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Il dovere della memoria 23 maggio 1992

Post n°968 pubblicato il 22 Maggio 2010 da koradgl1
 

"E' bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola" (Paolo Borsellino)

Qualche settimana fa ho avuto la fortuna e l’onore di ascoltare il dr. Ayala in occasione di una conferenza tenuta presso la sala consiliare del mio comune tema “Lotta alla mafia ruolo delle isituzioni, dei media e dei cittadini” che faceva da sfondo alla presentazione del suo libro “ Chi ha paura muore ogni giorno”.
Era quasi commovente ascoltare un amico parlare di Giovanni Falcone della sua conosciutissima professionalità, del suo stile di indagini che rivoluzionò la procura, ma ancora di più ascoltare l’emozione della sua voce nel ricordo della Persona Giovanni Falcone nella sua sfera privata.
Diceva il dr. Ayala che scrivere quel libro per lui era inevitabile, gli si parava dinnanzi con ogni forza. Non a caso la sua dedica è " A chi lo dovevo". Un atto dovuto per non dimenticare quello che molti vorrebbero perfino poter cancellare dalla storia buia del nostro paese.
Un paese che si esalta per una gara sportiva, che osanna un tal campione o un tal personaggio dello spettacolo, ma che ostacola chi lotta per il bene e il futuro del paese.
Alla morte di Giovanni Falcone il Congresso degli Stati Uniti all’unanimità dichiarò che la strage di Capaci era un atto che colpiva direttamente gli Stati Uniti d'America; questo perché le indagini di Falcone avevano stroncato il sistema che riforniva le piazze americane di eroina, risultato ottenuto tramite la collaborazione internazionale. Un sistema che giostrava tra la Turchia, la Sicilia e gli Stati Uniti: la morfina base acquistata in Turchia, raffinata a Palermo e rivenduta a New York.

Giovanni Falcone e il pool antimafia avevano rivoluzionato il metodo investigativo ed avevano ottenuto risultati eccezionali come mai nella storia dalla comparsa della mano nera fino ad allora. Eppure mentre il Congresso Americano si dichiarava colpito, le nostre istituzioni, tutte in prima fila ai funerali di Stato, facevano in modo che quelle indagini finissero in fumo.
Ricordava il dr. Ayala di aver visto lui personalmente che nel computer di Giovanni Falcone c’erano numerosi files.

Quel computer era custodito presso il ministero degli interni.

Quel computer fu ritrovato ripulito da ogni informazione.

Diceva Falcone “La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”
Gli fa eco oggi il dr. Ayala con una dichiarazione sconfortante  che dice all'incirca "in dieci anni la mafia non ci ha mai fermato, ci hanno fermato le istituzioni, basta ricordare che ci fu affiancato il miglior amico del miglior amico di Salvo Lima".
Esattamente diciotto anni fa il tritolo uccise degli eroi e parte dello stato volle cancellare le tracce del loro immane lavoro.
Come allora oggi si vogliono fermare le indagini e mentre lo schieramento di maggioranza discute di come limitare un’azione indispensabile nel contrasto alla criminalità, la possibilità di intercettare le telefonate da parte degli inquirenti, ricordiamo i loro nomi uno per uno:
Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
E poiché ricordare è un nostro dovere e ancora di più lo è raccontare a chi allora era troppo giovane per conoscere, consiglio la lettura dell’articolo che segue preso da

Dazebao a firma di Fulvio Lo Cicero

23 maggio 1992. L’”Attentatuni” contro Giovanni Falcone segna anche il destino dei Corleonesi

Diciotto anni dal terribile attentato di Capaci. Ricostruiamo l’ultima giornata di vita di Giovanni Falcone, il desiderio di vedere la “camera della morte” dove i tonni vengono finiti, triste presagio di sangue per un “eroe del nostro tempo”

