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Dead men walkin'

Post n°564 pubblicato il 28 Aprile 2008 da CacciatricediSangue

-il giorno X (sabato)- pt.2

Ora eravamo davanti al locale che sarebbe stata la nostra distruzione, sia fisica che mentale.

Sono bastati uno sguardo ai pochi metallari crucchi già ubriachi seduti per terra, il sole negli occhi e dieci minuti in piedi per decidere di poggiare le nostre chiappe stanche da qualche parte.

La prima probabile soluzione era una collinetta d’erba, ma vista l’acqua caduta nella mattinata, e le pozzanghere resistenti a terra, abbiamo desistito dall’attuarla. La seconda soluzione, più fattibile, era sedersi quasi a terra, poggiandoci su un muretto alto meno di un tappo e mezzo. Di dormire non se ne parlava, io lottavo col sole, Fabio con la colite, decidiamo quindi di intaccare la preziosissima preparazione k del kit di sopravvivenza, ovvero l’unica cosa commestibile in quella scatolina, una barretta della kellog’s. sarà stata quella, sarà stato il succo d’arancia bevuto da Fabio, sarà stato l’odore delle vigorsol che Fabio continuava a ciancicare per mantenersi sveglio, che ci ritroviamo assaliti dalle formiche (nella foto in alto, la freccia celeste) Eppure ci eravamo accuratamente seduti dove non ce ne erano, le avevamo tenute a debita distanza.

Via una, via due, via la terza che si infilava in una scarpa (va a capire perché poi salissero solo sui miei pantaloni e non su quelli di Fabio) decido di alzarmi e levarmi di dosso le bestiacce dopo il morso di una di loro. Da posizione eretta la visuale è diversa. Le formiche avevano abbandonato il parco giochi per dirigersi a casa loro, che, ovviamente, era sotto il sedere di Fabio. Dopo averglielo fatto notare, optiamo per una seduta più comoda (perché non ci ho pensato prima?). Cosi mentre lo spiazzo davanti al Backstage (nella foto sopra, la freccia verde) cominciava a dar segni di vita metallara crucca, noi poggiamo le nostre stanche membra (e non solo quelle) su un carrello per le moto, o qualcosa di simile. Tempo dieci minuti, e non so per quale assurdo motivo, le formiche arrivano anche li. Cazzo! Fabio le attira e assalgono me. Resisto. Resisto. Devo resistere. Ma quando, sentendo prurito a un ginocchio ne trovo una sotto i pantaloni mi alzo e tiro una bestemmia silenziosa. Cosi decido di passare gli ultimi momenti prima dell’ingresso seduta in pizzo in pizzo al carrello, lontana dall’ attiratore di formiche e il sole accecante in faccia. Il tutto mentre un buffo omino si accingeva a far pipì davanti a noi e la fila cominciava a prendere forma.

Dopo che i vari gruppi avevano smesso di fare le prove, dopo aver riconosciuto qualche componente delle band, e dopo aver notato che il mio telefono segnalava batteria scarica impetuoso, mando un sms a vikingo e compagnia per avvertirli che la fila aveva preso una forma a dir poco inaspettata (tanti tanti crucchi e qualche italiano nordico) e ci mettiamo in fila. Usciamo dal cancello, e quello che avevamo visto fino ad allora era niente. La fila arrivava sino al parcheggio (i puntini neri sulla foto in alto). Però, c’era un però. Le file italiane, oltrepassato il cancello, sarebbero state un ammasso di gente ammucchiata che spingeva per accaparrarsi una posizione( da notare però la presa per il culo ad una golf truzza, ogni mondo è paese). Li no! Tutti in fila, belli ordinati…e tutti con un dannato corno! Porca miseria! Ero li, in terra crucca, tutti avevano un corno per la birra e io no (e dire che avevo sperato di comprarlo in cruccolandia, ma ahimè nei negozi avevano uno zero di troppo). Valuto la situazione, studio il soggetto davanti a me visibilmente ubriaco e con il corno incustodito proprio davanti alla mia mano, ma mi si accende una lampadina. Il tipo davanti a me, anche se ubriaco come una zucchina sotto al sole, era due metri per due. Desisto tristemente.

