Rielaborazioni 3

Si chiamava Massimo. Eravamo in seconda liceo, e sin dal ginnasio mi ero convinto di amarlo. Gli anni sessanta, quelli della mia adolescenza, erano un mondo che non potete neppure immaginare se non l’avete vissuto, i Beatles, l’assassinio di J.F.Kennedy, del leader dei diritti civili Martin Luther King e il primo allunaggio, sono solo alcuni dei tanti accadimenti che hanno cambiato l’intera società scaraventandoci nei tempi moderni. In ogni caso, era il periodo delle prime proposte per la decriminalizzazione dell’omosessualità. Tutti al liceo, sapevano di noi due o tre omosessuali. Vi era curiosità, certo, condita da domande che oggi, educati per immagini da internet, sembrerebbero assurde: “Ma entra tutto?” era la seconda, sempre. Eravamo in una scuola statale, non in un collegio religioso dove vecchie tonache nel silenzio omertoso davano sfogo alla depravazione, vi era molta tolleranza e, sempre, molta buona educazione, tra ragazzi e insegnanti. In tre anni Massimo mi aveva concesso soltanto, una volta, durante la lezione di latino, di accarezzargli il polpaccio infilando la mano sotto i calzoni, gesto al quale era seguito un casuale sfiorargli il sesso diventato turgido. Saremmo potuti diventare buoni amici, non ci fosse stato di mezzo il mio desiderio, ma, lo avrete sperimentato, fra i quindici e i diciotto anni, saliamo uno dei gradini, che nella vita si susseguono portandoci alla consapevolezza e all’età adulta, la scala delle esperienze. Così un giorno, ricordo ancora, era un martedì, avevo appena terminato di leggere Kerouac, libro culto in quegli anni, dissi a Massimo che il venerdì successivo i miei genitori sarebbero partiti per un fine settimana nella capitale con rientro previsto per il lunedì pomeriggio. Massimo veniva ogni mattina a Milano dalla periferia, gli spiegai che da venerdì fino a lunedì mattino sarei stato solo a casa. Dato che casa mia era a dieci minuti a piedi dal liceo perché non venire a studiare e a dormire da me.
Alla proposta mi lanciò uno sguardo che già mi aspettavo. Gli promisi solennemente che non ci avrei provato, non lo avrei sfiorato neppure con un dito. Sarebbe stato mio ospite in tutto, pranzo e cena e ci saremmo recati nei locali di Brera popolati dagli artisti e da personaggi della politica. Massimo sembrava poco convinto ma io mi lanciai in una delle mie migliori interpretazioni: “Ti prego decidi di sì, fallo per quando saremo vecchi, ricorderemo un divertente fine settimana insieme da amici fraterni”.
“Un fine settimana, ma cosa dico ai miei?”
“La verità, che un compagno di classe ti ha invitato a casa sua. Non occorre specificare che il compagno è dell’altra sponda. E visto che tu credi in Dio questa buona azione non verrà dimenticata”.
Accettò e furono giorni meravigliosi. Fu la mia prima esperienza di vita di coppia. Massimo si era portato solo due paia di slip ma dato che avevamo la stessa taglia fui ben felice di prestargli tutto il mio guardaroba. Tutti gli indumenti da lui indossati non furono lavati, ma da me conservati in buste di plastica per conservarne odore e sapore e li indossai giorni dopo come in un indimenticabile e meraviglioso amplesso. Si dormiva insieme nel lettone dei miei, sfiniti da grandi discorsi adolescenziali sui massimi sistemi e sulla nostra incontenibile voglia di cambiare il mondo, ascoltando musica fino a tardi. Al mattino, sfiorandoci con mani e gambe, si studiava seduti al tavolo della sala, nel pomeriggio si usciva nel centro elegante di Milano che per Massimo era una continua scoperta. Sabato dopo cena gli chiesi se potevo lavargli la schiena, una schiena bella, forte, maschia, sensuale, le mie mani scorrevano ogni muscolo, le scapole, la spina dorsale. Dopo cercai una scusa per andare a masturbarmi, lui capì e mi disse di farlo lì e mi guardò mentre godevo della sua schiena appena toccata e del sapone che scorreva sulla sua pelle. Quella notte, verso le due, per sua iniziativa mi prese, con forte dolcezza, senza parole, posò il suo pene eretto alla mia schiena, lo fece scivolare e dopo averlo insalivato, si insinuò tra le mie natiche e spinse per entrare ansimando sul mio collo. E poi ancora la notte tra domenica e lunedì, a luci spente mi fece inginocchiare e me lo ficcò in gola fino a venire. Eravamo un po’ goffi, impacciati. Erano le prime scoperte sessuali. Nessuno di noi fece cenno di ciò che era accaduto, né le mattine seguenti né mai. Dopo il nostro fine settimana insieme tutto riprese come prima. Fino a tre giorni prima delle vacanze estive quando mi diede una busta chiusa, dicendomi di aprirla da solo. L’autunno successivo, ultimo anno di liceo, non era più fra gli iscritti. Né mai riuscii a rintracciarlo.
E adesso che il tempo è trascorso ed io sono vecchio, nei pomeriggi in cui la malinconia è come l’onda della marea, sfilo da quella busta la grande foto in bianco e nero di lui, nudo splendido e in eterno giovane come un eroe, Massimo fermato per sempre nel fulgore dei suoi diciotto anni, tutta la vita ancora davanti a sé piena di promesse e d’ignoto.

“Forse cercare significati fisici e metaforici è una maniera maldestra per capire cosa succede quando due esseri umani hanno bisogno non solo di stare insieme, ma di diventare così totalmente duttili che ognuno si trasforma nell’altro. Essere ciò che sono grazie a te. Essere ciò che era grazie a me. Essere nella sua bocca mentre lui era nella mia, e non sapere più se era il mio o il suo uccello che avevo in bocca. Lui era il passaggio segreto che mi conduceva a me stesso, come un catalizzatore che ci consente di diventare ciò che siamo, il corpo estraneo, l’innesto, il cuore di un altro uomo che ci rende più noi stessi di quanto non eravamo prima del trapianto”.

 

Nota: le rielaborazioni sono destinate ad un sito di racconti erotici.
In questo periodo in cui nulla accade aiutano a trascorrere il tempo.