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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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LE "CLASSI" E LE "CASTE" ANTIDEMOCRATICHE

Post n°1013 pubblicato il 25 Febbraio 2021 da rteo1

LE "CLASSI" E LE "CASTE" ANTIDEMOCRATICHE

 Se si scrive per dare delle soluzioni allora vuol dire che l'autore è giunto al suo capolinea ed è il momento di non scrivere più. Diversamente, invece, quando si scrive per trovare prima di tutto in se stessi e per se stessi una spiegazione degli avvenimenti del mondo e per invitare i destinatari dei propri scritti (i lettori) ad una profonda riflessione sugli accadimenti. È certamente questa seconda ragione che spinge i collaboratori della Rivista Nuovo Meridionalismo. Nessuna soluzione definitiva, quindi, ai dilemmi della storia politica e umana degli italiani ma lo stimolo ad interrogarsi per uscire dal guado e vedere le prime luci dell'alba dopo il lungo periodo delle tenebre. E allora bisogna incominciare col dire che non c'è alcuna possibilità di sottrarsi alla ciclicità degli eventi naturali. Tutto è in movimento, e per fortuna, occorre dire, perché altrimenti sarebbe la fine di tutto. Nulla, infatti, nell'universo sta fermo, ma tutto è in "cammino", e l'inizio della vita continua passando per la sua trasformazione grazie alla quale tutto si rinnova, ossia "risorge". Questo processo "evolutivo" ricomprende tutto. Non lascia nulla al di fuori di sé. Gli uomini s'illudono di governare questi processi universali ma è soltanto illusione, così come è illusione, per la falsa rappresentazione della realtà, quella di lasciare in eredità ai posteri i propri monumenti alla memoria, che non sono altro che le "cattedrali nel deserto". Si tramanderanno, invece, e di sicuro, le "informazioni", e la prova più evidente è data dall'esistenza del DNA (e RNA), ossia del codice genetico che passa da una generazione all'altra. Per ora, però, in questa occasione, credo che sia opportuno limitare la riflessione al campo politico, che costituisce la migliore "fonte" immaginata dagli esseri umani per organizzare la vita associata. Come a tutti noto le forme di governo sperimentate nel tempo e a tutte le latitudini e longitudini sono state le più disparate. I Re, sono stati la più antica soluzione adottata dagli ordinamenti primitivi (e ancora se ne rinvengono nelle società contemporanee, e anche in Europa). Anche le assemblee hanno avuto un ruolo, sia costituite in modo elitario (oligarchie) sia in modo da ricomprendere tutti i cittadini, i Parlamenti. Dal secondo dopoguerra questi ultimi hanno avuto un ruolo centrale e la democrazia è stata la forma di governo adottata in occidente. La "democrazia", però, non è ancora riuscita ad affermare e attuare in modo compiuto il suo principio fondamentale, ossia il principio dell'eguaglianza reale, sostanziale, effettiva. Come mai ? perché la forma di governo "del popolo, dal popolo e per il popolo" (come la definì A. Lincoln a Gettysburg) ha finora mostrato tutti i suoli limiti, tanto da essere messa in discussione ? Bisogna allora dire che il "difetto" non è nella democrazia, che è uno strumento politico, così come non è nella monarchia o nell'aristocrazia (od oligarchia, oggi riferita e limitata ai "tecnici"). Il "difetto è, invece, nel suo autore: l'essere umano. È questi, infatti, difettoso sin dall'origine, pertanto non è assolutamente possibile che un essere difettoso possa realizzare un progetto (politico) che sia privo di difetti. La forma di governo democratica, perciò, rispecchia, è la proiezione, dell'essere difettoso, ossia dell'uomo, del "Popolo". Tuttavia tale progetto può essere migliorato, ma il processo deve passare attraverso la "manutenzione" dell'uomo. Solo quando questi, infatti, sarà riuscito a vincere contro l'ingordigia del proprio corpo e l'idolatria dell'Io, a controllare le emozioni e la ragione, con l'approdo al superiore livello di conoscenza, allora sarà anche possibile realizzare una "democrazia" dell'eguaglianza, o con il minimo di discriminazioni sociali. Si tratta certamente di una impresa che richiede impegno e capacità non comuni, sostenute da una sorta di spiritualità d'animo e intellettuale. Osservando oggi la forma democratica italiana si rileva che essa è lo specchio di una miriade di classi e caste che si lottano per occupare le leve del potere di governo. La "maggioranza" e la "minoranza" parlamentare (e sociale) costituiscono due fronti d'interessi in perenne conflitto. Nessuno dei due "eserciti politici" ha come obbiettivo "sostanziale" l'interesse generale, seppur propagandato e sbandierato, e ciò è l'inevitabile conseguenza della divisione per classi e caste dei cittadini (esclusi i disoccupati e gli emarginati, fintanto che non si costituiranno anch'essi in associazioni, o classi). Facciamo, allora, un breve excursus. La vigente Carta costituzionale ha avuto lo scopo di "pacificare" il popolo italiano e di gettare le basi per una nuova organizzazione dei rapporti sociali e politici da costruire sui pilastri della Repubblica democratica e sulle macerie della precedente monarchia e del fascismo. È stato detto che un ordinamento giuridico nasce per evitare che i cittadini vengano alle armi (ne cives ad arma ruant), come hanno tramandato gli antichi legislatori dell'impero romano. Eppure questa esigenza di impedire la "guerra" tra i cittadini non ha mai trovato un'adeguata e definitiva soluzione legale, neppure col concorso dei princìpi e regole etiche e religiose. Infatti, nella realtà è costantemente accaduto che nella vita associata il conflitto, sia all'interno delle comunità (locali e nazionali) che all'esterno (tra Stati), è stato una costante ineliminabile, all'ombra della quale hanno continuato a godere dei privilegi i diversi gruppi sociali organizzati, che hanno sottomesso gli altri gruppi e i singoli meno organizzati o privi di potere sociale e professionale. L'avvento della "democrazia" nelle istituzioni, col riconoscimento teorico della sovranità al popolo, aveva illuso molti cittadini i quali avevano creduto che finalmente fosse stata trovata la "panacea politica" nel cosiddetto principio di "eguaglianza". Ma il tempo ha reso palese che non esiste alcuna formula magica, almeno finché non cambierà ed evolverà l'essere umano. È quest'ultimo, infatti, come già sopra detto, il vero problema ma anche la soluzione, per organizzare una "Comunità di eguali, seppur nella differenza" dei ruoli, funzioni e compiti sociali e politici. Purtroppo finora non si è riusciti a realizzare una Comunità in cui ognuno dia il meglio di se stesso per il benessere generale ("progresso materiale o spirituale", secondo il principio dell'art.4, co.2, della Costituzione), senza pretendere in cambio un differenziato riconoscimento economico personale e qualche titolo onorifico per distinguersi dagli altri. Il tema è antico, e finora irrisolto. Anche Aristotele rifletteva sull'eguaglianza, e ne proponeva una versione proporzionata o secondo il merito. Non vi è dubbio che il "merito", che valorizzi le capacità e le competenze dei singoli cittadini, sia un elemento essenziale per l'attribuzione dei ruoli e delle funzioni (anche i Greci che attribuivano gli incarichi pubblici mediante l'estrazione a sorte si resero conto che per non perdere le guerre occorreva affidare la carica di comandante dell'esercito a colui che ne avesse le capacità e qualità, il Polemarco) ma questo non implica automaticamente un particolare e differenziato trattamento economico. Indubbiamente è difficile, soprattutto oggi, in un sistema di tipo capitalistico, in cui si rapporta tutto e solo al danaro (anche la moralità e il rispetto sociale), accettare un principio che tenga distinti il merito (ossia la selezione per l'attribuzione delle funzioni in base alle capacità) dal corrispettivo economico, tuttavia se si riuscisse ad accettarlo forse la società farebbe un salto culturale ed evolutivo e così, finalmente, potrebbe a buon ragione essere definita Comunità. Ed avrebbe senso anche parlare di "Unità" dei cittadini (o della "nazione"), che certamente non può esistere finché anche un solo cittadino non abbia le risorse necessarie per una vita dignitosa e decorosa. E anche la "coscienza", da tutti evocata ma anche ignorata, ne trarrebbe beneficio. Occorrerebbe, perciò, iniziare a cancellare dal lessico sociale i termini di "maggioranza" e "minoranza", relegandoli al solo ambito delle deliberazioni politiche, e sanzionare (almeno civilmente) le espressioni che richiamino il concetto di "Classe". In particolare quando con "classe" si evochi l'idea gerarchica e piramidale della società, come spesso usano fare alcuni dirigenti pubblici ed eletti del popolo ("classe dirigente"), per marcare la differenza dagli altri "non Classe" perché "non dirigenti", anziché considerare questi ultimi alla stessa stregua, dal momento che "ognuno eccelle in una sola cosa" e "tutti hanno bisogno di tutti" in una Comunità-statale. Non vi è dubbio che la "differenza" dei cittadini esista, dal punto di vista naturale,  nei fatti, nella realtà che appare: C'è chi è alto, chi è basso, chi è grasso e chi è magro; chi è malato e chi è sano; chi è bianco e chi è nero; chi muore giovane e chi vive oltre cent'anni (per quanto sia del tutto irrilevante la durata ma sia invece importante l'intensità, la profondità, l'ampiezza, ovvero vivere la vita in senso pieno e compiuto, come accade per le Effimere - Efemerotteri -, che nascono, crescono, si riproducono e muoiono nell'arco di ventiquattrore). Detta differenza fisica, naturale, però, non ha nulla a che fare con quelle sociali e politiche, che sono, invece, disciplinate dalle regole convenzionali e, perciò, sono nell'assoluto dominio delle leggi degli uomini. Sono gli uomini, perciò, che con i propri artifici, con i propri strumenti legislativi (la "bibbia" degli umani), possono, se solo lo volessero, eliminare (o almeno ridurre all'insignificanza) l'ineguaglianza materiale tra i cittadini. L'art. 3 della Carta costituzionale sancisce il principio che "Tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali". Non si rivengono nell'elencazione le Caste e le Classi che oggi costituiscono una delle cause della degenerazione del regime democratico e dell'intero tessuto connettivo della società. È utile sottolineare che secondo una generica definizione la "Casta" è un sistema chiuso perché l'appartenenza ad essa dipende dalla nascita, mentre la "classe" è un sistema diffuso nelle società industrializzate che si basa sulle differenze economiche degli individui. Un'analoga definizione («La razza può essere un concetto fluido e superficiale, la casta è rigida e profonda») si rinviene nel saggio Caste, di Isabel Wilkerson, che raffronta due democrazie, quella americana e quella indiana, per metterne in evidenza le notevoli contraddizioni, giacché nella prima non è stato risolto il problema della "separazione razziale" e nella seconda non è stata superata la rigida regolamentazione per legge delle caste. Sono di tutta evidenza, perciò, le ipocrisie e incoerenze dei regimi di governo democratico, che pure hanno fatto (soprattutto a parole) del principio dell'eguaglianza dei cittadini il proprio segno distintivo, per marcare la differenza, per segnare il solco, con le satrapie orientali, le dittature dell'est europeo e asiatiche. Vale la pena, comunque, sottolineare che la distinzione tra "Caste" e "Classi", innanzi evidenziata, "fotografa" una situazione cristallizzata che però non tiene conto della loro origine sociale e della dinamica nel tempo. Non vi è dubbio che la "Casta" sia un sistema chiuso, che tende a "cementare" l'ordine pubblico avversando qualunque riformismo progressista e mobilità sociale, ma essa prima di diventare "casta" è stata classe. L'appartenenza per nascita, infatti, arriva dopo, quando cioè la "classe" si è assicurata il potere di trasferire per successione familiare i propri patrimoni e privilegi, anche occupazionali (soprattutto nello Stato e negli enti pubblici). Infatti, i politici della Repubblica democratica e tutti i vari e diversi "dirigenti" pubblici (per fare qualche esempio), non sono nati come "Casta" ma lo sono diventati mediante l'utilizzo di strumenti associativi (di tipo corporativo), che seppur da una parte costituiscano la migliore espressione delle libertà fondamentali, tuttavia in molti casi sono diventati degli strumenti per esercitare il potere sociale e politico. Ecco, allora, perché, si renda necessario contrastare (e "punire", se necessario, per l'avvenire) le "Caste", e prim'ancora le "Classi", che ne costituiscono l'embrione, se si vuole mettere al riparo la forma di governo democratico e dare origine a una Comunità, che sia realmente unita e solidale. Certamente oggi appare come un'impresa quasi impossibile, tuttavia tentar non nuoce. Occorrerà somministrare un efficace "vaccino sociale" che impedisca ad ogni associazione di degradarsi e degenerare in "classe" perché questa inevitabilmente è destinata a trasformarsi in "Casta", che è un "veleno sociale" in grado di distruggere il principio di eguaglianza e la stessa democrazia.

 
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