Sogno e realtà
Quando è il momento opportuno tutti siamo in grado di realizzare i nostri sogni
ARRESTATECI TUTTI
Chiudetemi il blog, mandatemi in cella perché eventuali multe io non le pagherò per nessuan ragione, fatemi qualsiasi altra angheria, ma la mia voce urlerà sempre il suo dissenso allo scellerato operato di certi governanti.
Le parole che seguono sono di Concita De Gregorio, io ne sottoscrivo ogni virgola.
Molto più di un bavaglio
Quel che sta accadendo in Italia è qualcosa che riguarda il mondo intero. Si sta scrivendo una legge che impedisce il lavoro d'indagine, che favorisce le mafie, che imbavaglia la stampa. Confinarla ad una sacrosanta rivendicazione del diritto di cronaca ed accontentarsi di qualche modifica in favore di editori e giornalisti è un errore. Non si tratta solo di mantenere intatta la possibilità di raccontare crimini e malaffare: si tratta prima ancora di non impedire il lavoro di chi indaga. Lasciare la libertà di parola e limitare gli strumenti di lotta al crimine otterrebbe alla fine lo stesso risultato: silenzio. E' una legge che mette in pericolo il Paese che ci è stato consegnato da chi ci ha preceduto a prezzo di enormi sacrifici. Abbiamo il dovere di conservarlo per chi verrà dopo di noi, il dovere di disobbedire. Fate pure la vostra legge: noi non la rispetteremo.
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Sottotitolo Ogni tanto mi autopremio con i classici....
Ovidio-Le metamorfosi
Che cosa vuoi fare, fanciullo smorfioso, con armi così grosse?...Accontentati di fomentare con la tua fiaccola qualche amoruccio, e non competere con le mie prodezze!
Allora Amore, in risposta, estrasse dalla faretra due frecce di opposto potere; contro Dafne, figlia del dio fluviale Peneo, lanciò una delle sue frecce di piombo, che provocavano il rifiuto d'amore in chi ne veniva trafitto; contro, Apollo, invece, scagliò una freccia dorata, dalla punta aguzza e splendente, che suscitava il sentimento amoroso in chi ne era colpito.
Il tuo arco trafiggerà tutto, o Febo, ma il mio trafigge te…
Innamoratosi, così, della ninfa, Apollo cominciò a seguirla incessantemente.
Ma ormai il giovane dio non ha più la pazienza di perdersi in lusinghe e come lo spinge a fare appunto l'amore, si mette a incalzarla da presso. Come quando un cane di Gallia scorge una lepre in un campo aperto, e scattano, uno per ghermire, l'altra per salvarsi, quello sembra già addosso, e già è quasi convinto di aver preso e tallona col muso proteso, quella non sa se è già presa e sfugge ai morsi all'ultimo istante, distanziando la bocca che la sfiora: cosi il dio e la fanciulla, lui veloce per bramosia, lei per paura. L'inseguitore però, aiutato dalle ali dell'amore, corre di più e non dà da tregua ed è alle spalle della fuggitiva, ansimandole sui capelli sparsi sul collo.
Allora Dafne invocò l’aiuto del padre, che accolse la sua preghiera e, quando il dio stava quasi per raggiungerla, la trasformò in alloro.
Stremata essa alla fine impallidita dalla fatica di quella corsa disperata, rivolta alle acque del fiume Peneo: «Aiutami, padre,— dice. - Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, trasformandola, questa figura per la quale sono troppo piaciuta! ».
Ha appena finito questa preghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima cosi veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima. Conserva solo la lucentezza.
Apollo, disperato, decise che, non potendo mai avere Dafne come sposa, avrebbe avuto l’alloro come pianta a lui sacra.
Anche cosi Febo la ama, e poggiata la mano sul tronco sente il petto trepidare ancora sotto la corteccia fresca, e stringe fra le sue braccia i rami, come fossero membra, e bacia il legno, ma il legno si sottrae ai suoi baci. E allora dice: «Poiché non puoi essere moglie mia, sarai almeno il mio albero. O alloro, sempre io ti porterò sulla mia chioma, sulla mia cetra, sulla mia faretra. Tu sarai con i condottieri latini quando liete voci intoneranno il canto del trionfo e il Campidoglio vedrà lunghi cortei. Tu starai pure, fedelissimo custode, ai lati della porta della dimora di Augusto, a guardia della corona di foglie di quercia. E come il mio capo è sempre giovanile, con la chioma intonsa, anche tu porta sempre, senza mai perderlo, l’ornamento delle fronde!” Qui Febo tacque. L’alloro annuì con i rami appena formati, e agitò la cima, quasi assentisse col capo.
Della mito narrato da Ovidio il Bernini rappresenta il momento in cui dio riesce a raggiungerla e a cingerne il fianco, ma proprio allora avviene la trasformazione.
Le figure risultano quasi volare nell’intenso slancio; Dafne, toccata dalla mano di Apollo, mentre avviene la metamorfosi grida forse perché comprende che la sua corsa è alla fine, esaudito il suo ardente desiderio di castità, o forse perché già si accorge dei rami che le spuntano dalle dita, del tronco che le avvolge il bellissimo corpo.
C’è tutto in quella scultura: l'ansia della fuga, il languore della carezza di Apollo che sta per afferrarla, l'orrore per la metamorfosi, un lampo di vita nel tentativo di liberarsi dalla trasformazione in vegetale.
Da sempre immagine amata perché considerata la vittoria della castità sull’amore sensuale, in realtà io credo che sia anche un po’ la rappresentazione della naturale trasformazione dell’amore che da iniziale passione diviene attaccamento anche quando si passa dalle morbide e tornite forme alla corteccia avvizzita di un tronco ben radicato.
E forse non a caso l’albero di alloro che resta il simbolo dei vincitori, la vittoria di un amore che resta tale nella sacralità.
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