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« IL SENSO IN SÈ E LA PART...UN CITTADINO DEMOCRATICO... »

DEMOCRAZIA ETICA E GIUSTIZIA SOCIALE DISTRIBUTIVA

Post n°1078 pubblicato il 11 Settembre 2023 da rteo1

DEMOCRAZIA ETICA E GIUSTIZIA SOCIALE DISTRIBUTIVA

Credo che la "democrazia" tra i tanti benefici, relativamente al ruolo politico del c.d. "Popolo", abbia prodotto anche l'effetto di riconoscere ai cittadini il diritto di "pensare" e di esprimere (più o meno) liberamente il proprio pensiero. Ovviamente questo non è tutto, perché al di là del "cogito ergo sum" di Cartesio, gli uomini hanno anche un "corpo" che reclama di "essere alimentato" per poter agire, lavorare, produrre, e non solo consentire il "cogitare". Per questi motivi, da molto tempo, ormai, tra i diversi argomenti che impegnano l'agone politico vi è sicuramente quello relativo alla distribuzione delle ricchezze nell'ambito della società. Va evidenziato che le modalità di riparto della ricchezza sono strettamente collegate alla forma di Stato e di governo. In una monarchia, ad es. di tipo assoluto, come era quella di Luigi XIV, Re di Francia, che si identificava con lo Stato (l'état se moi, come diceva), tutte le ricchezze appartenevano al Re, come anche i sudditi. Lo Stato, quindi, era "patrimonio" del Re e, pertanto, passava in successione dinastica come "bene ereditario". Ma anche le più moderne "monarchie" con i Re, dette "costituzionali" o "democratiche", come ad es. quella inglese (ma anche Spagnola, Belga, Svedese, Danese, Norvegese...) pur non essendo più "proprietarie dei regni" (Stati) tuttavia godono del privilegio di un "sostanzioso appannaggio" economico-patrimoniale a carico dei sudditi (i quali, formalmente, sono altro, rispetto ai cittadini perché hanno il "dovere" dell'inchino e della riverenza, tipici atti di sottomissione, psicofisica e morale e non di pura e libera "cortesia") e partecipano, altresì, al Governo dello Stato con funzioni più o meno intrecciate con le procedure del potere legislativo ed esecutivo. Diversamente, invece, avviene nella c.d. "democrazia" (nella forma moderna di "Repubblica democratica"), nella quale il destinatario delle ricchezze prodotte dalla Comunità è il Popolo (in realtà solo una parte, purtroppo, come si evidenzierà in seguito) che è anche definito dalla Costituzione (art.1) come "Sovrano" della Repubblica (mentre, ex art.87, co.1, della Carta, il "Capo dello Stato" è il Presidente della Repubblica). Infine, nell'oligarchia (forma di governo risultante dai modelli platonici e aristotelici) sono soprattutto gli "oligarchi", ossia l'élite dominante al potere, ad accaparrarsi la maggior parte delle risorse. Vi è, pertanto, una correlazione tra le forme di Stato e di governo innanzi menzionate e la "ripartizione delle risorse" prodotte dalla Comunità; tale correlazione perciò può ben essere presa come riferimento per dedurne quanta "democrazia" è entrata a far parte della Repubblica-democratica, nella Monarchia-democratica o nell'oligarchia. Trattasi, in altri termini, di  un metodo di analisi "sostanziale", più reale e veritiero rispetto al modello costituzionalizzato che fa uso di formule teoriche, retoriche e di simboli sacralizzati. Per fare un esempio concreto richiamiamo l'art.1 della Costituzione italiana che, come noto, sancisce: "L'Italia è una Repubblica democratica..." e che "La sovranità appartiene al Popolo....". L'Italia, quindi, non è - formalmente - una monarchia né una oligarchia, ma è una "democrazia" (innestata nella forma repubblicana che riconosce la "Sovranità" al Popolo) pertanto, in ordine alla distribuzione delle ricchezze, se fosse vero il "principio fondamentale della Costituzione", si dovrebbe riscontrare "nei fatti" che il "Popolo" (ossia, in senso lato, tutti i cittadini, nessuno escluso) sia il beneficiario (goda, fruisca) di tutte le risorse (mobili, immobili e opere intellettuali) prodotte dall'intera Comunità. E inoltre, trattandosi di democrazia, che, a differenza degli altri regimi di governo, si fonda sul principio politico-giuridico ed etico dell'eguaglianza dei cittadini (parità tra cittadini, in senso reale, concreto, orizzontale, e non soltanto in senso formale "dinanzi alla legge"), la richezza dovrebbe risultare "equamente distribuita" (secondo eguaglianza e giustizia sociale). Vediamo, allora, se è proprio così. Dai dati ufficiali (al 2019, ma tuttora validi in termini percentuali) si rileva che la "torta della ricchezza" (l'intero "patrimonio" delle famiglie italiane) è stata stimata in circa 9.297 miliardi di euro, con il 20% più ricco che possiede quasi il 70% della ricchezza nazionale; un altro 20% detiene il 17% circa della ricchezza e il restante 60% dei cittadini possiede solo il 13,3% (ai margini dei quali si trovano circa 5.000.000 di cc.dd. "poveri assoluti" nonché 5.000.000 di cc.dd. "poveri relativi"). È di tutta evidenza, dai dati che precedono, che in Italia, dal punto di vista della distribuzione delle risorse, esiste una oligarchia (da oligos, pochi) che ha un ruolo "idrovoro" ed "energivoro" "nell'accaparramento" delle ricchezze (circa il 70%) mentre la "democrazia" (ossia il 60% del "popolo") ha soltanto una parte marginale (partecipa al riparto della ricchezza solo per il residuo 13,3 %), con oltre 5.000.000 di "cittadini" privati, o limitati, delle risorse, della dignità e dei diritti umani. Eppure si continua a ripetere, senza alcuna esistazione, senza alcun disagio morale, né etico, religioso o sociale che in Italia c'è la "democrazia", così come ci sarebbe in tutti gli altri Stati europei e nell'intero occidente capeggiato dall'America. Invece, stando ai predetti dati statistici, bisognerebbe dire che c'è soltanto una "quota di democrazia". Ed è così in tutto l'occidente, sia negli Stati repubblicani che nelle monarchie con i Re (che in Europa costituiscono la maggioranza), nel quale la democrazia è soltanto una "quota", una ""frazione", che concorre con le élites oligarchiche e monocratiche nel governo degli Stati e alla distribuzione delle risorse. È questa, quindi, la realtà che emerge dall'analisi del "riparto della ricchezza" nei diversi modelli di Stato e di  governo europei e occidentali. Non basta dire, perciò, che uno Stato è democratico ma bisogna chiedersi anche "quanto" lo sia, non solo nella forma (art.3 della Cost.: Tutti i cittadini sono eguali...) ma anche e soprattutto nella "sostanza" (quanti