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Messaggi di Aprile 2016

Ostalghia - La nostalgia dell'Est

Post n°3723 pubblicato il 30 Aprile 2016 da ninograg1
 

 

Documentario di RAI STORIA dove si racconta la nostalgia per il socialismo degli ex cittadini della DDR (Repubblica Democratica Tedesca), delusi dal capitalismo.

 

sempre per la serie: riflettete gente riflettete non che si guardi al passato, anzi ma a volte da esso dovremmo imparare per evitare gravissimi errori per il futuro....

buon week end

p.s.

buon 1° MAGGIO

 
 
 

In Brasile un museo della corruttela.. e da noi?

Post n°3722 pubblicato il 29 Aprile 2016 da ninograg1
 

Leggevo oggi (29/04/2016) in treno sul Fatto Quotidiano, edizione cartacea, per la rubrica l'esempio un articolo di Antonello Caporale, dal titolo "pout, cessi e tagliatelle: la corruzione è un arte" (pagina 4). Mi è piaciuto l'attacco: 'Ogni corrotto ha un gusto, un età e un autorea cui è affezionato, una passione travolgente che l'ha convinto a infrangere le ergole, favorire l'uno o l'altro pur di sentire suo l'artista"... potrebbe essere una tesi, non credete? La notizia è che in Brasile il Museo Oscar Niemeyer (MON), di Curitiba, ha aperto una sezione dove vengono esposte le opere d'arte confiscate.... interessante uso dei sequestri, direi. Naturalmente la domanda, e non solo al sottoscritto, sorge spontanea: Perchè non fare nel nostro corrottissimo paese un iniziativa simile? Si, lo dice anche il grionalista nel suo articolo, i giudici che sequestrano beni poi li danno in gestione, al termine di un procedimento lunghissimo, a iniziative sociali i beni sequestrati ma un museo... la cosa mi alletta!!!

 
 
 

Sanità, per la prima volta cala l’aspettativa di vita. “Tagliata la spesa pubblica, manca la prevenzione”

Post n°3721 pubblicato il 28 Aprile 2016 da ninograg1
 

di | 26 aprile 2016 dal Fatto Quotidiano

Scende l’aspettativa di vita, aumentano i decessi, mentre la spesa sanitaria subisce continui tagli e l’Italia registra un deficit in prevenzione rispetto agli altri Paesi Ocse. Sono i dati del rapporto Osservasalute, curato dall’osservatorio sulla Salute delle Regioni e presentato martedì all’Università Cattolica di Roma. Nel 2015 la speranza di vita per gli uomini è stata 80,1 anni, 84,7 anni per le donne, mentre l’anno prima si attestava a 80,3 anni per gli uomini e 85,0 anni per le donne. “Anche quest’anno – spiega Walter Ricciardi, coordinatore del report – le analisi contenute nel Rapporto Osservasalute segnalano numerosi elementi di criticità, in quanto confermano il trend in diminuzione delle risorse pubbliche a disposizione per la sanità, l’aumento dell’incidenza di alcune patologie tumorali prevenibili, le esigue risorse destinate alla prevenzione e le persistenti iniquità che assillano il Paese e il settore della sanità”.

Nella Provincia di Trento si riscontra, sia per gli uomini sia per le donne, la maggiore longevità (rispettivamente, 81,3 anni e 86,1 anni). La Campania, invece, è la regione dove la speranza di vita alla nascita è più bassa, 78,5 anni per gli uomini e 83,3 anni per le donne. Per quanto riguarda le cause di morte, dai dati del 2012, quelle più frequenti sono le malattie ischemiche del cuore, responsabili da sole del 12% del totale dei decessi. Seguono le malattie cerebrovascolari e le altre malattie del cuore non di origine ischemica. “Il calo dell’aspettativa di vita è generalizzato per tutte le regioni – ha spiegato Ricciardi – Normalmente un anno ogni quattro anni è un segnale d’allarme, anche se dovremo aspettare l’anno prossimo per vedere se è un trend. Siamo il fanalino di coda nella prevenzione nel mondo, e questo ha un peso”.

