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Messaggi di Maggio 2014

La Svizzera, che paese.....

Post n°3200 pubblicato il 20 Maggio 2014 da ninograg1
 

Una delle più importanti e antiche, UBS, banche ha ammesso candidamente di aver aiutato evasori americani ad esportare soldi illegalmente e ha patteggiato il pagamento di ben 2,5 mld di $ come multa (la piazza americana è fin troppo importante per perderla).

Hanno appena fatto un referendum che ha stabilito che i caccia Grapen E (diretti concorrenti dei nostri F35) non vanno comprati con un risparmio di 2,5 mld di euro senza che:

  1. nessun Consiglio di Stato si sia riunito per forzare la mano (non sono italiani).
  2. è venuto persino Barack Obama (ingerendosi nei nostri affari) a dire a Renzie che gli F-35 si devono proprio comperare seguito a ruota da interviste a valanga dell’ambasciatore John Phillips.
  3. la Lockheed ha messo in piedi una campagna di lobbying senza precedenti arruolando ministri, generali, giornalisti, pseudo-istituti di ricerca (sempre a proposito d'ingerenza).
  4. il loro conto sarà pari a zero..... il nostro conto per noi sarà, alla fine, di 52 miliardi.

Lì l'opinione dei cittadini  conta, eccome se conta e vengono sentiti ogni volta che gli stessi, o frazioni di essi, o partiti o gruppi d'interesse raccolgono firme e lo propongono: la cosa avviene almeno 4 volte l'anno.

Lì il salario medio viaggia sui 1300 euro al mese, in Svizzera sempre ieri hanno votato per decidere se portare il salario minimo a 3250 euro.

Non è il paradiso la Svizzera ma la concezione di partecipazione che hanno in quel paese risulta diversa e migliore rispetto alla nostra dove tutto si tiene presente tranne i desiderata dei datori di lavoro dei politici, noi...... pensateci quando andate a votare

 
 
 

Euro, quelli che ‘se ne usciamo ci sarà la corsa agli sportelli’

| 19 maggio 2014 (Professore associato di Politica economica, Facoltà di Economia, Uni. G.D’Annunzio, Pescara)

Siamo al redde rationem.

Mentre gli oligarchi, quelli per i quali i suicidi provocati dalla crisi sono “l’emersione di una contraddizione tale da aprire la strada a un progetto costituente europeo”, se ne stanno ben rinchiusi e defilati nei loro bunker, nelle strade, casa per casa, lotta un’improbabile armata Brancaleone di bambini soldato, mandati allo sbaraglio con argomenti tanto insulsi quanto terroristici. Fra questi, come spesso accade, il più convincente ad occhi inesperti è anche il più ridicolo agli occhi del professionista. Ma se il pubblico non coglie immediatamente il ridicolo, la colpa non è certo sua: la colpa è di un sistema dell’informazione volto da trent’anni a distorcere i più elementari fatti economici. Per ripristinare un minimo di buon senso, però, basta poco, come spero di chiarirvi se avrete la pazienza di leggermi.

Dunque: li avete mai sentiti quelli che raccontano che se si uscisse la nuova lira si svaluterebbe, e quindi, nell’imminenza di questa prospettiva, ci sarebbe una fuga di capitali all’estero, preceduta da una corsa agli sportelli (che gli espertoni chiamano bank run)? La conclusione dei nostri economisti improvvisati è che privando di liquidità il sistema economico italiano, questo fenomeno condurrebbe rapidamente l’Italia al collasso.

Ora, questo argomento è infondato per un semplice motivo: chi aveva soldi da portare all’estero lo ha già fatto, e ha fatto bene, per il semplice fatto che l’euro a 1.37 (diciamo 1.4, arrotondando) sul dollaro è troppo alto, come anche Prodi autorevolmente ci ha ricordato, il che apre la strada a due soluzioni: o l’euro si svaluta, o crolla sotto il proprio peso. La perdita da svalutazione quindi, da qui ai prossimi due anni, ci dovrà essere in ogni caso. Anch’io, che di soldi ne ho pochi, li ho portati all’estero, in modo del tutto legale, investendoli in un fondo dove ho pesato opportunamente dollaro e mercati emergenti, evitando l’Europa (il che non significa escluderla, perché non si devono mai mettere tutte le uova in un solo paniere, ed è sempre bene comprare “basso” per vendere “alto”). Punto. Chi ha senno fa così e lo ha già fatto (come credo abbiano fatto tutti quelli che mi leggono), perché non ha comunque senso investire in un continente che si sta suicidando e va da un rimbalzo del gatto morto al successivo. Se ti vuoi proteggere da una svalutazione, devi investire nella valuta rispetto alla quale sei rivalutato (cioè il dollaro) e se vuoi rendimenti devi investire in economie che crescono (Usa e emergenti).