cittadini partecipano e quanti sono esclusi dalla distribuzione delle risorse). La già citata Costituzione italiana al comma 2 dell'art.1 sancisce che "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Non vi è dubbio che in virtù di tale prescrizione si abbia voluto, politicamente e istituzionalmente, limitare l'esercizio diretto della volontà popolare, sia in ordine al potere legislativo (approvare le leggi, iniziativa legislativa e referendaria vincolanti, ecc.) sia nell'attribuzione delle diverse cariche statali (il Popolo, oggi, non elegge direttamente il PDR, né il "Capo del Governo", né i Giudici della Corte costituzionale, e neanche le supreme cariche delle altre magistrature, come, invece, avveniva, ad es., nella democrazia ateniese ove l'Assemblea era costituita dal popolo, come anche  i tribunali, i cui giudici, peraltro, erano scelti tra la "classe dei più poveri", i Teti, mediante estrazione a sorte, e la funzione aveva una durata annuale). È del tutto evidente, perciò, che nell'ordinamento italiano, sul piano "sostanziale", la "democrazia" coesiste con una sorta di "oligarchia" (l'élite) e che si rinviene anche un ruolo apicale "monarchico" (mònos, uno solo), com'è quello del "Capo dello Stato" (il PdR), al quale sono riservate risorse e privilegi. Trattasi, perciò, di una "formula" politico-costituzionale riconducibile a quella definita "mista" da Aristotele, il quale la riteneva, tuttavia, come la più equilibrata possibile perché in grado di dare maggiore stabilità alla Polis. Oggi, però, agli albori del terzio millennio, sebbene vi siano tendenze geopolitiche egemoniche di alcuni Stati atte a riportare indietro "l'orologio della storia" e l'intera umanità all'età della pietra, si può anche "prendere atto" di tale forma "mista" di gestione del potere pubblico ma bisogna correggere l'iniquo riparto delle ricchezze, che si fonda sulla "forza" politico-economica e giuridica delle diverse "classi" (o categorie sociali e istituzionali), e recuperare e valorizzare il "principio etico" di fondo della democrazia, ossia il principio dell'eguaglianza reale. Nessuna forma di governo può esistere solo come pura "forma politica" (né giuridica) ma tutte hanno bisogno di un "principio etico" (ad es. le virtù, l'onore e il coraggio per l'Aristocrazia). Così anche la moderna democrazia ha bisogno del "principio etico dell'eguaglianza reale", in virtù del quale "tutto il Popolo" deve partecipare alla distribuzione delle risorse. La democrazia, perciò, dev'essere anche "etica" e non solo politico-giuridica in senso stretto. Vale la pena ricordare che le "leggi del libero mercato" sono solo il frutto della elaborazione e imposizione del capitalismo economico-finanziario dell'élite imperiale dominante (internazionale e nazionale) ma non hanno alcun valore assoluto. Bisogna, perciò, ripartire dal comune fondamento biologico che tutti gli "umani" hanno lo stesso DNA (e moltissimi vizi e difetti comuni); che "nessuno basta a sé stesso" e "tutti hanno bisogno di tutti" perciò è giusta la distribuzione delle ricchezze secondo il principio della "democrazia-etica", la quale trova un valido fondamento nella "Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo" che all'art.1 sancisce: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti». La Dichiarazione venne adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi con la Risoluzione 219077A del 10 dicembre 1948 e tra i Paesi firmatari vi erano gli Stati Uniti d'America, il Regno Unito e la Francia (l'Italia entrò a far parte dell'Assemblea nel 1955). Come si rileva dalla citata "Dichiarazione" (che non può essere sconfessata dai firmatari, se non negando di essere stati "capaci d'intendere e di volere", o in "malafede, non credendo in ciò che "dichiaravano" e firmavano) è la "nascita" il momento fondamentale: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti". La "nascita", pertanto, deve costituire l'evento, l'accadimento, il fatto biologico, il momento in cui "tutti gli esseri umani" sono nella condizione di "eguaglianza in dignità e diritti". Tale "nascita" non ha, per quanto si ricava dalla "Dichiarazione", alcun riferimento con i "genitori", né con la "stirpe" o la "gens" familiare, perciò al momento della nascita sono "tutti eguali", sia il figlio di un bracciante, che di un operaio, di un magistrato, di un professionista, di un parlamentare, di un "grande capitano d'industria", ecc. Non vi è dubbio, ovviamente, che nella realtà, almeno finora, chi nasce in una famiglia di ricchi non sarà mai "eguale" a chi nasce in una famiglia di poveri perché la "dinamica" è regolamentata dagli "ordinamenti giuridici"; ma questi non hanno alcun valore assoluto e universale e non sono né eterni né immutabili. Basta perciò soltanto volerlo "politicamente" e "culturalmente". In che modo ? ci si domanderà. La soluzione è quella di superare la "finzione giuridica" che, contronatura, mediante l'istituto della "successione ereditaria", fa sopravvivere alla morte biologica un essere umano. Tale "istituto giuridico" ha in sé, sullo sfondo, anche dell'inconscio, una "folle idea metafisica", ontologica, dell'uomo quale essere dotato di potere assoluto rispetto alla morte (come quello del Dio Creatore e Salvatore), che consente, mediante l'esercizio della funzione legislativa, di "continuare" ad esistere (giuridicamente) mediante successori (legittimi o testamentari), in primis i figli. Indubbiamente questi ultimi hanno in sé (in generale) una parte del patrimonio genetico dei "genitori" (uso le virgolette perchè oggi il concetto di "genitorialità" è controverso tra le diverse fazioni politiche), ma è altrettanto certo che essi siano "altro", degli individui del tutto originali, nuovi e diversi rispetto ai propri genitori (molti "geni" hanno avuto dei figli "idioti" e molti "idioti" hanno avuto figli "geniali"). Ecco, allora, perché risulta essere naturalmente ed eticamente giusto e corretto quanto solennizzato nella suddetta "Dichiarazione universale", cioè che tutti alla "nascita" sono "eguali in dignità e diritti". Occorre, perciò, trovare una qualche soluzione "giuridica" per poter trasferire tali principi e valori anche sul piano patrimoniale. La Costituzione italiana all'art.42, u.co, sancisce che "La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità". È questa, perciò, la via da seguire, ossia intervenire sulla legge della successione ereditaria