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Il mio primo bacio.

Post n°53 pubblicato il 05 Giugno 2006 da ipermarco1
 
Foto di ipermarco1

Grazie per i contributi al mio sondaggio sul primo bacio. Come al solito i commenti privati superano quelli pubblici, ma va bene lo stesso. Qualcuno mi chiede come è stato il primo bacio di un CyberArguto... ve lo svelo subito:

Era la stagione del sogno.

Ricordo che potevo passare delle ore, dopo la scuola, affacciato alla mia finestra preferita, in campagna. Al di là di essa un paesaggio, per me, straordinario. Un'altopiano, quasi spaziale saturo di una infinità di segni frutto di un equilibrio secolare tra l'ambiente e l'attività agricola e pastorale propria della mia terra. Qualche casa lontana, interminabili muretti a secco, i trulli, un castello lontano, poche strade dove si avventuravano carretti ancora trainati dai muli, orizzonti lontani, vegetazione scarna che a fatica si apriva varchi tra le pietre, e di tanto in tanto macchie di uliveti, vigneti, boschetti e campi di grano; ad imperare su tutto il diritto al "silenzio".

Spesso mi avventuravo nel mio bosco di roverelle. Era bello girovagare in quell'ambiente per me familiare, ne conoscevo tutti i segreti, i rifugi gli angoli più remoti. Di sicuro era tarda primavera, ricordo il cielo tinto di smeraldo, la natura si colorava di fiori e di colori. Mi dilettavo, ad occhi chiusi, ad odorare i fiori del bosco per poi indovinarne la specie, mi piaceva anche ascoltare i versi degli uccelli e degli animali ed immaginarne le attività. In un angolo del bosco fiorivano le margherite. Spesso ne raccoglievo dei mazzetti, che poi regalavo alla mia insegnate preferita, che poi non era proprio la mia insegnante, di cui ero inconsapevolmente innamorato. Nei giorni più ventosi costruivo aquiloni che facevo volare, riempiendo il cielo con i loro colori vivaci.

E cosi scorrevano le mie giornate di prima giovinezza.

Ricordo di una ragazza, era la figlia di amici di famiglia che spesso venivano a trovarci nella nostra casa di campagna.
Aveva i capelli lunghi, neri, due occhioni vivaci, un sorriso aperto e coinvolgente, il seno sviluppato riempiva di femminilità questa ragazzina maliziosa. Aveva un paio di anni più di me, estroversa e spietatamente simpatica.
Non le ero antipatico ma si divertiva a procurare il mio imbarazzo raccontandomi di corteggiatori e dei suoi primi palpiti di cuore. Ricordo anche quanta sofferenza mi procuravano le sue confidenze che tenevo segretamente in me attento a non tradire una ingenua gelosia.

Ci facevamo compagnia in quei lunghi pomeriggi in campagna e spesso, ci avventuravamo nel bosco. Quello era il mio ambiente, e li facevo sfoggio del mio sopraffino olfatto, della mia conoscenza della natura, le mostravo orgoglioso le tane delle volpi, associavo ad ogni verso il suo animale, cercavo di insegnarle, invano, a costruire un aquilone.

Lei voleva che non la chiamassi con il suo nome, come se proninciarlo fosse stato infrangere l'incantesimo che ci univa. E così, quando la chiamavo, mentre giocavamo nel bosco, usavo un amichevole soprannome... che... non ricordo.

Ricordo che lei aveva paura dei tuoni e un giorno, mentre eravamo nel bosco, ci raggiunse uno di quei improvvisi temporali estivi ed il cielo iniziò a tuonare. Lei venne a rifugiarsi fra le mie braccia trasformando quell'abbraccio in un emozione talmente grande per me da accorciarmi il respiro.

A volte, restavamo troppo nel bosco ed i nostri genitori ci sgridavano... che buffo era, quando, per fare il cavaliere,
confessavo di essere io solo la causa di quei ritardi invece che, in verità, era la mia amica la sola colpevole!

Un giorno, eravamo tristi.

La scuola stava finendo ed i suoi insegnanti minacciavano di rimandarla e lei aveva pianto. La sua tristezza mi coinvolgeva, così per distrarla, la portai a passeggiare nel "nostro" bosco. Seduto su di un tronco, accanto a lei, le stringevo forte le mani che sentivo tanto fredde... mentre lei ripeteva, piangendo, che era stata cattiva la preside a dirle che meritava di essere rimandata.... che non voleva più tornare in quella scuola e che preferiva restare nel bosco per sempre...

Io, dopo averla ascoltata, con tono pacato ma deciso la consolavo dicendole di non fare così! Le parlavo di una felicità nascosta, che sopravvive al pianto ed ai dispiaceri. Niente può resistere alla forza dell'amicizia e dell'affetto... alla forza della gioia di sopportare i dispiaceri insieme.... E lo dicevo nel tono di un professore, malgrado avessi da poco raggiunto gli anni della ragione. Ancora non sapevo cosa volessi realmente dirle: la vita non me l'aveva insegnato. La carezzavo con le mie parole tenendole le mani.

INCONSAPEVOLMENTE le stavo parlando di AMORE!

Così, come se fosse la cosa più spontanea e naturale, le sue labbra rosee si posarono lievemente sulle mie, per regalarmi un bacio... e ci abbracciammo, soli in mezzo al bosco.

Fu la nostra ultima felicità.

Ricordo che dopo poco, in un giorno piovoso, lei mi volse i begli occhi, pieni di lacrime. Le chiesi cosa fosse, non mi rispose.
Teneva le mani giunte, quasi mi pregasse di non parlarle. Un segreto, o forse un presentimento, le morì sulle labbra...

Il giorno dopo, appresi che la sua famiglia si trasferiva in un altra città e che probabilmente non ci saremmo rivisti mai più.

Quando lo seppi, corsi nel mio bosco, sulla strada ancora bagnata e fangosa, a gridare il suo nome ai venti. Invano!
Lei più non rispondeva alla mia voce. Forse, perché il suo cuore era lontano. Non la rividi mai più.

Pensai che si fosse avventurata da sola nel bosco, ed aveva incontrato il silenzio. Era stata rapita dai nostri stessi segreti, ed aveva incontrato così la sua sorte, limpida come il cielo d'estate, profumata come i fiori del bosco, colorata come gli aquiloni.
Il destino senza volto, padrone delle umane vite, aveva scritto, le ultime parole di quella magica storia.

La storia della mia amica.

Per un pò non tornai nel bosco. Poi un giorno ci andai e mi ritornarono in mente le sue parole, la sua allegria, i suoi occhioni neri, le grida festose dei nostri giochi, il suo bacio. Fu allora che compresi che era stata lei la mia vera maestra. La sua lezione, semplice e felice, non l'avrei mai dimenticata, per tutta la vita.

...."Turchina"....

ora ricordo... la chiamavo Turchina... era la mia fata.

 
 
 
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Un blog di: ipermarco1
Data di creazione: 31/03/2006
 

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