E parallelamente alla speranza di vita, scendono anche le risorse per la sanità. In Italia si spende sempre meno per il personale sanitario, che rappresenta la voce di spesa che ha subito i maggiori tagli tra il 2010 e il 2013. Nel 2013 l’esborso per il settore ammonta infatti a 35,169 miliardi di euro, circa il 32% della spesa totale, e registra un decremento dell’1,4% medio annuo (-4,1% assoluto) nel triennio, a fronte di una riduzione media annua della spesa sanitaria dell’1% (-2,9% assoluto). La spesa sanitaria pubblica, indicano i dati, è passata dai 112,5 miliardi di euro del 2010 ai 110,5 del 2014. Questa contrazione ha coinciso con una lenta, ma costante riduzione dei deficit regionali. Tuttavia, la riduzione è frutto in gran parte del blocco o del taglio del personale sanitario e il contenimento dei consumi sanitari. Non a caso, nel 2014 la dotazione di posti letto negli ospedali risulta pari al 3,04 per 1.000 abitanti per la componente acuti e allo 0,58 per 1.000 per quanto riguarda la post-acuzie, lungodegenza e riabilitazione. Tutti valori inferiori agli standard di legge.

La diminuzione della spesa – spiegano gli esperti – è sostanzialmente il risultato delle politiche di blocco del turnover attuate dalle Regioni sotto piano di rientro e delle misure di contenimento della spesa per il personale, portate avanti autonomamente dalle altre Regioni, nonché dell’utilizzo di forme alternative (personale interinale) di acquisizione delle risorse umane, anche la contrazione del personale nel 2013 registra un tasso inferiore rispetto agli anni precedenti. Nel 2013 sono state assunte infatti 85,6 persone ogni 100 pensionati, mentre nel 2012 il rapporto si attestava a 68,9 ogni 100. “Il fattore preoccupante per la sanità pubblica – spiega Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, – è che i tagli di personale operati nel corso degli ultimi anni potrebbero produrre degli effetti sull’erogazione e sulla qualità dell’assistenza, e per di più in maniera differenziata nelle diverse aree del Paese”.

Rispetto alle condizioni di salute della popolazione, nel 2014 sono stati diagnosticati 115,8 nuovi casi di tumore colorettale ogni 100.000 uomini, ovvero circa 34.500 nuovi casi, mentre l’incidenza è pari a 80,3 per 100.000 donne, corrispondente a oltre 25.000 nuovi casi. Il tumore del seno ha fatto registrare oltre 55.000 nuove diagnosi, ovvero 175,7 nuovi casi annui ogni 100.000 donne. A fronte di questi dati allarmanti, l’investimento in prevenzione nel nostro Paese è ancora molto scarso. L’Oecd (2013) evidenzia che il nostro Paese destina solo il 4,1% della spesa sanitaria totale all’attività di prevenzione, quota che ci colloca in posizione di rincalzo tra i 30 Paesi dell’area Oecd.

Non a caso, nel 2015 si registra un nuovo picco per la mortalità in Italia: sono stati 54mila i decessi in più rispetto all’anno precedente. “Questo incremento è dovuto al costante aumento del numero delle persone molto anziane nel nostro Paese e all’andamento ciclico della mortalità osservabile nei dati in serie storica. Quindi tale incremento non deve destare particolare allarmismo, poiché è legato per lo più a fenomeni di natura demografica – spiega Alessandro Solipaca – Merita però attenzione da parte del Servizio sanitario nazionale il fatto che alcuni decessi sono riconducibili all’ondata di calore sperimentata nell’estate 2015 e alla mortalità per complicanze dell’influenza nella popolazione anziana. Si tratta cioè di morti evitabili con efficaci politiche di prevenzione, in particolare con quelle finalizzate all’informazione e alla promozione della prevenzione primaria e agli interventi mirati all’aumento della copertura vaccinale antinfluenzale tra gli anziani che, come documentato nel Rapporto, è addirittura in diminuzione”.

di | 26 aprile 2016


_________________________


in realtà sta succedendo che i continui tagli e gli anziani che passano fra i più stanno riequilibrando la situazione, altro che vita lunga.... bene, questo vale anche per quei governatori che si pavoneggiano del proprio modello sanitario regionale vendendolo come migliore...... naturalmente la politica non ne terrà conto e visto che le pensioni sono legate all'aspettativa di vita c'è da star certi che l'uscita dal lavoro non sarà aggiornata, anzi stanno rpeaprando un altra stangatina, giusto per gradire ma non vi do anteprime, lo scoprirete da soli...

 
 
 

Ufo: Roswell, 70 anni dopo. Si può scambiare un disco volante con un pallone sonda?

