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Messaggi di Agosto 2014
Post n°3285 pubblicato il 31 Agosto 2014 da ninograg1
Tag: blog, economia, giappone, Governo Renzi, liberismo, Mario Draghi, Matteo Renzi, pensioni, politica, salari, UE di Loretta Napoleoni | 31 agosto 2014
L’Italia rischia la deflazione, un male forse peggiore dell’inflazione a giudicare dalle difficoltà pluri-decennali che il Giappone continua a incontrare per uscirne fuori. La deflazione è in effetti l’opposto dell’inflazione poiché i prezzi invece di salire scendono: la loro caduta, a sua volta, fa crollare investimenti, salari e occupazione. In ultima analisi la deflazione distrugge ricchezza. L’aspetto più pericoloso è, come nell’inflazione, quello psicologico. L’economia si contrae anche perché la gente, anticipando prezzi futuri sempre più bassi, pospone gli acquisti, e così facendo deprime il consumo, che a sua volta fa scendere la domanda globale, la produzione, l’investimento, insomma un cane che si morde la coda. L’importanza che l’aspetto psicologico gioca nel fenomeno della deflazione dipende dalla composizione demografica del Paese in oggetto e dalle dimensioni del debito. Va da solo che più vecchia è la prima e più grande è il secondo tanto più difficile sarà contrastare le spinte inflazioniste. In Giappone una popolazione in via d’invecchiamento è da almeno vent’anni convinta che prima o poi questo debito dovrà essere pagato, ciò fa presagire un futuro ancora più nero del presente. Fino ad oggi tutti gli sforzi del governo per far ripartire la spesa sono falliti proprio perché la popolazione è sicura che lo stato per ripagare il debito continuerà a tagliare salari, pensioni e assistenza sociale, ciò equivale a dire avrà un comportamento deflattivo. Di fronte a queste aspettative la gente non spende anche se il tasso d’interesse è a zero e la banca centrale pompa liquidità nel sistema, piuttosto risparmia quel poco che ha e quindi deprime ulteriormente l’economia. L’esempio del Giappone, una nazione in deflazione dalla metà degli anni Novanta, ben illustra quanto sia difficile interrompere la spirale deflazionista una volta che il processo economico e quello psicologico si auto-alimentano. In Europa, l’Italia e la Spagna sono le prime nazioni che rischiano di scivolare lungo la spirale deflazionista. L’Italia è insieme alla Germania quella che assomiglia di più demograficamente al Giappone ed anche quella con un rapporto debito pubblico/PIL più vicino in termini percentuali a quello giapponese. Per ora le prospettive per il Bel Paese sono pessime: in agosto l’indice dei prezzi al consumo prodotto dall’Istat è sceso dello 0,1 per cento rispetto ad agosto del 2013. E’ la prima volta dal 1959 che questo succede, ma allora l’economia era in fase ascendente anche grazie agli aiuti economici del Piano Marshall e alla ricostruzione del dopoguerra. Oggi la situazione è ben diversa. Tutti gli indicatori economici sembrano preannunciare un autunno di deflazione: il tasso di disoccupazione è tornato al di sopra del 12 per cento ( 12,6 per cento); il Pil è sceso dello 0,2 per cento su base annuale; le esportazioni sono aumentate (1,9 per cento) meno delle importazioni (2 per cento). A questo scenario sconfortante si deve aggiungere la dura posizione assunta dalla Germania nei confronti della politica monetaria espansiva ventilata da Draghi, che molti sono convinti aiuterebbe l’economia. Il ministro delle finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, ha infatti dichiarato che la banca centrale europea ha esaurito le munizioni per aiutare l’eurozona e ha aggiunto che il problema non è la scarsa liquidità ma l’eccessiva quantità di moneta in circolazione. Secondo il governo di Matteo Renzi, invece, il problema centrale della nostra economia è proprio la mancanza di liquidità, che si manifesta attraverso la scarsa presenza di capitali esteri per l’investimento. Dato che non possiamo stampare moneta l’unico modo per ottenerla è farla arrivare dall’estero. Ma pochi sono disposti a investire in un Paese dove il sistema legale è al collasso e quello di tassazione è tra i più alti al mondo. Ecco quindi la necessità di un pacchetto di riforme per far ripartire l’economia. Tutte approvate dal governo e ora da passare al vaglio del Parlamento. Funzioneranno? Solo