La fila scorre tranquilla, dall’interno del locale si sentono le prime note, sono i Kromlek, il gruppo che avrebbe ufficialmente aperto il Pagan fest. Dopo di loro sapevo che avrebbero suonato Tyr ed Eluveitie. E io non potevo assolutamente perderli. Del vikingo neanche l’ombra, e noi siamo pronti ad entrare. Dalla luce accecante del sole tedesco, veniamo catapultati nel buio del locale. È già pieno! Un occhio alla postazione birra, un occhio al bagno (Fabio marcherà il territorio anche li), uno allo stand delle magliette e troviamo la posizione ideale. Di fianco al palco, poco sopra la piccola arena del locale, dove ininterrottamente si pogava. Desisto anche all’idea di provare ad avvicinarmi al palco. Voglio tornar viva dalla Germania. Poco prima dell’arrivo del secondo gruppo (che io pensavo fossero i Tyr, mannaggia a me e a quando non controllo il billing con gli orari) riesco a incrociarmi col vikingo, che immediatamente si lancia nella folla. Io e Fabio restiamo li, cercando di trovare uno spazietto adatto per vedere. Perché si, c’era l’arena davanti a noi, e un paio di file di persone. Ma se in Italia, puntualmente ti si piazza un cristone alto due metri e riesci a divincolarlo piegando la testa per vedere, li so’ tutti pagani alti due metri e tanta voglia de cresce. È stata una lotta dura. Ma siamo riusciti a vedere. E con mia sorpresa, sul palco trovo, oltre a un crucco altissimo, una formazione che non mi ricordava i Tyr. Loro sono tre, sul palco ce ne stavano cinque, di cui due donne. Qualcosa non torna. Ma fa niente. Faccio foto, ascolto.Vado in brodo di giuggiole, anche se ciò che sento non mi ricorda i Tyr. La folla è in delirio, canta tutte le canzoni, e, ahimè, so’ tutte in tedesco, difficile per me seguirli. Capirò più tardi che non si trattava dei Tyr, bensì degli Equilibrium (rincoglionita totale). Finita la performance, ci riprendiamo un attimo e troviamo posto su delle piccole scalette a mo di tribuna. È l’ideale, posto a sedere, e al momento giusto tutti in piedi a sovrastare l’altezza crucca per far le foto. È il momento degli Eluveitie. Finalmente riesco a vederli dal vivo. Sono tanti, sono agitati e la folla è carica. Le prime note vengono scandite da una cornamusa ricavata da una capretta, Inis Mona, primo singolo del nuovo album, risuona nel locale. E da li è il delirio. Molti i pezzi del nuovo, immancabili però i pezzi considerati storici. Your Gaulish War su tutti. Dopo di loro, convinta di aver sentito chi volevo sentire, decidiamo di riposarci fino all’inizio del prossimo gruppo, e , quando la folla fosse tornata davanti al palco per sentire la band, far tappa allo stand delle magliette, poi bagno, birra e un po’ d’aria dato che nel locale non si respirava più (va a capire come facevano a resistere i tedeschi vestiti di sola pelliccia).Mentre cominciano quelli che poi erano i Tyr, mi piazzo davanti alle maglie. Guardo i prezzi. Mi cascano le braccia. Devo scegliere. Fare una cernita di ciò che avevo in mente di comprare, e soprattutto segnalare all’omino la mia presenza di futuro acquirente di gadgets. Altro uomo crucco alto due metri, gli indico in inglese quali sono le magliette, che stanno dalla parte opposta da dove mi trovo io e lui mi fa, sempre in un inglese tedescoide, che ce ne sono di tre tipi. Gli indico le maglie, gli spiego che voglio quella in basso a sinistra. E lui continua a ripetermi che ce ne sono tre. Vabbè che non parlo inglese madrelingua, ma cazzo, tu non mi capisci! Mi fa spostare, e come i dementi mi mette davanti alle magliette e me le fa indicare. Sembrava uno schema da battaglia navale. A3 colpito, B5 colpito, C6 affondato! Però l’omino ha fatto l’errore di spostarmi sul lato sbagliato. Davanti a me i CD. I Tyr li ho ordinati, gli Eluveitie pure, però, è da un bel po’ che aspetto…e poi, porca miseria, c’è il primo degli Eluveitie che in Italia non si trova. Cerco di ricordarmi il listino prezzi, e mi mando a quel paese mentalmente quando indico all’omino anche i tre cd (glieli indico col dito, sarebbe stato fiato sprecato usare le parole).

