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Messaggi del 31/03/2020

Da Chiusi etrusca: una scoperta sensazionale..

Post n°2689 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Internet

Chiusi etrusca: prove di sacrifici ritualiScoperta eccezionale

Foto apertura articolo: la sepoltura anomala rinvenuta a Chiusi

nella necropoli etrusca di Poggio Renzo (prima metà del V sec. a.C.)

su cui si stanno formulando le ipotesi di un'uccisione rituale.


Sepoltura anomala

Ci sono tanti motivi per tornare a parlare della straordinaria città etrusca

di Chiusi. Lo fa Archeologia Viva nel numero di novembre/dicembre che

dedica alla città di Porsenna ben 18 pagine (vedi: https://www.archeolo

giaviva.it/13120/cleusie-chiusi/ ).

Tra fake news da sfatare e nuove verità archeologiche da scoprire tiene

banco o meglio col fiato sospeso la vicenda della sepoltura anomala,

l'ormai famosa Tomba 4, rinvenuta nella necropoli chiusina di Poggio

Renzo afferente al Polo museale della Toscana e la cui direzione è di

Maria Angela Turchetti.

«Una vera e propria task force - ha spiegato l'archeologa durante la

presentazione alla stampa del numero speciale di AV su Chiusi - sta

cercando si svelare un mistero. Siamo davanti a una sepoltura anomala

, praticamente senza corredo (a parte un piccolo amuleto a forma di scarabeo

sul bacino), con un individuo in una posizione strana che fu sepolto quasi

subito dopo la sua probabile esecuzione attorno alla prima metà del V sec. a.C.

La postura così innaturale fa pensare che la vittima sia stata messa in ginocchio,

sgozzata e gettata nel corridoio della tomba a camera poco prima di essere

chiusa per sempre».

Un "precedente" che fa scuola

Il caso della sepoltura di Poggio Renzo ha varie analogie secondo la dottoressa

Turchetti con la celebre tomba François di Vulci (340/330 a.C.) dov'è raffigurata

l'uccisione rituale dei prigionieri troiani a opera di Achille e dai suoi per onorare

la memoria di Patroclo.

Anche nel caso della tomba etrusca della provincia di Viterbo c'è una serie di

individui con le mani legate dietro la schiena o appena liberate, perché la vittima

sacrificale di una divinità deve accettare volontariamente il suo destino.

Si tratta dunque di individui che vengono portati al macello, sgozzati e così sacrificati

agli dei.

Tomba François a Vulci: sacrificio dei prigionieri troiani, copia d'affresco

eseguita da Augusto Guido Gatti nel 1931.

Non erano dunque solo male lingue

«Le fonti antiche parlano di sacrifici umani e uccisioni rituali in Etruria - conclude la

Turchetti - ma si credeva che fossero le solite voci maldicenti nei confronti degli

Etruschi, vale a dire quel popolo così "barbaro" che andava ad ammazzare i cosiddetti

prigionieri di guerra in barba a ogni regola di civiltà.

A questo punto possiamo supporre che non furono solo gossip fatti circolare da parte

di greci e romani».

A conclusione delle indagini di laboratorio sullo scheletro ritrovato sapremo finalmente

come andarono le cose...

 
 
 

Una signora neolitica..

Post n°2688 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Ecco "Calpeia". Signora neolitica vissuta a GibilterraArcheonews

30 settembre 2019


Ritrovamento in grotta

Una ricostruzione straordinaria. Impressionante per i particolari, per l'espressione e

per il fatto di portarci "in soggettiva" indietro nel tempo fino al volto di una donna

vissuta a Gibilterra 7500 anni fa. Ecco a voi dunque "Calpeia", la signora del neolitico

così ribattezzata per via dell'antico nome latino della Rocca di Gibilterra (Mons Calpe),

dove, all'interno di una grotta sepolcrale nei pressi di Punta Europa, un team di

archeologi del Museo Nazionale di Gibilterra rinvenne i suoi resti, tra cui il cranio,

nel 1996.


Tecnologia d'avanguardia

Ventitré anni dopo la straordinaria scoperta, i progressi tecnologici hanno permesso

al Museo Nazionale di Gibilterra sotto la guida dell'archeologo Manuel Jaén di

collaborare con la Harvard Medical School e realizzare l'incredibile ricostruzione

facciale forense.

Durata sei mesi, "l'operazione" ha comportato il rimodellamento di una copia scan-

nerizzata del teschio e l'integrazione delle parti mancanti.

Il risultato? Una rappresentazione quanto mai realistica della testa di Calpeia.

Per i genetisti era al 90% turca

Dall'analisi del Dna isolato dai resti ossei della mujer neolitica è risultato che il

10 per cento dei suoi geni è riconducibile ad antenati cacciatori-raccoglitori del

Mesolitico e il 90 per cento alle popolazioni dell'Anatolia (attuale Turchia).