se non verranno annacquate dai politici per difendere le varie lobby o per tagliare le gambe a Renzi, ma soprattutto se riusciranno a rompere la paura psicologica che la popolazione ha di spendere e quella degli investitori stranieri di investire in una nazione in deflazione. Certo dopo anni di crescita negativa e di promesse infrante, trasformare il pessimismo in ottimismo è quasi impossibile. Una soluzione radicale, che forse anche il Giappone dovrebbe prendere in considerazione è l’abbandono delle dottrine neo-liberiste, sulle quali, va detto, poggia l’apparato monetario ed economico dell’Unione Europea, a favore della nazionalizzazione del debito, con relativa cancellazione. Ma anche questa manovra rivoluzionaria potrebbe non funzionare se la popolazione non è disposta a cambiare in positivo le aspettative future e a rinegoziare la maturità dei titoli di stato per una data lontana nel futuro. Tutto ciò potrebbe richiedere il rinnovamento dell’intera classe politica. |
Post n°3284 pubblicato il 29 Agosto 2014 da ninograg1
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 29 agosto 2014 Lo spauracchio tante volte evocato negli ultimi mesi, quello della deflazione, si materializza per l’Italia proprio nel giorno del già ridimensionato Consiglio dei ministri con cui Matteo Renzi voleva “stupire” gli italiani. E va a braccetto con un nuovo scatto in avanti della disoccupazione. In agosto l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Insomma, i prezzi hanno invertito la rotta. A luglio salivano ancora (+0,1%), come è normale in un’economia in salute, ma in dieci grandi città, tra cui Roma e Torino, erano già in discesa. Un campanello di allarme che ora suona come l’anticipazione di una tendenza generalizzata. E quasi inedita: è la prima volta dal settembre del 1959, quando però l’economia era in forte crescita. A peggiorare il quadro c’è il fatto che sono scesi anche i prezzi del cosiddetto carrello della spesa, cioè l’insieme dei beni essenziali che comprende l’alimentare e i prodotti per la cura della casa e della persona. Il ribasso annuo in questo caso è pari allo 0,2%, anche se in recupero rispetto al -0,6% di luglio. E’ l’Italia, dunque, il primo Paese dell’Eurozona a vedere concretizzarsi lo spettro che, dopo la frenata di Germania e Francia, è al centro del dibattito europeo. In questo quadro, da Berlino arriva anche un avvertimento a non aspettarsi troppo dalle mosse della Banca centrale europea. A cui i mercati guardano sperando in un rapido e energico intervento per contrastare il calo dei prezzi. Wolfgang Schaeuble, ministro delle finanze tedesco, ha infatti detto in un’intervista a Bloomberg Tv che “la Banca centrale europea ha esaurito le munizioni per aiutare l’Eurozona”. Il falco Schaeuble, che due giorni fa aveva smentito l’interpretazione pro-flessibilità delle recenti parole di Mario Draghi a Jackson Hole, ha aggiunto: ”Ad essere sinceri non penso che la politica monetaria della Bce abbia gli strumenti per combattere la deflazione”. E comunque ”la liquidità sui mercati non è troppo bassa, anzi è troppa”. Un circolo vizioso che porta alla stagnazione – La notizia dell’ingresso in deflazione è una doccia gelata per il governo, che venerdì pomeriggio si riunisce per dare il via libera al decreto Sblocca Italia e al pacchetto giustizia, dopo che la riforma della scuola è stata rimandata a settembre. Il calo dei prezzi è una vera batosta, su molti fronti: sulle prime può sembrare positivo per i consumatori, ma innesca in realtà un circolo vizioso che conduce alla stagnazione dell’economia. O non le permette di uscirne. Perché i cittadini rimandano gli acquisti più corposi sperando di poter risparmiare di più in futuro e di conseguenza le aziende investono meno e non assumono. Così la disoccupazione sale, nel Paese circola meno denaro e l’intero motore economico riduce i giri. Come è accaduto in Giappone negli anni 90, non per niente noti come “il decennio perduto” del Sol Levante. Non basta: più scende l’inflazione più il tasso d’interesse reale pagato sui titoli di Stato diventa svantaggioso. Il che, con un debito pubblico a 2.168 miliardi, è l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno. Disoccupazione di nuovo in salita. Le donne senza lavoro aumentano del 9,3% rispetto a luglio 2013 – Una spirale