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Post n°262 pubblicato il 19 Ottobre 2016 da deteriora_sequor
"Papà sta male" dissi ipnotizzato dopo avere posato il cellulare sul tavolo "Un blocco renale. Dal tono di voce mi sembra che le cose si stiano mettendo peggio." E allora, solo allora ci fu la reazione di Danilo, che mi fece percepire quanto fossimo lontani persino nel dolore. Prese a sbattere la testa contro il muro insieme ai pugni, rischiando di fare un buco nella parete. Lo so, avrei dovuto stare zitto ma lasciai la mia voce sovrastare il cervello: "Adesso il tuo cuore sanguina ma per mia madre non avevi abbastanza riserva di lacrime." Lui si interruppe e si voltò a guardarmi con il volto deformato dalla preoccupazione. "Tuo padre è tuo padre, mia madre era mia madre." Lo precedetti. Lui parve reagire, ma subito tornò a voltarsi e a tempestare di colpi la parete. Era, in tutta evidenza, la maniera primitiva che possedeva per evocare qualche spirito in cielo. Dentro di me, nel frattempo, avveniva una strana metamorfosi: come se le condizioni critiche di mio papà avessero un forte potere calmante sui miei nervi, come se la sua situazione tragica mi allontanasse il pensiero di Erminia e della sua assurda fine. Chiodo scaccia chiodo. E, finalmente, vedevo il mio fratellastro crogiolarsi nel dolore e nella disperazione lasciando da parte le sue saggezze, le sue buone e confortevoli parole e il suo ottimo esempio meditativo. "Fa male, vero?" Lo incalzai per vederne le labbra tremare, gli occhi rossi e il naso che colava, e intanto non cessava di piovere e il pendolo batteva implacabile i secondi, assediando la pena di entrambi. "Dobbiamo andare a visitarlo." Trovò la forza di bofonchiare tra le lacrime" Non possiamo abbandonarlo. Lo è già stato abbastanza." "Prima in lista arriva mia madre. è morta per prima. E se Luigi schiatterà avranno un posto vicino al cimitero." Non capivo dove stessi trovando quel cinico coraggio. Percepivo solo la presenza di mia mamma che mi implorava :"Picchia dura e non lasciare tregua a quei due. è il modo migliore per ricordarmi." Fu da quel momento che cominciai a percepire la tangibile presenza di Erminia al mio fianco non più nelle vesti di una tranquilla massaia dedita per una vita alla famiglia, ma in quelle di una Erinni implacabile e feroce, determinata a strappare anche nostro padre a questa valle di lacrime. Presi le chiavi della macchina e mi rivolsi a quel relitto che era stato Danilo: "Allora, vuoi venire anche tu? Guarda che per me è indifferente. Dopo passiamo all'ospedale." Feci, ambiguamente. Lui si ripulì il viso alla bell'e meglio, poi uscimmo dalla nostra cella monacale e, sotto un acquazzone che non mostrava di cedere, ci dirigemmo all'auto, e poi via, verso la morgue. (Continua) |
Post n°261 pubblicato il 15 Ottobre 2016 da deteriora_sequor
Dopo infiniti minuti mi sollevai dalla mia scomoda posizione con lo stomaco svuotato e un ronzio persistente nelle orecchie. Avevo con me l'evidenza di essere dalla parte del torto per la maniera con cui avevo trattato il fratellastro e nel cervello l'angoscia per quello che restava da fare con mia madre. Appoggiandomi alle pareti arrivai sulla soglia del bagno e guardai verso la finestra. Danilo stava fissando la pioggia quasi ipnotizzato e non pareva essersi accorto dell'affiorare del sottoscritto tagliato in due. Non avevo avuto il coraggio di guardarmi allo specchio ma sapevo quello che avrei trovato: un uomo di quarantasei anni stracciato e abbruttito, un uomo sconfitto e rozzo, esacerbato e acido. Tutto ciò che avevo sempre sperato di non diventare. "Ehi!" Feci con le lacrime appese agli zigomi "Penso proprio, Danilo, che