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Amsterdam

Post n°576 pubblicato il 17 Giugno 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI TRI' 

Calcolando che il giorno precedente avevamo fatto quello che si poteva fare in due giorni, e che avevamo fatto una scorpacciata di musei, dopo una passeggiata all'interno del Begijnhof (di cui non ci sono foto dato che ero impegnata a girare il dement-documentario con la Zimo cronista d'assalto, e anche se finisse su digitale, non credo potreste vederlo su questi lidi...sappiate però che è un posticino incantevole e da vedere, ma senza fattanza), decidemmo allegramente di andare a vedere la zona dell’Artis. Ovvero la zona di Amsterdam dove c’è lo zoo, l’orto botanico (per la gioia della Zimo) e il Tropen Museum.
Ma ricordandoci che è l’ultimo giorno ad Amsterdam, e che le nostre finanze non erano illimitate, diamo un’occhiata ai portafogli.
A conti fatti lo zoo lo vediamo dal tram, e ci accontentiamo.
Quindi l’ultima mattinata, dopo la colazione con il simil cappuccino, sarebbe trascorsa tra le stanze del museo della compagnia delle indie. 

Il Tropen Museum è immenso, su 3 piani se non ricordo male, ed è ancora in fase di allestimento. La sala centrale al pian terreno dava l’impressione di un cantiere attivo. Ma tutto intorno (e vi assicuro che ci si fanno i chilometri li dentro!) vi sono scenari, trofei, pezzi di storia e di cultura  provenienti da ogni parte del mondo. O quasi. Sala per sala, seguendo un itinerario ben preciso, con pochi passi si riesce a passare dal Sud America alla Cina, e sentircisi immersi completamente.
Anche se, a dire il vero, sembra più un museo allestito per bambini e scolaresche.
Ma basta un po’ di rimbecillimento da cannabis della sera prima, un po’ di stanchezza addosso che ti porta a sederti ovunque, e il gioco è fatto! Ci si ritroverà a monopolizzare un megatelecomando con tasti che sfidavano le leggi della cecità per poter vedere, zona per zona, i generi musicali esistenti in Africa (e l’Africa non è SanMarino) con conseguenti occhiatacce di ogni visitatore (ma tanto non ci farete caso per via dei rimasugli di vedova dentro di voi). Ma non solo! Basterà tornare indietro nel tempo e risvegliare il fanciullino che è in ognuno di noi per premere tutti i tastini dei diorami fregandosene degli altri visitatori, farsi fotografie allucinanti con pettinature tipiche degli altri continenti, usare il jukebox di una ricostruzione di un bar cubano e ascoltare tutte le canzoni proposte come scusa per sedersi, confondere feti di lama mummificati per embrioni di cammello, sentire tutte le voci dei personaggi di cera, e non importa se parlano tedesco, inglese, fiammingo o chissà quale altra lingua, scambiare scudi da difesa indigeni per tavole da surf…ma soprattutto, sniffare tutte le spezie direttamente dagli originali (nessun barattolino con erbette secche e tritate) e fare pure il bis alla  sezione della citronella.
Dopo aver fatto le bambine al museo, dopo averlo girato tutto, a destra a sinistra sopra e sotto, dopo aver raccattato i nostri averi agli armadietti e aver marchiato il territorio, usciamo da li con lo stomaco brontolante.

L’ultima tappa turistico culturale era stata fatta. Ora si doveva decidere dove passare lo svacco pomeridiano e soprattutto trovare qualcosa di commestibile ed economico da mettere sotto i denti.
Direzione Vondelpark. Non prima però di aver girato per Oosterpark, tanto per immergerci un po’ nella natura. Un piccolo assaggio prima della svacchesciòn totale.
Cosi, già stanche, saltiamo sul tram alla ricerca del fantomatico Vondelpark.

La Zimo, si ricordava di una croissanterie che vendeva prodotti commestibili…e così è stato!
E dopo le frittelline la Zimo è riuscita a trovare anche i cornetti!