Questo significa che Calpeia o i suoi antenati avevano probabilmente raggiunto

Gibilterra dal Mediterraneo orientale portando con loro le nuove tecniche poi insegnate

alle popolazioni locali e che finirono per diffondersi in tutta Europa.

Il Neolitico o "età della pietra nuova" fu contraddistinto dalla diffusione dell'agricoltura

importata in Europa dal Medio Oriente. Nella colonia britannica, nel XIX secolo, furono

anche rinvenuti resti ossei dell'uomo di Neanderthal.

Mistero sulla morte

La ricostruzione delle caratteristiche fisiche partendo dai dati genetici, nota come

fenotipizzazione del Dna, ha permesso un'analisi approfondita del cranio, riveland

o che Calpeia era una donna di 30-40 anni dagli occhi e capelli neri.

A giudicare dalle dimensioni del cranio, non doveva essere molto alta.

Le cause della morte non sono chiare e il cranio subì una deformazione

dopo la sepoltura.
Angelita La Spada

Info: enquiries@gibmuseum.gi

 
 
 

Dalla Spagna preistorica...

Post n°2687 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Una "Stonehenge" spagnola riemerge dalle acqueSensazionale scoperta

Stonehenge Spagnola

17 settembre 2019


Sensazionale scoperta

Uno straordinario complesso megalitico riemerge dalle acque del fiume

Tago, in Spagna, grazie a un'eccezionale siccità, dopo essere rimasto

sommerso per quasi sessant'anni.

Risalente all'età del Bronzo, il sito prontamente ribattezzato "Stonehenge

spagnola" - perché molto simile al suo omologo inglese situato nella contea

del Wiltshire - è composto da ben 144 monoliti di granito posizionati verticalmente,

con una camera ovale di cinque metri di diametro e un corridoio di ventun

metri di lunghezza.

Per colpa di una diga

Il complesso, conosciuto come "Dolmen de Guadalperal" si trova nei pressi

della città di Peraleda de la Mata nel territorio del comune di El Gordo, nel

cuore dell'Estremadura.

Scoperto nel 1925 dal geologo e archeologo tedesco Hugo Obermaier, il sito

venne sommerso nel 1963 dalle acque del lago di Valdecañas, un bacino

artificiale fatto realizzare da Francisco Franco, a seguito della costruzione

dell'omonima diga.

Adesso per la prima volta il complesso megalitico è visibile nella sua interezza

e c'è chi ipotizza che potrebbe non essere l'unico di quel periodo nascosto sotto

le acque paludose venutesi a creare dopo la costruzione di opere idrauliche da

parte del franchismo.

Un faro sul Neolitico

Questo ritrovamento costituisce una grande occasione per studiare il patrimonio

megalitico del paese.

Inoltre la presenza di un dolmen è indice dell'esistenza di monumenti più grandi

o addirittura di insediamenti.

Nonostante si sappia poco delle comunità neolitiche che abitavano in questa zona

del Tago, gli archeologi reputano che fossero solite insediarsi nei pressi delle rive

dei fiumi, soprattutto lungo il loro corso principale.

Perché fu costruito?

Il complesso megalitico potrebbe essere servito per vari scopi ovvero sia come

calendario solare sia come luogo di sepoltura collettivo a cielo aperto.

Gli archeologi hanno notato inoltre che su uno dei megaliti è inciso un serpente

stilizzato, simbolo di protezione usato dalle antiche popolazioni iberiche, oltre

a essere considerato una sorta di guardiano della zona sacra.

E ancora, uno dei dolmen mostra una linea sinuosa che, in base ai dati raccolti

da Obermaier, potrebbe essere una delle prime mappe della cartografia europea

e poteva servire a navigare lungo il fiume Tago.

Se ciò fosse confermato, sarebbe una delle mappe più antiche del mondo.

Dalle vicine montagne...

La datazione al radiocarbonio ha rivelato che il Dolmen de Guadalperal  risale

a 5000-4000 anni fa, e ciò lo collega curiosamente alla storia della Stonehenge

inglese, composta da 93 pietre monolitiche, note come sarsen e bluestones: le

prime, di dimensioni maggiori furono trasportate dalle Marlborough Downs,

mentre le bluestones (così chiamate, perché se bagnate diventano blu) provenivano

dalle Preseli Hills, nel Galles sudoccidentale.

Corsa contro il tempo

L'associazione culturale Raíces de Peralêda, ha lanciato una petizione online per

far rimuovere il monumento dalla palude e valorizzarlo prima che venga nuovamente

sommerso dalle acque.

Le pietre di granito sono molto porose e si crepano facilmente.

Solo una corsa contro il tempo potrà preservare un patrimonio che già mostra chiari

segni di deterioramento.

