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L’economia del mutuo soccorso

Post n°3058 pubblicato il 10 Novembre 2013 da ninograg1
 

come sempre a inizio settimana vi propongo un articolo; questa volta un articolo di Loretta Napoleoni sul fatto del 10/11/2013

Tre anni fa su Wired lanciai l’idea dell’economia del mutuo soccorso, la cosiddetta pop economy perché gestita dal popolo, quest’estate il mio assistente storico, Federico Bastiani, ha trasformato nella sua strada, via Fandazza, la teoria in pratica.

Con un bambino piccolo, una moglie sud africana, tre lavori per arrivare alla fine del mese e le famiglie di entrambi lontane, Federico ha deciso di tentare di crearne una virtuale. Ha stampato al computer dei manifesti che ha distribuito nella strada, sopra c’era scritto quello che tutti ormai sognano: far parte di una comunità locale vera, dove ci si conosce e ci si aiuta reciprocamente, come succedeva ai tempi dei nostri nonni nei piccoli paesi e come ancora succede nelle comunità più povere, dove senza l’altro è difficile sopravvivere. La risposta è stata entusiasta, un successone che ci ha sorpreso entrambi. E’ dal 2008, infatti, che ripetiamo che l’unica soluzione alla crisi economica e politica, una catastrofe che sta letteralmente distruggendo il paese, è la solidarietà tra la gente e la creazione di comunità accentrate intorno ad economie locali e sono anni che veniamo derisi ed a volte anche insultati dagli ottimisti economisti di regime che invece suggeriscono di mettere in vendita ciò che è rimasto del patrimonio nazionale.

Ebbene via Fondazza a Bologna, la prima social street in Italia, sembra darci finalmente ragione. Chi ci vive ha aderito all’idea di condivisione con i vicini, dalla baby sitter fino alla festa di compleanno, perché l’iniziativa li arricchisce non solo socialmente ma anche economicamente. Un esempio: compro nei negozi locali, vado al cinema, al ristorante, al bar sotto casa e gli esercenti mi fanno uno sconto; chi parte invita i vicini a svuotare il frigo, gratis. Oggi lo faccio io domani lo fai tu e tutti ci guadagniamo.

Di via Fondazza in questi giorni se ne è parlato nei telegiornali, alla radio e su una buona fetta della stampa nazionale; sociologi, antropologi e perfino le agenzie immobiliari vogliono studiare il fenomeno, tutti si domandano se questo modello è replicabile, se in Italia, e chissà anche nel mondo, possano nascere centinaia di milioni di social street. Certo che è possibile, anzi è necessario, la globalizzazione ha reso il locale vulnerabile ai capricci di economie sconosciute, pensate a Prato, un tempo il centro di smistamento del tessile, da dove usciva il Made in Italy, oggi assomiglia ad un sobborgo di Shanghai. Chi l’avrebbe detto 20 anni fa che la delocalizzazione, tanto amata dai nostri industriali del tessile, avrebbe prodotto queste metamorfosi? Che ne è dei vecchi maestri, degli insegnanti, della profumiera di Prato, dove sono finiti i proprietari delle trattorie o gli operai delle fabbriche? Forse vivono in strade simili a via Fondazza e come i residenti della strada storica bolognese hanno un gran bisogno di appartenere ad una comunità.

Il successo della pop economy si chiama recessione, stagnazione, declino, processi che, è bene comprendere, ormai fanno parte del nostro quotidiano. Chi crede agli ottimisti economisti di regime che prima o poi torneremo ad essere ricchi, che l’economia si riprenderà, che questa è una crisi ciclica e così via si illude. Quello che stiamo vivendo è un cambiamento epocale, e se non troviamo il modo di contrastarlo tra dieci anni l’Italia sarà più simile alle nazioni del terzo mondo che alla ricca Germania.

La ricostituzione della piazza del paesino attraverso i servizi offerti dal Web2, la pop economy insomma, però non basta per farlo. E’ questa una verità che sociologi, antropologi ed agenti immobiliari ancora non hanno capito. Forse nel 2010, quando l’idea della pop economy è stata presentata al pubblico italiano, l’economia del mutuo soccorso poteva aiutarci a riprenderci attraverso una rivoluzione sociale ed economica dal basso – basta pensare all’energia rinnovabile creata dai rifiuti organici o alla creazione di start up agricole accentrate sulla condivisione – allora ancora esisteva una struttura industriale nazionale, una massa critica su cui lavorare, ma non oggi. Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse, sparite in pochi anni. Le casse dello stato sono sempre più vuote: a luglio i ricavi dalla tassazione diretta sono scesi del 7%; il rapporto deficit/Pil ormai supera il 3% ed il debito pubblico è ben al di sopra del 130% e l’Iva è salita al 22 per cento.

