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Messaggi di Luglio 2018

Economisti smentiscono Trump su stime crescita. “Pil Usa a stento manterrà il +3%”

Post n°4288 pubblicato il 30 Luglio 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 30 luglio 2018, di Mariangela Tessa

 

Pil Usa all’8%? Macché. Già raggiungere un target del 3% non sarà facile. Gli economisti americani smorzano l’entusiasmo del presidente Usa Donald Trump sul futuro della crescita Usa, dopo che i dati del secondo trimestre hanno segnato una forte accelerazione al 4,1%.

Ospite del The Sean Hannity Show, Trump ha detto che gli Stati Uniti potrebbe raggiungere tassi di crescita record se il deficit commerciale venisse dimezzato. Secondo le stime dell’inquilino della Casa Bianca, il Paese potrebbe facilmnete raggiungere una crescita del PIL  dell’8 o 9%, che è di gran lunga superiore a quanto previsto dagli economisti.

Previsioni che sono state subito smentite da alcuni osservatori. Primo fra tutti, Mike Gallagher, amministratore delegato della società di consulenza Continuum Financial Economics, secondo cui la recente accelerazione dell’economia Usa è delle recenti politiche fiscali attuate dall’amministrazione Trump, i cui effetti tuttavia porteranno benefici solo nel breve termine.

Alla domanda se l’economia Usa ha le carte in regola per crescere al ritmo delll’8-9%, Gallagher ha detto alla CNBC:

“Non credo. Trovo difficile persino che mantenga un ritmo del 3% nel lungo termine”, ha affermato.

L’amministrazione Trump ha presentato una revisione fiscale alla fine dello scorso anno, che ha sostenuto l’economia. In generale, le aziende hanno più denaro da investire e in alcuni casi hanno aumentato gli stipendi, dando cosí ai cittadini reddito aggiuntivo da spendere. Secondo Gallagher, questa politica è stata il motore dell’attuale forte performance degli Stati Uniti , ma i suoi benefici sono solo temporanei.

 

 
 
 

Trump-Juncker, la Commissione europea ha svenduto agli Usa i diritti dei suoi cittadini

Post n°4287 pubblicato il 27 Luglio 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il FattoQuotidiano  Zonaeuro | 27 luglio 2018

 

di Monica di Sisto*

E’ bastato un viaggio del presidente della Commissione Claude Juncker a Washington perché il trattato commerciale più discutibile e discusso dai cittadini europei, il Trattato transatlantico di liberalizzazione di scambi, investimenti e servizi tra Europa e Stati Uniti, il Ttip, fosse rilanciato nella forma più accelerata, concentrata e meno trasparente possibile.

Certo: nessuno userà mai più la odiata sigla. Ma il pessimo negoziato rilanciato il 25 luglio deve spingerci tutte e tutti il più rapidamente possibile a chiedere uno scatto d’orgoglio ai nostri rappresentanti al Parlamento europeo e al Governo italiano perché questo blitz estivo venga arrestato al più presto.

Che cosa non va bene nel Ttip risorto dalle sue ceneri? Tutto! Basta scorrere la dichiarazione congiunta d’intenti sottoscritta da Trump e dal Commissario europeo. Innanzitutto ci troviamo la conferma del fatto che, come abbiamo più spesso sostenuto in queste pagine elettroniche: i dazi sull’acciaio posti da Trump fossero un falso problema. Infatti nella dichiarazione l’impegno a affrontarli e superarli si trova all’ultimo punto dell’elenco delle priorità di lavoro che le due parti si impegnano a risolvere.