Angelita La Spada

 
 
 

Un'importante scoperta in Lombardia...

Post n°2686 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Piroga e giogo preistoriciImportante scoperta in Lombardia

26 luglio 2019


Importante scoperta in Lombardia

Un giogo e una piroga scavata nel tronco di una grande quercia,

risalenti a circa 4.000 anni fa: sono questi gli ultimi reperti in

legno rinvenuti nella campagna di scavo dell'Università degli

Studi di Milano presso la palafitta preistorica di Lavagnone

(Desenzano del Garda-Lonato, Bs).

Il sito palafitticolo dell'età del Bronzo (2200-1200 a.C.), dal 2011

incluso nel patrimonio Unesco, non è nuovo alle grandi scoperte:

famoso il ritrovamento degli scorsi anni Settanta di uno degli aratri

più antichi al mondo, ora esposto presso il Museo Civico Archeologico

"G. Rambotti" di Desenzano del Garda.


Il giogo.

Le ricerche dirette da Marta Rapi

I reperti dei recenti scavi dell'Università degli Studi di Milano sono

davvero eccezionali, come sottolinea Marta Rapi, docente di Preistoria

e Protostoria presso il Dipartimento di Beni culturali e ambientali che

dirige il progetto di ricerca con la partecipazione degli studenti del corso

di laurea in Archeologia e della Scuola di specializzazione in Beni

archeologici: «Per quanto riguarda la piroga, sono stati trovati due

segmenti di monossile; forse formavano lo stesso natante che è stato

intenzionalmente tagliato a metà e deposto in verticale tra i pali di

fondazione delle abitazioni palafitticole.

All'interno di uno scafo abbiamo trovato un'altra sorpresa: un lungo

bastone, l'ipotesi è che possa essere un remo.

Il giogo invece era a poca distanza, deposto sul fondo dell'antico lago

intero e mai utilizzato, forse un'offerta alle acque».


La piroga con il remo.

Per garantirne la conservazione, i reperti sono stati immersi in una

vasca con acqua appositamente allestita a Milano presso il

Laboratorio di restauro del legno bagnato della Soprintendenza

Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Como, Lecco, Sondrio e

Varese e a breve inizierà il restauro. Si tratta di un lungo percorso:

il primo passo è il consolidamento per impregnazione con una resina

a base di glicole di polietilene (P.E.G.), che impiega molti mesi,

poi l'essiccazione e infine il restauro vero e proprio.

 
 
 

News dalla preistoria..

Post n°2685 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Sequenziato il primo antico genoma completo africanoArcheonews

Sequenziato il primo genoma completo

15 aprile 2015


Proviene da uno scheletro rinvenuto in uno scavo in Etiopia (Altopiano del Gamo)

Allo studio, appena pubblicato sulla rivista Science, hanno partecipato Mauro

Coltorti e Pierluigi Pieruccini dell'Università di Siena

È di un uomo tra i trenta e i cinquant'anni il più antico genoma completamente

sequenziato di un individuo del continente africano, estratto dal DNA di uno scheletro

di 4500 anni fa, rinvenuto nel 2012 sull'altipiano del Gamo, nel sud dell'Etiopia,

all'interno di una grotta chiamata nella lingua locale "Mota".

Allo studio, appena pubblicato sulla rivista Science, hanno partecipato Mauro

Coltorti e Pierluigi Pieruccini del dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e

dell'ambiente dell'Università di Siena, che sono stati tra i protagonisti della scoperta

e dello scavo dei resti.

"Bayira" o "il primo nato" - il nome nella lingua locale con cui è stato chiamato lo

scheletro - è stato trovato in una sepoltura costituita da un piccolo tumulo di rocce

basaltiche, unica nel suo genere risalente a questo periodo nell'Etiopia sud-occidentale.

La sepoltura si trovava a circa 60 cm di profondità all'interno di una sequenza

di strati di cenere.

Il corpo, in posizione fetale, era stato orientato nord-sud, con la testa posta su un

cuscino costituito da una pietra , rivolta verso occidente, le mani incrociate sotto

il volto.

Nella sepoltura erano state depositate anche un geode e oltre due dozzine di strumenti

di ossidiana, selce e basalto tipici del tardo Neolitico.

genoma_1-300x220

Oltre a essere il primo genoma antico completamente sequenziato proveniente

dall'Africa, Bayira, risulta antecedente alla migrazione dall'Eurasia verso il

Corno d'Africa, avvenuta circa 3000 anni fa.

La sequenza genetica di Bayira non contiene infatti alcun gene di quella provenienza,

a conferma della tesi che i geni euroasiatici presenti nelle moderne popolazioni

africane derivano da migrazioni più recenti.

