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« LA GUERRA È INEVITABILE ?UN BUON STATISTA EVITA LA GUERRA »

L'UMANO E IL SOVRUMANO

Post n°1058 pubblicato il 03 Maggio 2022 da rteo1

(Devo precisare meglio...)

L'UMANO E IL SOVRUMANO 

«Beati coloro che, pur non avendo visto, crederanno» (Gv 21,29). La scienza, invece, si fonda sulle prove che soprattutto dal secolo dei lumi in avanti hanno consentito di comprendere anche l'origine dell'universo e la sua evoluzione. Molte cose, tuttavia, ancora si ignorano, ma ormai la strada della scienza è stata tracciata e la tecnologia l'aiuta a scoprire anche i segreti più microscopici della natura. Prima o poi altre scoperte si aggiungeranno a quelle finora conseguite e il genere umano farà un ulteriore "salto evolutivo" (salvo che la sua "follia" non lo riporti all'età della pietra o alla scomparsa definitiva). Così com'è avvenuto con  le teorie della relatività sia ristretta che generale di Einstein e nei tempi più recenti con la teoria dei quanti. L'importante è che i "custodi" della "fede" non divengano intolleranti così come lo sono diventati molti governanti, anche spacciatisi per "liberali e democratici", e sia sempre consentito al "pensiero" di essere "libero" di procedere verso (o dentro) la "verità". È solo il "libero-pensiero", infatti, che eleva l'uomo e gli consente di pensare (le idee) e di comprendere "l'Assoluto" che è in sè, oltre che capire quanto a volte siano "miseri" gli umani, anche incaricati di responsabilità piramidali. E forse è proprio per impedire che questo accada, cioè che l'uomo divenga consapevole di sé e conosca meglio i suoi simili, che si tende ad imporre sempre il "pensiero dominante" come "unico" e a reprimere quello delle minoranze. Tutti i governanti e gli ordinamenti giuridici, perciò, inclinano ad ostacolare o impedire, con il perimetro spesso angusto della "legalità", il libero esercizio del pensiero. Anche di quello del mondo dell'arte, della scrittura e, in particolare, a marginalizzare l'ispirazione dei Poeti, che uscendo dagli schemi sociali artificiali riescono a cogliere "il senso" che sta oltre il reale. Epperò più una società coltiva il libero-pensiero, lo premia, lo valorizza, e più esce dalla "caverna" di Platone, soprattutto quando questa soluzione possa condurre a mettere in discussione le arbitrarie diseguaglianze sociali ed economiche e le caste e classi oligarchiche. Uno dei dilemmi che da sempre manda in corto circuito il pensiero è quello che concerne il concetto di "essere" e di "non essere". Non si tratta di un semplice esercizio "intellettuale" ma è la via della ricerca dei fondamentali, mediante i quali si potrà ritenere l'uomo simile alla scimmia (e agli altri animali e vegetali) oppure vicino alle divinità (senza escludere, ovviamente, anche una via di mezzo). Secondo Parmenide "l'essere è, e non può non essere. Il non essere non è e non può essere". Dopo circa due millenni e mezzo di speculazioni filosofiche E. Severino decideva di "Ritornare a Parmenide" per spiegare che il "divenire" non vuol dire "andare nel nulla" (perché gli "eterni" sono e restano "eterni") ma entrare e uscire dal "cerchio dell'apparire". Quindi, a suo avviso, tutte le cose (uomini inclusi, ovviamente) sono degli eterni, che non vanno mai nel nulla. L'essere, perciò, con tale "interpretazione", non diventa "non essere", e si salva così il "principio aristotelico di non contraddizione". Ma se questo è, com'è, soprattutto un problema filosofico, ontologico, il vero problema umano, invece, e forse il più rilevante, è quello di capire se gli umani siano o meno in rapporto con l'Essere (posto che esista). Inoltre, stabilire se ogni umano sia abitato dall'essere oppure se l'essere sia un assoluto, indifferenziato, illimitato ed eterno, col quale l'umano può entrare in relazione mediante "esercizi spirituali". In altri termini, nel primo caso l'essere sarebbe parte di ogni umano  (da ciò essere-umano), mentre nel secondo sarebbe esterno, un assoluto. Comunque, in entrambi i casi il mezzo di collegamento è il "pensiero". È soltanto questo, infatti, che  consente di "dialogare" all'inyerno di se stessi oppure all'esterno, immaginando l'esistenza di un mondo ultraterreno.