Post n°3720 pubblicato il 27 Aprile 2016 da ninograg1
 

di | 26 aprile 2016 Il Fatto Quotidiano

I servizi di Intelligence solitamente coprono la notizia segreta uscita per sbaglio sui media con un’altra più clamorosa, atta a coprire quella vera. Nel caso di Roswell del 1947 è accaduto l’esatto contrario. Ricordiamo che Roswell dal 1945 era l’unica base al mondo con bombardieri per il trasporto delle bombe atomiche, quindi con la fine della guerra e l’inizio di quella “fredda” la zona era ovviamente monitorata dai servizi segreti sovietici. Qualunque esperimento, pur segreto o anche solo di tipo “meteorologico innovativo”, avrebbe allertato le spie d’oltre cortina. Eppure la smentita della notizia del recupero di un disco volante, dato come un errore, fatto oltretutto dai migliori esperti aeronautici che stanziavano proprio in quella base, era davvero inconsueto.

Ufo appare nel cielo della Cina

Il recupero di un oggetto nei pressi di Roswell non era il disco volante dichiarato tramite giornali al mondo intero il giorno prima, ma di un pallone sonda di nuovo tipo. Si ammetteva dunque il fallimento di un test all’interno del quale un nuovo sistema di rilevamento atmosferico sarebbe precipitato e dove i militari accorsi lo avrebbero scambiato per qualcosa di extraterrestre. Ma se anche fosse stato il sistema denominato “Project Mogul” della Us Army Air Forces (la Us Air force è nata come forza armata separata e indipendente dall’esercito il 18 settembre 1947, guarda caso alcuni mesi dopo l’incidente), che serviva a scoprire gli eventuali test atomici sovietici, quale occasione migliore la copertura di un esperimento occultata con la notizia dalla caduta di un disco volante extraterrestre? I militari dovettero invece organizzare repentinamente una conferenza stampa nella quale dovettero ammettere di avere preso una terribile cantonata. Ma era davvero possibile, per degli esperti, scambiare un pallone sonda precipitato, con un disco volante di origine extraterrestre?

In quell’occasione furono scattate numerose foto della famosa conferenza stampa in cui comparivano i resti del pallone ed una di queste ritraeva il generale Ramey con in mano il telegramma che aveva spedito al generale Hoyt Vandenberg, il Capo di Stato Maggiore dell’Usaaf e già capo dei servizi segreti militari degli Stati Uniti dal 1946 al 1947. Oggi con le attuali tecnologie, ingrandito e analizzato al computer, il testo rivela una interessante cronaca dei fatti differente da quella proposta dallo stesso Ramey. Il testo riportava “That a disk is next new find” cioè che un disco è stato scoperto e che “The victims of the wreck”, ovverosia le vittime del disastro e qualcos’altro, probabilmente sono ” stati ritrovati vicino la fattoria in cui si sono svolte le operazioni di recupero e che qualcosa “In the disc” probabilmente i corpi delle vittime trasferite, forse definiti “Aviators”, sarebbero stati trasportati attraverso un B-29-ST o un C-47 a Fort Worth.

memophoto3

Wright Field, nell’Ohio, sede dei laboratori aeronautici dell’Army Air Force. Tutto questo potrebbe sembrare assurdo, ma una diretta conferma arriva proprio dall’allora capo della Fbi Hoover grazie ad un telegramma avente inequivocabilmente per oggetto “F.B.I. Reports of Flying Discs” e in cui lo stesso Hoover lamentava la non possibilità di ispezionare tali Flying Disc. Anche i file desecretati in questi giorni dalla Cia confermano le lamentele e gli impedimenti di indagine ad una figura come Hoover, capo della potente Fbi. Probabilmente l’evento di Roswell, essendo stato preceduto dal famoso avvistamento del pilota civile Kenneth Arnold, avvenuto il 24 giugno 1947 e che di fatto o per convenzione viene considerato come il primo avvistamento da cui nasce l’ufologia a cui seguirà nei mesi successivi la prima ondata dei mesi giugno e luglio 1947, aveva allertato e preparato ad ogni evenienza, i militari ed i servizi di Intelligence Usa. Così come avevano quelli sovietici.

L’aeronautica dell’esercito e poi l’aeronautica militare dal 1947 ad oggi, hanno raccontato decine di versioni su Roswell, ognuna molto diversa dalle precedenti e tutte davvero ridicole. Restano i fatti ed il fascino che a quasi 70 anni il caso Roswell ancora oggi suscita. Ne è la prova la campagna elettorale della Clinton o l’iniziativa russa di Rogozin, dove da paesi diametralmente opposti, si dichiara di voler aprire e rivelare tutti i documenti sul fenomeno dei dischi volanti.