La morale della favola è che agli intervistatori che con aria sapiente (“Eh, ora ti metto io in difficoltà!”) mi chiedono: “Ma lei cosa farebbe?”, io rispondo: “Niente, perché ho già fatto quello che c’è da fare. Lei no? Mi dispiace.”

Dirò di più.

Il rischio di svalutazione drastica, e in generale il “rischio paese” dell’Europa, è molto più remoto in caso di dissoluzione che in caso di mantenimento dell’euro. Paradosso? No, logica. Il nostro principale concorrente è e resta la Germania. Ora, se noi ci sganciamo da lei, solo un fesso patentato può pensare che la Bundesbank lasci cadere la nuova lira del 20% in una notte, non solo perché non è mai successo, ma anche perché far cadere del 20% la nuova lira significa alzare del 20% l’asticella della Germania, che ora è per lei convenientemente bassa, come affermano tedeschi tanto diversi quanto Hans-Olaf Henkel e Ska Keller. Germania e Italia hanno una struttura di vantaggi comparati molto simile e competono sugli stessi mercati terzi. Se noi ci sganciassimo dall’euro, sarebbe interesse della Germania non calcare troppo la mano e sostenere il nostro cambio, per non perdere importanti quote di mercato. D’altra parte, stando dentro lo “stabile” euro, ci è già successo di sperimentare svalutazioni contro dollaro del 20% pressoché istantanee. Guardate un po’ cos’è successo nel 2008, ad esempio:

bagnai-usd/eur Qualcuno ricorda fughe agli sportelli, inflazione al 20%, e altre amenità simili? I problemi erano, e sono, ben altri.

Mi preme anche farvi notare che se l’euro non scompare, l’unico modo per “risanare” le finanze pubbliche, devastate dal proprio generoso quanto vano tentativo di salvare la finanza privata, sarà quello di “ristrutturare” il debito pubblico. Gentile eufemismo per il più esplicito: dare il pacco ai creditori. Ora: con un haircut poniamo del 20% il creditore da un giorno all’altro si vede restituire il 20% in meno, ma il debitore non riallinea il proprio cambio e quindi, non recuperando competitività, non riesce nemmeno a restituire il restante 80% (è più o meno quello che sta succedendo in Grecia, se avete presente). Con una svalutazione del 20%, il creditore vede sì il 20% in meno, ma il debitore recupera competitività, cresce, e il restante 80% è in grado di restituirlo. Questa è logica. Dentro l’euro quindi c’è più rischio, per i creditori (buon motivo per sottopesare l’Eurozona nei portafogli). E allora perché tutti lo difendono? Ma è semplice: perché il Nord, come da prassi, vuole stravincere. I creditori del Nord sanno che il 20% (o più) è comunque perso, in un modo o nell’altro, ma elaborare questo lutto diventa più facile se pensi che comunque sei riuscito a mantenere i tuoi debitori in una posizione di inferiorità competitiva (impedendo alla tua valuta di rivalutarsi).

Giova ricordare che sarà anche vero che noi italiani ultimamente non abbiamo vinto nessuna guerra, ma i tedeschi in compenso le hanno perse tutte. La storia si sta ripetendo.

Permettetemi di concludere con la madre di tutte le dilettantesche scemenze: l’idea spesso espressa da economisti improvvisati secondo cui la famosa svalutazione del 50% (che non sarebbe tale perché i partner lo impedirebbero, come ho detto sopra) abbatterebbe del 50% in una notte (che non sarebbe una notte perché i riallineamenti anche ampi normalmente prendono almeno un anno) i nostri risparmi.

