GABER 2; COMPLEANNO
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Ormai i prezzi sono fuori controllo e spesso si tratta di speculazione interna o internazionale. Oltre alle associazioni di difesa dei consumatori e agli strumenti legali come CLASS ACTION CHE SPERIAMO IL "NUOVO" GOVERNO NON VANIFICHI ora c'è un'organismo istituzionale messo a tutela dei cittadini MrPrezzi <---- e qui a fianco c'è il link (NUMERO VERDE 800955959) per accedere direttamente alla home page dei contatti per le segnalazioni. Attenzione le segnalazioni NON SONO ACCETTATE SE ANONIME, MA SI DEVE DARE GENERALITA' E CODICE FISCALE. Naturalmente non tutti ce la sentiamo di denunciare l'alimentare sotto casa che ha aumentato i prezzi senza nessun apparente motivo e magari l'abbiamo visto il giorno prima all'ipermercato di zona a comprare le stresse cose che poi rivende a prezzo maggiorato ma facendo così gli instilliamo il senso dell'impunità che si spera, almeno quando riguarda le nostre tasche, nessuno vuole favorire anche perchè tutti ci stanno marciando e quando dico tutti intendo proprio tutti a loro modo naturalmente dato che siamo in una economia di mercato basato sul prezzo dei combustibili fossili e con essi ci fregano in un modo o nell'altro, quindi occhio e abbiate il coraggio civico di telefonare per segnalare qualcosa di anomalo che notate: siate i garanti di voi stessi e delle vostre tasche le quali non potranno che beneficiarne dato che a lungo andare in questa guerra che da un lato vede i cittadini che non ce la fanno ad arrivare alla III° settimana e gli speculatori chi perde davvvero è proprio la democrazia, la libertà ma soprattutto quella "vita libera e dignitosa" di cui parla quella carta (spero non dimenticata) che è la NOSTRA COSTITUZIONE!!!
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Post n°3376 pubblicato il 19 Gennaio 2015 da ninograg1
Tag: blog, Davos, economia, euro, finanza, Mario Draghi, Matteo Renzi, politica, speculazione, World Economic Forum di Loretta Napoleoni | dal Fatto Quotidiano del 18 gennaio 2015 La prossima settimana parte Davos, il World Economic Forum, ed ancora una volta bisogna dire che le previsioni fatte lo scorso anno sono state piuttosto scarse. Nessuno, ad esempio, aveva predetto il crollo dei prezzi del petrolio né l’abbandono della difesa del tasso di cambio franco svizzero euro, due fenomeni, tra i tanti ai quali abbiamo assistito nel 2014, che hanno scosso i mercati e ricordato alle masse che nessuno, neppure i potenti del mondo che ogni anno si incontrano a Davos, controllano l’economia. Tantomeno i buoni intenti professati dai partecipanti nel 2014 – come negli anni precedenti – hanno prodotti i risultati sperati: dai cambiamenti climatici fino alla lotta contro la povertà, le promesse sono state tante ed i risultati scarsissimi. Viene spontaneo chiedersi perché questo appuntamento invernale continua a riempire le prime pagine dei giornali ed a fare notizia dal momento che prevede sempre ciò che è già successo, ma soprattutto ci si domanda cosa ci vanno a fare ancora i politici a Davos dal momento che nessuna delle loro promesse si è mai avverata? Quest’anno persino Matteo Renzi è nell’illustre lista dei premier, a quanto pare l’intento è di rassicurare con quel suo stile da giovanotto ‘so-tutto-io’ i giovani miliardari americani dell’elettronica e dell’informatica che al timone del Titanic Economia Italia non c’è più un burocrate come Mario Monti ma uno in gamba come loro. Renzi, come tutti gli altri premier a Davos, ci va per attirare capitali ed investitori in casa propria, un’impresa più che ardua ed a volte, come nel caso del Titanic Economia Italia, francamente