Ma il differente atteggiamento non è privo di significato, perché  se si accetta l'idea che gli uomini siano solo natura, allora nulla quaestio, e tutto ne deriva di conseguenza; diversamente, invece, bisogna necessariamente argomentare per trovare il filo di Arianna che dall'uomo conduca al divino, all'Essere, all'Assoluto. Certamente una ricerca non facile, le cui "conclusioni" lasceranno comunque aperta la strada del dubbio, almeno finché non ci saranno prove certe che solo la scienza potrà dare. Bisogna, allora, iniziare l'indagine, a partire dall'Assoluto, precisando che quest'ultimo è inteso come "il tutto indifferenziato", e non come la sommatoria delle parti del tutto, del molteplice e variegato universo-mondo. Tale "Assoluto", però, non rimane "Assoluto" ma, secondo il "comune" sentire, percepire e vedere, si "manifesta" nel mondo fenomenico, e uno dei mezzi preferiti è il "libero-pensiero", unico strumento capace di accedere al "mondo delle idee", anche immaginato da Platone. L'Assoluto, quindi, secondo questa interpretazione, necessita della mediazione del "libero-pensiero". Non semplicemente del pensiero, ovviamente, ma di quello "libero", ossia privo di qualsivoglia condizionamento di qualunque natura, perché soltanto il "libero-pensiero" è degno di relazionarsi, mediante le idee, con l'Assoluto. Perciò commettono una "dissacrazione", un gravissimo "crimine intellettuale", e quindi contro l'essere-umano, tutti quegli ordinamenti politico-giuridici che non facciano di tutto per eliminare tutti gli ostacoli che impediscano al pensiero, anche di fatto, di essere "libero". Il "libero-pensiero", quindi, veicola nel mondo fenomenico le idee, che sono riconducibili all'Assoluto. Ma qui si manifesta il primo grosso problema: le idee si concretizzano in modo contraddittorio, secondo una dialettica conflittuale, come manifestazioni "relative". E anche il mitizzato "logos" non sembra essere "comune", bensì individuale, così come la c.d. "ragione", sempre accompagnata dalla "follia", anche collettiva dei Popoli e delle Nazioni. Come si può spiegare tutto questo ? Le soluzioni sono due: la prima si fonda sulla convinzione che le idee non abbiano alcun collegamento esterno, ma solo interno allo stesso soggetto pensante, e che tutto avvenga secondo un modesto, per quanto complesso, processo biochimico. La seconda, invece, tende ad esaltare le idee, ritenendole espressioni dell'Assoluto che attendono di concretizzarsi e che la "relativizzazione" dipenda soltanto dall'essere-umano. Trascuriamo la prima, qui, in questa sede, senza escluderne, però, la fondatezza, e seguiamo invece la seconda, ma senza alcuna validità dogmatica, ben consapevoli dell'opinabilità della tesi. E così postuliamo che è l'essere-umano che fa la differenza, a seconda che si comporti più come "essere" anziché più (o solo) come "umano". È infatti soltanto la sua parte come "essere" che consente  al pensiero di "penetrare" e "collegarsi" con l'Assoluto mediante le idee, mentre l'umano, privo o lontano dal suo essere, avvinto dalla selvaggia natura, diviene "relativo" e contraddittorio rendendo conflittuali le idee. D'altronde non potrebbe essere diversamente perché quando l'umano si dissocia dal suo "essere" primeggia la sua natura animale e diventa "relativo", perciò limitato, essendosi temporaneamente differenziato dall'universale. Di conseguenza egli non può che "relativizzare" l'Assoluto, così come accade mediante la "creazione" di ordinamenti e istituzioni in sé "relativi". I quali, relativizzandosi, si manifestano mediante l'apparente conflitto degli opposti, che tuttavia è necessario al "divenire"; e che rispecchia anche la dualità della psiche umana, e dell'essere materia ed energia. È questa doppia personalità, duplice "anima", dell'uomo, perciò, che concretizza il conflitto degli opposti perché nell'Assoluto tali opposti non esistono, essendo l'Assoluto un Tutt'uno indistinto, indifferenziato, illimitato. Ed è per questo che la dinamica del conflitto tende alla "riunione" e al ritorno all'Assoluto. Con questa interpretazione risulta possibile trarre anche un buon "modello mentale" da seguire per vedere sotto una diversa ottica tutti i processi umani, soprattutto quelli che hanno ad oggetto la politica, come ad es. le idee di libertà, eguaglianza, equità, giustizia, umanità, democrazia, ecc., le quali pur essendo parte dell'Assoluto tuttavia, essendo pensate dall'umano (il "relativo") che le fa "entrare" nella realtà concreta, subiscono l'inevitabile "relativizzazione". E a seconda di quanto l'umano sia o meno "congiunto" o "collegato" col suo "essere" tali "idee" si avvicinano o si allontanano dalla fonte dell'Assoluto, fino a porsi persino in contrasto con l'essere quando gli "umani" avversino e neghino tali "idee" nel proprio mondo od ordinamento civile. Ogni "Assoluto", perciò, nel concretizzarsi, uscendo dall'indeterminato e dall'illimitato, diventa si "determinato" e "limitato" ma è condizionato dal "mediatore" che lo pensa e lo veicola, o come "essere-umano o come semplice "umano". L'Assoluto, perciò, che "pensa" l'umano non è altro che un "relativo" degradato, degenerato, ben diverso da quello "pensato" e concretizzato dall'essere-umano. Per restare, perciò, aderenti all'Assoluto è