Scusate, ma i risparmi a cosa servono? In sintesi, a tirare a campare quando si smette di lavorare, no? Ora, io mi chiedo: ma voi, che oggi fate la spesa sotto casa, a 65 anni prenderete ogni giorno l’aereo per farla a Manhattan? Così, per sapere… I cialtroni terroristi sistematicamente confondono il valore esterno della moneta (il suo tasso di cambio) con quello interno (il suo potere di acquisto). Se l’euro si svalutasse del 50%, significherebbe (a spanna) che un dollaro costerebbe del 50% in più. Ma voi il latte sotto casa lo comprate in dollari? L’obiezione (ridicola) è: “Ma le materie prime si comprano in dollari!”. Ma ragazzi: il costo delle materie prime è solo una parte del costo finale del prodotto, le strategie di prezzo delle imprese sono orientate a comprimere i margini in caso di svalutazione per evitare di perdere quote di mercato, ecc. ecc. La morale della favola è che gli studi più recenti ci dicono che nei paesi europei una svalutazione si trasferisce sull’indice dei prezzi al consumo per circa il 23% nel lungo periodo. Quindi anche una svalutazione del 50%, del tutto improbabile, farebbe aumentare l’indice dei prezzi al consumo al massimo del 0.5×0.23=11.5% distribuito su più di un anno. Il che significa, in buona sostanza, che anche in questo scenario catastrofico l’incremento del tasso di inflazione su base annua sarebbe al massimo di 6 punti, sempre nell’ipotesi che il governo non attui contromisure, come, ad esempio, ridurre le accise sulla benzina messe da Monti, guarda un po’, per difendere l’euro. Se invece la svalutazione fosse di un più realistico 20%, come fra 1992 e 1993, l’impatto sull’inflazione in base annua sarebbe di due punti. Proprio quei due punti in più di inflazione che il buon Stefano Fassina chiede alla Bce di provocare… per difendere l’euro!

Ehi, amici, come devo dirvelo? Se tanto svaluteremo dentro o fuori dall’euro, se per difendere l’euro sarebbe opportuno che la Bce provocasse un’inflazione analoga a quella che ci aspetta se ne usciamo, e se per difendere l’euro dobbiamo mettere nuove imposte sulla casa e nuove accise (e in Italia un’accisa è per sempre), mi spiegate a cosa ci serve restare dentro l’euro? A sentirci bravi come i tedeschi? Se avete un complesso di inferiorità parlatene con uno psicanalista: farete felici il vostro (o la vostra) partner. Un economista, se non è un cialtrone, non vi dirà niente di diverso da quanto trovate scritto qui.

p.s.

io lo dico da tempo che è possibile, anche se ci vuole tempo, uscirne definitivamente ma stavolta è un prof di economia a dirlo quindi ha una maggiore autorevolezza del sottoscritto...... eppure: la psicologia di massa è strana perchè singolarmente presi siamo tutti bravi a capire le ragioni ma messi tutt'insieme siamo pecore e ci facciamo spaventare non dai lupi, che sono altrove, ma dal loro semplice odore.

VOTATE! VOTATE! VOTATE!

 
 
 

Inghilterra, Ungheria e Polonia paesi senza Euro in forte crescita economica!

VARSAVIA – L’economia polacca ha registrato un’accelerazione della crescita nel primo trimestre del 2014 rispetto ai tre mesi precedenti, secondo una prima stima pubblicata dall’Ufficio statistico nazionale (GUS). Nei primi tre mesi del 2014 il Prodotto interno lordo polacco è aumentato dell’1,1% destagionalizzato rispetto all’ultimo trimestre del 2013, quando era cresciuto dello 0,7%. Rispetto a un anno prima il Pil è aumentato del 3,5%, dal più 2,5% dello stesso periodo

del 2013. Su base grezza l’incremento annuo è del 3,3%, superiore alle attese degli analisti, che puntavano su un più 3,1%. Si tratta del miglior risultato da due anni per l’economia polacca. Il ministero dell’Economia di Varsavia stima che il Pil aumenterà del 3,3% quest’anno, in base alla stima fatta ad aprile che migliora il 3% atteso in precedenza. La Banca centrale punta invece su un più 3,6%. La Polonia è l’unico paese dell’Unione europea non è mai andata in recessione dopo al crisi finanziaria del 2008. Nel 2011, il Pil polacco è cresciuto del 4,5%, per poi rallentare all’1,9% nel 2012 e all’1,6% nel 2013. La Polonia, va sottolineato, ha rifiutato più volte “l’offerta UE” di entrare a far parte della disastrata Zona euro e questo l’ha premiata. Insieme all’Ungheria di Orban e all’Inghilterra, forma un forte gruppo di Stati d’Europa con economie sane e in crescita grazie proprio ad aver rifiutato il boccone avvelenato dell’euro.