in cui di fatto l’Italia è già precipitata, come dimostrano il nuovo ingresso in recessione nel secondo trimestre dell’anno (quando il Pil è calato dello 0,2%, come confermato dai dati definitivi dell’Istat) il ristagno delle vendite al dettaglio, il crollo della fiducia di consumatori e imprese, le retribuzioni praticamente ferme e i dati sui senza lavoro. Questi ultimi sono stati aggiornati dall’istituto di statistica sempre venerdì: in luglio il tasso di disoccupazione è tornato al 12,6%, in aumento dello 0,5% sui dodici mesi e dello 0,3% rispetto a giugno. Non prosegue dunque l’inversione di tendenza registrata prima dell’estate, che aveva fatto ben sperare il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e indotto Renzi (era il 10 luglio) a rivendicare “54mila posti di lavoro in più”, “un dato che non passa mentre quelli negativi sì”. Oggi però di dati positivi da sottolineare non ce ne sono. Lo scorso mese si è registrato un calo degli occupati pari a 35mila unità: come se si fossero persi più di mille posti al giorno, ha calcolato l’Ansa. In Italia i senza lavoro sono a questo punto 3 milioni e 220 mila, in aumento del 2,2% rispetto al mese precedente (+69mila) e del 4,6% su base annua (+143mila), mentre gli occupati calano a 22.360.000, 71mila in meno su base annua. Rispetto al mese precedente la disoccupazione aumenta sia per la componente maschile (+3,3%), sia per quella femminile (+1%). Ma se il confronto è con luglio 2013, le disoccupate risultano in salita del 9,3% contro il +0,9% degli uomini. Il divario tra uomini e donne sul mercato del lavoro, insomma, resta enorme. Lo attesta soprattutto il tasso di occupazione, che per i primi è stato in luglio del 64,7%, mentre le lavoratrici erano solo il 46,5% del totale delle donne attive. Entrambi i dati sono in calo dello 0,1% sull’anno prima. L’incidenza dei disoccupati tra i giovani sale dell’1,1% – L’unico segnale positivo arriva dalla disoccupazione giovanile, con il tasso che scende al 42,9%, -0,8 punti rispetto al mese prima. Si può ipotizzare che sia l’effetto del lavoro stagionale, che fa anche salire il numero degli occupati a 939mila, +36mila in confronto a giugno. Ma allargando lo sguardo a un periodo di tempo più lungo si vede come il tasso di disoccupazione resti più alto del 2,9% rispetto al luglio 2013. Non solo: l’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,8%, +1,1 punti su base annua. Sempre più precari e lavoratori part time – Basta poi uno sguardo alla tabella Istat con i dati sulla tipologia di occupazione per rendersi conto che gli assunti a tempo indeterminato diminuiscono per lasciare il posto a lavoratori precari e spesso a tempo parziale. Nel secondo trimestre dell’anno gli “stabili” sono scesi di 44mila unità rispetto allo stesso periodo del 2013, mentre i dipendenti a termine sono saliti di 86mila unità di cui però 56mila a tempo parziale. p.s. eppure avrà una bel pò di voti! come sempre buon week end |
Post n°3283 pubblicato il 28 Agosto 2014 da ninograg1
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 28 agosto 2014 Il settimanale economico britannico titola: "Quella sensazione di affondare (di nuovo)". E, nell'editoriale, spiega che "l’euro potrebbe essere condannato" se i leader dei maggiori Paesi "non riusciranno a trovare il modo di rimettere a galla l’economia". Quanto a Draghi, l'unico che nella foto tenta di salvare la barca, "nonostante i suoi sforzi la politica monetaria e fiscale è troppo restrittiva" Una barchetta fatta con un banconota da 20 euro che rischia di affondare. A bordo Matteo Renzi che tiene in mano un gelato e davanti a lui, a prua, Francois Hollande che scruta l’orizzonte e una soddisfatta Angela Merkel. A poppa, Mario Draghi che cerca di svuotare lo scafo dall’acqua che lo sta sommergendo. E’ la copertina con cui l’Economist lancia l’allarme sui nuovi rischi per l’economia dell’Unione e la stabilità dell’euro, dopo “l’illusione” di essere riusciti a superare la tempesta. “Nelle ultime settimane i paesi dell’eurozona hanno ricominciato a fare acqua”, scrive il settimanale economico nell’editoriale che dà il titolo alla copertina, “Quella sensazione di affondare (di nuovo)”. “Se Germania, Francia e Italia non riusciranno a trovare il modo di rimettere a galla l’economia dell’Europa, l’euro potrebbe essere