mi toccherà andare a riconoscere mia madre... Che ne pensi?" Lui si voltò radioso; non serbava traccia di rancore nei miei confronti e mi venne incontro con le mani lungo i fianchi. "Penso che sia utile e anche indispensabile." Mi disse serenamente. "Cosa vuol dire utile?" "Ti toglierà da questa casa e la smetterai di macerarti su quello che avresti potuto fare...Non è stata colpa tua." Mi spostai verso il divano e mi ritrovai saldo sui miei piedi fino a quando sprofondai davanti al tavolo. "C'è un peccato, ed è quello di non averla considerata quanto meritava. E lei non faceva nulla per fartelo notare. Mai una lamentela, mai un rimprovero, la sua vita è stata sacrificata a un cazzo di famiglia. Io ho pensato unicamente a me stesso: a scopare, a ubriacarmi, a farmi i miei bei giri in Europa, a soddisfare ogni mio estro mantenendo il culo al caldo nella coscienza che qualcuno non mi avrebbe mai giudicato ma mi avrebbe sempre difeso; qualcuno che mi avrebbe giustificato in ogni mia pazzia e capriccio. Non ho afferrato il senso della sua solitudine e ormai è troppo tardi; si è ripresa con gli interessi quello che aveva sborsato in affetti e sentimenti ed è volata via, di certo verso un posto dove non potrà essere trattata peggio che qui. Ma andiamo, se questo è il destino lo devo ingoiare, scarpe comprese. Prepariamoci e andiamo in questa camera mortuaria a fare il riconoscimento." Così dicevo ma non riuscivo a sollevare il sedere dal divano. Ero come inchiodato con un turbine di sensazioni contrastanti che mi folleggiava in testa. Mi sembrava di essere in giostra e che al prossimo giro sarei sceso, ma non v'era nessuno stop in vista al crepacuore. Poi (lo ricordo benissimo) mi trillò il cellulare dopo tre quarti di giornata silenziosi o fatti di messaggi inutili da parte dei miei inutili amici. Non riconobbi il numero e risposi con una strana sensazione e le farfalle nella trachea. Era l'ospedale, e mi avvertiva che la situazione clinica di mio padre era peggiorata e che, non avendo ricevuto visite durante il giorno, avevano pensato bene di avvertirmi. Chiesi dettagli e me li diedero. Non erano le conseguenze del mancato suicidio ma un improvviso blocco renale. Era sottoposto a cure urgenti e ora si trovava in rianimazione. Ringraziai e riagganciai. Il ronzio alle orecchie non cessava di tormentarmi. (Continua) |
Post n°260 pubblicato il 11 Ottobre 2016 da deteriora_sequor
"Stava camminando lungo i binari" Ripetei blandamente "Nemmeno andava veloce..." "Una fatalità." Mi svuotai rapidamente, come un sacco, e da me fuoriuscivano tutti i ricordi insieme. Le gioie, le tensioni, i guai e la felicità. I quarant'anni con quella donna che mai aveva ficcato il naso nelle mie vicende private se non quando era sollecitata dall'esterno. Un'ottima persona, mi ripetei meccanicamente, qualcuno che si era sacrificata al figlio e al marito senza pretendere nulla in cambio, vivendo solo di sogni e speranze. Attesi. Sapevo che mi ci sarebbero voluti mesi per assorbire quel colpo e riuscire solo a immaginare una vita diversa, senza di lei. "Vuoi bere qualcosa? Intendo qualcosa di forte...hai un mobiletto-bar?" Gli dissi di lasciar perdere: ero già con i postumi della sbronza meridiana. "Stava camminando lungo i binari" Ripetevo blandamente "Nemmeno andava veloce..." "Una fatalità." Sentì la voce del mio fratellastro squittire: "Forse era in stato confusionale ...Per lei muoversi lungo la ferrovia era già prendere il treno verso nord o sud. Deve avere provato in qualche albergo, ripensandoci. Poi si è incamminata verso la...libertà." Mi misi a ridere a crepapelle, una risata secca e continua che finì per soffocarmi, diventai rosso come una gallo