Max parisi Tratto da: ilnord.it

p.s.

l'articolo non è apparso sui giornali ufficiali ma questa testata è registrata regolarmente e quando ho avuto modo di leggerla con calma, fatti i dovuti riscontri, non ho potuto non riportarla chiedendomi anche perchè queste news sono "disciolte" nei nostri notiziari? Non se ne parla per nulla o se lo si fa la cosa avviene "en passant", ossia scivola nel fiume e diventa rumore di fondo....

p.s. 2

andate a votare... non delegate ad altri le vostre scelte

 
 
 

Governo Renzi alla prova del fact checking: quali promesse sono diventate realtà

Un successo per questo governo che sta mettendo uno dietro l'altro molti obiettivi raggiunti: pil che cala; deficit che sale; debito pubblico che raggiunge un altro record in poco tempo. Come i precedenti ha messo un altro tassello sul cammino del paese verso il fallimento.

Ma cosa ha relamente realizzato il nuovo che avanza nel "fare"?

Vediamo...

Dal Fatto Quotidiano del 15 maggio 2014 di

E’ il 17 febbraio. Matteo Renzi – appena nominato e non ancora in carica – dice: “Entro il mese di febbraio compiremo un lavoro urgente sulle riforme della legge elettorale e istituzionali, nel mese di marzo la riforma del lavoro, in aprile la pubblica amministrazione e in maggio il fisco(Ansa). La formula annunciata è questa: portare a compimento una riforma ogni trenta giorni. E’ solo l’inizio, perché il premier sciorina una lunga serie di promesse anche il 24 febbraio mentre è in Senato a chiedere la fiducia e il 12 marzo, giorno della conferenza stampa con le slide in cui annuncia gli obiettivi economici in agenda. L’elenco è lungo: da “entro 15 giorni pagheremo tutti i debiti della P.A.” a “entro il 1° maggio -10% del costo dell’energia per le imprese”, passando per l’edilizia scolastica, il lavoro, i ‘mitici’ 80 euro, il piano casa e le Province. Ilfattoquotidiano.it ha esaminato tutti gli annunci e le promesse di Renzi. Ecco l’esame ragionato alla luce dei fatti delle sue dichiarazioni e quello che è successo dopo.

Riforme istituzionali – NON HA RISPETTATO I TEMPI - Il ddl che dovrà riformare Senato e Titolo V della Costituzione doveva arrivare entro febbraio. Un mese dopo Renzi prende tempo: “Ho illustrato ai ministri un testo di riforma del Senato (…). Diamo 15 giorni e poi si porta in Parlamento” (Ansa, 12 marzo 2014). Invece il Cdm lo licenzia il 31 marzo e l’8 aprile arriva in Senato. Il 12 aprile, a Torino, dove inaugura la campagna elettorale del Pd, Renzi la spara grossa: “Entro il 25 maggio dobbiamo arrivare al superamento del bicameralismo” (Ansa, 12 aprile 2014). Sei giorni più tardi si mostra sicuro: “Sono molto ottimista che entro maggio il Senato approvi la Riforma del Senato e del Titolo V e del Cnel” (Ansa, 18 aprile 2014). Non solo la prima lettura, ma l’intera riforma. Quando il M5S dichiara di appoggiare il testo presentato dalla minoranza Pd, Renzi comincia a spazientirsi: “Lo facciamo entro maggio. Se vogliono perdere la faccia facciamo pure, io no” (Radiocor, 22 aprile 2014). Passano 5 giorni e, parlando a “In 1/2 ora” sul voto in prima lettura a Palazzo Madama entro il 25 maggio, il premier frena: “Se invece del 25 arriva il 5 giugno, non cambia niente” (Ansa, 27 aprile 2014). Il 29 aprile il voto slitta al 10 giugno: “Con 15 giorni in più nessuno si scandalizza”. Ma non sarà facile: il termine ultimo per presentare gli emendamenti in Commissione Affari costituzionali è stato fissato al 23 maggio. Ergo, sulle riforme si tornerà a lavorare solo dopo le elezioni. La verità, forse, è contenuta nel Documento di Economia e Finanza 2014 presentato l’8 aprile: alla voce “Riforme costituzionali”, a pagina 4, si legge. “Approvazione in Parlamento in prima deliberazione (…) entro settembre 2014.