Prima scena. 16 luglio 1984. È un micidiale pomeriggio romano e il caldo è asfissiante. Quartiere periferico dell’Eur, a Roma. Giovanni Falcone cammina lungo il grande viale che porta agli uffici della Criminalpol. Ha appena preso un caffè con Gianni De Gennaro, il funzionario di polizia che ha svolto un ruolo determinante nell’individuazione di Tommaso Buscetta a Rio de Janeiro e nei suoi primi propositi di spezzare le catene che lo legano a Cosa nostra. Il boss dei boss lo attende in una sala degli uffici di polizia. Falcone è un tipo freddo, razionale, spesso causidico. Il suo sguardo è tagliente e sornione. Quel giorno, però, sente che qualcosa di fondamentale nella sua vita si sta per concretizzare. Sull’aereo, Buscetta si è avvicinato all’orecchio di De Gennaro e gli ha detto: «Avrei due cose da dire a lei e al dottor Falcone». Il boss non dice null’altro ma all’intelligente futuro capo della polizia non serve. Sa che un boss mafioso non direbbe mai una cosa del genere ad uno “sbirro”. Se Buscetta lo fa è perché ha maturato una convinzione dentro di sé ed ora è li, per “dire qualcosa”. Parlerà per 45 giorni di fila davanti a Falcone, spesso da soli, con il giudice che fa fatica a prendere appunti e a seguire le centinaia di racconti del boss dei due mondi. Ma, nonostante il suo coraggio e la sua determinazione, Falcone rimane di ghiaccio quando Buscetta esordirà con queste parole: «L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai». È solo un momento di smarrimento. Falcone sa di dover fare i conti con una morte violenta, forse ha già in mente la scena e non ha paura. Un eroe del nostro tempo.

Seconda scena. 23 maggio 1992. Un sabato mattina della tarda primavera romana. Falcone ha un desiderio, da autentico siciliano. Assistere alla mattanza dei tonni, nella “camera della morte”, il pezzo di mare dove sono ristretti i tonni a Favignana, oramai terrorizzati e con poco ossigeno a disposizione. Ad uno ad uno, i pescatori li infilzano e, spesso con grande fatica, li issano sulle imbarcazioni. Per questo il giudice sarebbe partito anche il venerdì ed aveva avvertito il suo diretto superiore, il ministro della giustizia Claudio Martelli. Ma dalla Sicilia gli arriva la notizia che i tonni non ci sono e quindi la gita viene rimandata al giorno dopo.

Falcone ha lasciato la Procura palermitana, in mezzo ad un mare di polemiche, l’anno prima. È stanco e sfiduciato. Non è riuscito a prendere il posto di Antonino Caponnetto perché gli hanno preferito Antonino Meli, un onesto giudice più anziano ma senza esperienza di mafia. «Sono morto!» dice appena saputa la notizia, alludendo al fatto che, per i mafiosi, quello era il segnale tangibile del suo isolamento e, dunque, della sua facile eliminazione fisica. Non riesce più a lavorare come ai tempi del “pool”, creato da Rocco Chinnici (il capo dell’ufficio istruzione, dilaniato da un attentato il 29 luglio 1983) anche perché il pool è stato eliminato. Secondo le disposizioni di Meli, Falcone ritorna ad occuparsi anche di scippi e furti con scasso. Nel febbraio del 1991, però, l’ambizioso ministro della giustizia Claudio Martelli gli affida l’incarico di direttore degli affari penali a Roma e lui accetta.

La Croma bianca di Falcone subito dopo l'attentato mortale

Il giudice ha un’intelligenza fuori dal comune e comprende in un attimo che le condizioni politiche sono forse cambiate. Lui potrà continuare a Roma quella battaglia che gli viene impedita in Sicilia ed infatti avviene proprio questo. Falcone, con la determinante copertura politica di Martelli, inventa un nuovo strumento che si rivelerà fondamentale per la lotta alla mafia: la Dia (Direzione investigativa antimafia, una sorta di Fbi) e la Dna (Direzione nazionale antimafia, una procura nazionale che si occupa soltanto di mafia). Ma proprio per questo le ombre della morte si allungano sempre di più su di lui.