necessario che l'umano rimanga congiunto al proprio "essere" e sia libero il suo pensiero, ossia non condizionato e soggiogato dalle contrastanti pulsioni dell'Io e della specie. La "relazione" tra "l'Assoluto, mediato dal  relativo", può essere utile per "spiegare" anche i rapporti tra il "mondo delle idee" e quello "reale" che concretizza tali idee; inoltre, può consentire di dimostrare (seppure indirettamente) sia l'esistenza dei "due mondi" (immateriale e materiale) sia il loro costante e continuo collegamento mediante il ciclo del "divenire". Indubbiamente l'impresa rasenta l'impossibile ma la ricerca della "via della verità" mediante il "libero-pensiero" non è mai vana perché consente di affermare il principio della libertà e del valore della conoscenza, in linea con ciò che scrisse il "sommo Poeta": «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza». E così è possibile avere ulteriori argomenti per capire se l'uomo sia solo "materia", seppur dotata di pensiero, oppure se, grazie a quest'ultimo, egli sia anche "altro". Dal nostro patrimonio culturale si trae che nella complessità della natura esiste anche la specie umana nella sua molteplicità e varietà. Dalla specie conosciamo l'umano, come è rappresentato e si presenta nel mondo fenomenico. Egli però è anche definito "essere-umano", che si differenzia  dal semplice "umano", soprattutto quando opera nelle società istituzionalizzate. Appare evidente che tale "essere-umano" abbia delle specificità rispetto a tutti gli altri "esseri-viventi" e, almeno nella forma e nel pensiero, si distingue anche all'interno della sua stessa specie. Nella quale, a causa della dinamica conflittuale che deriva dal pensiero non libero, le idee si manifestano mediante gli opposti, che scatenano irrazionali conflitti ciclici, anche armati, alternando la guerra con la pace, la distruzione con la ricostruzione, la follia con la ragione. Ma tutto ciò, come disse Krishna al re Arjuna che esitava a combattere per evitare la guerra, è comunque "relativo" al solo mondo fenomenico e non rispetto all'Assoluto. I. Kant distingueva il fenomeno, ossia il manifestarsi delle cose, e "la cosa in sé". Come se questa fosse "altro" rispetto alla cosa materiale, al corpo, alla forma. In altri termini, una sorta di "essenza". Come il corpo e l'anima di Platone, o la res cogitans e la res extensa di Cartesio. Schopenhauer individuava tale "cosa in sé" con la "volontà di vivere" di tutte le cose e Nietzsche sosteneva che quest'ultima - da intendersi come "volontà di potenza" - deve essere sempre affermata nel momento in cui se ne abbia la possibilità, senza mai rinunciarvi. La separazione del "corpo" rispetto all'anima, allo spirito, così come la materia rispetto all'energia, sembra non corrispondere più alle recenti scoperte scientifiche. L'uomo, quindi, sarebbe un tutt'uno, e non solo, ma sarebbe anche "dentro il mondo" e non "fuori dal mondo". Non un semplice osservatore, perciò, ma parte attiva e passiva del mondo. L'essere-umano, quindi, può continuare ad esprimersi come "essere", collegato all'illimitato (Àpeiron, di Anassimandro), da cui è uscito per "entrare" nel mondo reale, oppure può agire come "umano" secondo la sua natura. Dipende da lui la "scelta": osservare le stelle o guardare il suolo. Solo l'umano può decidere se conservare in sé il suo "essere", oppure allontanarsene e porsi in contrapposizione all'Assoluto, ove tuttavia dovrà fare comunque ritorno, perché è il prezzo da pagare per essersi differenziato dall'illimitato. L'essere-umano dotato di "libero-pensiero", quindi, e non l'umano, ha in sé, durante la sua esistenza, la duale soggettività sia di "essere" che di "umano", come energia-materia, o spirito-materia, e pur essendo entrato nel "divenire" sospinto dalla "freccia del tempo" rimane comunque sempre ancorato con il "mondo sovrasensibile" di provenienza, che è il mondo dell'Essere, dell'Assoluto. E tale "legame", che rimane "indissolubile, fino al ritorno all'origine, consente all'essere-umano anche di potersi" trascendere mediante il "libero-pensieo", concretizzando i "valori" dell'Assoluto, impedendo (o limitando) gli "opposti" (bene e male, pace e guerra, odio e amore,ecc.), perché nel "Tutto", nell'assoluto, nell'illimitato e indifferenziato non esiste alcuna "contrapposizione". Mentre invece l'umano, il "relativo", è destinato ad alimentare la "contrapposizione" (il conflitto eracliteo), che è in se stesso e costituisce il "motore del divenire" (la freccia del tempo) necessario alla "riunione" nel luogo dell'origine di tutte le cose. È il restare naturalmente "umani" abbandonando il proprio "essere" che impedisce di concretizzare le idee dell'Assoluto influendo su tutte le "produzioni" umane, anche di natura politica, come  gli Stati e tutte le altre sovrastrutture costituzionali. Pertanto, finché l'umano non s'impegni a recuperare il suo "essere-umano" sarà inevitabile il trionfo del "relativismo" conflittuale e distruttivo, ma ciò potrà avvenire soltanto mediante il "libero-pensiero" perché soltanto questo consente di "pensare" all'Assoluto e di realizzarne le idee nel mondo fenomenico impedendo alle pulsioni naturali di alimentare gli opposti che non fanno prevalere il bene e la pace nelle Comunità e tra le Nazioni.