Riforma del lavoro – PROMESSE RISPETTATE A META’ - “A marzo la riforma del lavoro”, spiegava l’ex sindaco il 17 febbraio: il 12 marzo il dl n. 34 firmato dal ministro Poletti viene approvato dal Cdm e il 20 marzo è pubblicato in Gazzetta Ufficiale. La promessa è rispettata. Non si può dire lo stesso dell’annuncio fatto il 24 febbraio in Senato: “Partiremo, entro marzo, con la discussione parlamentare del cosiddetto Piano per il lavoro”, diceva Renzi chiedendo la fiducia. Invece la discussione inizia solo 2 mesi dopo, il 22 aprile, e il 23 il testo incassa la fiducia alla Camera. Ora il dl è in Senato, ha subito alcune modifiche (in primis, l’obbligo di assunzione per le aziende che sfondano il tetto del 20% del numero di precari viene sostituito da una multa) e la nuova versione è tornata a Montecitorio per l’approvazione definitiva, che dovrà avvenire entro il 19 maggio, pena la decadenza. Giornali e governo parlano trionfanti dell’approvazione dello Jobs Act, che però è una cosa diversa. Perché il dl Lavoro è solo una parte della bozza di riforma presentata da Renzi l’8 gennaio con il nome di Jobs Act: un testo molto complesso contenente provvedimenti che vanno molto al di là di quanto contenuto nel dl Poletti, che si limita alla “semplificazione delle disposizioni in materia di contratti di lavoro a termine”, come recita il titolo del dl. Non solo: nel Jobs Act  la parola “contratto” compare 2 sole volte: si parla di “Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile” e di “un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”. Nel dl Lavoro non c’è traccia di nessuno dei due.

Riforma della PA – NON CE L’HA FATTA - Doveva arrivare entro fine aprile il testo di legge destinato a riformare la Pubblica amministrazione. Ma mercoledì 30 invece di presentarsi in conferenza stampa a Palazzo Chigi con un dl o un dd, Renzi arriva solo con le linee guida del provvedimento, che sarà un disegno di legge e non un decreto, e arriverà in “consiglio dei ministri il 13 giugno” (Ansa, 30 aprile). Tra tre settimane ci sono le europee e, anche se il governo dice di non voler ridurre gli organici, meglio non scontentare nessuno.

“Riforma elettorale entro maggio”. MA IL DEF DICE SETTEMBRE - “Se arriviamo al passaggio del 25 maggio senza aver fatto la legge elettorale – scandiva il premier il 18 dicembre alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa – e, almeno in prima lettura, la riforma costituzionale non andiamo da nessuna parte”. La prima versione del testo debutta alla Camera il 31 gennaio, ma le trattative con Berlusconi proseguono per tutto febbraio e il 5 marzo alla Camera arriva un testo diverso, da cui è stato stralciato l’articolo 2 relativo al Senato. Il 12 marzo l’Italicum passa a Montecitorio con 365 sì, 156 no e 40 astenuti. Il giorno dopo, a Porta a Porta Renzi ribadisce: “Entro il 25 maggio dobbiamo riuscire a chiudere la partita della legge elettorale e la prima lettura della riforma del Senato” (Asca13 marzo). La trattativa è bloccata da 2 mesi e domenica 4 maggio il ministro Boschi intervistata dal Messaggero rinviava ancora: “Possiamo approvarlo prima dell’estate”. Che inizia il 21 giugno. Il Def contiene forse la verità: alla voce “Riforma della legge elettorale (pag. 2) si legge: “Approvazione definitiva entro settembre 2014“.

Sblocco totale dei debiti della PA – NON CE L’HA FATTA - E’ il 24 febbraio, Renzi è al Senato per chiedere la fiducia e promette “lo sblocco totale, non parziale, dei debiti della P.A.”. Il giorno successivo a Ballarò fissa una data: “La Cassa Depositi e Prestiti (…) in 15 giorni permetterà di sbloccare i 60 miliardi bloccati per i debiti della P.A.” (Ansa25 febbraio). Il 10 di marzo, invece, non accade nulla e il 12 marzo Renzi rinvia di nuovo e l’importo cresce: “Sblocco immediato e totale del pagamento dei debiti della P.A. – 22 miliardi pagati – 68 miliardi entro luglio“, si legge su una delle slide (la numero 18) utilizzate dal premier per illustrare le misure economiche in agenda. Non passa un giorno che la dead line si sposta di 2 mesi: “Il 21 settembre, a San Matteo, se non abbiamo sbloccato tutti i debiti della P.A. – sorride sornione Renzi a Bruno Vespa il 13 marzo su un divanetto bianco di Porta a Porta - lei va in pellegrinaggio a piedi da Firenze a Monte Senario”. Basta dare un’occhiata al Def e si scoprono cifre e scadenze diverse: a pagina 10 si parla di “ulteriori 13 miliardi per accelerare il pagamento dei debiti arretrati (già avviato nel 2013-2014 con il pagamento di più di 47 miliardi ai fornitori della P.A.)”. I tempi? “Ottobre 2014″.