Terza scena. Venerdì  15 maggio. Palermo, le otto di mattina. Sono due giorni che piove a dirotto ma quel giorno è sereno. Due operai scendono da casa con le loro tute dell’Anas nuove di zecca. Prendono una macchina e si avviano verso l’autostrada che collega Palermo alla parte meridionale della Sicilia. Alcuni automobilisti li notano vicino allo svincolo di Capaci, località Isola delle Femmine. Scavano lungo un tunnel di scolo posto sotto il manto stradale, togliendo detriti ed altro e collocando cinque quintali di tritolo e polvere T4. Non viene innescato il timer, che sarà attivato solo in prossimità dell’arrivo del giudice antimafia e della sua scorta. L’operazione viene condotta da un “pool” di mafiosi, diretti da Giovanni Brusca, capomandamento di San Giovanni Jato e fedele esecutore degli ordini di Totò Riina e da un’altra nutrita cerchia di “picciotti”: Antonino Gioè, Gioacchino La Barbera, i fratelli Ganci, Nino Troia, Salvatore Biondino, Salvatore  Cancemi, Santino Di Matteo.

Quarta scena. Sono le 16.40 di sabato. Il Falcon 50 decolla da Ciampino con Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo. Il volo è tranquillo, i coniugi sono rilassati e contenti di trascorrere il week-end nella loro città.

Vito Schifani, agente della scorta di Falcone

Un’ora dopo l’aereo atterra a Punta Raisi.

Quinta scena. 17.02. Squilla il telefonino in un casolare a metà strada fra Capaci e Isola delle Femmine. Appartiene a Giovanni Battaglia, un mafioso marginale. Risponde Gino La Barbera, che sente la voce chiedere: “C’è Mario?”. “No, ha sbagliato”. È il segnale convenuto che le tre Croma (quella bianca blindata di Falcone e le altre due marrone e blu) hanno appena lasciato la questura per dirigersi verso Punta Raisi. A dare la notizia è Domenico Ganci, figlio di Raffaele, boss della Noce. La Barbera sale sulla propria Lancia Delta e si avvia verso l’aeroporto, mentre Nino Gioè e Nino Troia piazzano il timer sotto il tombino a Capaci. Intanto sulla collina sopra l’autostrada sono già riuniti, oltre a Brusca, Ferrante e Biondo, che attendono notizie.

Sesta scena. 17.40. Falcone e la moglie scendono dall’aereo e si dirigono verso la Croma bianca. Falcone, contro ogni criterio di sicurezza, si mette alla guida e Francesca al suo fianco. L’autista, Giuseppe Costanza si siede dietro.

Settima scena. 17.42. La Barbera vede passare il corteo e vi si accoda con la sua Delta. Telefona a Gioè, parlando del più e del meno ma in realtà indicando come stanno andando le cose. Segue Falcone e la scorta fino allo svincolo per Partinico e poi li abbandona. Oramai mancano pochi chilometri al tombino sotto il quale è piazzato l’esplosivo, con l’innesco del timer inserito qualche giorno prima. Gioè telefona a Brusca e lo avverte che il momento sta arrivando.

L'immagine dall'alto della strage in una famosa foto di Massimo Sestini

Ottava scena. 17.57. Avviene un fatto imprevedibile. Falcone si accorge che le chiavi della casa di Palermo sono nel mazzo attaccate al cruscotto della Croma che viaggia ad oltre cento chilometri orari, in mezzo alle auto di scorta. Francesca gliele ha chieste e lui, sorridendo, le ha tranquillamente staccate per prendere quella di casa. Il fatto provoca un improvviso rallentamento della Croma.