Attraverso il genoma sequenziato si otterranno quindi elementi per comprendere

l'espansione fuori dall'Africa dell'Homo sapiens e dei successivi spostamenti tra

Africa ed Europa.

Il DNA di Bayira fornisce anche informazioni specifiche sulla vita in epoca

preistorica sugli altopiani etiopici.

Il sequenziamento ha evidenziato infatti tre varianti genetiche, comuni tra i

moderni uomini di quelle aree, che indicano adattamenti alle condizioni di

scarsità di ossigeno in alta quota.

genoma_3

Le informazioni ottenuto tramite il sequenziamento permetteranno anche

di formulare ipotesi sulla storia della popolazione del sud-ovest dell'Etiopia,

in quanto il DNA risulta geneticamente più vicino al gruppo etnico degli Ari

, un gruppo di lingua omotica che abita oggi in quell'area.

Finora il DNA di nessun individuo di etnia Gamo è stato sequenziato per un

confronto e sarà quindi necessario proseguire nello studio per comprendere

appieno la relazione genetica tra Bayira e la popolazione attuale.

genoma_2

La Ricerca, finanziata dal National Science Foundation (USA) in collabora-

zione con l'Autorità per la Ricerca e la Conservazione del Patrimonio

Culturale del Ministero della Cultura dell'Etiopia e il Museo Nazionale

dell'Etiopia, è coordinata dal 2005 da Kathryn Arthur e John Arthur

(University of South Florida St. Petersburg) e da Matthew Curtis (Ventura

College and UCLA Extension).

Il team internazionale di scienziati include anche Jay Stock (University of

Cambridge) che ha condotto le analisi morfologiche dello scheletro di Bayira

e Andrea Manica (University of Cambridge) e Ron Pinhasi (Trinity College,

Dublin), che hanno guidato il gruppo responsabile dell'analisi e del

sequenziamento del DNA.

 
 
 

Ancora news su Oetzi..

Post n°2684 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli


Ötzi e la Toscana: connessioni a lunga distanza nell'età del Rame


Una pubblicazione scientifica conferma la provenienza del rame

dell'ascia di Ötzi dalla Toscana meridionale

L'individuazione della provenienza del metallo è stata piuttosto

sorprendente dal momento che, fino ad oggi, gli archeologi avevano

presupposto per il rame utilizzato nell'area alpina un'origine da

giacimenti alpini o balcanici.

È ancora da chiarire se l'Uomo venuto dal ghiaccio abbia acquisito

il metallo grezzo o invece una lama già forgiata.

Oltre all'ascia di Ötzi, l'articolo di Artioli pubblicato su PLOS ONE

mette in relazione il rame dell'ascia con una coeva attività metallurgica

in Toscana.

Ulteriori progetti di ricerca ricostruiranno le vie commerciali eneolitiche

fino all'area alpina...

L'ascia di rame dell'Uomo venuto dal ghiaccio è finora in tutto il mondo

il più antico esemplare eneolitico rinvenuto integro (completo di manico,

lama, strisce di pelle e catrame di betulla).

Recuperata 25 anni fa insieme agli altri oggetti del corredo, ha fornito interessanti

informazioni sulla metallurgia dell'età del Rame.

Il manico in legno ha consentito di ottenere, con il metodo del radiocarbonio

(14C), una datazione assoluta del manufatto, risalente al 3346-3011 a.C.

Il gruppo di archeometallurgia dell'Università di Padova, costituito da Gilberto

Artioli (Dip. Geoscienze), Ivana Angelini (Dip. Beni Culturali), Caterina

Canovaro e Gregorio dal Sasso (Dip. Geoscienze), in collaborazione con

Igor Villa (Università di Milano Bicocca) e Günther Kaufmann (Museo

Archeologico dell'Alto Adige a Bolzano), ha presentato le prime analisi

complete sulla lama.

Grazie a un microprelievo del metallo è stato possibile effettuare analisi

chimiche (presso l'Università di Padova) e isotopiche (in collaborazione

con l'Università di Berna), i cui risultati hanno rivoluzionato le tradizional

i ipotesi sul commercio del rame nell'area alpina nel IV millennio a.C.

Un esito inaspettato dal punto di vista archeologico, dal momento che

finora si era sempre presupposta un'estrazione da giacimenti alpini

(nei territori corrispondenti agli attuali Alto Adige, Trentino, Austria,

Germania o Slovacchia) o balcanici (Serbia, Bulgaria).

I risultati, pubblicati ieri sulla rivista scientifica PLOS ONE (http://journals

.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0179263), mostrano

inequivocabilmente che il metallo dell'ascia di Ötzi proviene dalla Toscana

meridionale.

I giacimenti cupriferi di questa zona presentano infatti una variazione dei

rapporti isotopici del piombo unica nel suo genere, che li distingue da tutti

gli altri depositi noti in Europa e nell'area mediterranea.