80 euro in busta paga – CE L’HA FATTA MA I TECNICI BOCCIANO LE COPERTURE - “Entro un mese diamo il percorso preciso su quanto e dove prendiamo i soldi per la riduzione di due cifre percentuali del cuneo fiscale”. E’ il 25 febbraio e Renzi parla così a Ballarò. La prima scadenza, quindi, è il 25 marzo. Invece lunedì 10 il premier gioca d’anticipo: “Mercoledì per la prima volta si abbassano le tasse. Non ci crede nessuno? Lo vediamo” (Ansa10 marzo). Avevano ragione gli scettici, perché il 12 Renzi si presenta in Cdm con una relazione e non con un testo di legge e in conferenza stampa fa una nuova promessa mostrando la slide: “+1000 euro netto all’anno a chi ne guadagna meno di 1500 al mese - Dal 1° maggio“. Dopo un tira e molla infinito per trovare le coperture, il 18 aprile il Cdm approva il decreto Irpef. Ma i guai non sono finiti, perché i tecnici del Servizio Bilancio del Senato, che analizzano il testo prima del passaggio in Aula, il 2 maggio evidenziano diverse criticità: l’aumento della tassazione sulle quote Bankitalia, utilizzato come copertura, pone dubbi di costituzionalità; il minor gettito derivante dal taglio dell’Irap potrebbe essere maggiore dei 2 miliardi previsti; il testo prevede l’utilizzo di risorse attese dalla lotta all’evasione, ma “non è stata fornita alcuna informazione in ordine a eventuali strumenti o metodologie che si ipotizza di utilizzare per il raggiungimento dell’obiettivo” (Ansa, 2 maggio). Tradotto: “Le coperture non ci sono”. E scatta la polemica con il presidente di Palazzo Madama Pietro Grasso. “I burocrati del Senato dicono il falso” accusa Renzi, con l’ex pm antimafia che risponde a tono: “Non discuta sulla nostra serietà”. Il carico ce lo mettono Forza Italia e Lega, che minacciano di querelare il premier. Ma il numero uno del Senato chiude la polemica: “Per me la lite con Renzi è finita lì”.

Taglio dell’Irap – TEMPI RISPETTATI, MA I TECNICI LO BOCCIANO - ”Irap -10% per le aziende - Dal 1° maggio“, si legge sulla slide numero 24 mostrata in conferenza stampa il 12 marzo. Il 18 aprile il Cdm licenza il decreto Irpef: “Riduciamo anche l’Irap del 10% attraverso misure strutturali per le aziende private”, spiega Renzi (Agi, 18 aprile 2014), ma il taglio sarà pienamente operativo solo dal 2015. Ma per i tecnici del Servizio Bilancio del Senato il minor gettito calcolato dal taglio dell’imposta, 2 miliardi, potrebbe essere sottostimato.

“1,5 miliardi per la tutela del territorio” – NON CE L’HA FATTA - 12 marzo, Slide numero 21: “1,5 miliardi per la tutela del territorio - Dal 1° aprile“. Dell’argomento si parla nel Def, che è un documento di programmazione triennale, è vincolante per il governo ma non ha valore di legge e può essere modificato. Ma per ora è solo un annuncio: il 22 aprile lo conferma il presidente della Commissione Ambiente, Ermete Realacci, che parla dello “sblocco di 1,5 miliardi già stanziati per contrastare il dissesto idrogeologico annunciato dal governo” (Ansa, 22 aprile).

“3,5 miliardi per la sicurezza nelle scuole” – NON CE L’HA FATTA - ”Un piano per le scuole – 3,5 miliardi – unità di missione – per rendere la scuole più sicure e rilanciare l’edilizia”, si legge nella slide numero 20. E’ il 12 marzo. Il 27, parlando ai parlamentari del Pd, fissa una data: “I cantieri partiranno a giugno e i 3,5 miliardi ci sono”. Due settimane dopo, il premier è ancora più preciso: “Dal 15 giugno devono partire i cantieri in tutti i comuni” (Asca, 12 aprile). Qualche giorno dopo ribadisce: “Abbiamo tolto dal patto di stabilità” questi interventi, “saranno 3,5 miliardi di euro” (Radiocor23 aprile). Nel Def, tuttavia, i fondi scendono a quota 2 miliardi, come si legge a pagina 30. Se poi si va a guardare nel testo del decreto Irpef si scopre che per ora le risorse stanziate dall’articolo 48 (Edilizia Scolastica) non vanno oltre i 122 milioni per il 2014 e gli altrettanti del 2015. In tutto 244 milioni, non 3,5 miliardi.