Neppure il capitale straniero è più a portata di mano, dal 2010 gli investimenti esteri sono letteralmente crollati, nessuno ha intenzione di investire in un paese dove il livello di tassazione sulle imprese è il più alto dell’Ue e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa. La lista è lunga ma basta questo per capirci.

A differenza di molti italiani, i ‘Fondazziani’ sono coscienti di questo scenario e sanno che la social street non può essere un business, né può esserlo trasformata; l’iniziativa rappresenta però un grosso risparmio: dal cinema che offre sconti ai residenti, al ristorante, al bar fino allo scambio di prodotti o di favori. E questo è già un grosso passo in avanti per chi fatica ad arrivare alla fine del mese, ma per far ripartire l’economia ci vuole la crescita, il risparmio non basta. I ‘Fondazziani’ sono anche coscienti che la politica deve rimanere fuori dalla loro strada, ed anche questo è un bene.

Forse pochi di loro conoscono le teorie della Ostrum sui beni comuni, l‘economista che ha vinto il premio Nobel scomparsa da un paio di anni, ma ne stanno mettendo in pratica i principi. Le comunità locali funzionano bene quando la gestione è nelle mani di chi ci vive e quando queste poggiano su un patrimonio solido di beni comuni. In fondo con la creazione della social street i residenti di via Fondazza si stanno riappropriando del loro spazio socio-economico: la strada.

Ecco un principio sul quale rilanciare l’economia del paese, la riconquista dello spazio economico e sociale da parte di chi lo abita, un’azione che in futuro potrebbe includere investimenti reali come una scuola, un laboratorio, un mercato dell’organico a chilometro 0, legato ad imprese locali e così via.

L’economia del mutuo soccorso può dunque essere una piattaforma di lancio per un’economia solida e florida locale ma bisogna agire subito, prima che anche per questa strategia sia troppo tardi.

Sarò in conversazione con i residenti di via Fondazza domenica 17 novembre ore 16 presso il centro di documentazione delle donne in via del piombo 5 a Bologna, ingresso libero.

p.s.

sogni o possibile realtà se ... ci ricordassimo che questa è solo una delle tante ricette (o cambi di mentalità e socialità cui le prime sono strettamente connesse) a disposizione di cittadini e governi per cambiare rotta, strada o come volete chiamarla: a differenza del pensiero unico oggi dominante, che ha fallito, sono tutte lì a portata di mano ... chiaramente a livello locale tutto è possibile perchè il potere non ne è infastidito, ma tutti "livelli locali" ne fanno sempre uno più grosso, fino al punto da far saltare lo stesso potere che si difenderà, eccome si difenderà... è bastato un M5S e i suoi guru per spaventarlo; immaginate tante piccole e medie comunità che fanno a meno delle clientele locali e se ne creano di proprie...

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Commenti al Post:
jigendaisuke
jigendaisuke il 10/11/13 alle 21:58 via WEB
come potevano essere i quartieri o i paesi italiani, ancora negli anni 50. Poi sono arrivati i soldi, il benessere, l'assistenzialismo, il clientelarismo, il finanziarismo
 
 
ninograg1
ninograg1 il 11/11/13 alle 17:49 via WEB
jigendaisuke il 10/11/13 alle 21:58 via WEB bè d aquello che raccontavano i miei non è che fosse dovunque e sempre così.. però si, l'immagine è quella che dici e abbiamo tutto il senso di una perdita di quella comunità di villaggio che s'è persa.
 
Last.Tramp
Last.Tramp il 10/11/13 alle 23:11 via WEB
Mi sembra il ritorno all'economia del clan senza però il vantaggio della forza del legame consanguineo o parentale. Mi spiego, è nella natura dell'uomo, nel suo istinto di conservazione, tentare di ottenere il massimo profitto dalle proprie azioni. Credo che questo sistema possa funzionare finché il tutto si svolge all'interno di una piccola comunità dedita ad una micro economia di sopravvivenza, nello stesso momento in cui qualcuno del gruppo percepisce di poter ottenere risultati meno minimalisti, secondo il MIO punto di vista, tutto rischia di saltare. A meno che si creda di poter parificare o massificare le intelligenze. Esempio, io parto e ti lascio il mio frigorifero pieno di verdure ottenute a basso costo dal mio orto e tu ne benefici totalmente, ma se tu, la volta dopo parti lasciandomi il tuo frigorifero pieno di carne ottenuta con un alto dispendio energetico, o sei fesso oppure tenterai di contrattare con me la differenza di valore che percepisci nello scambio merceologico. Ma se io sono capace solo di coltivare verze d'inverno, lattuga in primavera e scrivere poesie e dipingere quadri, cosa ti restituisco che ti permetta di mangiare o sopravvivere subito? Un'opera d'arte che nessuno vuole perché servono invece cappotti o scarpe? Mica facile eh? Rischio di essere poco interessante già in partenza all'interno della comunità. A dire il vero, anche di andare al cinema senza pagare il biglietto mi sembra poco evolutivo in una società dai bisogni necessari e primari. Non dico che in parte non possa funzionare, ma la difettosità progettuale dell'uomo come animale sociale, mi porta a pensare che sia molto difficile pensare in grande, se così fosse, il comunismo non avrebbe conosciuto tutte le disfatte che abbiamo davanti agli occhi e anche alle spalle...Purtroppo...Ok, io però sono un pessimista...
 