Questa composizione si riscontra, immutata, anche nell'utensile colato.

L'identificazione della provenienza è stata possibile mediante il confronto

con altri minerali metallici cupriferi provenienti dai giacimenti Europei e

dell'area Mediterranea e raccolti nel corso degli anni in un database sviluppato

dal gruppo di ricerca dell'Università di Padova.

L'origine toscana del rame è congruente con altri nuovi dati del gruppo di

ricerca - che documentano l'estrazione di minerale cuprifero e la produzione

di utensili in rame nell'area della Toscana meridionale nell'Eneolitico iniziale

(Campiglia Marittima) per lo stesso periodo - e getta una nuova luce sulla

diffusione del materiale e sulle relazioni socio-economiche e culturali

nell'Età del rame. I nuovi dati confermano connessioni a lunga distanza tra le

culture eneolitiche dell'Italia centrale (Cultura di Rinaldone) e quelle a nord

degli Appennini (Cultura di Spilamberto, Cultura di Remedello), fino alle

popolazioni dell'arco alpino meridionale, a cui appartiene anche l'Uomo

venuto dal ghiaccio.

I dati chimici e isotopici non consentono di stabilire se il rame venisse

commercializzato in forma grezza (lingotti) o se invece venissero scambiati

oggetti finiti come la lama d'ascia.

Confronti tipologici con manufatti analoghi rinvenuti in Italia centrale

suggeriscono che Ötzi potrebbe essere venuto in possesso della lama già

forgiata.

Sulla base delle nuove conoscenze, ulteriori progetti di ricerca archeologica

studieranno ora da un punto di vista metallurgico la diffusione e le vie

commerciali di asce eneoliti

che dall'Italia centrale alla regione alpina.

Informazioni: Tel. 0471.320114
www.iceman.it

Nella foto: l'ascia di rame dell'Uomo venuto dal ghiaccio, 3200 a.C.
(© Museo Archeologico dell'Alto Adige)

 
 
 

La condizione della donna nell'antica Roma...

Post n°2683 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Lavoratrici, schiave e prostitute nell'antichitàEcco la drammatica condizione delle

tante donne in lotta per la sopravvivenza

Lavoratrici schiave prostitute. donne romane ai margini

Il ruolo della donna ideale... per la società (maschile) nel mondo romano

Il ruolo della donna ideale antica è fra le pareti domestiche, quale brava ed economa

padrona e madre di numerosa prole legittima.

Le uniche attività che la società (maschile) le concede rientrano in quest'ambito

. In particolare, la tessitura: vera e propria icona della positività femminile.

È un'immagine che tuttavia riguarda i ceti privilegiati.

Le donne greche e romane delle classi popolari lavorano - e molto - fuori dalle

pareti domestiche: contadine, artigiane, operaie, specializzate o meno, venditrici

ai mercati, profumiere, parrucchiere, massaggiatrici, guardarobiere, cameriere...

Sono categorie che trovano impiego anche presso le grandi famiglie della Roma

tardorepubblicana e imperiale e, in particolare, nella 

domus dell'imperatore.

In questi ultimi casi si tratta soprattutto di liberte e schiave.

L'attività lavorativa di queste donne, inserite in una precisa gerarchia a seconda

delle funzioni, è documentata soprattutto nei columbaria, dove venivano sepolti

domestici, schiavi e liberti delle familiae più in vista.

Famosissimo è quello di Livia lungo la via Appia (monumentum Liviae, in uso

nel I sec. d.C. dalla tarda età augustea ai tempi di Claudio).

Schiave del sesso: quando lavorare è un'infamia

Le attività commerciali e del terziario erano esercitate soprattutto da liberte.

Nel caso di piccole imprenditrici, ad esempio titolari di laboratori tessili,

è frequente la menzione sulla pietra tombale dell'attività svolta, quale segno

distintivo rispetto alla massa delle altre donne lavoratrici.

Ma le cauponae, le vinariae, le popinariae, cioè ostesse, locandiere e bariste

, esercitavano attività che le ponevano ai livelli più bassi della considerazione

, tanto che il diritto romano equiparava le donne che lavoravano nei locali

pubblici (comprese attrici, cantanti e ballerine) alle meretrices (prostitute).

Erano quindi colpite da infamia e soggette a limitazioni giuridiche.

Le prostitute vere e proprie erano soprattutto schiave, importate dall'estero, o

donne rapite, oppure trovatelle, raccolte e vendute a tenutari di lupanaria (postriboli)

Esistevano vari livelli di prostituzione (del resto come oggi): quella d'alto bordo

, cioè il mondo delle cortigiane, greche o di origine orientale, esperte di musica,

canto, danza e poesia, come la famosa Neera, nota dall'orazione dello Pseudo

Demostene, o come Chelidone, nelle Verrine di Cicerone.