Ora io non so se lui ha sbagliato i conti, o il listino era farlocco, perché col prezzo delle tre maglie ho preso pure i tre cd e mi ha rifilato la bandiera del Pagan. Vado via contenta e soddisfatta (e se questo è shopping compulsivo, Fabio tu non hai visto ancora niente!).

Ora non restava che prendere una birra e cercare dell’acqua. Davanti alla cassa si palesa un omuncolo emo (dannazione pure li!) prendiamo due birre, due bottiglie d’acqua e insieme al resto ci da dei gettoni. In pratica invece di avere bicchieri di plastica sparsi ovunque per il locale, la birra te la servono con i loro bicchieri, e restituendo quelli ti ridanno indietro i soldi. Bicchieri in affitto. Alla faccia delle organizzazioni italiane! Birra in mano, ci facciamo spazio all’ingresso per una boccata d’aria, e davanti a noi un megaschermo mandava la partita del monaco contro non ricordo chi, ma è irrilevante. Perché davanti a me ho l’uomo pelliccia che avevo tentato di fotografare dentro il locale prendendo invece mezza faccia di Fabio.

Poteva mancare la foto caratteristica di qualche soggetto strano? Naaaa!

Fuori fa freddo, il gruppo non ha ancora finito di suonare. Entriamo e vediamo cosa si riesce ad osservare da lontano. Mi guardo intorno e trovo il cantante degli Eluveitie, ammazzo la timidezza, mentalmente mi formulo la fra setta in inglese e gli chiedo se posso fare una foto con lui, Fabio scatta e verranno fuori due soggetti orrendi che ovviamente non mostrerò muahahaha! Intanto i Tyr hanno finito di suonare e la gente si sta riversando nell’ingresso, chi a prendere una birra, chi a respirare, chi a dare uno sguardo alla partita. Tra poco suonano i Moonsorrow. Ci facciamo spazio, cerchiamo la vecchia postazione ma è, ahimè, occupata. Facciamo mente locale. Quanto ci interessano i Moonsorrow rispetto al nostro mal di piedi? Vince la seconda, ci acquattiamo tristemente su un palchetto di legno. Mi alzo un paio di volte per tentare di fare qualche foto, ma l’unica semi decente è quella qui accanto. I Moonsorrow sono bravi, ma noi eravamo troppo a pezzi per reggere il gomito a gomito con la folla crucca. Siamo nella stanza dello stand, vicino a noi c’è il cantante degli Equilibrium (sì sì l’uomo altissimo che ti da un gusto vederlo live perché sovrasta tutti e lo puoi vedere pure se sei nano! Sì sì proprio lui, quel cantante che io avevo scambiato per il cantante dei Tyr). Attendo che finisca di parlare con due tipe, mi rifaccio avanti e gli chiedo una foto. Vedo lui acquattarsi, ingobbirsi a tal punto, che mi sembrava brutto restare in piedi. Il risultato? Due gobbi con le smorfie in foto!

È il momento dei Korpiklaani. Noi dobbiamo capire cosa fare. Io li ho già sentiti all’evolution festival un paio d’anni fa, Fabio non li conosce. Ma siamo entrambi a pezzetti. Una sigaretta all’aria aperta, giusto il tempo di congelarsi un po’ e rientrare dentro. Anche la seconda posizione strategica è stata rubata, e mentre il vikingo cerca di risistemarsi la cintura portacorno prima di farsi nuovamente sommergere dalla folla, noi cerchiamo un posto dove svaccarsi. I Korpiklaani non mi interessano. Non ero li per loro, e non mi faccio massacrare per loro.