Sempre conti alla mano, osservando le vetrine optiamo per la sicurezza dello stomaco. Cornetti semplici, con quell’aspetto cosi rassicurante (anche in prospettiva di una sicura fattanza). Ma non ci si poteva accontentare. La Zimo osserva nell’altra vetrina, distante da tutto il ben di dio lievitato, una serie di mattoncini scuri. Sembrano invitanti. Ho detto bene, sembrano! E cosi nello zaino, oltre ai lieviti ci finiscono due brownies.

Fa caldo, siamo stanche, e non vediamo l’ora di stenderci sull’erba.
Passetto passetto, passetto strascicato raggiungiamo uno dei tanti ingressi del Vondelpark. Nemmeno il tempo di guardarci attorno, nemmeno il tempo di realizzare quanta gente ci fosse, che, adocchiato un posticino all’ombra di un albero, ci svacchiamo a una decina di metri dall’ingresso. Da li, per tutta la permanenza nel parco, ricorderò poco o nulla.

                       


Ricordo di aver mangiato i cornetti, di aver fumato, di aver dormito (ma non ricordo ne quanto ne se ho russato) e di aver dormito pure bene.
Ricordo di un tizio che non so se voleva la mia maglietta o voleva vendercene una (inglese con dialetto fiammingo e fattanza non danno buoni risultati nell’apprendimento). Ricordo di una povera bimbetta con gli occhi a mandorla costretta a pattinare con dei cosi assurdi, direi più delle prolunghe munite di ruote per i talloni (insomma dei pattini per poveri, con solo due rotelle anziché quattro).
Ricordo la moltitudine di biciclette. Ricordo di aver filmato tutto. Compresa una cacca di cane olandese. Ricordo di aver chiamato Fabio ma non ricordo assolutamente cosa gli abbiamo detto. Ricordo che, dopo esserci alzate da li, dopo aver odiato il marasma di biciclette, dopo aver camminato in lungo e in largo con la telecamera in mano, fermo le riprese. Mi metto seduta su una panchina e dichiaro guerra a ogni sorta di due ruote coi raggi e alla grandezza sconfinata di Vondelpark. Ricordo di aver desiderato rubare uno di quei demoniaci mezzi di trasporto ecologici per uscire da li. Ricordo che volli fotografare l’uscita dal parco come per immortalare il momento.
Il resto (ovvero la tipa con l’insalatiera gigante sul manubrio della bicicletta, l’omino - unico metallaro in zona - con la felpa dei Cradle of Filth, gli olandesi ordinati che giocano a calcio come se fossero i 3 cantoni, l’immersione nella boscaglia a mo’ di Blair witch project – si abbiamo fatto anche il filmino a modo, ma senza moccioletto -  scovando e disturbando pisciatori imboscati e svariate altre cose…) me lo ricorderà il filmino costudito nella videocamera. Quindi niente youtube. Ma anche se fosse possibile, ne io ne la Zimo acconsentiremo a farvelo vedere! Muahahahah

Da ricordare c’è però una conversazione tra me e la Zimo completamente fatte (e qui mi viene in aiuto gli appunti salvati sul cellulare) sdraiate sull’erba, ma non venitemi a chiedere perché, per come, da dove è iniziato il discorso e come ci siamo finite:

A.:”io me fumo i piccioni”

Z.:”a me i piccioni fanno schifo, io me fumo embrioni di cammello”

A.:”non erano embrioni di cammello!”

Z.:”allora me fumo i feti di lama - dopo qualche minuto di silenzio guardandosi attorno - comunque sto parco tocca girarlo”

A.:”famo lo scatto?...OOOOOoooop! - e in men che non si dica mi volto dall’altra parte - lo scatto mortale”

Z.:”si, the mortal scattle!” e cominciammo a dormire.

