Creato da goccedivaniglia il 09/04/2006

Passione... Arte

Atmosfere intense, un connubio molto emozionale d'arte, letteratura, musica, poesia, sogni. Momenti di malinconia si mescolano con attimi di profonda passione

 

Messaggi del 02/01/2008

La Musa

Post n°423 pubblicato il 02 Gennaio 2008 da goccedivaniglia
 

 
 
 
 Andrò a bruciare la mia anima
dentro un luridissimo bar
Andrò a strofinarla contro una corteccia ruvida
graffierò la pelle, fino a sanguinare,
vedrò sgorgare il sangue amaro
e gioirò di piacere
Sentirò dolore misto ad estasi
nel desiderio di farmi male
Vorrò soffocare
perché preferisco il dolore
all'apatia
Il non senso di una vita piatta
non lo tollero
devo farmi male, soffrire
fino in fondo
struggermi dentro il mio dolore
desiderare di morire

Il sonno mi ha liberata dai pensieri bui
l'alba mi riconduce agli inferi,
percorsi tortuosi, vicoli ciechi
ove inciampo più volte

Stretta da una morsa che mi cinge
e mai mi abbandona,
con la netta sensazione
di avere uno squarcio profondo
nel quale curiosi passanti
si affacciano per osservare la presenza
dei resti di un cuore dilaniato
strappatomi, gettato in pasto a chi si disseterà
di inutili brandelli della mia carne
 
Tornerò in ogni luogo
che ormai sa di dolore
mi siederò al bancone
in compagnia di qualche viscido
che ascolterà i maledetti deliri
provenienti da ciò che rimane
della carcassa che mi porto addoso

Vegeterò
fino alla fine dei miei giorni,
consumandomi nel ricordo.
 
Osserverò l'altra me
capace un tempo di infondere benessere
armonia, bellezza
ormai offuscata, da questa voragine
in cui rimangono solo brandelli di dolore...
gocce
 
 
Lettere dal Diario di Frida Kahlo

 
 
 

