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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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La maga

Post n°219 pubblicato il 18 Aprile 2008 da bimbadepoca
 

L’altro giorno eravamo a casa di Anna, per l’abituale appuntamento del mercoledì, il giorno dedicato alle nostre chiacchiere da comari, consumate tra pasticcini, tè e gioco del ramino.
Com’era prevedibile, i nostri discorsi, inizialmente, vertevano su questa brusca sterzata dell’Italia verso destra, lo spauracchio della dittatura dietro l’angolo.

- Poveri noi! – ha sbuffato sconsolata Laura, già immaginandosi scenari più funesti del reale – Chissà cosa ci riserverà il prossimo futuro? -
- Chissà… ci vorrebbe una maga per saperlo – ha risposto Mavì, guardandomi con fare ammiccante. Il suo atteggiamento non è sfuggito alle altre, che si sono interrogate e risposte tra loro, con una rapida sequenza di sguardi e un’alzata di spalle.
Io ho finto di non accorgermi di nulla, ho continuato a distribuire le carte francesi, ma a quel punto le arpie avevano capito che c’era qualcosa nell’aria.
- Come mi piacerebbe sapere in anticipo quali carte avete pescato – ha cinguettato Eugenia con dovuta nonchalance.
- Solo una maga potrebbe – ha ridacchiato Mavì, subito complice del loro gioco sleale.
- Chissà se domani pioverà?- ha aggiunto Isabella – Mi piacerebbe indossare le mie nuove scarpette di vernice-
- Solo una maga potrebbe prevedere questo tempo strano – ha risposto Mavì, cambiando tono di voce alla parola “maga”, che gli è uscita dalle labbra come un raglio.
-Potreste sempre telefonare al colonnello Bernacca – ho aggiunto sfidandole, con aria indifferente.
- E dai Nancy, non farti pregare – ha protestato Laura – Raccontaci questa novità della maga-

Già, la storia della maga, come se certe situazioni paradossali me le cercassi apposta. E invece quella sera, di un paio di mesi fa, ero andata a cena da mio fratello per una tranquilla riunione familiare, non potevo certo immaginare  che mia nipote si sarebbe presentata con quella nuova amica. Una ragazza stramba, vestita di giallo e di viola, i lunghi capelli arruffati, una figlia dei fiori fuori tempo massimo, subito guardata con sospetto da mia cognata Valeria.
- Questa si droga! – mi aveva detto in un orecchio, preoccupata, mentre la ragazza parlava senza soste di sé, dei suoi studi, delle sue idiosincrasie.
Durante la serata la ragazza mi venne vicino e con un improvviso tono confidenziale mi disse – Guarda che ti telefona-
- Ma chi??? – risposi io al colmo della sorpresa.
- Vedrai - fece lei con un sorriso enigmatico. Avevo del tutto rimosso questo episodio dalla mia mente, ma poi il giorno di Pasqua, ho ritrovato la stramba ragazza al tradizionale pranzo di famiglia. Mio fratello benediceva la tavola imbandita, il cui posto d’onore era occupato dal capretto di cui mi aveva omaggiato Erminio Ovini; farfugliando parole incomprensibili.
La ragazza era seduta al mio fianco e come me non partecipava a quella pia pantomima.
- Ti ha chiamato? - mi chiese a bassa voce, per non infastidire la preghiera generale.
- Ma chi avrebbe dovuto chiamarmi?- bisbigliai, beccandomi lo stesso un severo sguardo di Valeria, per aver disturbato la sacra litania.
- Ti chiamerà quanto prima – rispose lei, poi accorgendosi di come Valeria ci guardasse con aria di  rimprovero, terminò la sua frase con un sonoro amen.

- E ti ha chiamato? – mi ha interrotto Laura, incuriosita dal mio racconto. Ho annuito e non c’è stato bisogno d’aggiungere il nome, l’hanno compreso dai miei occhi e dal mio sorriso.
- Ma avevi spergiurato che non volevi vederlo mai più- mi ha rimproverato Eugenia – Hai detto di lui peste e corna-

Sì, è vero, ma poi mi ha chiamato e ci siamo incontrati poco dopo, in un anonimo bar di periferia, lontano dagli sguardi indiscreti, nascosti come sorci, un paio di tavolini sistemati in un angolo illuminati dalla squallida luce di un neon.
Io e lui, in quell’assurda cornice, la sua tazzina di caffè, la mia bottiglietta d’acqua minerale e un bicchiere di plastica. E parole tra noi, le mie accuse e le sue spiegazioni, le mie richieste e le sue promesse. D’improvviso mi ha sfiorato un polso, un gesto involontario, ma il contatto inaspettato delle sue mani sulla mia pelle ha reso  inutili tutte quelle parole.
Ho sentito il sangue affluirmi al viso e un languore indecente tra le gambe.