Famosa e denigrata fu la passione di Marco Antonio per la mima Licoride:

Cicerone, ostile ad Antonio, dice che la trattava come una moglie e ne era

infatuato al punto da regalarle fertili terreni in Campania.

Antonio però, non esitò ad abbandonarla, attorno al 47 a.C., quando per lui si

rese necessaria un'immagine più sobria.

Un rapporto analogo sarà quello fra Nerone e la liberta Atte.

Questa ebbe in dono possedimenti in Gallura (Sardegna), denaro, schiavi.

A Olbia è stato rinvenuto un suo ex voto per l'appassionato Nerone (studiato

da Paola Ruggeri dell'Università di Sassari, che lo considera un ringraziamento

per la salvezza dell'imperatore, scampato alla congiura dei Pisoni).

Essendo una ex schiava, Atte non poteva che essere concubina, fedele

comunque all'imperatore fino alla morte, tanto che insieme a due nutrici

si assume il compito di seppellirne il corpo.

In ogni caso, per la mentalità maschile antica, una donna di facili costumi,

una ex schiava, non avrebbe mai potuto sposare un aristocratico, come per

altro impose la legislazione augustea.

Prostituirsi per sopravvivere

Ieri come oggi: un'esistenza di abusi e miseria

Le immagini da Pompei parlano chiaro della condizione della donna

In fondo alla scala sociale erano le prostitute, quelle a basso costo che si

offrivano nei lupanari più degradati, negli angiporti, per strada.

A Roma ce n'erano tante nel quartiere della Suburra, tra il Quirinale e

il Viminale.

La documentazione pompeiana ci dà un'idea della vita di queste donne e

dei loro clienti.

I graffiti sui muri di postriboli e strade riportano tariffe e prestazioni, anche

a scopo pubblicitario.

I prezzi vanno da due assi (il costo di un boccale di vino) fino a sedici.

La prostituta di strada viveva una condizione di assoluta marginalità, vittima

della miseria, tra gli abusi dei clienti e la violenza degli sfruttatori, esposta a

ogni sorta di malattie, destinata a un invecchiamento precoce, a morire giovane.

Si discute il caso di Asellina, barista di via dell'Abbondanza, firmataria di un

manifesto elettorale dipinto sui muri del suo 

thermopolium (bar) in favore di certo Fusco, candidato a una carica cittadina.

Firmano con lei altre tre donne, Maria, Zmyrina ed Egle, che si definiscono

 asellinae (schiave e bariste) e che, all'occorrenza, si prostituivano al piano

superiore del locale.

Cose simili succedevano alle terme con il personale, maschile e femminile,

addetto alla custodia dei vestiti. Non a caso, a Pompei è attesta una

concentrazione di lupanari nelle adiacenze degli edifici termali.

Famoso è il lupanare nei pressi delle terme stabiane.

Il piano terreno ha cinque celle, provviste di un letto in muratura su cui veniva

posto un materasso; sul fondo è una piccola latrina, parzialmente nascosta da

un muretto; le celle del piano superiore godevano di maggiore privacy: ogni

cella è decorata da affreschi che illustrano le posizioni (figurae veneris)

di piacevoli ragazzi e ragazze intenti a fare l'amore.

Ma sono immagini ideali, in netto contrasto con il linguaggio volgare dei graffiti,

che era invece lo specchio fedele di tante misere vite.

Francesca Cenerini
da Archeologia Viva n. 132

 
 
 

Strabilianti notizie...

Post n°2682 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Denti da latte: identikit dei nascituri romani del II secoloArcheonews

Denti da latte: identikit dei nascituri romani del II secolo

17 luglio 2017


Una ricerca della Sapienza ha analizzato lo smalto dei denti decidui,

rinvenuti nella necropoli di Velia, per ricostruire la vita prenatale ai

tempi dell'impero romano...

L'analisi della microstruttura istologica dello smalto dei denti decidui,

su un campione di bambini dell'epoca romana, fornisce informazioni

importanti sui tempi e sulle modalità di sviluppo fetale della popolazione

di quel periodo.

Lo smalto prenatale, studiato in relazione con il successivo sviluppo

postnatale costituisce il principale oggetto di ricerca del progetto condotto

da un team della Sapienza in collaborazione con il Museo delle Civiltà di

Roma, l'Université di Toulouse III e l'University College London.

La ricerca, realizzata per la Sapienza da Alessia Nava e coordinata da

Alfredo Coppa nell'ambito del corso di dottorato in Biologia ambientale

ed evoluzionistica, è pubblicata sulla prestigiosa rivista PLoS ONE.