per ridistribuire equamente le risorse che oggi sono "ingiustamente" detenute soltanto dai suddetti "ricchi" (il 20% dei cittadini, che possiede il 70% delle risorse), ma anche dai "meno ricchi" (il 20%, che detiene un altro 20%) e dalla "classe media" (il 60%, che possiede il restante 15% circa). Alexis de Tocqueville, nel suo noto saggio "La democrazia in America", registrava, con sorpresa, con la sua cultura di aristocratico e di alto magistrato, che in alcuni Stati americani le imposte di successione erano particolarmente elevate per far sì che le ricchezze accumulate ritornassero alla collettività. Come si vede, a quel tempo avevano ben chiaro quale fosse il vero problema della diseguaglianza sociale: l'accumulo illimitato delle ricchezze a causa della trasmissione dei beni per via ereditaria, perciò intervenivano mediante una elevata imposta di successione. In Italia la materia (scottante !) è stata disciplinata con il d. Lgs. del 31.10.1990, n.346, che ha approvato il T.U., contenente le "disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni. L'art.3, comma 4-ter, prevede che "I trasferimenti effettuati anche tramite i patti di famiglia... a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, quote sociali e di azioni non sono soggetti all'imposta". L'art.12, invece, sancisce che "1. Non concorrono a formare l'attivo ereditario: h) i titoli del debito pubblico, fra i quali si intendono compresi i buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro, ivi compresi i corrispondenti titoli del debito pubblico emessi dagli Stati appartenenti all'unione europea e dagli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo"; i) gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati, ivi compresi i titoli di Stato e gli altri titoli ad essi equiparati emessi dagli Stati appartenenti all'Unione europea e dagli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo, nonché ogni altro bene o diritto, dichiarati esenti dall'imposta da norme di legge". L'art.13, inoltre, esclude " I beni culturali di cui agli articoli 1, 2 e 5  della legge 1 giugno 1939, n.1089, e all'art.36 del DPR 30.9.1963, N.1409...". In ordine alle aliquote, invece, l'art.7, commi 1 e 2 (come modificati dall'art.69, L. n.342/2000), sancisce: "1. L'imposta è determinata dall'applicazione delle seguenti aliquote al valore della quota di eredità o del legato: a) quattro per cento, nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta; b) sei per cento, nei confronti degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonchè degli affini in linea collaterale fino al terzo grado; c) otto per cento, nei confronti degli altri soggetti. 2. L'imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera i 350 milioni di lire (euro 180.759). 2-bis. Quando il beneficiario è un discendente in linea retta minore di età, anche chiamato per rappresentazione, o una persona con handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificata dalla legge 21 maggio 1998, n. 162, l'imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera l'ammontare di un miliardo di lire (euro 516.456). Da quanto precede emerge in modo del tutto evidente che in Italia la "democrazia etica" è un puro miraggio ma che, tuttavia, se quella parte politica che ama compiacersi ritenendosi  "democratica e progressista" riuscisse ad esserlo anche nei fatti allora si potrebbe sottoporre ad imposta di successione (almeno) il 70% dell'intero patrimonio (asse) ereditario, col trasferimento delle risorse al "Sovrano" cioè al "Popolo", il quale, per il tramite delle "sue istituzioni repubblicane" (in particolare i Comuni), le ridistribuisce  in modo eguale tra tutti i cittadini (nessuno escluso). In alternativa, qualora si dovesse ritenere opportuna una modifica graduale della vigente normativa si potrebbe iniziare mediante l'abrogazione del suddetto comma 4-ter dell'art.3; modificando l'art.12 con l'introduzione di una esclusione parziale dei titoli del debito pubblico (ad es. fino a €. 50.000), e introducendo, a modifica dell'art.7, un'aliquota progressiva, per scaglioni, (conformemente all'art.53 della Costituzione), fino a una aliquota massima del 70 % sull'intero patrimonio (asse) ereditario, con una soglia di esenzione della quota ereditaria o del legato (ad es. €. 155.000, pari alla quota pro capite di €.9297 mld). L'equa distribuzione delle risorse, invece, secondo un principio di "democrazia etica" e di "giustizia sociale", dovrebbe avvenire cominciando dal "basso" (per capirci, "dall'ultimo" dei cittadini) e "salire" nella c.d. "scala sociale", o della "gerarchia" delle diverse funzioni pubbliche, anziché, come tuttora avviene, partendo "dall'alto", dai vertici, perché così si arriva sempre in fine (alla "base sociale") senza avere più risorse disponibili da distribuire (oggi, come sopra detto, ci sono circa 5.000.000 di poveri assoluti). Occorrerà, quindi, "ribaltare la piramide" nella "distribuzione delle risorse" incominciando dalla base verso il vertice per realizzare una società ispirata alla "democrazia etica" e alla "giustizia sociale" in cui i cittadini,  al di là del momento in cui esercitino le diverse attività, ruoli e funzioni, si relazionino in senso "orizzontale" e non più "verticale", secondo un criterio di eguaglianza sostanziale e non più solo formale. In altri termini, al di là della necessità socio-politica di dover organizzare secondo un criterio "piramidale" le molteplici attività, la distribuzione delle risorse prodotte dall'intera comunità, invece, deve avvenire in modo egualitario. L'ineguaglianza, quindi, può riguardare il solo ambito lavorativo (anche istituzionale), come esigenza di efficienza del sistema, secondo "merito" (competenza)  ma non può giustificare una diseguale distribuzione delle risorse in ossequio del principio della "Sovranità del Popolo". E in linea con questa soluzione tutti i "pensionati" dovranno essere qualificati col solo titolo di "cittadini", senz'altra distinzione (e decretare l'esistenza di un unico "Istituto nazionale di previdenza", con un tetto massimo alle pensioni, da pagarsi con le imposte progressive e non più con i "contributi previdenziali"). E si dovrebbe riconoscere alle donne-madri uno stipendio mensile per il loro ruolo sociale e i sacrifici psicofisici della maternità che le rendono delle moderne "eroine". Non vi è dubbio che l'idea della "democrazia etica" e le soluzioni innanzi prospettate di "giustizia sociale" nella "distribuzione delle ricchezze" siano alquanto "utopiche" (anche perché gli "umani" in un mondo "duale" sono anche "dis-umani"), ma le "idee", anche se gli umani non le "realizzino", devono comunque "manifestarsi", come sosteneva Hegel, sia per il tramite degli "autori minori" - come in questo caso -, che dei Maggiori, come è avvenuto con Platone, che aveva proposto come soluzione la sua Repubblica ideale; ma anche sant'Agostino, che aveva immaginato la sua "Civitas Dei" e Tommaso Campanella la "Città del Sole" (senza dimenticare Tommaso Moro con la sua Utòpia e che persino Dante aveva elaborato la sua Monàrchia ritenendola come miglior modello di governo possibile). 

 