 
LunaRossa550
LunaRossa550 il 11/11/13 alle 01:10 via WEB
Io che invece sono tendenzialmente ottimista, penso che sia possibile aiutarsi a rendere la vita meno dura, aiutarsi in quello che si può fare. Certo, non si può guardare se uno dà più di un altro perché se monetizzi tutto allora dai ragione all’impostazione capitalistica che imperversa, Se io non coltivo l’orto o non allevo animali, e nemmeno scrivo poesie o creo quadri o recito in un teatro (non è vero che con l’arte non si mangia) posso sempre rendermi disponibile per fare altre cose non meno importanti. Posso aiutare nella gestione dei figli, o dare una mano quando qualcuno ha bisogno per un anziano…tutti sanno fare qualcosa e se non fosse… tutti possono imparare a farla.Notte Tramp, notte Nino
 
   
Last.Tramp
Last.Tramp il 11/11/13 alle 01:59 via WEB
In una grande comunità, la maggioranza è portata a compiere i lavori più comuni e quando si comincia a percepire il bisogno di elementi intellettivamente più dotati per risolvere problemi complessi, si crea automaticamente un'area di specializzazione = differenziazione. Temo sia utopico il concetto di equilibrio sociale, ma resta (per me)valido quello della forte solidarietà. Scrivo semplicemente del risultato delle esperienze fatte finora dal genere umano, puri numeri, e una piccola realtà, pur bella che sia resta Statisticamente una piccola esperienza. Su ampia scala è cmq tutto da verificare ma confesso che mi piacerebbe. Come progetto primitivo mi ricorda in parte la filosofia del movimento anarco-sindacalista
 
     
ninograg1
ninograg1 il 11/11/13 alle 17:58 via WEB
Last.Tramp il 11/11/13 alle 01:59 via WEB non sono d'accordo: l'equiibrio sociale è possibile.... e non c'entra l'aspetto dell'essere più o meno gli unici a saper fare qualcosa perchè anche fosse vero questo dovranno pur mangiare: pensa che in Argentina ai tempi del default del 2001 c'era chi barattava lezioni contro uova.. ecco: è un caso estremo ma rende l'idea.. la moneta è uno strumento non un fine; per me il punto è questo e per te?
 
   
ninograg1
ninograg1 il 11/11/13 alle 17:55 via WEB
LunaRossa550 il 11/11/13 alle 01:10 via WEB certo che aiuta: soprattutto se non ci mettiamo a fare a priori gli italiani... il problema è questo, solo questo ossia "non fare gli italiani"
 
 
ninograg1
ninograg1 il 11/11/13 alle 17:53 via WEB
Last.Tramp il 10/11/13 alle 23:11 via WEB in termini esatti si chiamano "glocal" e si sono tipici delle società di mercato: anche qui gli usa hanno fatto da battistrada: è da decenni che piccole comunità lì si battono per non perdere la loro identità... non ci trovo nulla di male anche perchè potrebbe diventare la leva che potrebbe far saltare il sistema.. ma non siamo americani, purtroppo perchè altrimenti se in quella società, così spinta ed estrema, riescono a sopravvivere queste comunità immaginiamo cosa potremmo fare qui, vero? anch'io sono un pessimista ma mi consolo pensando che essere "pessimisti" significa "essere ottimisti che guardano la realtà"..
 
nagi51
nagi51 il 10/11/13 alle 23:17 via WEB
BUONANOTTE NINO.
 
 
ninograg1
ninograg1 il 11/11/13 alle 17:59 via WEB
nagi51 il 10/11/13 alle 23:17 via WEB ciao gina buonanotte... e buon risveglio
 
briciolabau
briciolabau il 11/11/13 alle 13:58 via WEB
Ti auguro una buona giornata ed un sereno inizio di settimana, con affetto un abbraccio, Isa...(clicca)...
 
 
ninograg1
ninograg1 il 11/11/13 alle 17:59 via WEB
cia isa.. buon inizio di settimana...
 
daniela19712011
daniela19712011 il 11/11/13 alle 17:59 via WEB

Semplicemente qui per augurarti una buona serata... Ciao Diana (click)

 
 
ninograg1
ninograg1 il 11/11/13 alle 18:54 via WEB
ciao diana, buona serata anche a te
 
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