Al primo punto, invece, dopo aver ricordato che “gli Stati Uniti e l’Unione europea contano insieme oltre 830 milioni di cittadini e oltre il 50% del Pil mondiale”, si lancia un’operazione verso “tariffe zero, zero barriere non tariffarie (ossia zero regole differenti tra le due parti) e zero sussidi per beni industriali non auto”, senza quindi toccare il settore automobilistico, su cui la Germania ha subito messo un veto, dichiarando così a chiare lettere chi comanda davvero nella Commissione. Fatti questi chiarimenti, le parti si impegnano a “ridurre gli ostacoli e aumentare il commercio di servizi, prodotti chimici, prodotti farmaceutici, prodotti medici e soia (che negli Usa, leader globali nell’export del cereale, è praticamente tutta Ogm). Insomma si vuole lavorare per liberare le mani prioritariamente a tutti quei settori rispetto ai quali da anni la società civile europea, i sindacati, i consumatori, gli ambientalisti e anche i produttori responsabili denunciano che tra le due sponde dell’Atlantico sono così lontane per standard e regole a tutela dei diritti di tutti, che sacrificarle per gli interessi dei soliti – pochi – poteri industriali, sarebbe una colpa imperdonabile.

Un paradossale modo di aprire le braccia a Trump, fino a ieri dipinto come il male assoluto, sbattendo la porta in faccia agli oltre quattro milioni di cittadini europei che hanno sottoscritto qualche anno fa la petizione europea per fermare il pericoloso Ttip.

L’Europa vuole “importare più gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti per diversificare il proprio approvvigionamento energetico”, si legge ancora nel documento, quando è notorio che la maggior parte di questa risorsa negli Usa è estratta sbatacchiando la terra con la inquinante pratica del fracking, non ammessa da noi proprio per i suoi devastanti impatti anche sulla stabilità del sottosuolo. Inquieta, inoltre, che l’Europa spinga apertamente per “avviare uno stretto dialogo sugli standard al fine di facilitare gli scambi, ridurre gli ostacoli burocratici e tagliare i costi”. E questo, pericolosamente, senza alcun controllo democratico o parlamentare.

Quello che più preoccupa, infatti, per la tenuta democratica delle nostre istituzioni è che si dichiara “di istituire immediatamente un gruppo di lavoro esecutivo dei nostri più stretti consulenti per portare avanti questa agenda congiunta. Inoltre, individuerà misure a breve termine per facilitare gli scambi commerciali e valutare le misure tariffarie esistenti. Mentre stiamo lavorando su questo, non andremo contro lo spirito di questo accordo, a meno che nessuna delle parti non risolva i negoziati”. Insomma un oscuro gruppo di tecnici, senza mandato negoziale espresso o votato dai Governi europei né controllo parlamentare porterà avanti questa delicata trattativa, legando le mani dei governi europei rispetto alle future iniziative a protezione dei nostri diritti.

Come associazioni e comitati mobilitati in Italia e in Europa per un commercio più giusto e la promozione dei diritti sociali ed ambientali, oltre che di una “buona” economia, chiediamo ai parlamentari europei, a quelli italiani e al Governo del nostro Paese di farsi sentire il prima possibile per fermare il Ttip zombie, colpo di coda di Bruxelles a pochi mesi dalle nuove elezioni europee.

* portavoce della Campagna Stop Ttip/Stop Ceta Italia

Zonaeuro | 27 luglio 2018

 

 

 
 
 

Di Maio: sì al Jefta, no al Ceta. Un errore politico prima che strategico

Post n°4286 pubblicato il 26 Luglio 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Zonaeuro | 26 luglio 2018  

 

 

di Alberto Zoratti*

I motivi sono nelle ultime righe della comunicazione inviata dal ministro Luigi Di Maio al Consiglio europeo per il “Sì” all’accordo con il Giappone, lettera venuta in possesso della Campagna Stop Ttip Stop Ceta Italia dopo una richiesta di accesso agli atti. L’Italia pensa di poterne controllare gli effetti e gli impatti sui diritti ambientali, sociali e sugli standard agroalimentari. Non sapendo che è proprio la tutela di questi diritti che non viene garantita da trattati di libero scambio strutturati come il Jefta, del tutto simile al Ceta, con il Canada e al (per ora) congelato Ttip, perché i capitoli dedicati non hanno alcuno strumento che ne permetta un reale rafforzamento, se non procedure consultive e un ruolo assolutamente marginale della società civile.