e corsi in bagno a vomitare. Quando mi fui liberato del sushi ripresi a sghignazzare come un folle, istericamente. Avevo le lacrime agli occhi, ma non per quello che pensate voi. Mi appoggiai alla parete e cominciai a scivolare accanto alla tazza, sempre squassato dagli scoppi di risa incontrollati. Danilo venne sulla soglia e mi chiese come mi sentivo. Arrotai i denti: "Sei un pedante imbecille, un retorico stronzo, un idiota chiacchierone. Ripeti tale a un pappagallo le lezioncine che ti hanno propinato in quella comunità del cazzo. Non hai spina dorsale, non hai personalità, non hai nulla. Sei solo un puro, semplice evidente bastardo figlio di puttana." Lui mi guardò ma non reagì, e non rispose nulla. Si levò dalla porta e lo sentì ciabattare verso il soggiorno, avvolto dai suoi imperscrutabili pensieri. "Poi si è incamminata verso la...libertà." Ripresi ad altissima voce mentre ero giunto col culo sul pavimento. "Maledetto bastardo!" Poi serrai un attimo le palpebre e rimasi in un dormiveglia pauroso insieme a tutto l'alcol che avevo nel sangue. Ero mezzo addormentato ma anche perfettamente cosciente. Ogni tanto la testa mi scivolava verso il bidet e Io con uno sforzo sovrumano la riportavo verticale. Avevo incrociato le mani sulla pancia e accavallato i piedi. Pensai che da quel momento in poi nessuno si sarebbe preso cura della straordinaria igiene della casa: saremmo andati allo sfascio. (Continua) |
Post n°259 pubblicato il 07 Ottobre 2016 da deteriora_sequor
"Non dimenticarti di nostro padre." Fece Danilo all'improvviso. "è l'ultimo dei nostri problemi" Replicai rabbioso "Ha voluto fare un'uscita da grande star per far dimenticare le sue colpe. Se la caverà, tornerà a casa e riprenderà la vita di sempre." Conclusi mordendomi i polpastrelli. Il mio fratellastro stava camminando per la stanza per facilitare la riflessione. Fuori aveva ripreso a piovere e il cielo sembrava più nero della pece. "Potremmo veramente tentare con gli hotel" Dissi a un certo punto, esasperato da quell'inattività "Partire dal più lussuoso e andare a scendere." "Non ho nulla in contrario" Rispose asciutto Danilo. Andai allora a recuperare un elenco telefonico e cominciai la mia personale via crucis: Dal Majestic al Ropele me li feci fuori tutti senza ricevere la risposta che mi esplodeva nel cuore. Di mia madre non v'era traccia. "Tra un'ora avvisiamo la polizia" Fece lui "Potrebbe avere lasciato la città, potrebbe avere intrapreso quel viaggio che desiderava tanto." Lo lasciai dire mentre cominciavo a crollare psicologicamente. "Ho dei calmanti, se vuoi. Potenti." Insistette, notando il mio smarrimento. "No. Grazie ma voglio essere lucido sino a quando mia madre non ritornerà a casa." Trascorse un'ora mentre non riuscivamo più a parlarci. Solo il dannato pendolo riempiva le nostre orecchie con il suo spietato incedere: ogni secondo che passava era un chiodo nella mano. "Avvisiamo le divise?" Proruppi, come se avessi atteso solo quel momento per esplodere emotivamente. "Va bene". Consentì Danilo, e già si stava dirigendo verso il telefono fisso quando da questi proruppe un lancinante squillo che gelò a entrambi il sangue nelle vene. "Il telefono" Urlai meccanicamente "Sta suonando." Lo lasciammo squillare per alcuni secondi poi Danilo sollevò la cornetta con un "pronto" esitante e rotto. rimase in ascolto e ogni cinque secondi annuiva solennemente. Quando poi ebbi l'impressione che la chiamata fosse conclusa restò ancora a lungo con la cornetta in mano. è indescrivibile ciò che provai durante quei lunghissimi attimi. Sprofondai, affiorai, boccheggiai, respirai a pieni polmoni. A un certo punto cominciai a torcermi le mani in modo tanto