impossibile. Ma torniamo ai fatti. Quest’anno su richiesta del World Economic Forum un gruppo di illustri economisti, politologi, uomini d’affari e personaggi di spicco ha prodotto alcune previsioni sul 2015 secondo le quali il problema principale che il pianeta dovrà affrontare nei prossimi 12 mesi saranno i conflitti internazionali. Insomma esattamente quello che abbiamo visto nel 2014, peccato che queste previsioni arrivino con un anno di ritardo, ma almeno sappiamo che anche i grandi della terra dopo aver letto queste previsioni sapranno ciò che sta accadendo! La prossima settimana i grandi della terra discuteranno principalmente di questi temi, ma anche di altri come il riaccendersi dei focolai del terrorismo del fondamentalismo islamico in Europa e nel resto del mondo, della possibile uscita della Grecia dall’euro, dell’avanzata dei partiti e movimenti dell’estrema sinistra e destra in Europa e della xenofobia e islamofobia che serpeggia nel vecchio continente. Insomma c’è abbastanza per deprimersi. Meno male che a Davos ci sono tante feste e cocktail dove scambiare quattro chiacchiere con i divi di Hollywood, sempre ben accetti, per poter dimenticare tra un martini e l’altro le tragedie del mondo! Il grande assente quest’anno sarà Mario Draghi, forse oggi l’uomo più enigmatico d’Europa. Draghi questa settimana ha ben altre gatte da pelare, giovedì prossimo la Banca centrale europea potrebbe presentare il tanto atteso programma di Quantitative Easing, tanto atteso perché è dalla fine del 2011 che il governatore della banca centrale europea rassicura i mercati che farà di tutto per salvare l’euro, ebbene finalmente è arrivato il suo mezzogiorno di fuoco. Altri grandi assenti i greci, impegnati nella campagna elettorale che si concluderà con le elezioni del 25 gennaio, un evento che un po’ tutti attendono con il fiato sospeso. Anche se nel programma ufficiale il futuro dell’euro non c’è, nelle riunioni a porte chiuse degli eurocrati e dei vari premier europei questo sarà il tema più dibattuto, in particolare si discuterà del deprezzamento della moneta unica europea rispetto al dollaro ed alle altre monete forti come il franco svizzero o la sterlina. La guerra dei cambi è infatti appena iniziata, ma a Davos nessuno lo ammetterà fino all’anno prossimo. p.s. Come da anni si sostiene questi "incontri" non servono ad altro che a fare da specchio per le allodole"..... noi |
Post n°3374 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da ninograg1
Tag: blog, Consumi, debito pubblico, Deficit Pubblico, disoccupazione, economia, finanza, jobs act, liberismo, OCSE, PIL, politica, Vendite di PierGiorgio Gawronski | 15 gennaio 2015 sul Fatto Quotidiano Sul Corriere del 29/12/14, dopo aver ricordato che in Italia “il Prodotto interno lordo scende da 13 trimestri”, i due alfieri del liberismo nostrano offrono la loro ricetta 2015.0 per “porre fine alla recessione”. E spiegano: “La riforma del mercato del lavoro non basta. Ci vuole anche più domanda”. Bene. Cioè… insomma: se ci vuole più domanda, allora la riforma del mercato del lavoro non è che “non basta”, è proprio dannosa: deprime la domanda! “Ci vuole più domanda” è come dire che c’è un eccesso di potenziale di offerta. Ma il Jobs Act mira a stimolare ulteriormente questo potenziale; se proprio lo si vuole approvare, adesso, sarebbe meglio che entrasse in vigore quando la domanda si sarà ripresa. Domanda (aggregata) nel linguaggio degli economisti significa spesa, acquisti, e – dal punto di vista delle imprese – vendite. In effetti il grafico dell’Istat sulle vendite delle imprese mostra che la domanda continua a contrarsi: in ottobre il calo a/a è stato -0,8%. Ripetiamolo: non basta che il barista prepari “100 caffè all’ora” (Bagnai) e li poggi sul banco (con efficienza, produttività, onestà): deve anche venderli. E perché mai la gente non dovrebbe comprarsi un buon caffè caldo, con freddo che fa? Sì, è così: perché ha paura poi di trovarsi in difficoltà economiche. Perciò s’indebolisce anche la domanda di lavoro da parte delle imprese (grafico sotto), e il cerchio si chiude. Ma quanti sono i ‘caffè’ (ed altri beni e servizi) potenzialmente sul banco, non acquistati (quindi, neanche prodotti) per mancanza o di denaro o di fiducia? Quant’è il potenziale di offerta in eccesso rispetto alla domanda? Non è una stima facile: qui ho presentato la mia per l’Italia. Nell’Economic Outlook del 25 novembre l’Ocse ha presentato le sue stime per la zona Euro. Nel grafico la barra blu rappresenta il 2013, quella rossa il 2014. L’Ocse stima che il sistema produttivo italiano (corrotto quanto si vuole, inefficiente, poco competitivo, tartassato, vessato dai burocrati, appesantito dai fannulloni, e chi più ne ha più ne metta) è in grado di produrre oggi così com’è, senza riforme strutturali e altre diavolerie, il 6% di Pil in più di quanto produce. Le stime dell’Ocse sono anch’esse iper-prudenziali. Ad es. si assume che il 40% dei disoccupati italiani (e tutti gli scoraggiati) non siano più in grado di inserirsi in modo produttivo nel mondo del lavoro. Però i nostri disoccupati sono gente che ogni mese cerca attivamente lavoro, ed è pronta ad iniziare ‘anche subito’: dunque i ‘caffè’ che potrebbero arrivare sul banco sono probabilmente molti di più; e non solo in Italia. Un aumento del 6% del Pil risolverebbe la crisi? Sì. Non solo ridurrebbe il rapporto Debito pubblico/Pil dal 135% al 128%, ma porterebbe anche il bilancio annuale dello Stato in pareggio, e la disoccupazione sotto il 10%. Ciò calmerebbe i timori, avviando un nuovo ciclo di investimenti trainato dai consumi. È facile oggi, in Italia, generare un aumento del Pil del 6%? Sì. Non lo sarebbe se occorresse risolvere un problema di offerta, della struttura produttiva. Se, per dire, il famoso barista dei 100 caffè all’ora fosse scomparso… Se il bar fosse crollato… Se il ponte che porta al bar fosse interrotto … Bisognerebbe addestrare un nuovo barista, ricostruire il bar, riparare il ponte: ciò richiederebbe tempo e fatica! Ma per curare il deficit di domanda basta spendere soldi (i soldi si stampano, o si prendono sui mercati finanziari). La conseguenza degli output gap infatti è che i moltiplicatori di qualsiasi spesa – privata o pubblica – sono altissimi. Innanzitutto, ogni nuova spesa genera un aumento diretto del Pil all’incirca di pari importo (coefficiente 1:1). Scrive Alessandro De Nicola su Repubblica: “L’investimento pubblico dev’essere giudicato secondo un metro di costo opportunità”. Giusto! Ma la disponibilità di tanti fattori produttivi ‘liberi’ azzera il costo opportunità! Non è più vero, come scrive, che “i soldi che vengono spesi per un aeroporto pubblico sono sottratti all’investimento o al consumo privato”: di soldi ne circolano talmente tanti (grazie anche alle banche centrali) che non si sa più dove metterli. La controprova la danno i tassi d’interesse negativi (non c’è concorrenza con l’investimento privato) e l’andamento deflattivo dei prezzi (nessuna concorrenza con il consumo privato). All’impatto diretto bisogna poi aggiungere gli effetti indiretti: l’indotto (in alcuni settori selezionati 0,5-2), e l’aumento dei consumi ‘perché mia la spesa è il tuo reddito’ (0,5). Il moltiplicatore di una manovra ben fatta potrebbe essere: 1 +0,9 +0,5 = 2,4 da cui bisogna sottrarre 1/3 che va ad acquistare