Energia meno costosa per le imprese – NON CE L’HA FATTA - “Dal 1° maggio vi sarà un taglio dei costi dell’energia del 10% per le pmi attraverso una rimodulazione del paniere della bolletta energetica” (Adnkronos, 12 marzo), prometteva il premier, mostrando la slide n. 25. Di testi di legge non se ne sono ancora visti e del taglio dei costi si parla solo nel Def: “Riduzione di almeno il 10% del costo dell’energia delle imprese”, si legge a pagina 23 dove sono indicati anche i tempi: “Settembre 2014“. “Il piano è a buon punto”, ha spiegato il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi: un decreto da 1,5 miliardi che, insieme a circolari ministeriali e atti di indirizzo per l’Autorità dell’energia, dovrebbe arrivare entro maggio. L’entrata a regime del quadro normativo potrebbe arrivare in estate, ma “gli effetti si avranno entro fine 2015″ (Ansa30 aprile).

Auto blu all’asta – PROMESSA RISPETTATA A META’ E C’E’ CONFUSIONE SUI NUMERI - “100 auto blu all’asta dal 26 marzo al 16 aprile”, si legge nella slide 16 mostrata il 12 marzo. Il 26 marzo il governo parla “della vendita di 151 auto blu”. Ma i numeri non tornano: nell’avviso di vendita del ministero dell’Interno si parla dell’alienazione di 70 vetture; in quello della Difesa le auto sono 52; 8 quelle dei Vigili del fuoco. Il totale fa 130. Non tornano a tal punto che il 25 aprile il governo annuncia: “Si conferma che tutte e 52 le vetture finora messe all’asta su Ebay sono state regolarmente aggiudicate”, si legge in una nota di Palazzo Chigi. Quindi a finire all’asta sono state finora 52 auto e non 100, né 151. Poi il 28 aprile su eBay sono arrivate 9 Maserati blindate, per le quali all’8 maggio non era arrivata nessuna offerta. La notizia faceva il giro dei siti di informazione e il 9 maggio le 9 auto non erano nemmeno più sul sito di aste online.

Piano casa – IL DL E’ AL SENATO, MA LA COMMISSIONE BILANCIO HA DUBBI SULLE COPERTURE - Ne aveva parlato il 12 marzo: “Una casa per tutti – Sblocco del piano casa”, recitava la slide numero 23, senza indicare una data. Il 28 marzo il decreto legge numero 47 veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ma in Senato la Commissione Bilancio avanza numerosi dubbi sulle coperture: “Si va dalle norme che prevedono un taglio al fondo anti Tasi per finanziare il bonus affitti (la riduzione al 4xmille per il 2014 per gli immobili affittati a canone concordato e per quelli nei comuni con emergenza abitativa) a quelle relative alla lotta agli affitti in nero passando per la cedolare secca per i canoni concordati” (Ansa, 8 maggio). 

Garanzie per i giovani – IL PIANO E’ PARTITO MA “IL RISCHIO PARALISI E’ ALTISSIMO” -1,7 miliardi per garantire ai giovani (18/29 anni) entro 4 mesi dal titolo di studio il lavoro o il proseguimento degli studi – Dal 1° maggio”, recita la slide 28. Si tratta del programma Youth Guarantee – Garanzia Giovani dell’Ue. Il piano è partito il 1° maggio, ma non mancano le difficoltà. Per metterlo in atto le Regioni devono firmare una convenzione con il ministero del Lavoro, ma in poche lo hanno fatto: ”Ad oggi sono state firmate quelle con Emilia-Romagna, Valle d’Aosta e Sardegna, mentre sono già pervenute quelle di Toscana e Veneto, che saranno firmate nei prossimi giorni”, annunciava il 27 aprile il ministro Poletti (Asca, 27 aprile). Cinque su 20. “Il rischio paralisi è altissimo”, spiegano i ricercatori dell’osservatorio Adapt: “Il sito web nazionale messo a punto per aderire al programma – si legge nel bollettino 155/maggio 2014 – non è ancora pienamente attivo, la campagna di comunicazione per la diffusione del piano non è ancora stata avviata e solo poche Regioni hanno firmato una Convenzione con il Ministero del lavoro“. Eppure molte delle risorse a disposizione sono già state spese per la messa a punto del portale”. Non solo: se Renzi parlava di 1,7 miliardi, i fondi sono di meno: il sito del ministero parla di “1,5 miliardi“.