selvaggio da farmi male. La testa mi sembrava un macigno e gli occhi lacrimavano più per la tensione che per il dolore. Quando il mio fratellastro ebbe appoggiato il ricevitore non domandai nulla. Ero impietrito. Fu lui a cominciare a biascicare con una voce che mi parve provenire da un punto lontanissimo, nell'oscurità più completa. Io coglievo mozziconi di parola come se avessi i canali auricolari tappati. "Lungo la ferrovia... L'hanno riconosciuta dai documenti...bisognerebbe recarsi alla camera mortuaria per... il macchinista non ha fatto in tempo a..." Mi sedetti con leggerezza, compresi perfettamente le persone quando impazziscono e fanno l'esatto contrario di quello che ci si attenderebbe da loro. "Era stesa sui binari?" Chiesi incongruamente. Il mio fratellastro mi squadrò preoccupato: "No. camminava accanto alle rotaie. Il convoglio l'ha urtata e sbattuta qualche metro più in là. Nemmeno andava veloce. Una fatalità." (Continua) |
Post n°258 pubblicato il 03 Ottobre 2016 da deteriora_sequor
Entrammo in casa nel silenzio più assoluto tranne il tradizionale pendolo che sembrava riempire ogni angolo, ogni minuscolo anfratto, ogni fessura e ogni crepa appena visibile nelle mura. Mi gettai su una poltrona e chiusi gli occhi. Il soggiorno pareva ruotarmi addosso e Danilo misurava la stanza a piccoli passi. Quando mi riebbi guardai istintivamente l'orologio e riconobbi di avere sonnecchiato per un'ora. Davanti a me, sul tavolino, stava una fumante tazza di caffé e su una sedia, a leggere messaggi dal cellulare, il mio fratellastro. "Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere una bella tazza di caffé nero e denso. Lo so preparare molto bene." Disse. Lo ringraziai e sorbì molto lentamente il suo pensiero. "Bisogna cercare mia madre." Esplosi ad un tratto mentre mi accorgevo che la tazzina mi tremava fra le dita. "Chiama i tuoi parenti. Chiedi se è andata da loro." "Ha una sorella nubile a cui è molto affezionata. vive in una grande appartamento in via De Amicis, però..." "Cosa?" "Se non fosse lì dove...è il posto più logico dove potrebbe essersi rifugiata. Mi terrorizza l'idea di sentirmi rispondere che non è mai passata da quella casa." "Se vuoi chiamo Io." Fece Danilo con uno sguardo così sincero da sconvolgere gli angeli. "Forse sarebbe meglio. Però Io non ho il coraggio di ascoltare. Me ne andrò sul terrazzo a fumarmi una sigaretta e rientro fra dieci minuti. Forse, se la risposta sarà negativa, sarà il caso di avvisare la polizia." E stropicciai nervosamente il pacchetto delle cicche. "Io aspetterei fino a stasera. Magari ha solo bisogno di restare da sola." "Non so. Faccio fatica a crederlo: è sempre stata frustrata dal rapporto con mio padre. Te l'ho detto: avrebbe voluto viaggiare di più ma dopo si è adattata anche a un ruolo casalingo. Mi voleva molto bene. riversava su di me quello che non riceveva da suo marito." "Vai a fumare" Fece Danilo "Che provo a telefonare." E mi accompagnò dolcemente sul terrazzo chiudendomi la porta alle spalle. Io tremavo. Accesi dopo qualche minuto la sigaretta con grande difficoltà e iniziai a espirare mentre un brivido mi partiva dal tallone fino a raggiungere il collo. Provavo a canticchiare per non udire nemmeno l'eco della chiamata ma mi sentivo come il condannato che biascica preghiere senza senso prima di salire sulla forca. Guardavo con terrore la sigaretta bruciare sino al filtro. Poi la scagliai in aria. Da dentro non si udiva nulla e alla fine, ridotto a un fascio di nervi, bussai alla porta per rientrare. MI bastò guardarlo per capire che non era passata da mia zia. Mi appoggiai al tavolo e sentì come se la pelle del cranio mi tirasse verso l'alto mentre il cuore mi sprofondava fino agli intestini. "Attendere fino a stasera." Mi ripetevo continuamente, senza convinzione. (Continua)