I denti umani sono importanti archivi paleobiologici che raccontano la

storia di un individuo; quelli decidui, la cui formazione comincia già

dai primi mesi in utero, possono costituire l'unica finestra di conoscenza

sullo sviluppo intrauterino, un momento cruciale nella vita, che ha inevitabili

ricadute sulla salute anche in età adulta.

A oggi molti studi si sono focalizzati sulle porzioni di smalto dei denti

decidui sviluppate dopo la nascita, ma è l'analisi delle porzioni prenatali

che è cruciale nella conoscenza dello sviluppo intrauterino: permette

infatti di identificare eventuali eventi stressanti e può rivelare informazioni

utili circa lo stato di salute della madre durante la gravidanza.

I dati ottenuti da un campione di 18 denti decidui su una popolazione della

necropoli di Elea-Velia (I-II sec. d.C., Salerno) dell'Impero Romano sono

stati utilizzati per la realizzazione di un solido modello statistico che

permette di calcolare in maniera semplificata i tassi medi di crescita dei

denti da latte e di stimare la percentuale di bambini nati prematuri in

popolazioni archeologiche.

"Il modello statistico impiegato in questo studio - spiega Alessia Nava -

conferisce una validità metodologica ai risultati ottenuti e apre innumerevoli

scenari di ricerca meritevoli di approfondimento".

In particolare il confronto tra i tassi di crescita media giornaliera in queste

popolazioni e quelli osservabili in bambini di epoche moderne, cresciuti in

un ambiente a stretto controllo medico, rivela sorprendentemente che lo

sviluppo è più variabile e mediamente più alto nei bambini di epoca romana

rispetto a quelli di oggi.

 
 
 

Da Birù...

Post n°2681 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet
  •  
    • Fantarcheologia: i menhir di Biru 'e ConcasSpazio Aperto

Archeologia Viva n. 199 - gennaio/febbraio 2020
p. 4

di Maria Ausilia Fadda

Gentile Direttore, per i lettori della rivista - del cui Comitato scientifico

mi onoro di fare parte - invio la mia risposta a un quotidiano sardo che

ha raccolto la polemica del giornalista Sergio Frau.

Questi nel suo ultimo libro contesta il posizionamento in linea retta dei

menhir di Biru 'e Concas, nel Nuorese, effettuato tra il 1987 e il 1994

dalla scrivente, che curò l'attuale disposizione dei megaliti rispettando

i punti di giacitura delle pietre.

Secondo Frau con l'attuale posizionamento avremmo voluto imitare

l'allineamento dei menhir di Carnac in contrasto con la sua teoria, che

propone la strumentale e fantasiosa ricostruzione virtuale di un circolo

megalitico. [...]

 
 
 

Scoperta la natura dell'asteroide..

Post n°2680 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Scoperta la natura binaria dell'asteroide (7132) Casulli da parte della sezione Asteroidi UAI

30 Marzo 2020 /  Comments (0)

UAI-Ricerca

(26 marzo 2020, Lorenzo Franco & Paolo Bacci)

L'asteroide (7132) Casulli è un asteroide di fascia principale scoperto da A. Vagnozzi

il 17 settembre 1993 presso l'osservatorio di Stroncone (Italia) e prende il nome

dal mitico astrofilo Silvano Casulli, il primo ad aver utilizzato una camera CCD

per l'astrometria dei corpi minori.

L'asteroide era uno dei target fotometrici della campagna fotometrica UAI di

gennaio-marzo e sin da subito le anomale attenuazioni delle curve di luce che

man mano si acquisivano hanno fatto pensare si trattasse di eventi di eclisse/

occultazione da parte di un ipotetico satellite.


Grazie alla collaborazione di: Lorenzo Franco (A81 - Balzaretto Observatory),

Alessandro Marchini, Giacomo Bonnoli (K54 - Osservatorio Astronomico

Università di Siena), Riccardo Papini (K49 - WBRO Carpione Observatory),

Paolo Bacci, Martina Maestripieri (104 - GAMP), Nello Ruocco (C82 Osservatorio

Astronomico Nastro Verde), Nico Montigiani, Massimiliano Mannucci

(A57 - Margherita Hack Observatory), Giulio Scarfi (K78 - iota Scorpii

Observatory) è stato possibile determinate le caratteristiche di questo sistema

binario e pubblicare l'ATel #13590 (http://www.astronomerstelegram.org/

?read=13590). Un bellissimo risultato tutto italiano e tutto in seno ad

una collaborazione UAI.

Il periodo di rotazione dell'asteroide è di 3.5238 +/- 0.0002 ore, mentre il

satellite ruota con un periodo orbitale di 36.54 +/- 0.02 ore. Le due curve

di luce mostrano rispettivamente le variazioni di luminosità causate dalla

rotazione del primario e quelle causate dagli eventi di eclisse/occultazione del

satellite. I due effetti si combinano tra di loro ed occorre depurarli attraverso

i metodi della scomposizione in serie di Fourier.