- Sintomi inequivocabili della menopausa – ha riso Anna, forse per sdrammatizzare quella relazione che non approvava. Il signor non mi sporcare la camicia non gode più della simpatia delle mie amiche.

Ma a me è bastato che mi sfiorasse il polso per mandare all’aria tutti i buoni propositi e le ragionevoli intenzioni.
- Tu sei mia! – una frase che era quasi un sigillo ai miei stessi pensieri. Mi sono alzata i capelli per nascondere il turbamento, quel rossore colpevole che mi colorava il viso, li ho fermati in uno chignon con la penna che spuntava dal suo taschino.
Ancora parole spese in quell’anonimo bar di periferia, io e lui in quei pochi, lunghi minuti che ancora ci restavano, a parlare di noi con l’imbarazzo della prima volta, come se non ci fossero state già tante altre volte.
Ci siamo salutati e ho fatto per restituirgli la penna, ma lui me ne ha fatto dono diverso.

- Oddio Nancy, ma non sarà la penna BIC che mi hai prestato l’altro giorno all’ufficio  postale? Quella con cui quasi non mi facevi finire di scrivere – ha chiesto Isabella.
Ho annuito di nuovo, non mi andava di vedere la sua penna in mani estranee, il mio regalo toccato da altri, l’ho capito solo mentre Isabella scriveva.
- Noi donne non potremo mai essere prese sul serio, finché conserveremo una penna BIC come se fosse una reliquia preziosa-  ha detto severa Mavì, disapprovando in maniera palese il mio comportamento.

Lui, invece, ne è stato giustamente orgoglioso, come se davvero mi avesse regalato un gioiello d’inestimabile valore. Glielo ho confidato pochi giorni fa, quando mi ha richiamato, la gioia imprevista di risentire la sua bella voce, il suo modo di fare che riesce sempre a  confondermi, le nostre risate, il mio desiderio che lui sia felice lontano da me.

- E quindi come finirà questa storia infinita? – ha chiesto Isabella, che tra tutte è quella più pratica, quella che va subito al sodo.

Non lo so, non riesco a capire in questo momento, per questo ho cercato la “maga”, la ragazza che mi aveva predetto la sua telefonata. Perché voglio sapere qualcosa della mia vita, perché non è possibile che con ben due uomini che mi fanno girare la testa, io non ho nessuno che mi accompagni a visitare un museo, nessuno con cui andare al cinema, nessuno con cui fare l’amore tutta la notte, nessuno con cui ridere fino al mattino.
La maga non è stata molto chiara nelle sue risposte, sibillina come vuole il suo ruolo, tra me e il signor non mi sporcare la camicia vede una possibilità che finora non c’era mai stata.
Mentre mi ha consigliato di prendere le distanze dal geometra Tatafiore, di cui, proprio ultimamente,  ho collezionato il settimo rifiuto.

- Una delle sue solite scuse addolcite – ha riso Laura, ricordandosi il vezzo del bel geometra di alleggerire le sue bugie con parole zuccherine.
- No Laura – ho sorriso senza allegria – quelle le riserva alle donne che ancora gli interessano. Con me adesso usa la verità senza cortesia-

E non ho raccontato loro, d’averlo rivisto pochissimi giorni fa, all’inaugurazione di una galleria d’arte, è stato lui a salutarmi, lui a volermi informare dei suoi successi lavorativi, lui a cercare i miei complimenti, lui a farmi ridere con il suo modo di fare, lui che mi ha abbandonato a metà di un discorso, sospesa come la mia frase,  senza risposta,  in mezzo alla sala.
Senza sentire il bisogno di congedarsi, senza la gentilezza di salutarmi, senza l'educazione di scusarsi nei giorni seguenti. Macché, solo una fra tante, un’estranea qualunque con cui scambiare due chiacchiere nell’attesa di persone ben più importanti.
E non lo so perché mi sale un groppo alla gola, impensato sento scendere il pianto lungo le guance. Lacrime senza valore, lacrime sceme.

- Nancy ma ora perché piangi? – mi chiede allarmata Mavì, abbracciandomi forte - una come te può avere ancora tutti gli uomini che vuole -.
Mi vengono tutte intorno, tutte a tessere le mie lodi, fin quasi a santificarmi – E allora perché avete cercato di propinarmi Erminio Ovini – piagnucolo, ma poi ripensando all’agnellino macellato comincio a singhiozzare più forte, più disperata.
Poi guardo i loro visi accorati e mi viene da ridere. E rido mentre assaggio il sapore insipido delle mie lacrime
.

 
 
 
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