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Post n°257 pubblicato il 28 Settembre 2016 da deteriora_sequor
Il ristorante era quasi al completo e ci fecero accomodare vicino all'ingresso quasi presentendo il disagio che stava traversando il mio fratellastro. Lui si sentiva più sicuro con la possibilità di una fuga vicina ed ebbe un sospiro di sollievo mentre ci recavano i menù. Pensai Io a ordinare una barca con sushi, sashimi, hoso maki, uramaki e nigiri. Danilo mi fissava attonito mentre mi muovevo con agilità in un mondo che per lui era totalmente nuovo. Ordinai due lattine di sapporo malgrado la sua faccia di diniego. "Cos'è? non puoi nemmeno bere un alcolico moderato?" "L'alcol è dispersivo" Mi rispose "Ma comunque..." Adoravo quell'atmosfera e mentre attendevamo le nostre ordinazioni mi lasciai cullare dal design minimale e dall'architettura suprematista di quel fantastico locale. Chiusi gli occhi e li riaprì, poi fui attraversato da un'onda moderata e piena di soddisfazione che mi fece toccare da vicino il paradiso. Aspettammo parecchio, ma alla fine arrivarono le nostre portate: una barca gigantesca con sopra il ben di Dio. Io non gli chiesi nemmeno se sapeva usare le bacchette. "Prova!" Lo sollecitai e lui mise in bocca con la forchetta un boccone di tempura. Io lo sogguardavo sornione. Masticò a lungo, poi disse: "Non so se mi piace o meno. è strano. Un sapore nuovo." Compresi mentalmente che il primo passo era fatto, poi mi rabbuiai al pensiero dei miei genitori. Tutta la tensione che avevo messo nella gastronomia del sol levante si rilasciò e brutti pensieri affiorarono in superficie. Terminai la mia sapporo e ne ordinai un'altra mentre Danilo centellinava la sua. Cominciavo a essere piacevolmente stordito: la raffinata musica lounge in sottofondo si fondeva con le mie paure creando un mix aberrante. La dolcezza del cibo si trasmetteva all'orrore del ricordo di mio padre appeso allo stipite della porta e alla visione di mia madre distesa sul letto e vestita di tutto punto. Cominciai ad agitarmi e raddoppiai le dosi alcoliche. Danilo aveva preso gusto al pesce crudo e ingurgitava sushi senza pietà, osservandomi ogni tanto con rapidi sguardi preoccupati. Conclusi con una micidiale grappa al riso e c'alzammo nello stesso momento. Ero abbastanza cotto ma pretesi, ovviamente, di pagare tutto. Fu un conto astronomico e mi morsi il labbro inferiore: avevo svuotato una serie imponente di superalcolici, oltre alla maestosità del cibo. Salutai tutto con una allegria eccessiva e uscimmo in strada. Aveva smesso di piovere ed era uscito il sole. Presi sottobraccio Danilo e ci dirigemmo all'auto. "Non possiamo più evitare casa nostra." Mormorai più a me stesso che al fratellastro. Poi misi in moto e percorremmo le strade con prudenza. Ero ubriaco e lui non diceva una parola. Guardava solamente diritto davanti a sé. Strinsi il volante fino a farmi sbiancare le nocche; Non sapevo se odiarlo o buttarmi nelle sue braccia, disperato. (Continua) |
Post n°256 pubblicato il 24 Settembre 2016 da deteriora_sequor