C’è un buco vuoto per terra, vicino al guardaroba, scivoliamo inesorabilmente dalla parete al pavimento e rimaniamo li. Nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che Fabio s’addormenta! Sì! Crolla proprio. Non ha dormito a casa mia col gatto sul fianco, ha sonnecchiato in aereo, ha sonnecchiato sulle panchine, ma riesce a dormire coi Korpiklaani che urlano e fanno esaltare il pubblico. Chiudo gli occhi anche io, credo sia durata 5 minuti quella sensazione di pace, tranquillità e benessere, perché pochi istanti dopo vengo svegliata da due tedesconi biondi che prima in tedesco, poi in inglese, agitando le mani, mi dicono di svegliarmi e di mettermi a ballare, perché sono i Korpiklaani! Non ricordo in che lingua ho risposto. Forse un inglese romanesco. Ma ho fatto intendere che da li non mi sarei alzata. A disturbare la mia quiete arriva anche una della sicurezza che mi chiede se stessi bene. “Si sto bene, sono solo cotta, marcia, distrutta, in coma e c’ho sonno” questo avrei voluto risponderle. Ma è bastato un cenno di vita per farle capire che non ero fatta, ne ubriaca. Ero solo stanca.

Ultimo step. Gli Ensiferum. Ormai il Backstage è pieno. C’è una marea di gente. Facciamo l’ultimo sforzo. Torniamo al lato destro del palco e cerchiamo di riuscire a fare più foto possibili. Fabio è in fase di distruzione totale, io sto li li. Mi ricordavo di averli sentiti all’evolution e di averli stroncati. E in terra crucca mi torna in mente il motivo. Si sono coinvolgenti, si sono piacevoli. Ma gli Ensiferum li trovo meglio in studio che live. Sarà la stanchezza, sarà il caldo all’interno del locale, sarà tutto quello che vuoi ma poco prima che gli Ensiferum finiscano decidiamo di abbandonare il posto. Abbiamo fatto tanto, accontentiamoci.

Cosi raggiungo il vikingo, gli lascio il cd delle foto di Valstagna e lo saluto. Tanto ci si ribecca, se non al Gods, o all’Evo, di sicuro al Summer Breeze.

Le ultime forze vengono impiegate per quel piccolo tratto di strada dal capannone al Backstage dove si teneva la serata del sabato (freccia rossa sulla foto in alto) e per prendere il taxi che ci avrebbe portato in aeroporto. Sapevo che di fronte al locale stazionavano i taxi, infatti eccoli li, di quel bianco sporco, colore assurdo, ma almeno li distingui dalle altre auto.

Saliamo, l’omino ci vede usciti dal concerto metal, armeggia con qualcosa e parte la musica.

Le prime note inconfondibili. Ha messo i Motorhead. Io non li reggo, Fabio idem! L’omino ci guarda dallo specchietto retrovisore cercando consenso, e io mi ritrovo a dovergli spiegare, che tra tutti i gruppi metal, quelli proprio non ci piacciono. “I’m sorry, but we don’t like Motorhead”. Mannaggia a me e a quando me ne sono uscita cosi! Tutto il tragitto dal Backstage all’aeroporto (che non sono cinque minuti ma una buona mezz’ora) è stato una sorta di Sarabanda crucca. L’autista smanetta con il lettore mp3, e ad ogni brano mi chiede se mi piace o no. Parte il jazz, e gli spiego che non mi entusiasma, sono più per il death metal. Mi dice che non se ne intende. Mette i Led Zeppelin, e li andiamo d’accordo. E così per tutto il tragitto, musica a palletta e 170 km orari sul contachilometri. Nel dormiveglia mi chiede a quale terminal dovesse portarci. Panico. All’inizio non avevo nemmeno capito cosa mi avesse chiesto (quando dormo spengo gli unici neuroni funzionanti), quando realizzo gli dico che non lo so, so solo che dobbiamo arrivare a Roma (possibilmente vivi). Termina B dell’aeroporto di Monaco. Ci saluta e ci augura buon viaggio, e ci ritroviamo da soli in un posto immenso, vuoto e silenzioso. Ultima boccata d’aria prima di entrare, giusto il tempo di far formulare a Fabio la frase: “Sai che mi ricorda? 28 giorni dopo, quando è tutto buio…” non fa in tempo a finire il discorso che un black out totale ci colpisce in pieno. Aeroporto al buio, sirena che suona. Macchinette spente. Porte automatiche che si aprono sotto misure di sicurezza. L’infame mi ha fatto vivere gli ultimi 5 minuti di panico.dopo qualche istante ritorna la corrente, la sirena, un fischio fastidiosissimo, smette di suonare, l’omino della sicurezza ritorna al suo posto e noi decidiamo di entrare e osservare la nostra zona notte. Pausa bagno (si anche li), giro del terminal tristemente vuoto e decidiamo di occupare le panchine davanti ai check in automatici. Salta nuovamente la corrente. Luci spente e, da buon film dell’orrore, l’unico essere vivente che passa, è l’omino delle pulizie col carrello leggermente cigolante. Andiamo bene. Ma la stanchezza è tanta per farsi sopraffare dalle suggestioni. Torna la luce e noi siamo gia stesi ad occupare la nostra fila di panche, in attesa che l’aeroporto si ripopoli di vita.