Nona Scena. 17.58. Brusca vede arrivare il corteo, ha il telecomando in mano, è nervosissimo. Pigia il bottone e innesca la terribile esplosione, che però, proprio a causa del rallentamento della Croma del giudice antimafia, colpisce in pieno la Croma azzurra, che si frantuma in aria, insieme ai poveri corpi di Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, ricadendo in un terreno a circa cento metri di distanza. L’auto di Falcone non è investita in pieno dall’esplosione ma va a schiantarsi contro il muro di cemento e detriti creati dallo scoppio. Né Falcone, né la moglie indossano la cintura di sicurezza e sono scaraventati violentemente contro il parabrezza. L’autista Costanza riporta varie ferite ma si salverà. Probabilmente, la stessa sorte avrebbero avuto Falcone e la moglie se si fossero seduti al suo posto. Gli agenti della terza Croma sono illesi. Circa venti

Totò Riina

persone che transitavano sul luogo sono ferite ma fra di loro non c’è nessun morto. Falcone e la moglie sono ancora vivi quando arrivano i soccorsi. Francesca Morvillo dice in continuazione: “Giovanni, Giovanni”. Li portano all’ospedale Cervello, dove le prime cure sono prestate da Andrea Vassallo, che era stato incriminato proprio da Falcone nel maxi-processo con l’accusa di essere amico dei Corleonesi. Il medico assolverà ai suoi compiti con

solerzia, ma Falcone, un’ora e sette minuti dopo l’attentato, muore per la vasta emorragia interna.

Decima scena. 18.00. Brusca e gli altri mafiosi, che hanno fumato decine di sigarette per l’ansia, aspettano il diradarsi del fumo creato dall’esplosione e, con i binocoli, si rendono conto che l’”attentatuni” è andato a buon fine. Si allontanano scherzando. Sono euforici. Per quella sera hanno preparato i festeggiamenti di rito.

Undicesima scena. 18.02. Paolo Borsellino ha eluso il controllo della scorta, come spesso gli capita di fare e si è recato dal barbiere Paolo Biondo in via Zandonai per farsi radere. Gli squilla il telefonino e un collega gli comunica la notizia dell’attentato. Scappa via con la schiuma ancora sul viso, entra a casa sconvolto, prende le chiavi dell’auto e corre all’ospedale, dove abbraccerà l’amico Giovanni fino alla sua morte.

Dodicesima scena. 15 gennaio 1993. Sono le undici del mattino. Totò Riina “u curtu” posa per la foto di rito nella questura di Palermo, poco dopo la sua cattura, avvenuta nei pressi della sua abitazione palermitana ad opera di una squadra di carabinieri comandata dal capitano Ultimo. Sopra di lui c’è la foto di Giovanni Falcone. L’eroe del nostro tempo e il suo carnefice.

 

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Commenti al Post:
cateviola
cateviola il 23/05/10 alle 00:15 via WEB
Grazie
 
 
ladymiss00
ladymiss00 il 23/05/10 alle 00:37 via WEB
Penso che saranno ricordate le persone giuste, il resto ...nel dimenticatoio. Bella la foto di Tano D'Amico. Ciao Corina
 
Red_Lady
Red_Lady il 23/05/10 alle 07:11 via WEB
Ciao Corina...grazie davvero.
 
chimicamd
chimicamd il 23/05/10 alle 10:59 via WEB
Grande tributo ad un grande uomo e alla sua scorta. Non dimenticare dovrebbe essere la parola d'ordine. Grazie!
 
R3nata
R3nata il 24/05/10 alle 15:02 via WEB
Quante cose ho pensato passando sull'autostrada di Palermo all'altezza di Capaci,hanno disegnato le strisce di colore diverso,in modo che non si dimentichi MAI.Quando transiti di lì pensi che forse tutto avrebbe potuto non succedere....
 
R3nata
R3nata il 24/05/10 alle 15:02 via WEB
Ciao korabella,buona settimana!
 
kao0
kao0 il 25/05/10 alle 06:40 via WEB
questi veri eroi! buongiorno Kora, un abbraccio!
 
Io_piccolo_infinito
Io_piccolo_infinito il 26/05/10 alle 09:02 via WEB
E' vero ....i nostri eroi! Buongiorno cara ^____^
 
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