________

Relativamente al "relativismo" ritengo che la "verità" sia solo quella che ponga l'uomo nell'insieme, e non al centro come ancora si pretende d fare. Infatti è proprio la sua collocazione al centro e al di sopra, come osservatore e non come compartecipe, che fa emergere la necessità dell'assolutismo. Invece è tutto e solo "relativo" perché proviene da un essere relativo. Protagora sosteneva che "l'uomo è la misura di tutte le cose", e aveva ragione. Solo in parte ? può anche darsi, ma di certo è che l'assolutismo è anch'esso un relativismo percè è il prodotto della convinzione di una entità relativa. Certamente pensare all'assoluto, al Tutto, che è anche molteplice e diversità, fa bene e bisogna coltivare tale ricerca ma occorre evitare ad ogni costo di assolutizzare anche le proprie convinzioni per combattere il relativismo. Evitare, perciò, fondamentalismi tra i convinti che tutto sia relativo e coloro che, invece, siano convinti che l'uomo debba tendere all'universalità. Ma bisogna comunque stare attenti perché anche l'universalità potrebbe essere relativa.

 

 
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Commenti al Post:
ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 03/05/22 alle 21:57 via WEB
Per Socrate il male era semplicemente frutto dell'ignoranza, generato e determinato dalla mancanza di conoscenza del bene. In quest'ottica, quindi, nessuno compirebbe mai il male volontariamente e la virtù sarebbe indisgiungibile dalla conoscenza. Pur essendo pienamente consapevole che gli uomini si possano trovare - e di fatto si trovino - in disaccordo sul bene e sul male, sul giusto e sull’ingiusto, credeva comunque nella possibilità di criteri validi per la distinzione del bene e del male. Per Platone, poi, il "bene in sé" si trovava esattamente nel punto di incontro tra il soggetto e l'oggetto: un'esperienza mistica indisgiungibile dalla la ragione. Da un punto di vista puramente spirituale e cristiano, Sant'Agostino sosteneva che la grazia della deificazione si compisse nell'eternità (e non in questa vita) per grazia e non per natura: durante il nostro iter terreno, quindi, ci sarebbe soltanto un inizio ma non il compimento di questo processo ed anche Giovanni della Croce parlò di un uomo dalla chiara connotazione divina, tanto da po­terlo definire "Dio per partecipazione". Nell’illuminazione zen, poi, la scoperta vera non sta tanto nel vedere Budda, ma nell'essere Budda (e scoprire che Budda non è quello che le immagini avevano fatto credere). L'esperienza esicastica potrebbe condurre alla duplice consapevolezza di affermazione della trascendenza di Dio (del suo carattere inaccessibile, non partecipabile nella sua essenza) ma al contempo anche di affermazione della vicinanza di Dio nella sua immanenza, vale a dire della sua presenza in ciascuno di noi, nella divinizzazione reale dell’uomo attraverso le Energie del Verbo. Quindi che il Bene in sé sia (anche, parzialmente) all'interno dell'uomo e possa essere realizzazione dell'umano in sé, è una prospettiva certamente consolidata almeno da un punto di vista filosofico e spirituale. Da un punto di vista politico, naturalmente la pace è l'espressione migliore del bene; ma le disparità, l'abuso di potere e le prevaricazioni allontanano l'uomo dalla tensione verso il bene e dalla sua conseguente realizzazione piena, come essere in sé. Non so dirti quanto lunga e come sarà la strada che condurrà le prossime generazioni verso la realizzazione del "bene in sé", né posso dirti se sarà un'umanità di individui progressivamente tesi verso il bene o se se ne discosterà, scoprendosi più prossima ad una realizzazione del "male in sé". L'unica cosa che posso, anche qui, affermare è che nessuno può sentirsi deresponsabilizzato, perché i gesti sono contagiosi e le idee di ognuno di noi sono semi che fioriscono, in un modo o in un altro; ma scegliamo tutti noi quale impronta dare all'“effetto onda” che si propagherà nel mondo.
(Rispondi)
 