beni esteri: 2,4/3 = 1,6. Chi potrebbe spendere? Come fare in modo che accada? Vi sono due modi facili. (A) Mandare l’esercito ed obbligare i privati a spendere. (B) Usare la spesa pubblica per acquistare beni e servizi, investire, finanziare programmi di riduzione della povertà assoluta (stimolo a un’ipotesi A in versione meno autoritaria). La tabella qui sotto descrive la situazione del 2014, un aumento della spesa pubblica di 20 Mld. nel 2015, e ipotizza che tutti i benefici cd ‘di breve termine’ si concentrino nel 2016. Nella colonna centrale si ipotizza un moltiplicatore di 1,6, in linea con la letteratura empirica recente per i settori suindicati. Una simile manovra, rebus sic stantibus, ridurrebbe il rapporto Debito/Pil di circa due punti (righe 3 e 12, col. centrale). Ma cosa succederebbe se i moltiplicatori fossero più bassi? Ci viene in soccorso una proprietà aritmetica: più grande è un rapporto, maggiore è l’influenza del denominatore. Se il rapporto è 10/100=10%, aggiungendo 10 sia sopra che sotto: (10+10)/(100+10)=> 18% (il rapporto sale); ma se il rapporto è 200/100 =200%, (200+10)/(100+10)=> 191% (scende). Perciò il debito pubblico italiano calerebbe rispetto al Pil anche con un moltiplicatore di 0,8 (colonna di sinistra, rigo 12). E se invece l’Europa si associasse alla manovra? I risultati (colonna di destra) sarebbero ancora migliori. Morale: quando si ha un debito pubblico elevato, l’unico modo di uscirne è puntare sul Pil. Che in questa congiuntura non reagisce al potenziale d’offerta (che è già in eccesso) ma solo alle variazioni della domanda. L’articolo continua qui p.s. più chiaro di così...... ma si sa che non c'è peggior sordo di chi (....) non vuol sentire p.s. 2 vi consiglio di leggere il resto dell'articolo.. su Micromega al link evidenziato dalla parola "qui" nel post |
Post n°3373 pubblicato il 14 Gennaio 2015 da ninograg1
Tag: blog, Charlie Hebdo, CIA, contractor, esteri, ISIS, Parigi, poltiica, Press TV, terrorismo, USA L'ex contractor CIA Steven Kelley afferma che il gruppo terroristico ISIL è un nemico completamente inventato creato e finanziato dagli Stati Uniti. "Questo è un nemico del tutto inventato," ha detto in un'intervista telefonica con Press TV da Anaheim, California il Giovedi. "Il finanziamento è tutto completamente proveniente dagli Stati Uniti e dai suoi alleati ed è è una farsa le persone che sostengono che questo nemico è qualcosa che deve essere attaccato in Siria o in Iraq, perché ovviamente questo è qualcosa che noi creiamo, noi controlliamo e solo ora è diventato scomodo per noi di attaccare questo gruppo come un legittimo nemico ", Kelley ha aggiunto. Il commento del presidente americano Barack Obama è dovuto alla pressione per ottenere l'approvazione del Congresso prima di espandere la campagna aerea militare di Washington contro obiettivi ISIL dall'Iraq nella vicina Siria. Il Pentagono ha già lanciato almeno 100 attacchi aerei sulle posizioni ISIL nel nord Iraq da quando Obama ha autorizzato l'uso della forza contro il gruppo terroristico all'inizio di questo mese. La Casa Bianca insiste che non ha bisogno di esplicita autorizzazione del Congresso per le operazioni in quanto sono destinati a proteggere il personale e gli interessi americani all'interno del paese arabo. Portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha detto Lunedi che Obama "non esiterà a usare la sua autorità" per tenere al sicuro gli americani, ma ha aggiunto che il presidente era "impegnata a coordinare e consulenza con il Congresso" su una decisione di colpire obiettivi ISIL in Siria. "Se si vuole arrivare alla radice del problema e rimuovere questa organizzazione, la prima