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Commenti al Post:
misteropagano
misteropagano il 20/09/23 alle 09:35 via WEB
Ecco, la finzione giuridica della democrazia e se ne sente il peso. Grazie per questo denso e bellissimo testo, forse "minore" ma puntuale sulle criticità.
(Rispondi)
 
rteo1
rteo1 il 20/09/23 alle 12:58 via WEB
Grazie per la lettura e la riflessione. Sto notando diversi cambi di profilo ma non ne comprendo la causa. Comunque è sempre un piacere leggere i contributi. Questa volta ho inteso "smascherare l'ipocrisia" politica. In verità, tuttavia, ciò che ometto di dire è quello che spiegherebbe meglio la realtà. Non sempre però si può dire tutto. Anche l'evoluzione culturale ha bisogno del proprio tempo. Le generazioni degli umani non ne hanno, come singole generazioni, ma passandosi il testimone arriveranno anche i cambiamenti. Le idee sono idee. Non esistono quelle utopiche e quelle concrete. Anche le prime si realizzeranno. Ora si manifestano. Segnalano,nostro tramite, la loro presenza,che proviene anch'essa dal mondo quantico.
(Rispondi)
 
 
misteropagano
misteropagano il 20/09/23 alle 14:43 via WEB
:::per dirla alla maniera quantica offro e ricerco diverse immagini, non importa quanto veritiere o sofisticate - del mio Io o Me digitale, come segnale dell'evoluzione culturale. Grazie dell'endorsement. Grazie sempre al tuo pensiero.
(Rispondi)
misteropagano
misteropagano il 20/09/23 alle 10:05 via WEB
Stavo aggiungendo un altro pensiero...
(Rispondi)
misteropagano
misteropagano il 20/09/23 alle 10:14 via WEB
(cambiato browser)). Temo però che la pluralità - sinonimo di democrazia e di maggioranza - nel concorso e la sovrapposizione di fattori diversi e contrastanti tutti tra loro, crei in ultimo indeterminatezza concettuale. Almeno fino a che non si instaurino concrete forme etiche spostando anche l'asticella del populismo. Buon20M
(Rispondi)
ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 01/10/23 alle 19:45 via WEB
Vero, nonostante l'apparenza di democrazia in molti Stati occidentali, la distribuzione delle risorse non rispecchia i principi di uguaglianza e giustizia sociale. L'accumulo di ricchezza da parte di una minoranza, insieme alla successione ereditaria, può in effetti anche contribuire alla distribuzione ingiusta delle risorse. Tu proponi una riforma della legge sulla successione ereditaria con l'obiettivo di ridistribuire le risorse in modo più equo tra i cittadini e suggerisci l'idea di una "democrazia etica" come un ideale da perseguire, in cui le risorse siano distribuite, indipendentemente dal loro status sociale o familiare, richiamando la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo ed il principio che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti, sottolineando la necessità di trasferire questi principi anche sul piano patrimoniale. Rispetto alle possibili soluzioni che avanzi, relativamente alla distribuzione delle ricchezze e alla democrazia, personalmente ti posso dire che la redistribuzione delle ricchezze in modo più corretto potrebbe ridurre, in molti casi, gravi disuguaglianze sociali e promuovere una maggiore giustizia economica e non si può che essere d'accordo in merito ad una "democrazia etica" in cui i cittadini abbiano l'opportunità di beneficiare in modo più equilibrato dalla prosperità della società. Ma ci sono da considerare alcuni aspetti. Applicare una retribuzione alle eredità potrebbe essere vista da diverse prospettive e ci sono pro e contro da considerare. I pro includono la possibilità di una riduzione delle disuguaglianze: una tassazione più elevata sulle eredità potrebbe contribuire a ridurre le enormi disuguaglianze economiche, soprattutto se i fondi ricavati da questa imposta venissero reinvestiti nell'assistenza sociale o in altre iniziative per il benessere comune. I proventi da tasse sull'eredità potrebbero essere utilizzati per finanziare servizi pubblici vitali come l'assistenza sanitaria, l'istruzione e le infrastrutture. I contro, però, potrebbero anche riguardare i vincoli alla proprietà privata. Alcune persone, infatti, potrebbero considerare la tassazione delle eredità come un'ingerenza eccessiva nella proprietà privata, ritenendo che, dopo aver pagato imposte durante la vita, sia ingiusto tassare nuovamente la stessa ricchezza anche alla morte. Applicare una tassa sulle eredità, poi, può essere complesso e potrebbe richiedere risorse amministrative considerevoli e far sorgere anche non poche questioni legate alla valutazione e alla distribuzione delle attività ereditate. La modifica delle leggi sulla successione ereditaria e la creazione di un sistema di redistribuzione equa sarebbe un processo complesso che richiederebbe una profonda revisione del sistema fiscale e legale. C'è poi da considerare il discorso dei potenziali disincentivi all'investimento: alcuni sostengono che l'applicazione di tasse pesanti sulle eredità potrebbe scoraggiare gli individui dall'investire o accumulare ricchezza durante la loro vita, sapendo che gran parte di essa verrà tassata alla loro morte. Inoltre, attuare una redistribuzione massiccia delle ricchezze può essere difficile da realizzare nella pratica. Potrebbe incontrare resistenza da parte di coloro che detengono grandi ricchezze e potere economico. E, non ultimo, perdonami ma io non sono un politico né un economista, lascio la questione più vicina a me, vale a dire la definizione di "equità", che è spesso soggettiva e può variare da persona a persona. Determinare ciò che costituisce una distribuzione equa può essere complesso e suscettibile di interpretazione. Ci sono poi altre considerazioni da fare sulla redistribuzione forzata delle risorse