Fonti

http://www.roswellproof.com/FBI_Telegram.html

Projects Sign   (1947-1948)

Project Twinkle Final Report (1949-1952)

Project Grudge and Bear (1949-1951)

www.centroufologiconazionale

di | 26 aprile 2016

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mito, leggenda, verità? Stasera un argomento leggero...... ma che comunque la dice lunga sullo stato dell'arte della comunicazione nelle società occidentali dopo la II° guerra mondiale!!!! Bene, è la seconda foto il bandolo della matassa perchè vi, secondo l'estensore dell'articolo (e anche secondo me e chiunque altro sappia un pò di inglese e abbia un minimo di dimestichezza con il morphing delle foto), appare  un telegramma dove, o ci dovrebbe essere, la prova dell'ufo di roswell.... era tenuta in mano all'ufficiale durante la conferenza stampa che negava l'accaduto. Comunque la si pensi una cosa dovrebbe far riflettere: la verità, quella provata, quella che appare sotto gli occhi, anche i propri occhi, può essere forzata, falsata o addirittura distorta senza che ce ne rendiamo conto!!!!! Saltando di palo in frasca non può che venire in mente quanto sosteneva Murray Edelman in lo spettacolo della politica (ed. rai) a proposito della spettacolarizzazione, e ridicolizzazione,  della politica e come suo precipitato della democrazia e della libertà che perdono il loro vero significato per assumerne uno esattamente opposto...... se è possibile "falsare" una storia poco di per se credibile come l'ufo di roswell immaginate cosa si può fare con i media, tutti, dalla propria parte!!!!

 
 
 

A proposito di 70 anni, anzi di 71

Post n°3719 pubblicato il 26 Aprile 2016 da ninograg1
 

25/04/2016 di triskel182

Dopo gli ultimi dati sui voucher – e sulla loro crescita esponenziale in Italia – finalmente qualcuno nei media e tra i politici sembra accorgersi di questa nuova realtà e delle questioni che porta con sé: precariato totale, redditi da fame, totale assenza di diritti basilari come le ferie e la malattia, ovviamente nessuna possibilità di vertenze sindacali, per non dire degli abusi di chi li utilizza per nascondere il nero (ti faccio lavorare dieci ore e una te la pago col voucher, così se arriva un controllo o accade un infortunio abbiamo un pezzo di carta a coprirci).

E non stiamo neppure ad accennare alla perdita psicologica di identità sociale (che lavoro fa, uno che lavora qua e là con i voucher?) o all’impossibilità di pianificarsi qualsiasi futuro: questi ormai sono lussi, lasciamo stare.

Il punto fondamentale, tuttavia, è che i voucher non sono la causa del problema: ne sono solo l’effetto. Anzi, uno degli effetti.

Intendo dire che se anche abolissimo e vietassimo i voucher, non aboliremmo e non vieteremmo quello che c’è dietro, cioè l’economia on demand, liquida, provvisoria e destrutturata. Dove l’unico lavoro disponibile è quello molecolare, polverizzato.

Quel sistema cioé in cui per guadagnarsi qualcosa che somigli a un reddito molte persone (sempre di più) devono mettere insieme ogni giorno un po’ di queste molecole sparse: un paio d’ore di voucher, okay, ma poi un’altra oretta a correggere bozze dopo aver risposto a un annuncio su Upwork, un’altra a pascolare cani al parco grazie a un’offerta su Taskrabbit, quindi a pulire la seconda stanza di casa perché arriva un ospite trovato su Airbnb, magari due ore a guidare per Uber, infine a cucinare per sei clienti ramazzati su Gnammo.

Perché così sta andando e così andrà sempre di più: i lavoretti “per arrotondare” stanno invece diventando gli unici disponibili su piazza.

Gli unici che messi insieme possono appunto avvicinare le persone a un reddito.

Ed è così che si va creando una nuova classe sociale: quella dei post operai digitali a cottimo o all’ora che per vivere saltellano full time tra piattaforme, siti, annunci on demand e miniofferte volanti.

Del resto, anche i voucher nostrani erano nati per far emergere e per regolarizzare pochi lavoretti extra: invece sono già diventati la forma di sostentamento principale se non unica per oltre un milione di persone.