Per la sicurezza alimentare il Codex Alimentarius diventa riferimento unico, esattamente come per il Ceta e per il Ttip, sebbene molto spesso abbia standard più deboli di quelli europei. E per l’etichettatura, la questione non cambia: se si pensa che mentre in Europa la presenza di Ogm dei cibi viene considerata accidentale se sotto allo 0,9% (senza obbligo di citazione in etichetta), in Giappone la soglia è attorno al 5%. E il tutto verrà armonizzato da un sistema di comitati tecnici che si riuniranno senza il minimo controllo parlamentare. Come per il Ceta.

Niente Isds, quindi tutto va bene?

Nel Jefta non è contemplato l’arbitrato investitore-Stato (Isds), e non per gentile concessione della Commissione Eu. Continuare il negoziato avrebbe ritardato l’approvazione dell’accordo, considerate le distanze sul capitolo investimenti che, essendo di competenza nazionale, avrebbe richiesto la ratifica da parte dei Parlamenti degli Stati membri. Fastidi evitati facilmente dallo spostamento di un accordo sugli investimenti più avanti, a Jefta ratificato dal solo da parte del Parlamento europeo. E gli stessi europarlamentari potranno solo accettare o rifiutare il trattato, non esistendo alcuna possibilità di emendamento del testo finale. Nonostante il Jefta, esattamente come il Ceta, sia stato portato avanti senza la dovuta trasparenza, già richiesta dall’Ombudsman europeo per il Ttip.

Servizi in vendita

Sul fronte dei servizi, l’accordo Ue-Giappone usa l’identico approccio del Ceta: tutti quei servizi non elencati nell’apposito allegato, saranno aperti alla concorrenza da parte delle imprese giapponesi. Se prima bisognava specificare quali servizi erano disponibili alla privatizzazione, ora è il contrario, con il rischio che dall’elenco di servizi da salvaguardare vengano esclusi alcuni settori importanti. Senza contare che, per “servizi pubblici” l’accordo intende soltanto quelli forniti dallo Stato e senza contropartite economiche. L’acqua, in questo quadro, non è considerata servizio pubblico.

La liberalizzazione dei servizi finanziari include nella lista quei prodotti all’origine della crisi finanziaria come i prodotti derivati. E la cooperazione normativa considerata nell’accordo, invece di spingere a rafforzare gli standard di regolamentazione finanziaria soprattutto in una fase di instabilità e di volatilità, andrà verso la deregulation e la semplificazione.

Quindi Jefta sì, Ceta no?

Dicendo“Sì” al Jefta, Di Maio ha delegittimato una strategia condivisa con i movimenti: modificare la struttura dei trattati e il modo con cui vengono negoziati e approvati. Considerato che gli accordi conclusi non sono più negoziabili, tanto meno dai governi. Spostare l’attenzione sui potenziali vantaggi economici senza evidenziare criticità in altri settori, distrae da una profonda revisione del modello di trattato di libero scambio a un semplice calcolo aritmetico.

Nel luglio del 2016 le reti della società civile in occasione della votazione della risoluzione Lange sul Ttip al Parlamento di Strasburgo, proposero e presentarono sei emendamenti al testo di relazione che sottolineavano vere e proprie linee rosse insuperabili. Quelle proposte, sostenute da europarlamentari appartenenti a schieramenti diversi ponevano questioni di procedura, trasparenza, rispetto dei diritti ambientali e sociali. Molte delle quali, ancora oggi, dovrebbero essere riproposte per il Jefta.

*presidente di Fairwatch, Campagna Stop Ttip/Ceta Italia

 

Zonaeuro | 26 luglio 2018

 

 

 
 
 

Tempesta perfetta si sta per abbattere sull’economia Usa

Post n°4285 pubblicato il 25 Luglio 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 25 luglio 2018, di Alessandra Caparello

 

Una tempesta si sta abbattendo sull’economia statunitense. A dirlo alla Cnbc l’economista Diane Swonk secondo cui, anche se non c’è una vera e propria guerra commerciale, l’incertezza che circonda i dazi può danneggiare l’economia statunitense a stelle e strisce.

“Se vogliamo continuare ad avere questa incertezza, nel tempo si avrà un effetto corrosivo che si accumulerà nel 2019 con meno investimenti”.