attraverso politiche come la tassazione delle eredità. Queste preoccupazioni condivise da molti sono oggetto di dibattito tra economisti di cui io non faccio, chiaramente, parte. Ad esempio la fuga di capitali per evitare la tassazione delle eredità, trasferendo fondi all'estero o utilizzando scappatoie fiscali. Questo potrebbe ridurre le entrate previste e complicare l'applicazione delle leggi sulla tassazione delle eredità. Le politiche di tassazione delle eredità potrebbero anche andare a colpire (prevalentemente? solo?) le piccole imprese e le famiglie che hanno accumulato ricchezza attraverso attività imprenditoriali e magari influenzare negativamente la successione delle imprese familiari e la loro capacità di crescita e bisogna anche considerare se queste politiche potrebbero ostacolare la mobilità economica, cioè la capacità delle persone di migliorare la propria situazione finanziaria attraverso il merito e l'impegno. Un altro punto che si solleva, poi, è quello della complessità del sistema fiscale. L'implementazione di politiche di redistribuzione forzata delle risorse può portare ad un sistema fiscale più complesso, con regolamenti intricati e quindi con l'utilizzo diffuso di consulenti fiscali per minimizzare le imposte ereditarie. Anche questo potrebbe comportare costi amministrativi aggiuntivi. Questo solo per definire un quadro generico delle possibili criticità da considerare accanto agli effetti positivi. Ma ancora, un'ultima cosa, tu parli di dare un aiuto economico ulteriore alle madri. Con tutto il rispetto possibile per le madri lavoratrici e non, però, io non sono d'accordo. Sono una donna, ed in seguito alla patologia oncologica per cui sono stata operata alle ovaie, non posso avere figli, ma anche se avessi potuto, magari avrei scelto liberamente di non averne, come tante altre donne che hanno ritenuto di non volere sperimentare la maternità e non mi sento né più né meno "eroina" di chi è madre. Ti faccio un esempio molto semplice, dopo il tumore io ho sviluppato una patologia che in Italia non viene riconosciuta tra quelle meritevoli di assistenza e vado a lavorare anche stando molto male o dopo aver fatto flebo in ospedale e sono costretta a ridurre all'osso le ore di lavoro, ma anche così non ho i tempi necessari per un sufficiente recupero biologico. Chiaramente non beneficio di alcun aiuto benché non sia stata una mia scelta quella di ammalarmi. Avere un figlio, invece - con tutto il bello e con tutto l'onere che questa responsabilità evidentemente rappresenta - è una scelta (non sempre, va comunque detto) libera e consapevole che, tra l'altro, a differenza di una malattia, teoricamente conferisce anche gioia e pienezza, contro bilanciando almeno in parte le eventuali o effettive difficoltà che comporta. E non credo sia una scelta di cui debbano obbligatoriamente farsi carico anche gli altri ed in tal senso, chiamo proprio in causa Tommaso Campanella che tu citi. Nell'opera La città del sole (che si ispira a La Repubblica di Platone) dopo il parto, le madri si occupano dei neonati solo per due anni e poi sono affidati ai maestri affinché siano loro ad occuparsi della loro educazione. In una società come quella prospettata da Campanella nessun figlio, quindi, è più figlio di una sola donna ma, entrando a far parte del sistema di relazioni che accomuna tutti gli abitanti della città, diventa potenzialmente il figlio di tutte le donne che per età potrebbero essergli madre. Nella proposta che tu avanzi, invece, in questa società impostata su affetti esclusivi e legami di sangue radicati, automaticamente verrebbero soltanto discriminate tutte quelle donne che madri non sono (anche a livello squisitamente "etico"). In Italia, ma in quasi tutti i Paesi del mondo, le donne - tutte le donne, giovani e meno giovani, madri e non, sane o ammalate - a parità di ruolo lavorativo, percepiscono ancora uno stipendio inferiore agli uomini; pensiamo, allora, piuttosto a questo...Credo che sia fondamentale riconoscere che la maternità sia essenzialmente un percorso di vita personale e che non tutte le donne desiderano o possono avere figli e credo che invece di concentrarsi su incentivi specifici per le madri, sia più importante affrontare il problema alla base, vale a dire eliminando semmai la disparità di genere nei luoghi di lavoro, come la differenza salariale tra uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro. La lotta per la parità di genere in termini di salario è una priorità cruciale per molte società. Ed è altrettanto importante affrontare le questioni relative alla salute - la gravidanza (tranne, ovviamente, quella a rischio) la maternità o la genitorialità in genere, non sono considerabili come una malattia, né, tantomeno, come situazioni anomale o patologiche - ma semplici condizioni di stato sociale. Ci sono, al contrario, moltissime situazioni invisibili in cui le persone si trovano in contesti difficili a causa di patologie ed il sistema di assistenza sanitaria dovrebbe essere il più equo ed efficace di tutti. In sostanza, la parità di genere e la "giustizia/etica sociale" sono obiettivi fondamentali che richiedono attenzione ed azione e la soluzione migliore potrebbe non essere quella di fornire benefici specifici ma lavorare per garantire l'uguaglianza di opportunità e trattamento per tutti (tenendo in conto, quindi, della differenza specifica degli individui, delle diverse esigenze e dei diversi limiti proprio come delle diverse potenzialità e risorse). Perché garantire l'uguaglianza per tutti non significa avere un pretesto per ignorare le differenze individuali. L'obiettivo dell'uguaglianza, lo sappiamo tutti, è di trattare le persone in modo da rimuovere discriminazioni basate su etnia, genere, età, orientamento sessuale, abilità, classe sociale etc. tuttavia è importante riconoscere che, per garantire l'uguaglianza effettiva è necessario accettare in modo onesto le differenze individuali. Ma questo concetto, infatti, tu lo hai espresso molto bene attraverso il principio dell'equità. E' l'equità che riconosce che le persone possono partire da punti di partenza diversi o avere esigenze differenti e che, di conseguenza, possano richiedere trattamenti diversi per raggiungere al risultato equo.  L'uguaglianza non implica uniformità, ma la considerazione delle peculiarità per garantire che tutti abbiano pari opportunità di successo. Solo così diventa autentica.
