La vie d’Adèle

di Adellatif Kechiche

Il film dura, per la precisione, 179 minuti, da me sofferti dal primo all’ultimo, in particolare alcuni tratti della vita di Adele (che ho sentito molto miei) come: i primi turbamenti vicino ad una compagna di scuola, la scena crudele delle amiche a scuola che l’accusano di essere lesbica e il senso di solitudine nel rapporto sentimentale che la spinge al tradimento. La struttura tecnica del film è particolare, ci sono primi piani strettissimi sulla protagonista, quasi il regista ne voglia scandagliare l’anima avvicinando, facendo penetrare lo sguardo attraverso la pelle… alla fine, devo ammettere, è soffocante, quasi viene voglia di alzarsi e allontanarsi, andare in fondo alla sala, guardare lo schermo da lontano per prendere respiro e io ero in terz’ultima fila. Kechiche fin dall’inizio indica la strada che intende percorrere (molto molto tortuosa) con la lettura in classe di ‘La vie de Marianne ‘ di Marivaux. La prima scena è, proprio, una studentessa che legge ad alta voce il romanzo “Me ne andavo con un cuore cui mancava qualcosa, senza sapere cosa fosse”, il professore incalza gli alunni domandando: “E che cosa vuol dire, che manca qualcosa nel cuore?”, si apre il dibattito a cui tutta la scolaresca, maschi e femmine, partecipa.

 La chiave di lettura sta, quindi, nell’evoluzione di un innamoramento, di un amore. Tutto il film è un punto di osservazione privilegiato di questa parabola. A prescindere dal sesso dei protagonisti, come è stato ribadito dal regista. (Riflessione: ma se i protagonisti fossero stati un ragazzo e una ragazza ci sarebbe stata una cassa di risonanza così ampia?).
 Ci si deve attenere a quella chiave di lettura anche perché se uno spettatore volesse sviluppare la storia di Adele ed Emma su un asse temporale si trova in difficoltà.
 Adele è al liceo vive con i genitori, si innamora di Emma.
 Poi per magia insegna (ma non doveva andare all’università?) e convive con Emma (i genitori sono completamente spariti, non ci è dato di sapere se Adele ha fatto coming-out ).
 Ad un tratto Adele si sente sola (per una serie di motivi comuni a tutti i rapporti affettivi omo/etero) e tradisce Emma, questa lo scopre e la butta fuori di casa.
 Passano tre anni (deduzione perché viene indicata l’età della figlia della nuova compagna di Emma) e Adele invita Emma a parlare in un bar, questa è una scena importante perché evidenzia il legame carnale delle due. Non è la prima volta che in un film che tratta di un legame lesbo viene inserita una scena di questo genere, è una scena violenta ed è un’invocazione di pietà al tempo stesso, per un amore finito e non finito, per qualcosa di irripetibile, per il chiedere di ricominciare, per il non sapere spiegare quel lacerante dolore dell’anima, ecco che nel cuore manca qualcosa e si comprende ora che cos’è.

Ci sarebbe tanto da dire, perché nelle tre ore viene toccato tutto, crisi adolescenziali, omosessualità, intolleranza, differenze di ceto sociale, le vocazioni artistiche e non, preconcetti, turbamenti, insofferenze, incoerenze, bulimia.

 Negatività:
 Non mi sono piaciuti i continui pianti, (forse perché io reagivo al dolore in maniera differente)

Sesso:
Le scene di sesso sbandierate su tutti i giornali sono molto tecniche. Nel senso che amore e passionalità sfociano nell’improvvisazione e nel gioco, qui han dato sfoggio di grande metodo, c’è il kamasustra completo, non hanno dimenticato nessuna posizione. Ho avuto la sensazione che oltre alla carnalità sbandierata dal regista c’è anche molta morbosità.

Circolarità:

La scena del colpo di fulmine quando Adele vede Emma per la prima volta. Emma ha i capelli blu. Quando l’amore finisce Emma ha i capelli normali. Adele nelle ultime scene del film indossa un abito blu, è pronta per un nuovo amore (arriverà il capitolo tre, come 1Q84 di Murakami? )

Incoerenza:

Su una rivista di cinema collocano la giovane Adele liceale alla fine degli anni novanta, eppure lei balla durante la festa del suo compleanno sulle note di I follow rivers, del 2011.

