GENOVA, LUGLIO 2001
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Ce lo meritiamo. Ci meritiamo tutto quello che ci piove addosso e, anzi, ci meritiamo anche di peggio. Ce lo meritiamo perché accettiamo tutto quel che ci viene propinato. Ci indigniamo a comando: c’è un omino, da qualche parte, che alza un cartello con la scritta «indignazione» così come in certe trasmissioni si alza quello «applausi» o «risate», e tutti si spellano le mani o si sbellicano fino a farsela addosso. Poi quando il cartello si abbassa l’indignazione passa.
Esempi?
Mah, i rifiuti di Napoli, per esempio. Prima, nella fase terminale del precedente governo e nella campagna elettorale, i rifiuti di Napoli erano ovunque. Ne parlava chiunque. I telegiornali ci aprivano sempre. Anche solo per dire che non era cambiato niente rispetto al giorno prima. Interviste alla gente, cumuli agli angoli delle strade, montagne sotto le finestre, gente che si apriva varchi in mezzo alla spazzatura per andare a casa o a scuola. E ora? Non se ne parla più. Problema risolto? Non credo: qualcuno l’avrebbe detto se il problema era risolto. E allora?
Altro esempio?
La casta. Un giorno abbiamo scoperto che deputati e senatori guadagnano. Parecchio. Oddio, bastava guardare sui siti di camera e senato per scoprirlo, comunque prendiamo per buono che l’abbiamo scoperto di botto. Cartello con la scritta «indignazione». E poi si è scoperto lo stesso di eletti nelle regioni, nelle province, di sindaci, assessori. Di imprenditori dalle agevolazioni agevolate. Triplice cartello. Poi pubblicano in internet le dichiarazioni dei redditi. Stuolo di cartelli. Rivolte e minacce. Perché è giusto sapere quel che prendono gli altri, ma quel che prendo io sono cazzi miei. E allora via tutto.
Altro esempio, ancora più clamoroso?
Premetto che tra le persone che non mi ripugna ascoltare (ora il verbo è da intendersi all’imperfetto) figurano (altro imperfetto), tra gli altri, Fabio Fazio e Anna Finocchiaro. Il primo con un credito pressoché infinito per aver fatto Anima Mia, e avermi fatto rimuginare su cose della giovinezza ormai dimenticate (e La Pinha capirà quello che dico, visto che questi amarcord sono il suo pane quasi quotidiano), la seconda perché mi sembrava una delle meno peggio tra gli esponenti della politica.
Poi Fazio invita Travaglio. Che dice che il neo presidente del senato, schifani, ha avuto rapporti con la mafia. Cosa che non è un segreto di stato: basta leggere atti, relazioni delle commissioni. E si scopre una cosa: queste cose non si possono dire. Perché loro, quelli della politica, reagiscono scompostamente.
Delle cose dette due meritano di essere viste con particolare attenzione. Prima: non c’è stato un cane che abbia detto che quanto affermato da Travaglio sia falso. Tutti se la sono presa perché l’ha detto. Cioè, non conta quello che loro fanno: l’importante è che non lo si dica.
Secondo (e qui entra in ballo la finocchiaro): certe cose non si possono dire senza contraddittorio. Cioè senza l’interessato che dica che quanto viene affermato non è vero (cosa che schifani non ha ancora fatto: si è limitato a dire che così si compromette il dialogo. Posso dire che del dialogo non me ne frega una beata cippa?). Cosa bella, questa. Se valesse per tutti. Ma non è così. Passino i plastici della casa di cogne senza invitare la franzoni, passino le pippe mentali e le congetture su olindo e la sua «dolce» metà senza sentire cosa hanno da dire loro, passino i complotti e le ricostruzioni sull’inglesina di perugia fatta a tocchetti senza filare gli accusati. Passi tutto. Ma non dire una cosa ovvia, documentata, senza sentire l’interessato. Ma solo se l’interessato è un potente. Se è uno qualunque allora si può dire quello che si vuole.
Si dirà: se uno ha dei rapporti con i mafiosi non vuol dire che sia mafioso. Parzialmente vero. Potrei obiettare che non essendo io uno che fa la tratta delle bianche mi viene difficile avere rapporti con gente che la fa. Ma passiamo oltre. Chi ha di questi dubbi vada a sentire una volta «Libera, numeri e associazioni contro le mafie». Vada a sentire cosa dicono quelli che contro questo mondo lottano tutti i giorni.
Abbiamo quello che ci meritiamo. Siamo passati dalla prima alla seconda repubblica cambiando qualche nome e lasciando tutto il resto inalterato. Abbiamo visto la politica cambiare senza che neppure cambiassero i nomi. E ci sta bene così.
Abbiamo quello che ci meritiamo
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UNA QUESTIONE DI MANI
nelle condizioni di avere
bisogno di una mano.
In genere qualcuno c'è.
Io ne ho avuto bisogno.
Le mani ci sono state.
Adesso le mie,
assieme a quelle
di tanti altri,
sono nel
"Blog for Africa".
Lo trovate qui accanto,
a sinistra.
In attesa di altre mani....
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