Mentre Fabio dorme alla grande, io mi sveglio due o tre volte. Mi alzo, vado in bagno, prendo aria, osservo l’alba crucca, faccio la vaga e vado a prendermi la rivincita al check in lontana da sguardi indiscreti (ovvio l’unico gufo stava dormendo) e vinco. Faccio il check in e torno a dormire soddisfatta. Mi risveglio verso le 6 e qualcosa notando un po’ di movimento. L’aeroporto ha ripreso vita. I negozi stanno aprendo, e cosa più importante, i bar sono già attivi. Fabio è sveglio, solo fisicamente, mentalmente deve ancora carburare, e ci dirigiamo ai metal detector. “Do you have some liquid?” No. “computer?” No e passiamo sotto l’aggeggio. Passa Fabio, tutto tranquillo. Passo io, suona. Guardo Fabio “Ti prego, fa che non mi debba levare le scarpe”. Le ultime parole famose. La crucca mi esamina da capo a piedi. Suona il polso (bracciale), suona il collo (catenina), suona il gomito (???), suona il bottone dei jeans, suona il ginocchio sinistro (di nuovo??) e suonano le scarpe… Cazzo! “The shoes please” no ti prego, le scarpe no. Mi fa sedere e mi chiede di levarmele. Ora, voglio dire, non è che puzzassero, ma diciamola tutta, sfido chiunque a prendere in mano un paio di anfibi dopo che si hanno ai piedi per un giorno e mezzo, dopo averci camminato e soprattutto dopo che hanno vissuto un concerto. La seconda guardia le prende. Non so come spiegare la faccia che ha fatto, le ha prese in pizzo in pizzo e le ha fatte passare sotto il rullo. Ultima figura di merda crucca.

Ora siamo pronti per partire, non prima di un ultimo cappuccino tedesco (alla faccia dell’ AirDolomiti!).

Tornati sani e salvi dalla Germania, vivi e vegetali ma soddisfatti. Anzi ringrazio il sacco di patate che oltre a venire con me (non so quanto sarei riuscita a partire da sola) si è sopportato le follie da shopping compulsivo sulle tazze, il martellamento mentale sulla voglia di avere un corno, gruppi a lui semisconosciuti e un massacramento fisico e mentale di tutto rispetto.

Non so lui, ma io ci voglio tornare (e a novembre ci torno!)

    

 
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Rispondi al commento:
CacciatricediSangue
CacciatricediSangue il 29/04/08 alle 20:55 via WEB
uhmmm non so se tra un paio di giorni trovi me piu che altro :P anzi! se mi trovi c'è da preoccuparsi perchè significa che qualcosa è andato storto. cmq, se sparisci o no, io te lo lascio scritto. ora di luglio agosto c'è tempo per decidere e valutare, in ogni caso gli eluveitie sono da non perdere :P
 
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