condannato”, avvisa il giornale britannico. “Le cause profonde dei nuovi malanni dell’Europa sono tre problemi ben noti e correlati” scrive l’Economist, riferendosi alla mancanza di leader con il “coraggio per le riforme”, ad un’opinione pubblica ancora non “convinta della necessità di cambiamenti radicali e ad un “sistema monetario e di bilancio troppo rigido”. Mali che vengono “drammaticamente rappresentanti dalla Francia” di Hollande, scrive l’Economist, che ha parole molto severe per il presidente francese. Mentre concede ancora un’apertura di credito a “Renzi che ha coraggiosamente spinto per drastiche riforme”, pur “ancora comunque da portare a termine”. Quanto a Draghi, “nonostante i suoi sforzi la cornice di politica monetaria e fiscale è troppo restrittiva e soffoca la crescita”. p.s. e cosa mai vuoi aggiungere quando si supera anche il limite del ridicolo? |
Post n°3282 pubblicato il 27 Agosto 2014 da ninograg1
“La sinistra è ipocrita: dalla pace alle armi” (Alessio Scheisari). 27/08/2014 di triskel182
“Nel 2003 erano tutti a manifestare in piazza, ora hanno cambiato idea perché sono tornati al governo. L’Isis? Dei sanguinari. I kalashnikov ai curdi? Pericoloso, è il regalo per gli amici del momento”. L’intervista Gino Strada, Emergency. “Jihadisti sanguinari, ma sono anche il prodotto della politica delle armi”. Una volta che ho deciso di andare ad ammazzare qualcuno, la modalità è secondaria perché sto facendo la più grande cazzata che un essere umano possa fare”. Gino Strada vive e lavora in Sudan, ma è in contatto quotidiano con i medici della sua Emergency che gestiscono ospedali e campi profughi ad Arbat e Choman (nel Kurdistan iracheno), dove sono confluiti migliaia di sfollati in fuga dalle regioni sotto attacco dell’Isis e dalla guerra civile in Siria. Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Ho vissuto tre anni e mezzo nel kurdistan iracheno. Era il 1996 ed era in corso una guerra civile tra le due fazioni curde: il Pdk di Masoud Barzani (l’attuale presidente del Kurdistan iracheno, ndr) e l’Upk di Jalal Talabani. Quando il Pdk stava per essere sconfitto, chiamò in aiuto i carri armati di Saddam Hussein. E quella era una guerra tra curdi. Quello che intendo è che in quello spicchio di mondo lì chi oggi è un nemico forse tra quattro mesi diventerà un alleato . Guardi quello che sta accadendo con al-Assad in Siria. Noi cerchiamo sempre di dividere il mondo in buoni e cattivi. Non è semplice. Faccio un altro esempio: nel 2003, prima dell’invasione Usa, andai a parlare con il ministro della Sanità iracheno e con Tareq Aziz (vice primo ministro sotto Saddam, ndr). L’incidenza di tumori e leucemie infantili era aumentata di dieci volte a causa delle armi chimiche e radioattive della guerra con l’Iran e del Golfo del ‘91, ma i medicinali non erano disponibili a causa dell’embargo. Proposi di fare arrivare un aereo 747 carico di anti-tumorali, ma mi disse di no. Preferiva usare l’embargo come tema politico contro gli Usa? Non ho più voglia di occuparmi delle ragioni degli uni e degli altri. Ciò che conta è che sono morti mezzo milione di bimbi. E quindi cosa dovrebbe fare, oggi, l’Occidente? Tenere a mente che ogni volta che si decide di combattere una guerra – che significa andare ad ammazzare qualcuno – si peggiorano situazioni spesso già disastrate. Non è bastata l’esperienza delle primavere arabe? Tre anni dopo, cos’è rimasto? In Egitto si condannano a morte i civili a cinquecento alla volta. In Libia c’è una guerra civile di cui non frega più niente a nessuno. Ma le immagini che arrivano da Iraq e Siria sono raccapriccianti. Tagliano le gole, e non solo al giornalista americano. Non mi illudo che l’Isis sia democratico e liberale, figurati! Ma in questo disastro c’è tutto il Medio Oriente, un’area completamente esplosa. Il punto è che quando uno decide di ammazzare qualcun altro, la modalità è secondaria. C’è chi taglia la gola, chi usa armi chimiche, chi bombarda coi droni: ognuno con le sue armi cerca di fare la pelle a qualcun altro. L’Italia cosa dovrebbe fare? Se io ragionevolmente credo che tu sia un pazzo scatenato, dal punto di vista della sicurezza del mio Paese sono più sicuro se metto in mano le armi al tuo nemico o se non gliele do? Se vogliamo che tra due anni qualcuno ci faccia un attentato, siamo sulla strada giusta. Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, usa argomenti assurdi per giustificare la decisione di dare quella ferraglia ai curdi. L’arsenale della Maddalena? È folle! Come cavolo è possibile che la Marina militare abbia disobbedito alle decisioni della magistratura, che ordinò la distruzione di quelle armi di contrabbando? Oggi quella roba lì, che non dovrebbe nemmeno esistere, è il regalo per gli amici del momento. Non rispettano la Costituzione, le convenzioni internazionali né la buona pratica di non vendere armi ai Paesi in guerra. Il pacifismo che fine ha fatto? Quando, nel 2001, il governo Berlusconi decise di invadere l’Afghanistan erano quasi tutti d’accordo. Solo Emergency e pochi altri parlavano ad alta voce contro quella guerra. Due anni dopo, c’è stata Piazza del Popolo, la più grande manifestazione pacifista di sempre in Italia. Tanti politici di centrosinistra si erano ravveduti: quelli che avevano votato per la guerra in Afghanistan, avevano scelto di dire “no” a quella in Iraq. Me li ricordo mentre sfilavano con le sciarpe arcobaleno addosso. E poi cos’è successo? Poi sono tornati al governo e hanno cambiato di nuovo idea. Ma io i politici li capisco: non sanno nemmeno dove sia l’Afghanistan, anche se siamo lì dal 2001. Invece non capisco la stampa: perché nessuno fa un’analisi e si chiede quante vite abbiamo perso in questi tredici anni, quante persone abbiamo ucciso, se abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati? La verità è che sulla guerra esiste ormai il pensiero unico. Forse perché le guerre oggi sono più difficili da raccontare: si usano tanti droni e meno soldati. No, viene da più lontano. Tutto comincia con i giornalisti embedded. Nella più grande operazione militare della storia della Nato, ad Helmand, in Afghanistan, non c’era nemmeno un giornalista che non fosse embedded. Quando la gente vede certe immagini medievali, come Abu Ghraib, prende coscienza, perché capisce quanto la guerra faccia schifo. Ci sono tanti giovani occidentali che ne rimangono affascinati: partono e diventano jihadisti. È lo stesso meccanismo. Quando si accetta la possibilità di ammazzare, si diventa gli esseri umani peggiori. L’unico approccio umano alla guerra è l’abolizione, com’è successo con la schiavitù. Da Il Fatto Quotidiano del 27/08/2014. |
Post n°3281 pubblicato il 26 Agosto 2014 da ninograg1
... anche la Francia "cambia" verso... gli manca un Renzi ma ci stanno lavorando. Ci pensate? L'italica infezione ha superato el alpi: è un infezione molto più pericolosa dell'ebola perchè non colpirà una parte ma il tutto, un intera nazione: sapranno i francesi tirarsene fuori in tempo? O si dovranno rassegnare anche loro a un sociaista di destra che imità un DC mascherato da socialista?Quanto accade in Francia dovrebbe farci aprire gli occhi: non è più un problema di schieramenti ma di ideologia: che siano socialisti o di destra, che poi è la stessa cosa, il pensiero base è sempre lo stesso: salvare il mercato e i suoi corifei, tedeschi soprattutto............ dal Fatto Quotidiano a firma di Leonardo Martinelli | 26 agosto 2014 Virata ulteriore a destra di François Hollande con il nuovo governo presieduto da Manuel Valls. Dopo l’eliminazione dall’Esecutivo di tre pezzi grossi dell’ala sinistra del Partito socialista (Arnaud Montebourg, l’ex ministro “ribelle” dell’Economia, e poi Benoit Hamon e Aurélie Filippetti), colpevoli di aver criticato le scelte del presidente, le nuove nomine confermano che il Presidente francese, in crisi endemica di consensi, gioca la carta moderata per cercare di invertire la tendenza. Solo tre mesi fa la decisione di formare un nuovo esecutivo in seguito alla débalce dei socialisti alle Europee. Ora la Francia ricomincia ancora dall’inizio. Montebourg è stato sostituito da Emmanuel Macron, classe 1977, un fedelissimo del Presidente, che lo ha accompagnato da vicino già dai tempi della campagna elettorale che lo portò alla vittoria nel 2012. Macron è un ex banchiere di Rothshild e un socialista assolutamente liberale. Non avrà alcuna difficoltà a cooperare con Michel Sapin, 62 anni, che viene confermato al dicastero della Finanza. Sapin è un altro amico di Hollande, davvero di vecchia data. Come Hollande è un europeista convinto, nel senso stretto del termine: ritiene che il rigore nei conti pubblici sia assolutamente prioritario. E che non si debba contrariare la Merkel sulle politiche di austerità. Per il resto, Hollande ha confermato tanti rappresentanti della vecchia nomenclatura socialista, come Laurent Fabius agli Esteri e l’ex moglie Ségolène Royal, all’Ambiente. I “giovani” sono comunque molto vicini al Presidente, come Najat Vallaud-Belkacem, nuovo ministro dell’Educazione (per la prima volta una donna). Tutto questo putiferio parigino di fine estate, comunque, al di là delle rivalità personali fra i suoi protagonisti, è l’ennesima dimostrazione di una crisi di fondo, strutturale della sinistra francese, che non sa trovare una risposta univoca e innovativa alla crisi economica. E dell’Europa. “E’ una crisi grave – scrive su Le Monde l’analista politica Françoise Fressoz -, che dimostra la debolezza della sinistra, il suo agire da principianti, la sua impreparazione di fronte alla crisi, la sua incapacità a superarla in maniera collettiva. Una sinistra dove ognuno fa gli affari suoi, del si salvi chi può”. Hollande cerca di zittire definitivamente le voci critiche all’interno del suo partito con nomi legati al passato o con nomi nuovi, comunque facili da gestire. La mossa riuscirà a contrastare l’emorragia dei consensi per la sua presidenza, che iniziò sotto i migliori auspici, dopo la vittoria del maggio 2012? Non è detto. D’altra parte quella vittoria si era basata in parte su un malinteso, proprio sull’Europa. Hollande era sempre stato un europeista convinto. E da sempre fa parte di quella tradizione del rigore sui conti pubblici prima di tutto, che in Francia affonda radici profonde nell’epoca di François Mitterrand. Invece, gran parte del suo elettorato nel 2012 (lo appoggiarono anche i Verdi e il Front de gauche, di estrema sinistra, e lo votarono tanti “apolitici” che dopo si sono spostati su Marine Le Pen) non credeva più nell’Europa e sperava in uno strappo di Parigi rispetto a Berlino e alla sua rigidità. Certe dichiarazioni assai dure di Hollande in quei mesi fecero credere in un’alternativa francese alla visione tedesca dell’Europa e dell’euro. Ma poi il neopresidente non dette seguito a quei propositi battaglieri. Non solo: Hollande puntava in una ripresa economica che avrebbe rafforzato la posizione del suo Paese. Parlò addirittura nel 2012 di una crescita prossima in nome della “teoria dei cicli”, senza capire che le cose stavano cambiando. Che i cicli non ci sono più: c’è solo stagnazione. Dopo due anni la Francia si ritrova oggi ancora in crisi e da questo punto di vista ancora più debole rispetto all’alleato tedesco. La disoccupazione è ai massimi. Hollande ha scelto la strada dei sacrifici per riportare in ordine i conti pubblici, che, dal punto di vista del deficit, sono fuori controllo, ancora di più di quelli italiani. Il suo elettorato voleva qualcosa di diverso. Progressivamente gli esponenti della sinistra socialista, perfino quelli con un posto nel Governo, hanno iniziato a contestare il “capo”, Hollande. Fino alle accuse dell’ex ministro dell’Economia Montebourg, che hanno portato all’ultima crisi di governo. Quest’ultimo ha infatti puntato il dito contro “il dogma dell’ortodossia di bilancio” (rifiutando di seguire “gli assiomi della destra tedesca”), chiedendo “una politica europea di sostegno dei consumi”. Hollande non la pensa proprio così. Ha scelto la piena fedeltà alla Germania. Non è mai stato disposto a seguire neanche certe velleità anti-Merkel di Renzi. Il nuovo governo Valls con un ex banchiere di Rothshild responsabile dell’Economia ne rappresenta l’ennesima dimostrazione. |
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CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG
NON LASCIAMOCISOLI & CHE
O siamo Capaci di sconfiggere le idee contrarie con la discussione, O DOBBIAMO lasciarle esprimere. Non è possibile sconfiggere le idee con la forza,perchè questo blocca il libero Sviluppo dell'intelligenza "
Ernesto Che Guevara
Inviato da: cassetta2
il 10/04/2024 alle 17:27
Inviato da: virgola_df
il 31/12/2023 alle 12:23
Inviato da: cassetta2
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Inviato da: giampi1966
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Inviato da: ormalibera
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