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rteo1
rteo1 il 02/10/23 alle 08:38 via WEB
Grazie per il ricco, complesso e articolato contributo. Come sempre, peraltro. Anzitutto voglio esprimere la mia piena e sincera solidarietà e vicinanza per la lotta contro lo "sgradito ospite". I dati ufficiali riportano un significativo aumento delle patologie oncologiche. Le cause sono molteplici, ma di certo l'inquinamento gioca un ruolo fondamentale. Più beni economici, più progresso, più sviluppo ma forse l'organismo terrestre sta "reagendo" verso tante aggressioni della specie umana. Ciò detto, leggo che siamo d'accordo sugli squilibri sociali esistenti e sulla presenza nella "nostra" democrazia di notevoli interferenze delle molteplici èlites. Sono queste, infatti, che navigano sempre sottotraccia per governare direttamente o indirettamente il Paese per fare i propri interessi (anche oggi se ne sta parlando, per mettere da parte l'attuale governo in carica, frutto del risultato elettorale). Rilevo, invece, delle perplessità in ordine alla soluzione dell'imposta di successione. Ebbene questa, piaccia o meno ai più, è proprio la "giusta" soluzione. Il problema sta nel "diritto" che ha convinto tutti che la "morte biologica" non ha nulla a che fare con il primato della legge. E' quest'ultima, infatti, che per gli umani è l'unica vera fonte deputata a stabilire che c'è continuità tra genitori e figli, e che questi siano la prosecuzione della propria gens. In realtà ognuno è sè stesso, unico, e non ripetibile. Dici, però, che con una elevata imposta di successione non ci sarebbe alcuno stimolo al risparmio ? E chi lo dice che non sarebbe un bene ? Ognuno deve vivere per sé stesso il proprio tempo e non in funzione dei propri figli. Ricordi Tommaso Campanella, che ha fatto proprio l'idea platonica dei figli come "bene comune". Ebbene, questa idea non è peggiore dell'altra, oggi molto in voga, che si fonda sui clan familiari e sull'individualismo. Gli antichi greci, come ben sai, ritenevano che la polis fosse il bene comune e i singoli individui dovevano assoggettarsi a tale primato. Il problema è proprio quello, da sempre: vivere in funzione della Comunità oppure del proprio ambito domestico, del proprio clan ? La prima soluzione risolverebbe anche il problema dell'eredità. In ordine, poi, allo stipendio alle donne che mettono al mondo dei figli, da me considerate delle "eroine", chiarisco che non ha alcun intento discriminatorio nei confronti delle altre donne che, per qualsiasi motivo, non procreano. Trattavasi soltanto di una idea per affrontare, indirettamente, il problema della denatalità. Null'altro. Personalmente sono del tutto neutrale rispetto alla "filiazione" perchè con otto miliardi di persone sulla terra m'interessa poco, o niente affatto, che gli italici, gli europei e gli occidentali vadano verso l'estinzione. La specie sa bene come porvi rimedio. E a me importa poco. D'altronde, so bene che anche le civiltà soggiacciono alla ciclicità della natura.