Arrivammo sotto casa ma nessuno di noi due trovò il coraggio di scendere. Fissavamo i cornicioni e sentivamo l'acqua piovana fuoriuscire dai canali di scolo. Tutto il grande palazzo appariva come un sudario inondato di lacrime. Se si eccettuava il rumore del traffico la zona era avvolta in un silenzio assordante. Qualche alberello rachitico stormiva con un residuo di coraggio e i fiori del cortile vicino all'entrata, tanto curati da mio padre, si piegavano sotto le sferzate del vento. Entrare in quell'ambiente parve (sono sicuro) sia a me che a Danilo come avere accesso a un sarcofago. "Potremmo mangiare al giapponese, se ti va?" Proposi stringendomi addosso la felpa. "Giapponese?" Replicò il mio fratellastro "Non so nemmeno cosa sia." "Pesce crudo in salsa di soia. Ti piacerebbe, ne sono sicuro." Più che altro recitavo per me stesso poiché sentivo il bisogno di una cucina che fosse distante anni luce dai cibi tradizionali che mi erano stati ammanniti per trent'anni. Cercavo di lasciare i miei genitori fuori dalla porta almeno in quei momenti, e cercavo la complicità di Danilo. Ma lui scuoteva la testa e negava vigorosamente. "Andiamo in una trattoria. Qualcosa di buono, qualcosa di nostrano. Comunque adesso ho appetito." Lo presi per il bavero della maglietta e gli rifilai uno schiaffo violento. "Hai portato la disgrazia nella mia famiglia e ora facciamo a modo mio. Questo me lo devi, fratello!" Lui non se la sentì di reagire e si disse mestamente d'accordo. Riavviai il motore e ci dirigemmo in via Ricasoli, una traversa di via D'Azeglio, dove s'adagiava il zushi con i suoi morbidi e rilassanti colori. Parcheggiai e scendemmo. La pioggia, lungi dall'indebolirsi rafforzava in intensità e dovemmo correre sino all'ingresso del ristorante. "Perché mi porti in questi posti raffinati? Ti interessa tanto umiliarmi? Hai davanti un uomo che è letteralmente vissuto sotto un ponte." "Non importa" Risposi "Arriva anche il momento di cambiare, o preferisci dibatterti nella sporcizia e nel fango per il resto dei tuoi giorni? Datti una regolata, aggiustati, guardati nello specchio e cerca il tuo lato migliore. La forma è sostanza." Lui pareva non capire il mio linguaggio e mi squadrò di sbieco come se avessi bofonchiato in una lingua morta da tremila anni. "Non mi comprendi: in Comunità esistevano solo spazi comuni, quello che era mio era tuo e lo sforzo nel lavoro era collettivo. Non intendo perdere quell'insegnamento. Per me è stato prezioso e mi ha fatto andare avanti. In Comunità c'hanno detto: non perdete l'attitudine a lavorare insieme e schivate chi vi vuole far ricadere nell'egoismo e nella mentalità ristretta dell'Uno. Siate umili, frugali, caritatevoli e umani. Le catene non cadono da soli ma unicamente aiutandosi l'un l'altro." Caddi dalle nuvole mentre entravamo al zushi. "Erano una specie di preti questi tuoi comunitari?" Lui fece una smorfia e con un visibile brivido accolse l'arrivo del cameriere. (Continua) |
Post n°255 pubblicato il 20 Settembre 2016 da deteriora_sequor
6 "Allora che facciamo?" Biascicò Danilo "Torniamo a casa?" Io feci una smorfia: "Sarei tanto curioso di sapere che fine ha fatto mia madre." "Forse Luigi lo sa ma non è in grado di dirlo. Probabile che sia da qualche parente o in un hotel. Non era papà a confidarsi che aveva sempre sognato una vita diversa?" "Su questo non c'è il minimo dubbio. Mio padre non è mai stato sufficiente per lei pur restandogli vicino per tutti questi anni." "E ora ha preso il colpo di grazia che l'ha decisa ad alzare le tende definitivamente." Non mi piacque la confidenza che si stava prendendo con mia mamma e glielo feci notare. Lui parve mortificato e si profuse in scuse sincere: "Non l'ho conosciuta ma ho l'impressione di una donna che abbia sopportato tanto." "Anche troppo" Replicai con lo sguardo fisso su mio padre. Danilo mi cinse dolcemente il braccio e cercò di togliermi dalla corsia: "Torneremo domattina. Qui sono al sicuro" Fece, indicandomi le inferriate alle finestre "Non è questo il punto. Il babbo diventerà uno zombie, già me lo sento. Senza mamma è perso sotto tutti i punti di vista. Inizierà con due pastiglie e finirà con 300 gocce al giorno: non è