Creato da christie_malry il 25/07/2013

Empire Of slack

Un poeta non è nulla se non l'ombra di sè stesso

 

 

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Di quanta terra ha bisogno un uomo. I.

Post n°144 pubblicato il 15 Dicembre 2015 da christie_malry







La terra. sempre la terra. Buona o cattiva, larga o una fettuccia, Zoltan e Istvàn
la stavano guardando da un buon quarto d'ora mentre il padre si accordava
con il padrone di quegli ettari. Il loro compito non era difficile: costruire una
stamberga al centro della terra, una presentabile baracca per gli attrezzi e
il dismesso. Loro, che avevano una piccola ditta edile insieme al padre
Lajos e allo zio Ferenc. Ma Loro stavano fissando incantati la terra. Piantata
a vigneti sauvignon e sterminata. Una terra che correva ansimante a perdita
d'occhio e si smarriva agli estremi confini della loro visibilità. Mai avevano visto
qualcuno possedere tanta terra. Sedersi per terra e mettersi a tutti e quattro
i punti cardinali e non trovare la fine dell'estensione propria. E la terra emanava
un afrore di lavorativo e di efficiente: nessun odore sgradevole, nessun stallatico
o piantagione in disfacimento. Lì c'era la puntualità e la ricchezza, esattamente
in quel luogo cresceva e prosperava la buona pianta dell'economia domestica,
da quel luogo si dipartivano i condotti sotterranei che conducevano a una
centrale del Benessere. Altrove, da qualche parte, in un'altra terra. Zoltan
e Istvàn sentivano solo l'eco della discussione in corso fra il padre e il ricco
contadino, possessore dell'appezzamento. Ad un tratto udirono avvicinarsi
lo zio Ferenc alle loro spalle, e mettere le mani intorno ai loro fianchi, stringendo
tutti e tre in un abbraccio pensoso e debole. "Vista quanta terra? Il Signor Monti
ne possiede da qui fino a Marcabella. Impossibile dire quanti ettari siano, forse
non lo sa nemmeno Lui. E se lo sa non lo dice." Ferenc puntava i begli occhi
celesti ora in una direzione, ora in un'altra e intanto abbracciava i nipoti con
fare protettivo. Lui era un bell'uomo intorno ai quarant'anni, con i capelli
precocemente imbiancati e tagliati cortissimi, così che la sua testa sembrava
una scodella d'alabastro, il naso era schiacciato per via dei diversi incontri
che aveva sostenuto quando era pugile dilettante, e lungo le braccia si
dipanavano alcuni elaborati tatuaggi ormai sbiaditi dall'incuria e dal tempo.
Era pallido ma forte con mani larghe come pannelli solari e dita tipo
panetti rigidi di burro. Poteva metterti KO con un buffetto, lo zio Ferenc,
ei due gemelli lo sapevano bene. Ma possedeva anche un cuore d'oro ed
era, sostanzialmente, un uomo buono e generoso. Il Fratello, Lajos, lo
sapeva bene e si guardava bene dal contraddirlo tranne quando si trattava
di faccende lavorative. Allora imponeva la sua dignità di capo della ditta
e il suo carisma di parente maggiore. In quel caso Lajos aveva sempre
l'ultima parola. Ma in quei momenti sembrava che le trattative andassero
un po' per le lunghe. "Ferenc" si sentì chiamare. E lo zio si staccò dai
nipoti.





(Continua)





 
 
 
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