Frida Kahlo

Post n°422 pubblicato il 02 Gennaio 2008 da goccedivaniglia
 

Frida Kahlo
Il viso sereno, avvolto da una ghirlanda di capelli di colore intenso. Il corpo spigoloso, cicratizzato, spaccato e appassito, che una volta era Frida Kahlo, si è arreso alle fiamme della camera ardente. Quelle fiamme che, riscaldano il suo ultimo giaciglio - la lastra di ferro - incenerivano la carne morta, mettendo fine a quel corpo di Giuda, contenitore della sua anima. La sua immagine incandescente nell'attimo della sua morte brillava reale quanto i suoi ritratti dipinti in vita. Man mano che le sue ceneri bruciavano, e si raffreddavano, il buio calava sul suo nome, sulla sua opera e sulla sua familiarità, breve, con il successo. Diventò una nota a piè pagina, un "talento promettente", appassendo per sempre all'ombra del marito, il famoso muralista messicano Diego Rivera. Lo dimostra l'affermazione di un critico d'arte del "New York Times" che pronunciò queste parole sbadigliando davanti a uno dei suoi quadri: "dipinto da una delle ex mogli di Rivera". 
Frida Kahlo rischiò di morire trent'anni prima in un tremendo incidente di autobus, ma il suo corpo, dilaniato e distrutto, ha resistito abbastanza da creare una leggenda e una collezione di opere, riapparse trent'anni dopo la sua morte. Fu solo allora che i suoi dipinti sfondarono: questo nuovo mondo fu finalmente pronto a riconoscere e accettare il suo talento. Ci si accorse allora che le sue opere costituivano un diario visivo, una manifestazione esteriore di un dialogo interiore, spesso un grido di dolore. Davano forma a ricordi, a paesaggi dell'immaginazione, a scene appena intraviste o a ritratti accuratamente analizzati.  I dipinti, con quella loro gamma simbolica di colore, servirono alla pittrice a tenere a distanza la pazzia e la prigione claustrofobica dei busti di gesso e d'acciaio. Il suo vocabolario personale, costituito da un immaginario iconico, rivela in che modo Frida divorasse la vita, amasse, odiasse e percepisse la bellezza. I suoi dipinti, insieme alle parole, alle pagine di diario e ai ricordi che ai contemporanei lasciarono di lei, si accompagnano a un quotidiano vissuto a ritmi incessanti, sincopati. Un'esistenza che diventa la testimonianza di un audace autoritratto collettivo, che la pittrice termina - per quanto possibile - come desidera.
Benché l'artista e la persona fossero inscindibili come una sola entità, molte sono le maschere che Frida indossò. In mezzo a pochi intimi, dominava la scena con i suoi commenti brillanti ed esuberanti, grazie alla sua singolare identificazione con i contadini messicani e allo stesso tempo la distanza da questi, il suo sarcasmo nei confronti degli europei e delle loro etichette - impressionisti, post-impressionisti, espressionisti, surrealisti, realisti sociali ecc. -, europei in cerca di denaro, di ricchi mecenati o di un posto nelle accademie. Tuttavia man mano che la sua opera maturava, Frida desiderava riconoscimento per se stessa e per i suoi quadri, un tempo dati via alla leggera, come souvenir. 
Ciò che era iniziato come passatempo inondò con grande rapidità la sua vita. Le sue conversazioni erano disseminate da slang di strada e da volgarismi che, probabilmente, servivano a celare l'imbarazzo per la sua statura minuta, l'educazione cattolica e l'amore conservatore per le abitudini tradizionali messicane. Ovunque andasse, era considerata un personaggio da palcoscenico, una sorta di contraddittoria scultura dadaista da collezione. La sua vita interiore oscillava tra esuberanza e disperazione. Affrontò infatti, dolori quasi costanti per lesioni alla spina dorsale, alla schiena, al piede e alla gamba destra, per infezioni, aborti causati da virus, nonché continue cure sperimentali somministrate dai suoi medici. L'unica gioia costante della sua vita fu Diego Rivera, suo marito, il suo principe-ranocchio, un grasso comunista dagli occhi sporgenti e dai capelli arruffati e una reputazione da dongiovanni. Frida tollerò le sue infedeltà ed ebbe lei stessa relazioni in tre continenti. Ma alla fine, Diego e Frida ritornarono sempre insieme come due animali feriti, sconquassati dalla loro arte, dalla politica e dai loro temperamenti vulcanici, legati dal sottile nastro rosso del loro amore. I dipinti di Frida su metallo, tavola e tela, con le loro prospettive piatte da murales, i margini rigidi e le curve improvvise di colore, riflettevano l'influenza di diego Rivera. Ma mentre lui dipingeva ciò che vedeva all'esterno, lei sviscerava se stessa, primo soggetto della propria arte. Quando, negli anni Quaranta, l'abilità tecnica e una maturata capacità espressiva affilarono il suo tocco, quel corpo di giuda la tradì e la privò della capacità di realizzare immagini attingendo alla sua psiche sfinita. Presto non le rimase più niente, se non che qualche narcotico e un quaro di brandy al giorno. Diego le rimase accanto mentre la fine si avvicinava, come fece la sua nazione, che lentamente comprese quel valore di quel tesoro. Frida non ricevette alcun riconoscimento dalla sua terra natale fino agli ultimi anni di vita: la sua unica mostra si tenne là dove ebbe inizio la sua vita e si consumò nell'arco di 47 anni. Quando morì, gli occhi di quella vita rimasero al di là del quadro, ad osservarci con uno sguardo di sfida. 
 
Tratto da Frida Kahlo - Edizioni Gribaudo 2007     

 
 
 

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"Green Turban" di Tamara De Lempicka, copia d'autore, realizzata nel 2006

"The Brilliance" di Tamara De Lempicka, copia d'autore, realizzata nel 2006

"Le cucitrici" di F. Botero copia d'autore, realizzata nel 2008

 
 

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