competente a sostenere la tensione di un addio." "Però la tensione di una doppia vita l'ha sostenuta." Replicò il mio fratellastro con un improvviso gesto di brutalità. "Lo garantiva. Tua madre gli dava la passione e il calore, mia madre la sicurezza e la stabilità. A lui non costava nulla, anzi finiva solo con il guadagnarci. Era l'edonismo personale di uomo piccolo, il trucchetto che gli era riuscito bene e... la speranza che noi due non ci scannassimo." "lo stiamo facendo?" "No. probabilmente anche questo va ascritto a suo merito." Uscimmo che la pioggia stava agonizzando. Salimmo sulla mia macchina e misi in moto. Il pomeriggio stava transitando alla sera e le prime luci iniziavano ad accendersi. La foschia impediva una marcia spedita e la nebbia si trasmetteva alle persone, trasformandole in fiocchetti grigi in movimento mentre le mura della città vecchia trasudavano umididità e abbandono. "Perché si voleva ammazzare?" Chiese improvvisamente Danilo. Abbassai lievemente il finestrino "Il suo ultimo bluff era fallito. Mamma se n'era andata e noi due eravamo ancora un'incognita per lui. Non ha retto la disperazione, la solitudine, il fallimento. Fingeva una scala reale con due fanti." "Forse poteva immaginarlo." "Sai, Danilo, penso che lo avesse messo in conto. Per lui la morte non è mai stata una brutale inquilina, penso sia tutta una vita che ci stia pensando. Come andare dall'affitacamere, saldare finalmente il conto e fuggire via, lontano." "Come ha fatto tua mamma?" "Precisamente. Chiamalo un primo, comune, gesto d'amore." (Continua) |
Post n°254 pubblicato il 16 Settembre 2016 da deteriora_sequor
Quando mi riebbi il silenzio regnava profondo nella stanza. Con mio padre stavano altri due degenti, anche loro immersi nel sonno artificiale dei sonniferi. Mi girai per reperire Danilo ma non ve n'era traccia. Mi vergognai del mio cedimento emotivo ma sul momento non v'era stato nulla da fare: ore di tensione avevano dato la stura a una profonda commozione. E vedere mio padre così indifeso e fragile, malgrado il brutto tiro che mi aveva giocato, aveva sbrecciato la diga dell'imperturbabilità che mi ero faticosamente costruito. Feci un passo indietro, sul corridoio e vidi l'ormai familiare figura del mio fratellastro venirmi incontro con passo elastico. "Sono andato in bagno." Disse, facendo finta di non avere assistito al mio crollo psicologico (Cosa di cui lo ringrazio fino a oggi) e assestandomi un pugno giocoso sulla spalla. "C'è bisogno di seguirlo durante la notte?" Chiesi per togliermi lo scrupolo. "Oh no. Lo controllano loro. Sono attrezzati per situazioni del genere e poi dormirà sino a domattina con le pastiglie che gli hanno rifilato." "Penso di conoscerle bene" Azzardai sovrappensiero. Danilo mi osservò con uno sguardo a metà fra la sorpresa e la curiosità. "Quand'ero ragazzo andavo avanti a dieta di tavor e whisky. Era per la scuola." "Io fumavo. Parecchio." Osservò lui con voce neutra. "La colpa è sempre dei giovanotti che non si adeguano, hai notato? Mai nessuno si sognerebbe di discutere l'Istituzione. Venticinque ragazzi in piena crisi ormonale rinchiusi in una classe ad ascoltare le monotone lezioni di sessantenni con l'occhio alla pensione. Il mio ricordo di quei tempi è la noia, la monotonia e di come cercavano di svuotarti il cervello. Lobotomia intellettuale, nozionismo, riassunti veloci. E Io volevo solo essere libero." Danilo annnuiva silenziosamente mentre ci passavano a fianco i frutti di tutto il Sistema: ventenni fulminati e settantenni che avevano provato il suicidio o il lungo viaggio nel silenzio. "Ti addestrano per entrare nel ciclo produttivo. A loro non importa nulla che tu dia prova di doti