Annamaria – La Timida

Timida si è graziosamente presentata lasciando un breve saluto nella mia messaggeria. Abbiamo iniziato a dialogare parlando del tempo e di altre banalità.
– Facciamo quattro chiacchiere per conoscerci meglio …
Così mi aveva scritto. Poi mi era caduto l’occhio su un banner lampeggiante nel suo profilo che non passava inosservato
Shelt – C’è una cosa che mi incuriosisce, perché sul tuo profilo c’è scritto “Proprietà di xxx” ?
Timida – Perchè gli Appartengo…
Shelt (a volte afferro i concetti con lentezza) – Pratichi BDSM? Questo xxx è il tuo Master?
Timida (ma non troppo a quanto pare) – Abbiamo una relazione D/s
Shelt – La relazione di dominazione/sottomissione è reale o si tratta di scene?
Timida (puntigliosa) – La relazione D/s è reale. Il mio Master mi sta portando alla scoperta di questo mondo, mi sta istruendo ad essere una slave, risvegliando in me sensazioni intime mai provate …
Shelt (con una velata ironia) – Ti ha già donato il collare? Magari con la piastrina in argento?
Timida (ma calata nel ruolo di slave) – Si, certo. Donare il collare ha il significato di rendere consapevole  il bottom della sua nuova condizione. Io sono slave per rendere felice il mio Master.
Shelt (felice lui a darle mazzate, felice lei a prenderle) – E ti ha ‘donato’ anche un head harness?
Timida – Non ancora sono all’inizio del mio percorso. Guarda non è mia intenzione coinvolgerti in questo discorso e soprattutto stravolgerti da vanilla.
Shelt (vanilla a me??) – Veramente io non sono né stravolta, né sconvolta. Devi essere un’abile organizzatrice per incastrare tutti questi “impegni”.
Timida (ma risoluta) – ogni relazione da qualcosa di diverso, con il mio compagno ho una relazione stabile, ordinaria, a volte un pò noiosa, ma comunque profonda e bella, con dei desideri futuri di famiglia. Con il mio Master ho una relazione che mi fa mettere in discussione con me stessa, che mi fa provare sensazioni mai nemmeno immaginate, trasgressive (è complicato da spiegare). non viviamo vicini, ma è una relazione profonda quella che è nata. Una relazione con una donna sarebbe un altro aspetto dell’amore, un’amica su cui poter contare… penso che la vita sia una sola e voglio viverla con questa consapevolezza.
Shelt – Credo che per alcune (privilegiate) persone la giornata non sia di 24 ore ma di 36 …

Esempio di offerta (Bondage-Domination-Sado-Masochism):

“Obbedire deriva da ob audire ascoltare stando di fronte, porsi in ascolto in maniera vigile e consapevole, ma soprattutto libera. La condizione di porsi liberamente e consapevolmente in una condizione di obbedienza è infatti fortemente liberatoria. Voglio che tu faccia ciò che più desideri e più ti terrorizza. Abbandonare il controllo del tuo corpo e della tua mente e affidarlo ad un Padrone Dolce, Comprensivo , ma Esigente. La Dominanza è uno stato dell’ Animo e del Fisico, così come la sottomissione è la tua inevitabile natura di schiava. Voglio in regalo il tuo corpo e la tua mente e ti porterò molto lontano , proprio dentro la parte più recondita del tuo animo. Voglio che tu senta il tuo corpo , dal collo in giù, non più tuo, ma un prezioso pasto a disposizione del Padrone, della sua dolcezza e della sua misurata severità. Sarai sottoposta ad un raffinato dressage, ma anche a sessioni severe. Sono un espertissimo Master molto cerebrale , ma anche molto severo. Sarò comprensivo, paterno, dolce , esigente ed inflessibile”.
Appunti per il futuro:
evitare contatti con donne slave o similari

Paola

Cronaca di un disamore (estratti di corrispondenza)

Si parlava di dichiarazioni, dell’innamoramento e dell’amore. Tu mi domandavi: “Se hai la certezza di non essere corrisposti, perché mai dichiararsi? In fondo è un farsi del male”.
E’ vero, il dolore per un amore non corrisposto è enorme e rende pazzi. Sono una persona che non si innamora tanto facilmente. Un sentimento così intenso l’ho provato solo nel periodo tra l’adolescenza e la giovinezza, forse perché era puro e non contaminato da logiche di interesse o forse perché era il periodo in cui non avevo ali ma potevo volare ugualmente.

Ho conosciuto Paola il primo anno delle superiori. Era seduta nel banco davanti al mio. Il primo giorno di scuola si è voltata verso di me e mi ha detto “piacere, mi chiamo Paola”. L’ultimo sole di settembre invadeva l’aula e faceva caldo.