Ma, appunto, non sono la causa del problema: ne sono un effetto. Se hanno avuto così successo (molto oltre le previsioni di chi li aveva inventati) è perché canalizzano in modo legale la questione strutturale: cioè la parcellizzazione del lavoro, il suo essere diventato così liquido.

Tutto questo, come evidente, è il risultato di una serie di processi diversi tra loro ma connessi.

Le tecnologie, prima di tutto: non solo e non tanto perché queste hanno permesso lo sviluppo delle piattaforme attraverso le quali buona parte di questa parcellizzazione avviene, ma soprattutto perché hanno portato tutte le relazioni economiche verso l’on demand e l’accesso (Uber, per esempio, è la più grande compagnia di taxi al mondo ma non possiede nemmeno un’automobile e i suoi conducenti non sono suoi dipendenti).

Poi, naturalmente, le cause di questa situazione sono anche altre.

Ad esempio, la robotica, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale: che stanno rarefacendo drasticamente il bisogno di lavoro umano, sicché (in base alle note leggi della domanda e dell’offerta) i prestatori di lavoro sono in condizioni sempre più sfavorevoli, quindi accettano dumping sempre peggiori.

Poi, si sa, la globalizzazione dei mercati consente di esternalizzare le produzioni nei Paesi in via di sviluppo, un asset non da poco nel cambiare ulteriormente i rapporti di forza tra chi dà e chi presta lavoro.

In piú, anche se fa brutto dirlo, prima del 1989 lo spauracchio del comunismo convinceva gli imprenditori e i governi a tenere buoni i propri lavoratori con concessioni e riforme sociali: adesso che il comunismo non c’è più, questi hanno (o credono di avere) mani del tutto libere.

Ecco: tutto questo per dire che i voucher fanno schifo, ma abolirli non basta. Non serve. Perché se anche se non ci fossero piú i voucher, ci sarebbero mille altre forme di lavoro molecolare a cottimo o a ora. È questa la realtà con cui dobbiamo fare i conti.

Ed è una realtà che porta inevitabilmente a pensare che l’unica strada possibile – se vogliamo restare umani e non considerare “moderno” lo schiavismo – sia quella universalistica.

Quella che passa cioè attraverso un reddito minimo che sradicherebbe alla base il bisogno di inginocchiarsi ogni giorno alle offerte al ribasso del lavoro molecolare, riportandolo semmai alla sua funzione di reddito supplettivo e marginale. E riequilibrando un po’ i rapporti di forza.

Ma è anche la strada che passa attraverso la universalizzazione dei servizi e dei diritti fondamentali – casa, salute, istruzione, trasporti, ambiente, svago – la cui offerta gratuita ai cittadini è un altro indispensabile strumento di emancipazione dal bisogno di sottostare ai ricatti imposti dal lavoro molecolare.

Ah, prima di scuotere la testa e di chiedere dove si trovano i soldi per fare tutto questo, vi chiedo sommessamente di farvi un giro sui fatturati e le accumulazioni delle piattaforme. Sì, proprio quelle che sotto il nome ormai farlocco di sharing invece accentrano a sé le ricchezze (altro che “condivisione”), contribuendo a creare un divide di redditi e di patrimoni come non si vedeva dall’età augustea dell’Impero romano. Quando avete visto quelle cifre – ma più in generale quelle sulla ripartizione della ricchezza in questo secolo e sulle sue tendenze – ne riparliamo.

Altrimenti dovremo parlarne molto prima, ma in modo diverso, temo. Perché la parcellizzazione del lavoro e il suo dumping progressivo, se diventa una condizione di sopravvivenza di massa, non è cosa augurabile per nessuno. Ma proprio per nessuno, nemmeno per quelli che pensano solo alla massimizzazione dei profitti e neppure vedono che cosa stanno combinando, in questo modo, alle classi che da 70 anni garantivano stabilità e consumi. E anche pace, tutto sommato, qui da noi.

Già, a proposito di 70 anni, anzi di 71. Sì, questo è il mio post per il 25 aprile. Anomalo, forse off topic, lo so. Non parla di partigiani, ma di lavoretti sottopagati e precari senza alternative.

Però in fondo i partigiani sono morti per liberarci da una schiavitù. E capire le schiavitù di oggi, per provare a liberarcene anche noi, mi sembra un modo meno scontato per agire la loro memoria. E per non ridurla solo a monumento e a rito.

Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it

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