artistiche. Per loro è solo una seccatura in più: il ragazzino con la fissa del poeta, dello scrittore o del pittore. Devi entrare a fare parte del meccanismo, quando arriva il tuo turno devi scattare e scivolare nell'ingranaggio successivo, sennò sei perso, sei fottuto." Fu allora il mio turno di osservare Danilo con sorpresa e curiosità: "Facevi l'artista?" Lui sospirò: "Suonavo in un gruppo, mi dilettavo di poesia e di arte contemporanea." "Un ottimo identikit da perdente". Risi. "Io sono sono sempre stato ligio ai doveri, tranne il periodo della scuola, ma ora comincio a chiedermi se ne sia valsa la pena veramente." (Continua) |
Post n°253 pubblicato il 12 Settembre 2016 da deteriora_sequor
Restai lì ad assaporare le gocce di pioggia sulla mia faccia e sulla sigaretta. Non avevo nessuna fretta e mi sembrava quasi giusto che il mio fratellastro si accollasse buna parte delle responsabilità. In fondo la sua la sua vita era indissolubilmente legata a quella di Luigi più di quanto lo fosse la mia. Finalmente mi decisi di chiudere le finestre e di rientrare dopo avere gettato il mozzicone di sigaretta in strada. Presi il soprabito e scesi in strada per avviare l'automobile. Lungo il tragitto avevo alzato lo stereo a tutto volume e cantavo a squarciagola una di quelle ridicole canzoncine pop che fanno tanto classifica. Solo nei pressi dell'ospedale mi accorsi di avere tre chiamate perse da un numero che mi era ignoto. Provai a contattarlo e sentì subito la voce di Danilo all'altro capo. Con tono quasi vergognoso mi rivelò che mio papà stava bene. Solo qualche lieve abrasione e sintomi da soffocamento. Dicevano che l'avrebbero tenuto in osservazione durante la giornata e l'avrebbero, poi, rimandato a casa. Consigliavano comunque di farlo seguire dal centro di salute mentale e da qualche psichiatra e psicologo. Anzi, gli avevano dato tutto il materiale necessario oltre a varie ricette di ansiolitici, antipsicotici e antidepressivi. Sbadigliai nervosamente e gli dissi che stavo entrando nel parcheggio dell'ospedale anche se lui premeva sul fatto che non ve ne fosse bisogno visto che Luigi era sedato e dormiva profondamente. "Non importa" Replicai "Voglio vederlo." E in quel momento si concluse la nostra conversazione. Poi parcheggiai con qualche difficoltà ed entrai nell'ampio, bianco edificio. Chiesi di mio padre e m risposero che era nel reparto psichiatrico al quarto piano. Presi l'ascensore dopo essermi levato il soprabito e sbucai ben presto a destinazione. Percorsi il lungo corridoio e mi trovai davanti alla stanza numero 11, come mi era stato indicato. Danilo era sulla soglia e sbirciava all'interno con una certa timidezza e un delicato timore. Lo accostai e lo spostai dolcemente di lato, poi diedi un'occhiata alla stanza: Luigi stava sdraiato su un letto dalle federe blu e dalle lenzuola grigie ed era immerso in un sonno profondo che non era per nulla cugino della morte, come spesso capita di notare. Era sereno e quasi gioioso, le sue labbra s'incurvavano verso l'alto e il suo profilo ossuto non donava il solito senso di apprensione ma, al contrario, lo permeava di qualcosa di profetico e sincero, come se stesse vivendo una vita che avesse sempre sognato; lontano dalle mediocrità, dalle menzogne e dai compromessi. "è felice" Dissi. E, stranamente grosse lacrime mi inumidirono le ciglia e caddero al suolo lasciando dei piccoli bacini di commozione. Udì alle mie spalle Danilo che si allontanava di qualche passo. Silenzioso e discreto aveva capito tutto e spariva chissà dove mentre cercavo disperatamente con le mani di tamponare il mio profluvio di sensibilità. (Continua) |
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