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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Stelle cadenti

Post n°101 pubblicato il 10 Agosto 2006 da bimbadepoca
 
Foto di bimbadepoca

X AGOSTO

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.
Ora è là come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido
portava due bambole in dono...

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
Oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!

Quanti di voi avranno studiato questa poesia da ragazzi. Io la dovetti mandare giù a memoria in prima media. Ricordo che sbagliavo sempre la pronuncia di "addita", ma in quel tempo, era certamente un verbo inusuale per me.
Ogni volta che sbagliavo, l'insegnante mi correggeva e mi faceva cominciare dal principio, ed io come una cantilena ripetevo.
La ricordo a memoria ancora adesso. Mentre la trascrivevo, la recitavo con un'enfasi da attrice drammatica, ma anche stavolta ho sbagliato a pronunciare "addita" e mi è venuto da ridere.

La pioggia di stelle destinata a sparire, nient’altro che stupidi detriti, quante notti passate in spiaggia a cercar di vedere le stelle cadenti... ed il primo che ne vede ha il diritto di esprimere un desiderio.

Ricordo quell'estate in campeggio, la prima volta in Sardegna. Ero partita con il mio ragazzo, vivevamo  da un paio d’anni una storia per niente normale, fatta d’alti e bassi, ed io m’illudevo che quel primo viaggio insieme sarebbe stato l'occasione per cominciare una relazione più matura, già veleggiavo con la fantasia tra le trame rosa dei romanzi Harmony.
Ma lui aveva subito messo le cose in chiaro – Noi due soli, come i fidanzatini di Peynet - aveva esclamato con disgusto- dirò a tutti che sei mia sorella -
Ma eravamo diversi io e lui, troppo scuri i suoi occhi, troppo neri i capelli, troppo chiari i miei colori. Raccontò in giro che eravamo cugini e per tutelarsi da eventuali corteggiatori s’inventò, a mia insaputa, che ero promessa sposa di un pericoloso camorrista.

All’inizio, quando ancora non sapendo, non avevo potuto smentire la fandonia che aveva messo in giro, gli altri ragazzi del campeggio mi tenevano un po’ in disparte. Lui, Peynet il mio ragazzo, mi lasciava spesso sola,  per uscire ufficialmente con vecchi amici. Quindi io mi ritrovai a fare amicizia con dei ragazzi tedeschi, gli unici nel campeggio a cui per problemi linguistici non era giunta la buona novella.
Tra loro c’era un ragazzino, Karl Wagen (non è chiaramente il suo vero nome, ma il nome più tedesco che mi è venuto in mente), avrà avuto al massimo tre anni meno di me, ma quando anche tu sei poco più di una ragazzina le differenze d’età sembrano enormi, ed io mi sentivo una donna fatta rispetto a lui, che era dolce e delicato, ancora imberbe.

Era molto carino Karl Wagen, biondino, gli occhi chiari,  molto diverso dal mio tipo ideale, ma per quelle strane alchimie che nascono tra le persone, io ero attratta da lui. E lui da me.
Comunicare era quasi impossibile, quasi comico, per farlo dovevamo essere necessariamente in quattro.
Karl Wagen parlava solo in tedesco, suo fratello maggiore traduceva in inglese, un altro ragazzo milanese, che aveva fatto amicizia con me sfidando l’editto camorristico, traduceva poi in italiano.
Era penoso quel modo di comunicare. Con il timore di perdere il significato originale delle frasi. Con la vergogna di dirci cose banali.

Sguardi, il nostro era un rapporto fatto di sguardi e sorrisi. E rossori, sia miei che suoi. E parole non dette. Tante parole sospese.

Quella notte del dieci agosto, Peynet mancava ormai da alcuni giorni e quando sarebbe ritornato al focolare della nostra tenda canadese, sarebbe stato accolto con grandi festeggiamenti in suo onore, tra cui il lancio di oggetti e la fine di un amore.

Io andai in spiaggia quella notte, per cercare di vedere le stelle cadenti. Tutti gli altri ragazzi del campeggio erano lì, già distesi a naso insù, facendo la conta di quante ne vedevano.
Undici… Otto… Sette… mi sembravano troppe per me, che non ne avevo visto mai nemmeno una.
I ragazzi tedeschi erano stesi su un plaid, mi chiamarono e mi sdraiai al loro fianco senza parlare.

Karl Wagen muovendosi lentamente, molto lentamente trovò il modo di far sì che io appoggiassi la testa sul suo grembo. Non guardavo le stelle, non facevo la conta, io ero troppo concentrata ad immaginare i suoi gesti, goffi tentativi per accarezzarmi i capelli. Sentivo che allungava la mano, tante volte, ma poi la ritraeva sempre per paura di rovinare tutto.

Eccola, una stella cadente.  La prima volta che non potrò mai dimenticare. Non riuscii nemmeno ad esprimere un desiderio, tanto rimasi incantata.
Ma chissà forse una piccola magia si compì lo stesso quella notte, perché a distanza di anni, io ricordo ancora quella carezza furtiva con lo stesso incanto. E quel semplice gesto mi è rimasto nel cuore più di tante notti rubate, di tanti amplessi sbagliati, di tante evoluzioni da circo.

Da allora cerco di non perdermi lo spettacolo mozzafiato che si ripete ogni estate. Ho espresso tanti desideri in questi anni, ma nessuno si è ancora avverato. Ci riproverò anche questa sera e sabato notte quando è previsto il picco della pioggia di stelle.
Andrò in montagna ed aspetterò che la magia si ripeta… come quella notte che vidi una stella.

 
 
 
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