Trovo incredibile come certe sensazioni provate in un attimo lontano della propria vita siano indelebili, indimenticabili e riaffiorino alla mente nel corso degli anni quando meno te l’aspetti forse per un confronto con il sentimento corrente che, in comparazione, ne esce sempre meno intenso di quello lontano …Naturalmente lei non poteva interessarsi a me per ovvie ragioni che avevo analizzato, quindi sapevo benissimo a quale delusione andavo incontro … ma … c’è un ma, io pensavo a lei sempre, era diventata un’ossessione, così ho deciso di parlarle, le ho detto che l’amavo e che il giorno mi sembrava bello solo se c’era lei vicino a me. Una dichiarazione fatta con addosso i miei pochi anni, niente da offrire, nessun futuro, nessun passato, solo la mia persona, davanti a lei, indifesa. Non avevo corazze in quel momento ed è stato devastante. Come nei più grandi romanzi pensavo che non avrei superato la situazione, per vergogna volevo morire, immaginavo i suicidi più assurdi per porre fine alla mia sofferenza. Poi con molta lentezza è passato lasciando solo le sensazioni più belle, il suo odore, il calore del suo corpo quelle poche volte che l’ho abbracciata e tenuta stretta.

La vita non è rischio calcolato molto spesso è una serie di imprevisti a cui bisogna far fronte senza preparazione.
Ho rincorso Paola per cinque anni. Avrei fatto di tutto per lei. A lei non è mai interessato.
Si è sempre tesi verso persone interessanti e carismatiche. Il resto dell’umanità, chi non ha niente e non è niente, viene tollerato con un senso di fastidio. 

In questi anni ne ho seguito il percorso di vita: matrimonio, lavoro, figli, separazione. L’ho vista qualche volta, da lontano. I saluti non sono mai stati indispensabili. Ma c’era in me la voglia di volerle parlare. C’era la mia esigenza di comunicare con lei.  In verità, cresceva il desiderio di riprovare quella sensazione, ripercorrerla nelle viscere, quell’emozione che sopravvive al tempo e alla distanza.

Ho digitato il suo nome in facebook, il rigattiere delle amicizie, e lei si è materializzata davanti. Le ho scritto con un nickname, lei ha risposto, credendo di avere a che fare con un uomo.

La solitudine è un vuoto da riempire, anche solo di parole.

Dopo un anno di corrispondenza le dico chi sono. Non si arrabbia, anzi mi vuole incontrare. Ci vediamo e ci sentiamo in continuazione al telefono, lei sta attraversando un brutto periodo con il nuovo compagno e ha grossi problemi con i figli. Le sto vicino per come mi è possibile, non le do consigli, la faccio solo ragionare su particolari che a me sembrano importanti e che a lei sfuggono. L’evoluzione della situazione è positiva, le cose migliorano, mi ringrazia, a quanto pare la mia amicizia è servita, le sono stata utile e la cosa mi fa piacere…

anche se … durante i nostri dialoghi, che, in realtà, erano i suoi monologhi, mi sono accorta che ha paura di rimanere sola e sta cercando a tutti i costi di “ricollocarsi” con un “qualsiasi uomo”.

Anche se in certi momenti il suo modo di esprimersi mi irrita, la trovo molto superficiale e mi infastidisce che indichi il suo compagno usando aggettivi dispregiativi.

Anche se scopro, casualmente, che mi usa come scusa per uscire a cena con “non so chi”.

Anche se mi incontra nei (cronometrati) ritagli di tempo.

Anche se mi messaggia (le lunghe telefonate sono una pratica lontana) che compra casa con il compagno (quello che insulta in continuazione) dopo un mese dall’aver ottenuto il divorzio.

Anche se muore mio padre e lei non può farmi le condoglianze di persona dato che il santo rosario cade proprio nell’ora dell’aperitivo festivo e il funerale nell’orario lavorativo.

Anche se dopo poco viene ricoverato il suo, di padre, e mi manda un sms allarmata augurandosi che non capiti la stessa cosa che è capitata al mio …

Sorvolo sul resto e torno alla domanda iniziale:

“Se hai la certezza di non essere corrisposti, perché mai dichiararsi? In fondo è un farsi del male”.

Si, è vero ma ci vuole tempo per comprenderlo. Questa è la risposta.

Laggiù c’è una fontana che è piena di monete,
le ho buttate io
tutte le notti che non tornavi.
Quelle te le porterò a vedere.
Non le stelle che sono cadute, non
Le candele che ho acceso nelle chiese,
non i versi delle preghiere, non
le lacrime che ho pianto,
non le parole degli amici, non
le notti che ho passato sveglia
ad aspettarti.
Solo le monete ti farò vedere.

Sotto l’acqua che scorre,
quando ritornerai,
quelle te le farò vedere