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ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 02/10/23 alle 21:40 via WEB
Piccola precisazione iniziale: quando dicevo che ridurre l'incentivo a risparmiare o ad investire per i figli potrebbe avere effetti negativi, intendevo non solo per i figli stessi. Se le persone diventassero meno propense a fare investimenti non sarebbero solo gli eredi a non beneficiare di una ricchezza ma per primi anche loro perché verrebbe minata la loro personale situazione finanziaria e quindi anche l'economia stessa. Sapere che è possibile lasciare un'eredità ai propri figli può incentivare la maggior parte delle persone a lavorare e/o a lavorare di più, risparmiare e investire per il futuro e questo ha un'incidenza inevitabile sulla crescita economica. Ma, fermo restando che, come ti ho detto, non sono affatto un politico, non sono nemmeno un economista e quindi non posso che ammettere la mia ignoranza su queste dinamiche, ti dico che sicuramente una tassazione elevata sull'eredità potrebbe contribuire a ridurre le disuguaglianze ereditarie dando - ipoteticamente, ma si spera anche sostanzialmente - un assetto diverso alla società, in cui le opportunità non dipendono dalla ricchezza ereditata e da un presunto "diritto di nascita". E su questo aspetto non posso che concordare con la tua tesi. Tassando pesantemente l'eredità, lo Stato potrebbe ottenere risorse che potrebbero (parlo sempre al condizionale perché naturalmente si sta parlando di teorie imbastite sulla presunzione di onestà, equità e giustizia dello stato stesso) essere utilizzate per finanziare servizi pubblici, programmi di assistenza sociale e sanitaria e, in via generale, progetti di beneficio pubblico. Ma le mie perplessità, oltre alla mia consolidata sfiducia nell'"entità politica sovrana e territoriale che detiene il monopolio del potere coercitivo all'interno dei suoi confini geografici" si rivolgono anche su una mera libertà di disposizione. Le persone, infatti, dovrebbero avere il diritto di disporre dei loro beni come preferiscono, incluso il trasferimento di tali beni ai propri figli o a chi loro preferiscono. Questo principio riconosce la libertà individuale ed il diritto di scelta sulla destinazione dei propri possessi, compresa l'eredità. Ogni situazione va considerata a sé e dovrebbe essere analizzata nel dettaglio. Non vedo perché, ad esempio, la legge preveda che Tizio che si sposa con Caia debba darle gli alimenti in caso di divorzio o perché una donna debba percepire la pensione del marito defunto che magari ha detestato per tutta la sua vita, mentre un padre non possa aiutare un figlio che non sta bene e non può lavorare o che ha problemi effettivi (magari non riconosciuti, come troppo spesso accade) qualora lo desideri. Magari non ha molto, ma quel poco potrebbe contribuire a dare un pó di serenità al figlio che, in caso contrario, non riuscirebbe neppure a pagarsi una bolletta. E questo, ovviamente, non perché sia un lavativo o perché voglia sperperare una ricchezza che non possiede, ma a causa della sua condizione borderline o non capita. Ed allo stesso modo, non capisco perché un uomo non possa scegliere di lasciare tutta la propria ereditá al suo cane, cavallo, scoiattolo o ad un'associazione o persona specifica che non è un familiare anziché alla sua legittima progenie, se lo preferisce. Voglio dire, chi deve stabilire dove si dirigono i nostri aiuti e i nostri sentimenti all'infuori di noi stessi? Io credo, allora, che dovrebbe esserci una libera scelta nel lascito della propria eredità senza vincoli dettati da presunti diritti conferiti da vincoli (di sangue o matrimoniali).
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rteo1
rteo1 il 03/10/23 alle 09:59 via WEB
I dubbi sono tutti legittimi, e in rapporto alla realtà normativa attuale sono anche fondati. Noi,però,siamo consapevoli della "realtà" del divenire così come della fatalità e inconsistenza dei regimi social,politici ed economici. L'economia la comprendono tutti. Ovvero, la sua essenza, i fondamentali. È astruso invece il linguaggio, ma è soltanto per necessità dei "sacerdoti" dei riti. Aristotele diceva che l'economja riguardava l'amministrazione della casa e la donna ne aveva la competenza esclusiva. Mettere mano oggi alla materia dell'imposta di successione creerebbe una rivolta di una parte maggioritaria della società. Questo però non vuol dire che sarebbe nel giusto. Purtroppo le stratificazioni legislative sono come le ere geologiche, difficili da trasformare, se non in tempi lunghi. Spesso accadono a causa di eventi catastrofici naturali o rivoluzioni sociali e politiche. Certamente dopo queste ultime ritorna la restaurazione perché è sempre stato così e sempre sarà così, almeno finché esisterà homo sapiens. I modelli umani sono soltanto schemi opinabili che organizzano gli interessi e li tutelano,anche con la forza. Tu pensi che un padre deve poter aiutare i propri figli con le proprie risorse. Giusto, ma questa visione è in rapporto ad un certo modello. In altro modo dovrebbe essere la Comunità a tutelarli, e a tutelare tutti. Dici anche che ognuno deve poter destinare le proprie risorse anche agli amici animali. Certo, ma anche per questi casi ci potrebbe pensare la Comunità. E dovrebbe cambiare anche il rapporto con gli stessi, che oggi vengono visti come prosciutto, bistecche, o guardiani delle ville ma quasi mai come "esseri viventi".
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ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 03/10/23 alle 19:04 via WEB
Aristotele, ma ancor prima Platone e Socrate riconoscevano alla donna solo una uguaglianza morale, se per questo. E non certo una eguaglianza giudica, né tanto meno politica. Ma in quell'epoca la condizione della donna, fatta eccezione per la città di Sparta, veniva ristretta nella cura della famiglia e della casa e l'essere umano femminile veniva considerato come una figura essenzialmente domestica, molto lontana da tutto ciò che poteva essere culturale o politico (pensiamo solo al fatto che la celebre matematica, astronoma e filosofa Ipazia d'Alessandria nacque solamente tra il 355 e il 370 d.C!) Paradossalmente, invece, quando vissero Socrate, Platone ed Aristotele - tra il V e IV secolo a.C. - la sola città in cui le donne conobbero una loro libertà fu, per l'appunto Sparta, che fra tutte era decisamente la meno democratica... Per il resto, certo, la Comunità dovrebbe tutelare tutti e quindi rispettare anche le scelte individuali che ho portato come esempi. Ed ovviamente, prima di ogni altra cosa - con me sfondi una porta mai stata chiusa perché sono anche vegetariana tra l'altro - dovrebbe finalmente cambiare il rapporto uomo - animali. E quando dico animali intendo tutti, perché sono ancora troppe le persone amorevoli con il proprio animale domestico - gatto o cane che sia, per intenderci - che, però, non dimostrano poi altrettanta empatia verso orsi, lupi, cinghiali, maiali o foche, solo per citarne qualcuno, e non esitano a considerare giusta o lecita la loro uccisione, arrampicandosi sui vetri con motivazioni aberranti.