Le tariffe, insieme ad un rafforzamento del dollaro e ai tassi in crescita finiscono per minare la competitività dei produttori e di altri esportatori.

“L’economia statunitense ha un po’ di ammortizzatori, e possiamo resistere alla tempesta per un po’. Ma la tempesta si sta abbattendo e le correnti sotterranee si stanno chiaramente formando.

Il riferimento è alle tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e il resto del mondo che sono aumentate. La Cina è stata l’obiettivo frequente del Presidente Donald Trump e la settimana scorsa, il presidente ha detto alla CNBC che è “pronto” a mettere le tariffe su tutti i 505 miliardi dollari di merci cinesi importate negli Stati Uniti. Washington ha già abolito le tariffe doganali sui 34 miliardi di dollari di prodotti cinesi. Pechino dal canto sui ha colpito indietro con tariffe di ritorsione sulla stessa quantità di beni degli Stati Uniti.

L’amministrazione Trump ha inoltre imposto tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio da diverse nazioni, tra cui alleati chiave come Canada, Messico e Unione Europea. L’economista Swonk ha detto che le tariffe applicate finora non sono così grandi, ma la minaccia delle tariffe mina la fiducia.

“Se domani dovessimo avere una guerra commerciale completa, che non credo avremo, allora si potrebbe vedere una recessione nel 2019 (…) Se vogliamo continuare ad avere questa incertezza, nel tempo si avrà un effetto corrosivo che si accumulerà nel 2019 con meno investimenti.

Secondo Venu Krishna, vice capo della ricerca azionaria statunitense a Barclays, le tariffe hanno un ampio impatto negativo. Le piccole imprese saranno più danneggiate, contrariamente alla credenza popolare che siano meglio protette perché sono domestiche.

“Queste società, infatti, hanno una maggiore esposizione all’esportazione e all’importazione. I loro margini sono notevolmente più deboli e quindi non sono in grado di assorbire i costi. E infine, non hanno il potere dei prezzi”.

 

 
 
 

Ue: “I mercati rimetteranno nei binari l’Italia”

Post n°4284 pubblicato il 24 Luglio 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 24 luglio 2018, di Alessandra Caparello

 

Da Bruxelles arriva un nuovo avvertimento per l’Italia: “se dovesse sfidare i vincoli europei sui conti pubblici, i veri problemi non arriverebbero dall’Ue”, ma dai mercati. A parlare in questi termini è una fonte europea a La Stampa.

“Prima ancora di un’eventuale procedura da parte della Commissione per la violazione delle regole del Patto di Stabilità, ci penserebbero i mercati a rimettere l’Italia nei binari (…) non è una minaccia, ma soltanto la constatazione di quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi se il governo decidesse di tirare troppo la corda”.

Un’affermazione in risposta alle recenti dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini secondo cui l’Italia potrebbe ignorare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil. In via ufficiale dalla Commissione europea fanno sapere che i conti pubblici italiani saranno al vaglio dei tecnici di Bruxelles a ottobre, quando l’esecutivo giallo-verde invierà il progetto di legge di bilancio.

Ma sottobanco trapela altro ossia che l’unico che conta al momento in Europa per l’Italia è il ministro dell’economia Giovanni Tria che al Washington Post ha ribadito che l’impegno del paese è ridurre il debito e il deficit resterà nei limiti.

Quindi a conti fatti c’è un muro a muro: Tria contro tutti. “A questo punto sembra che l’estate non passerà liscia ma servirà per mettere sotto stress il Mef e Palazzo Chigi” scrive Lina Palmerini sul Sole 24 Ore che ipotizza uno scontro che arriverà al voto anticipato.

“Il punto è fin dove spingerà il braccio di ferro il vicepremier leghista. Fino al punto di provocare le dimissioni di Tria? La scelta di violare gli impegni con Bruxelles, probabilmente, comporterebbe pure contraccolpi per gli Esteri guidati dall’europeista Moavero. Ci si troverebbe, dunque, non soltanto davanti a una dimissione di peso ma a una tappa verso il voto anticipato”.

 

 
 
 

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