Riforma delle Province – APPROVATA, MA AUMENTANO LE POLTRONE - Le Province sono state riformate (e non abolite) il 3 aprile con l’ok definitivo della Camera ddl Del Rio. La riforma non porta la firma di Matteo Renzi (il testo era stato presentato il 20 agosto 2013 dal governo Letta), che tuttavia il giorno del sì del Senato sparava: “Tremila posti in meno per i politici” (Asca, 26 marzo). Non è così, perché il testo approvato aumenta le poltrone nei comuni: “Per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri e il numero massimo degli assessori è stabilito in due; per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 10.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da dodici consiglieri e il numero massimo di assessori è stabilito in quattro”, si legge. In pratica a fronte del taglio di 2.159 poltrone con la riforma delle Province, aumentano i seggi per i consiglieri (pari a 26.096) e i posti da assessore (+5.036) dei Comuni fino a 10 mila abitanti.

p.s.

io altre due cosine ce le avrei da aggiungere....... ma ve le risparmio per impedire di dover assumere antistaminici.

 
 
 

partiti e programmi elettorali: un confronto da fare prima di fare qualunque cosa.....

Tutti, proprio tutti, sostengono che sia importante votare, vero? ma i programmi li conosciamo? Quanti di noi sono stati realmente informati dai media o dai partiti stessi sulle loro intenzioni quando saranno al parlamento europeo? Quanti di noi si sono realmente informati?

A sentire i politologi, quelli seri, nemmeno il 15% s'informa e fa una scelta consapevole; del 15% il 50% lo fa solo negli ultimissimi giorni; il resto si basa sul sentito dire (in italia annusa l'aria per capire il vento che tira) in giro o nel cerchio di conoscenze che ha.... non è esattamente, quindi,  un "informarsi" quanto un assumere il minimo d'informazioni che si possono raccattare in giro per farsi un idea di massima: un pò poco.

Bene almeno stavolta non ci saranno alibi... a questo link del Fatto, e su lavoro di quattrogatti.info, c'è la tabella di raffronto fra i programmi elettorali dei vari partiti, e varie consorterie cui si richiamano, o - tradotto - la listre delle loro buone intenzioni.... approfittatene.

p.s.

la notizia è il vero programma per le europee del vero partito che conta, eccola: al Marriott Hotel a Copenhagen, sarà la sede del meeting Bilderberg 2014. C'erano alcuni dubbi su questa sede, dato che si trova vicino ad una strada molto trafficata, ma ora le autorità hanno confermato che si terrà in questo hotel dal 29 maggio al 1° giugno 2014

Hanno anche sistemato una ampia area davanti all'entrata dell'hotel, per farci stare i manifestanti, anche se la Sede Centrale della polizia è vicina a questa sede... cosi potranno tenere d'occhio da vicino quel che accade... Rispetto allo scorso anno, signifca che i manifestanti si potranno riunire a non piu' di 20 metri dall'hotel e quindi sia loro che i media potranno vedere piu' da vicino l'arrivo dei membri del Bilderberg, rispetto allo scorso anno al Grove Hotel in Watford, Inghilterra. I reporters di Infowars saranno sull'area di Copenhagen per coprire l'evento con riprese live in streaming e aggiornamenti regolari. L'organizzazione degli elitari, che annualmente si incontrano o in EU o in USA o in Canada, comprende alcuni dei pesi massimi piu' potenti dell'industria, delle banche, della politica, delle case reali, dell'accademia e tecnologia. . Nel 2010, l'ex Segretario Generale della NATO e membro Bilderberg, Willy Claes ammise che i partecipanti al Bilderberg hanno il mandato di implementare decisioni politiche che vengono formulate durante il meeting. Lo scorso anno, l'avvocato italiano Alfonso Luigi Marra richiese al Pubblico Ministero di Roma di investigare sulla organizzazione clandestina, per attività criminale, chiedendo altresì se il meeting del 2011 in Svizzera non avesse portato alla elezione di Mario Monti come Primo Ministro dell'Italia. Nel 2009, il presidente del Bilderberg Étienne Davignon persino si vantò del fatto che la moneta unica dell'euro, fosse parto mentale del Bilderberg Group. 
 
 
 

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