rteo1
rteo1 il 04/05/22 alle 09:08 via WEB
Apprezzo molto il tuo contributo intellettuale. Mi dà lo sprone per perseverare nella mia opera "eroica" di "immaginare un mondo umanizzato". Tu dici (sintetizzo)che sul piano filosofico e religioso il "bene in sé" è ormai un concetto acquisito, e che è in ritardo la politica e la cultura di massa. Sono d'accordo, così come condivido che "ognuno di noi è un seme che può fiorire". E che possa essere così già lo dimostra questo nostro "dialogo". Hai citato una parte della storia filosofica e della Chiesa, che certamente vanno tenuti a memoria per il loro contributo. Altri non sono stati richiamati, ma hanno dato altrettanti contributi (penso, tra i tanti, a Spinoza, G.B. Vico, Schopenhauer, Hegel,ecc.perchè l'elenco è lungo).Noi, comunque, abbiamo ricevuto la loro "eredità", con la possibilità di "aggiornare" le loro conclusioni. La scienza, che ha in sé anche qualcosa di "divino" (il Mistero che si rende manifesto, per dirlo col tuo linguaggio esoterico) ci sta rappresentando un universo in accelerazione e in espansione, mentre a livello subatomico abbiamo scoperto il mondo quantico dell'indeterminatezza. Siamo ben lontani, perciò, e per fortuna, dalla teoria Tolemaica, anche se non sono stati ancora onorati i tanti Illuminati (penso a Giordano Bruno) messi al rogo dalla superstizione di alcuni religiosi e dalla stupidità di molti umani. Restano, come già accennato, solo i ritardi della politica e della cultura di massa. Lo so che non è poco, dal momento che sono proprio i due ambiti sociali più rilevanti affinchè si abbia una "evoluzione" come quella auspicata, della realizzazione dell'umano in sé mediante il bene in sé. Ma non bisogna perdere la speranza né la pazienza. Prima o poi i lumi torneranno. E' difficile non capire, stando all'attualità, che la Pace sia il "bene" (umanamente parlando) e la "guerra" sia il "male",la distruzione, l'imbarbarimento, l'esaltazione del peggio della psiche umana. Certamente nel subconscio coabitano sia il male che il bene, perchè entrambi sono elementi fondanti dell'uomo e di tutta la natura, ma questa consapevolezza potrà essere utile per scegliere "da che parte stare" (questa volta si può dire, e non come stoltamente sta imponendo la maggioranza dei cittadini che semplifica tra i pro Ucraina e i contro la Russia). La dinamica storica degli "stati", a partire dai clan familiari, alle tribù, ai villaggi, alle polis, ecc., ha consentito di registrare che tutti gli organismi politici amplificano la propria volontà di potenza, che è la sintesi delle singole volontà fuse tra di loro. Tale volontà si esprime sempre e solo con il "monopolio della forza fisica" (le armi, con gli eserciti, le polizie, ecc.). Bisogna, perciò, iniziare a depotenziare, disarmare, debilitare, gli stati nella loro "potenza armata" per indirizzare tale "potenza" verso la Pace. L'unico organismo politico e interazionale che possa lavorare in tal senso è l'ONU, ma per poter operare per il cambiamento è necessario democratizzarlo abbattendo il privilegio dei cinque stati detentori del diritto di veto e dandogli la "forza" necessaria per garantire l'ordine e la sicurezza internazionale e il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli, in un'ottica di mondo globalizzato e non chiuso in tanti piccoli recinti statuali.
(Rispondi)
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