GENOVA, LUGLIO 2001
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« O bella ciao | Ma come? » |
E’ da un po’ di tempo che mi frulla per la mente Stranamore (la canzone. Non il film o l’inguardabile programma tivvù). L’ha scritta Vecchioni. Lui non ha vie di mezzo: o scrive cose bellissime o cagate pazzesche. Questa, per sua e mia fortuna (avere una cagata che da giorni ti gira per la mente non è il massimo) è della prima categoria. Racconta, in soldoni, diversi tipi di amore. A me, per esempio, ha sempre fatto impazzire il pezzo che dice: «E il primo disse: Ah si, non vuoi comprare il nostro giornale / e gli altri: lo teniamo fermo tanto per parlare / ed io pensavo ora gli dico sono anch’io fascista / ma ad ogni pugno che arrivava dritto sulla testa / la mia paura non bastava a farmi dire basta / Forse non lo sai ma pure questo è amore».
Ho in mente questa canzone perché di tipi di amore ne ho visti diversi all’opera, in questi tempi. L’amore per la dignità (per me è stato essenzialmente questo) di Enzo Biagi. L’amore per una sorella che sta male, tanto male, e ai salti mortali che si fanno per lei. L’amore di una storia che finisce (forse anche far finire una storia è un segno d’amore…. Si potrebbe aprire un dibattito: lascio perdere). L’amore per un padre in ospedale, e ai chilometri che si fanno, avanti e indietro, tra casa, lavoro e clinica per essere sempre ovunque. Ma anchei l’amore che nasce. Bello, strano, difficile, da strapparti la pelle come belle, strane, difficili, da strapparti la pelle sono, se ben si guarda, tutte le storie.
Io la vedo così: una storia che nasce è come un treno che parte. Puoi decidere se stare fermo alla stazione a salutare i passeggeri o saltarci sopra. Non sai dove ti porterà il viaggio, non sai dove arriverai e non sai neppure se ci arriverai, laddove non sai di andare. Non sai se il treno deraglierà, se qualcuno tirerà il freno a mano, se un giorno arriverà qualcuno con la prenotazione dicendoti che quel posto è suo, e tu dovrai startene in piedi nel corridoio. Non sai se passerà l’omino col carrello, quello che vende panini di gomma e bottigliette calde, o se dovrai patire la fame e la sete. Non sai neppure quanta gente ti manderà a fare in culo perché tu sei su quel treno e gli altri no. Non sai se lungo quel viaggio avrai qualcuno con cui parlare o ti metterai a ridere e piangere da solo, come uno scemo. Sai solo che c’è un treno che passa. E devi decidere tutto questo in una frazione di secondo, col piedino ciondolante tra il salire e il restare.
Io quei treni ho avuto una certa vocazione a prenderli. Mi era facile prenderli. Tanto sapevo che prima o poi avrei tirato il freno a mano, e me ne sarei tornato a piedi alla stazione passando attraverso i campi (qualche volta nel tirare il freno sono anche stato anticipato: capita). Quando è arrivato il treno difficile ci sono saltato sopra a piedi uniti. Stiamo ancora viaggiando. Ed è un bel viaggio.
Se fossi Vecchioni, in quella canzone ci avrei messo un verso che dica, più o meno, che quel treno vale la pena prenderlo, nonostante tutto e nonostante tutti. Perché qualcuno che ti tiene compagnia, lungo il viaggio, ci sarà sempre. Perché, se anche quel viaggio durasse il tempo di una sigaretta, quel tempo sarà meglio averlo vissuto che averlo desiderato prima e rimpianto poi.
Forse non lo sai, ma pure questo è amore….
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UNA QUESTIONE DI MANI
nelle condizioni di avere
bisogno di una mano.
In genere qualcuno c'è.
Io ne ho avuto bisogno.
Le mani ci sono state.
Adesso le mie,
assieme a quelle
di tanti altri,
sono nel
"Blog for Africa".
Lo trovate qui accanto,
a sinistra.
In attesa di altre mani....
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