

     

     

     

     

 
 
 

L’onda di Luce

Post n°651 pubblicato il 11 Dicembre 2017 da fataeli_2010
 

 

L’onda di Luce

 

Tremolio d’ombre e di silenzi

al bisbigliare di lente preghiere

tra veli di dolente stupore

e lamento increspato di fiori.

Odore di cera e d’incenso

a scolpire la trepidazione del Sepolcro

in eterni riti, certi del miracolo ancora.

Tace l’ansia delle campane elfiche,

sordo al richiamo della rondine mai paga,

e dorme la voglia d’armonia

nella veglia assorta e smarrita.

L’intristito vagare scivola piano

sull’argento pallido delle acque del fiume

in cerca del giorno avido di luce e di suoni.

Ed il giorno venne…

Il fragore dell’alba risorta

sbiancò la faccia cupa delle tenebre

all’esplorare della luce sovrana,

grido complice d’intesa del Cielo e della Terra.

Al trastullo del vento,

l’onda di luce della meraviglia

sgusciò nel tremore del risveglio

e accese di fragranze d’aria purificando

i germogli del petto,

che non aveva dubitato!

Aprite gli occhi amici miei!

Siamo tornati!

Siamo uno!!!!!

 

Tratto: Poesie e canti Antichi

Scritto da Marius Depréde

(dal Web)

 

 

 
 
 

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