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Disponibile l'ultimo numero (gennaio - marzo 2020) della rivista UAI

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Sui residui di una supernova.

Post n°2679 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Alcuni astronomi, utilizzando l'astronave XMM-Newton dell'ESA

hanno studiato un residuo di supernova (SNR) nota come W49B.

Gli SNR sono strutture diffuse e in espansione risultanti da un'esplosione

di supernova.

Contengono materiale espulso che si espande dall'esplosione e altro materiale

interstellare che è stato spazzato via.

Situato tra 26.000 e 36.800 anni luce di distanza dalla Terra, W49B è uno

dei primi resti di supernova rilevati con plasma ricombinante e anche uno dei

SRN più luminosi della Via Lattea. Per scoprire il tipo di esplosione che ha

interessato l'astro, Lei Sun e Yang Chen dell'Università di Nanchino in Cina

hanno analizzato le osservazioni del XMM-Newton.

"Eseguiamo una spettroscopia a raggi X completa e analisi di imaging di SNR

W49B utilizzando i dati di archiviazione XMM-Newton", hanno scritto gli astronomi

nel documento pubblicato il 16 marzo su arXiv.org.

I dati hanno fornito immagini del flusso di linea e mappe della larghezza equivalente

di varie linee di emissione per W49B.

Lo studio chimico dei resti ha scoperto che i rapporti di abbondanza dei metalli

supportano lo scenario di un collasso nucleare (chiamato anche supernova di tipo II),

un tipo di supernova che si forma a partire dal collasso interno e dalla conseguente

violenta esplosione di una stella di massa superiore ad almeno 9 volte quella del Sole

. "Se W49B proviene da un'esplosione di un collasso nucleare, i nostri risultati sug-

geriscono che la massa del progenitore sia inferiore a 15 masse solari", concludono

gli astronomi nel loro documento.

FONTE:PHYS.ORGQUANTO È

 
 
 

Superconduttori nelle meteoriti.

Post n°2678 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

I meteoriti si rivelano, sempre di più, delle fonti di informazioni

sull'origine di materiali strani e/o importanti per la vita.

Un gruppo di ricercatori ha trovato dei grani di materiale supercondut-

tivo all'interno di due rocce cadute sulla Terra.

Questa è solo l'ultima scoperta che dimostra come i meteoriti non siano

solo detriti spaziali.

La superconduttività è la proprietà di un conduttore di trasportare elet-

tricità senza dispersione dovuta alla resistenza del mezzo.

Sono materiali di estremo interesse per l'informatica quantistica, per la

diagnostica medica e la creazione di campi magnetici molto intensi.

Questo fenomeno è estremamente raro in natura, o almeno lo è sulla

Terra.

Molti scienziati pensano che le condizioni estreme degli ambienti

spaziali, in cui la materia può assumere stadi esotici, possano portare alla

creazioni di superconduttori più facilmente rispetto al nostro pianeta; la

scoperta di questi grani, trasportati sulla Terra da due meteoriti, potrebbe

confermare questa teoria.

La ricerca è stata guidata da un team dell'UC di San Diego ed ha analizzato

15 meteoriti, tramite una tecnica chiamata Magnetic Field Modulated

Microwave Spectroscopy (MFMMS), per rilevare tracce di supercondut-

tività al loro interno.

Ci sono stati due casi positivi: il primo è una roccia ferrosa chiamata

 Mundrabilla, uno dei più grandi meteoriti mai trovati, caduto in Australia

nel 1911; l'altro è un raro esemplare di ureilite chiamato GRA 95205,

localizzato in Antartide.

"I materiali naturalmente superconduttori sono rari, ma sono particolarmente

significativi perché possono esserlo anche in ambiente extraterrestre," dice

il fisico James Wampler.

"Queste misure e l'analisi hanno mostrato che il materiale è composto da

una lega di piombo, indio e stagno."

"È una scoperta importantissima, e non solo perché si trova in un meteorite.

Anche il più semplice dei materiali superconduttivi, il piombo, si trova raramente

nella sua forma nativa e, per quanto ne sappiamo, non ci sono campioni di piombo

naturalmente superconduttivo," 

spiegano i ricercatori nel loro articolo.

Abbiamo un solo esempio di superconduttori "naturali": un minerale chiamato

 covellite.

Il fatto che questa proprietà sia stata scoperta in due meteoriti, analizzando

un campione molto piccolo rispetto alla totalità delle rocce presenti nello

spazio, ha portato gli scienziati a credere che la superconduttività sia molto

comune.

Ci sono molte domande a cui rispondere e molte scoperte da fare, questo è

soltanto il primo passo ma gli scienziati sono ansiosi di mettersi a lavoro.

FONTE:SCIENCEALERT.COMQUANTO È

 
 
 

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