Uscite finalmente dal parco, non restava che una cosa da fare. Tornare mestamente in albergo per un riposino. Ce lo meritavamo tutto.
Nel tragitto in tram, sulla via del ritorno, progettiamo la serata.
Pochi dindi, niente follie. Ciò significava cenare al McDollar, o MerDonald, che dir si voglia.
Optiamo per il take away da consumare in albergo, rigorosamente without onion.
La stanchezza, più il Mc, più il letto, hanno fatto sì che fossimo sfatte come due zucchine marce a tal punto da crollare appena poggiata la testa sul cuscino.
Al mio risveglio, decido di lasciar dormire ancora un po’ la Zimo, docciarmi e magari iniziare a preparare le cartoline speciali acquistate la mattina.

Alle 23.30 decido che la Zimo ha dormito abbastanza e la sveglio, intimandola di farsi una doccia perché saremmo uscite.

Il suo commento, fuori dall’albergo, fu: “Basta! Mi hai cibato di Mc, mi hai fatto dormire, mi svegli a mezzanotte, mi butti sotto la doccia e poi mi fai uscire! E adesso basta! Mi porti fuori, mi fai bere, mi fai fumare…e adesso basta!” e poi si è incamminata verso il pub. Che ammmmore di donna!

Ultima birra in quel di Amsterdam e ultima passeggiata notturna.
Nel nostro cammino incontreremo due poliziotti a piedi che arresteranno due mezzi ubriachi prima che inizi la rissa (quando si dice forze dell’ordine efficienti in un paese dove si beve e si fuma in tranquillità), l’omino che vive di pallone, ma non è un calciatore, un tizio che ci offrirà del sesso in cambio di money mentre osservavamo il non calciatore e tanti, ancora troppi italiani.

Sono le 3 di notte, è tutto il giorno che camminiamo, abbiamo i piedi fusi. Decidiamo cosi per la ritirata.

Prima della nanna però, mancava una cosa fondamentale. Confezionare le cartoline speciali cosi da porgerle il mattino seguente all’albergatore per spedirle.
Le cartoline speciali hanno bisogno di un trattamento speciale. Cosi speciale che armate di buona volontà, dopo aver pulito il grinder, tritata tutta la rimanenza, degnamente divisa, e chiuse le cartoline, ci apprestiamo alla stiratura.
Come stirare una cartolina speciale cosi bene  da renderla piatta e liscia al tatto senza ferro da stiro ne pesi particolari ne tempo a disposizione? Basta ingegnarsi e usare i mezzi forniti dalla natura. Ovvero posteriore e piedi.
Fu così che tutte, e dico tutte (capito Fa’?) le cartoline speciali sono state sottoposte al trattamento. Alla fine del servizio (non so se puzzassero più i piedi di cannabis, o le cartoline di piedi) stanche e stremate ci mettiamo a nanna.

Amsterdam: THE LAST DEI 


Il risveglio è stato meno traumatico del previsto. Ma con i tempi contati ci limitiamo a fare ciò che era progettato. Chiudiamo la valigia, lasciamo le cartoline speciali all’albergatore e via di corsa a prendere il tram per la stazione centrale dove ci avrebbe atteso il bus per l’aeroporto.
Inutile dire che, anche se la Zimo non aveva fumato la sera prima (l’ha fatta fumare solo a me), lo stordimento si è ripercosso su di lei, cosi da dimenticarsi la stampa del VanGogh Museum in stanza. Troppo tardi per tornare indietro. Sarà una scusa in più per tornare ad Amsterdam.
Se all’andata eravamo lussuosamente e comodamente sedute sul pullman, al ritorno ci sentimmo molto scatola di sardine. A quanto pare non eravamo le uniche a dover rincasare.

E cosi, pressate, salutammo Amsterdam facendo le ultime foto (riusciamo pure a prendere il mulino, cosi da non poterci dire di non averlo visto!).
Inutile star qui a raccontare il disperato prelievo di 10€ al bancomat per pranzare quasi degnamente, e il vistoso ritardo degli aerei.
Inutile star qui a raccontare dell’ultima canna fumata al parcheggio dei bus dell’aeroporto di Eindhoven davanti a un gruppo di militari.

Inutile star qui a raccontare altro.

I quattro giorni ad Amsterdam sono decisamente da ripetere, e questa volta faremo le turiste pessime!

 
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