cosa che devono fare è quello di rimuovere il finanziamento e prendersi cura di enti responsabili per la creazione di questo gruppo", ha detto Kelley. "Credo che questo gruppo, ISIS, probabilmente sparirebbe e sarebbe stato facilmente sconfitto dagli eserciti di Bashar Assad (presidente siriano)", ha detto. p.s. naturalmente tutti lo pensano ma vederselo scritto (questa è solo una traduzione dall'inglese) così fa un certo effetto, vero? Soprattutto alla luce della strage di Parigi e dei tanti interrogativi che sono stati sollevati non solo dai media ma soprattutto dalla parte più attenta della rete....... interrogativi preoccupanti che in questi giorni vengono posti ma cui finora nessuno, proprio nessuno, ha saputo (o voluto) dare una risposta! p.s. Rimanendo vicino nel tempo possiamo pensare a quanti interrogativi furono sollevati dagli attacchi alle torri gemelle e, con particolare riguardo, al terzo edificio, di cui non si parla (chissà perchè), crollato senza che avesse subito nessun attentato... nemmeno da parte di una mosca kamikaze!!!!!!! |
Post n°3372 pubblicato il 13 Gennaio 2015 da ninograg1
Tag: blog, charlie, esteri, ISIS, libertà, libertà d’espressione, Parigi, politica, Salvatore Cannavò, terrorismo Fonte: 13/01/2015 di triskel182 TRA LE DECINE DI CAPI DI STATO E DI GOVERNO CHE HANNO SFILATO DOMENICA A PARIGI ALMENO 20 “IMPRESENTABILI” CHE NEI RISPETTIVI PAESI NON RISPETTANO I DIRITTI SULL’INFORMAZIONE E I GIORNALISTI. Con i due milioni di parigini in piazza hanno sfilato anche 50 capi di Stato e di governo. La foto dei leader apparsa su tutti i giornali del mondo ha puntato a rappresentare i milioni scesi a manifestare. Ma, scorrendo i loro nomi, e al netto dei giudizi politici, non sempre sono in grado di onorare la loro presenza. Basta leggere l’elenco e guardare alla situazione dell’informazione nel rispettivo paese. Re Abdallah di Giordania. In prima fila accanto alla bella moglie Ranja, guida un paese in cui la libertà di informazione è talmente ridotta da figurare al 149° posto nella classifica stilata da Reporters sans frontieres (Rsf). È di pochi giorni fa la condanna ai lavori forzati dello scrittore e accademico palestinese Mudar Zahran. Ahmet Davutoglu, primo ministro turco. Il paese di Erdogan tiene in carcere decine di giornalisti. Secondo il Cpj (Comitato per la protezione dei giornalisti) è il maggior paese al mondo a incarcerare i giornalisti seguito da Iran e Cina (non presenti in piazza). Benjamin Netanyahu premier di Israele. Secondo Rwb molti giornalisti sono stati arrestati arbitrariamente. Il paese è al 96° posto nella classifica sulla libertà di informazione citata. Sameh Choukry, ministro Esteri Egitto. La notizia è del 20 dicembre, il giornalista Mahmoud Abou Zied ha denunciato di essere stato rapito e imprigionato da almeno 16 mesi. Nonostante sia in carcere da 500 giorni, la sua carcerazione è stata prorogata. L’Egitto è al 159° posto in classifica. Sergej Lavrov, ministro Esteri Russia. Il governo di Mosca tiene imprigionati diversi giornalisti tra cui il blogger Dmitry Shipilov, in galera dal 10 settembre, arrestato dopo un’intervista a un esponente dell’autonomia siberiana. La Russia è al 148° posto della classifica. Abdallah ben Zayed Al-Nahyane, ministro degli Esteri degli Emirati arabi uniti. Anche tra gli emiri c’è l’usanza di incarcerare giornalisti, come l’egiziano Anas Fouda, tenuto in isolamento per un mese senza accuse. Gli Eau sono al 118° posto. Mehdi Jomaa, primo ministro Tunisia. Il paese della “primavera araba” ha recentemente imprigionato per 3 anni il blogger Yassine Ayan per aver diffamato l’esercito. Una “grossa violazione del diritto di espressione ” secondo Amnesty International. Il paese è al 133° posto nella classifica di Rwb. Boïko Borisov, capo del governo Bulgaria. Il paese non ha mancato di distinguersi negli attacchi ai giornalisti come quelli avvenuti a luglio davanti al parlamento di Sofia. La Bulgaria è al 100° posto nella classifica Eric Holder, ministro Giustizia Usa. Anche il paese campione della libertà limita quella di stampa come avvenuto durante gli incidenti di Ferguson dove la polizia ha arrestato e detenuto ingiustamente alcuni reporter del prestigioso Washington Post. Nella classifica di Rwb, in ogni caso, gli Stati Uniti sono al 46° posto. Antonis Samaras, premier Grecia. Per reprimere le tante manifestazioni di protesta la Grecia ha più volte colpito e ferito i giornalisti. Tanto che si trova al 99° posto nella classifica. La seconda peggior posizione di tutta la Ue. Jens Stoltenberg, segretario generale Nato. L’Alleanza atlantica non ha mai risposto del bombardamento, e l’uccisione, di 16 giornalisti serbi a Belgrado nel 1999. Ibrahim Boubacar Keïta, presidente Mali. Molti giornalisti sono stati espulsi (fonte Cpj) dopo aver denunciato la violazione dei diritti umani. Il Mali è al 122° posto della classifica. Viktor Orban, premier ungherese. Da quando è al potere, il premier si è distinto per gli attacchi alla stampa e all’indipendenza dei media. Dal 2010 vige una legge molto restrittiva. Al 64° posto nella classifica. Ali Bongo, presidente del Gabon. I quotidiani di opposizione hanno denunciato a settembre la chiusura temporanea delle pubblicazioni a causa della pirateria informatica del governo che però nega. 98ª posizione. Miro Cerar, primo ministro Slovenia. Casi di blogger condannati a 6 mesi di prigione per diffamazione come nel caso di Mitja Kunstelj. Il paese, però, tra quelli considerati è tra i migliori della classifica, al 34° posto. Enda Kenny primo ministro Irlanda. Ancora meglio fa l’Irlanda, 16ª nella lista stilata da Rwb. Eppure il paese di Kenny considera ancora la “blasfemia” un’offesa da condannare. Ewa Kopacz, primo ministro Polonia. Il paese che esprime anche il presidente della Ue, Donald Tusk, è quello che, lo scorso giugno, ha requisito una montagna di intercettazioni ambientali tra politici comprovanti un importante caso di corruzione. La Polonia è comunque al 19° posto della classifica. David Cameron, premier Gran Bretagna. Il governo inglese è quello che ha minacciato e perseguito il giornale The Guardian per il caso Snowden chiedendo insistentemente di distruggere gli hard disk dei suoi computer. 33ª posizione. Il fratello dell’emiro Mohamed Ben Hamad Ben Khalifa Al Thani del Qatar. Lo scrittore e poeta Mohamed Rashid al-Ajami è stato condannato a 15 anni di carcere per avere insultato il regnante. Il paese è al 113° posto. Nizar al-Madani, numero due dell’ambasciata saudita. Solo venerdì scorso, nel paese il blogger Raif Badawi è stato condannato a 10 anni di prigione e a 1000 frustate da diluire in 20 settimane per aver “insultato” l’Islam. L’Arabia saudita è al 164° posto della classifica sulla libertà di informazione. Da Il Fatto Quotidiano del 13/01/2015. p.s. non bastavano i fatui leader euroatlantici al corteo.. mi ero chiesto che ci facessero i personaggi di cui sopra rappresentanti di Governi "moderati" e amici dei primi: un campionario davvero realistico dello stato dell'arte in materia di libertà, libera manifestazione del pensiero, ecc. ecc. questi sono alcuni esempi ma se scrutate bene le foto ce n'è ben donde per affermare che i "terroristi" fai da te e, soprattutto, i loro capi (ufficiali e occulti) erano in ottima compagnia!!! |
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