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rteo1
rteo1 il 04/10/23 alle 09:43 via WEB
La donna, è vero, nella Grecia classica aveva un ruolo marginale (ma in termini politici) e hai ragione nel sottolineare che nè Aristotele, nè Socrate e Platone l'avessero in grande considerazione. Ed è altrettanto vero che a Sparta, ritenuta (ma forse ingiustamente) una dittatura a fronte di Atene, le donne avevano una sorta di "eguaglianza" rispetto ai maschi (gli esercizi ginnici, peraltro nude, insieme agli uomini, ne sono una prova). E si esprime in questo senso Polibio, ne Le vite parallele, quando parla di Licurgo. L'Oikos, comunque, di cui avevano la responsabilità le donne non era poca cosa. La "casa", infatti, era una sorta di "azienda familiare". Comunque, i tempi attuali sono ben diversi da quelli del V-IV sec. a.C. Purtuttavia rispetto alla donna si riscontrano ancora tante discriminazioni. Indubbiamente molti passi in avanti sono stati già compiuti. Ne restano ancora altri da fare, e speriamo che ciò avvenga. Debbo però essere sincero: Per me la donna dev'essere "donna". Chiarisco: ho riscontrato che molte donne che oggi rivestono ruoli di responsabilità fanno rimpiangere gli uomini. Per me la donna dovrebbe dimostrare nell'attività quella sensibilità tipica del mondo femminile e non essere la brutta copia degli uomini. Così ci sarebbe soltanto un avvicendamento dei sessi. E per essere ancor più chiaro: Non riesco ad accettare che una donna, potenziale o reale madre, che ha avuto il "dono" o l'onere di dare la vita possa, con la stessa leggerezza e superficialità degli uomini, essere favorevole alla guerra, che è lo strumento che strazia i corpi di tanti figli. Pertanto solo quando constaterò che la donna si dimostri per la pace, ossia per la vita, sempre e comunque, dirò che finalmente la specie si è evoluta.
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rteo1
rteo1 il 04/10/23 alle 15:37 via WEB
Plutarco, non Polibio
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ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 06/10/23 alle 16:18 via WEB
Io invece ho sempre avuto difficoltà a pensare alle persone come generi sessuali. Nel senso che l'anima, le peculiarità caratteriali, l'intelligenza e i valori etici non sono prerogative di un sesso piuttosto che di un altro. Esistono sensibilità maschili estreme e mentalità femminili acute e taglianti come trappole d'acciaio, benché una differenza biologica non possa non determinare comunque alcune diversità effettive.  Le differenze di genere sono in gran parte socialmente costruite e ciascun individuo fondamentalmente è unico nella sua personalità, interessi e punti di vista, indipendentemente dal suo genere. Dal punto di vista scientifico, non si può negare, ci sono innegabili differenze biologiche tra i sessi che possono portare a differenze fisiche e fisiologiche tra uomini e donne ed in gran parte sono determinate dalle differenze nei livelli ormonali, nella struttura corporea e nei sistemi riproduttivi. Tuttavia, queste differenze biologiche non determinano direttamente le differenze caratteriali o comportamentali tra individui di sesso diverso. Le differenze comportamentali tra uomini e donne sono anche e soprattutto il risultato di una complessa interazione tra fattori biologici, ambientali, culturali ed educativi. Le differenze biologiche, quindi, alla fine influenzano molto di più alcune caratteristiche fisiche di quanto possano incidere sulla mente. Difficile utilizzarle come base per generalizzare o fare supposizioni sulle differenze di personalità, abilità o comportamento tra uomini e donne. Ogni individuo è di fatto unico perché influenzato da una molteplicità di fattori che vanno oltre il genere. Se ci pensiamo un attimo, in natura esistono molti casi di madri animali che uccidono i propri cuccioli, benché queste situazioni siano spesso legate a circostanze eccezionali o a problemi comportamentali. Alcune specie animali uccidono i cuccioli malati o deboli per aumentare le possibilità di sopravvivenza degli altri cuccioli o per evitare di investire risorse nella loro cura, quindi i comportamenti di predazione materna sono considerati come strategie di sopravvivenza per la specie; ma si parla comunque di uccisione dei propri figli. Ma senza scomodare Medea, il mito o la letteratura, si stima che il novanta per cento dei casi di omicidio di cui sono vittime i bambini sotto i sei anni avvenga per mano della madre e, tornando a Sparta, le donne salutavano i propri uomini con la celebre frase "Con lo scudo o sopra lo scudo"  quando partivano per la guerra.  Compresi i figli. Quindi anteponevano senza difficoltà l'onore - di cui lo scudo era simbolo e che solo i disertori potevano perdere - alla loro vita...A parte questo, parafrasando I Corinzi, sono la prima a dire che la Gloria del Sole sia di una sorta e quella della Luna di un'altra...
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rteo1
rteo1 il 10/10/23 alle 08:33 via WEB
La riflessione è come sempre stimolante. Sono d'accordo sul fatto che non si debba discriminare in base al genere. E questo dev'essere un fattore acquisito, anche se nella realtà non sia proprio così. Comunque noi dobbiamo prendere atto che una cosa è la natura, altro è invece l'ordinamento degli umani. Questi hanno proprie esigenze, in particolare quella di catalogare. Le istituzioni sono la massima espressione di tale esigenza. Senza di essa gli umani non avrebbero più riferimenti e sarebbero posseduti dall'angoscia, come i bambini. In verità tutto ciò accade perchè l'uomo non accetta di essere ciò che è e deve essere, ma secondo natura. La religione lo ha posto a guardiano del creato e come dominatore dello stesso. Qualcuno, prima o poi, glielo dovrà dire che è un semplice e comunissimo mortale di cui la natura non si cura. Io ci provo. Anche perchè mi illudo di farlo ragionare, di impedire che continui inutili stragi, come quella in atto tra Israele e Hamas, e quella in corso tra la Russia e l'Ucraina. Per me restano soltanto le donne per poter invertire la tendenza stragista perchè esse portano in grembo per nove mesi (non facili, anche rischiosi) un bimbo e non penso che siano felici di farlo maciullare dai cannoni, quando un qualsiasi capo di governo lo ritenga necessario per la sua idea di patria.
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ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 06/10/23 alle 16:19 via WEB
P.S. Ho finalmente pubblicato e risposto ai commenti sul mio blog, rteo, e ti ho lasciato anche 2 link, se ti possono interessare.
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rteo1
rteo1 il 10/10/23 alle 08:33 via WEB
Grazie. cercherò di leggerli.
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