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Un blog creato da alexisdg10 il 01/02/2005

Arrancame la vida!

la realtà, i sogni, la politica, l'amore, la rabbia e l'allegria: la mia vita

 
 

 

AREA PERSONALE

 

       Soft Colors | Colores SuavesCOLORES EN AGUA

 

"Sólo los besos son más placenteros que las palabras" 

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FERMIAMO LA GUERRA

per tutte le infanzie rubate

per i legami strappati

per i fiori recisi

per le andate senza ritorno

per tutti i “progetti-uomo” mai realizzati

per tutte le ferite dell’abbandono

per tutto il freddo

per tutta la paura

per tutto l’odio

per tutta la fame

per tutto il non amore…

 

SOLO LIBERTÀ...E GIUSTIZIA

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ALDA MERINI

E tutti noi costretti dentro
le ombre del vino
non abbiamo parole nè potere
per invogliare altri avventori.
Siamo osti senza domande
riceviamo tutti
solo che abbiano un cuore.
Siamo poeti fatti di vesti pesanti
e intime calure di bosco,
siamo contadini che portano
la terra a Venere
siamo usurai pieni di croci
siamo conventi che non hanno sangue
siamo una fede senza profeti
ma siamo poeti.
Soli come le bestie
buttati per ogni fango
senza una casa libera
nè un sasso per sentimento

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Post N° 676

Post n°676 pubblicato il 05 Luglio 2008 da alexisdg10

Ogni  tanto qualcuno mi chiede perché non mi piaccia Torino. Questa è una storia antica quasi quanto me. Sono venuto a vivere a Torino che avevo quasi sette anni. Mio padre aveva trovato lavoro alla Fiat, mia madre, la Ines, detta Ninni,  trovò poco dopo un posto come donna di fatica presso una ricca famiglia della collina. In breve tempo fece carriera e da sguattera venne promossa cameriera, cuoca e donna tuttofare. Ci rimase finchè diventò anziana in quella famiglia. In casa parlavamo solo in dialetto. Feci la prima elementare in una scuola nella periferia di Treviso, dove tutti parlavano come me, insegnante compresa. Quando ci spostammo a Torino capii subito che la gente parlava un’altra lingua. Per qualche anno fu come essere all’estero. A scuola commettevo tutti gli errori che commetto i veneti che non hanno studiato. Mangiavo le doppie, dicevo xe al posto di è, gha al posto di ha, ghavemo al posto di abbiamo. A chi mi chiedeva da dove venivamo io rispondevo : “ semo de a Marca”. La gente mi guardava basita, senza comprendere.  Pochissimi sapevano che cosa fosse la Marca. E siccome Treviso era il centro del mio mondo, io non capivo come i torinesi  potessero non sapere che c’era un universo al di là della Mole che si chiamava Marca. Negli anni sessanta noi veneti emigravamo in massa. Eravamo come i meridionali. Ci chiamavano i terroni del nord. Come capita sempre in ogni migrazione, anche in quegli anni si creavano gruppi e sottogruppi. Per anni frequentammo solo veneti come noi e meridionali, di solito compagni di lavoro di mio padre. Ricordo che le gente diceva di noi che eravamo ignoranti,ma grandi lavoratori, onesti, decorosi e puliti, anche se poveri quanto i napoletani o peggio. Mi è rimasta addosso quella sensazione che parlassero di me come di una bestiolina: ero ignorante come un  animale, però ero pulito. Più avanti, quando mio padre scioperava con i suoi compagni per strappare un salario un poco migliore, mi dissero che eravamo degli ingrati, che loro ci avevano ospitato e offerto un lavoro e noi li ripagavamo così, bell’affare. Anche questo me lo ricordo bene. Parlo di un Veneto antico io e naturalmente mi feriscono a morte le parole di certi leghisti della mia terra che  si comportano adesso come i torinesi si comportavano con noi in quegli anni. Niente a che vedere con me. Per anni Torino non fu altro che l’anonimo, orribile, gigantesco condominio dove abitavamo in periferia e la bruttissima scuola che frequentavo. Non andavamo quasi mai in centro. Mi mancava l’acqua soprattutto. Il Po era un fiume minaccioso che scorgevo fra le gru che costruivano orribili condomini identici al mio. Mi mancava il Sile con la sua acqua cristallina e pura. Mi mancava la laguna, l’Adriatico. Dalla finestra della piccola cucina scorgevo le montagne, ma io odiavo le montagne. Io ero cresciuto davanti al mare ed il mare da Torino era troppo lontano. Mi mancavano le nostre gite a Venezia, le domeniche trascorse a caricare i granchi con la pescivendola di Ponte Dante alla Giudecca, quando ci andavo di nascosto dai miei, che facevano finta di niente. Mi mancavano  i miei amici, i miei cugini e la mia lingua. Quando finivano le scuole i miei genitori mi rimandavano a casa. Veniva a prendermi lo zio Osvaldo con la sua Simca bianca.  Anna era troppo piccola, quindi restava con i miei genitori a Torino.Tornavo a settembre inoltrato, pieno di borse e di sacchetti di polenta bianca che ci mandava nonna Agnese. Piangevo per un mese di fila, a scuola dovevo ricominciare tutto da capo con le doppie e la maestra si arrabbiava un sacco. Più avanti venne una serie infinita di anni anonimi e senza storia.  Furono gli anni del liceo e dell’università. Torino era un fondale sul quale scorreva la mia vita, ma la città non mi è mai entrata veramente dentro. Al di là del centro storico, Torino mi è sempre sembrata brutta e anonima, costituita per lo più da una serie di palazzi anni ’60 e da strade dritte dai nomi altisonanti di reali che ho sempre confuso. Ho provato a studiarla, a girarla in lungo e in largo per apprezzarne le qualità e le doti, ma ho fallito. Mi è sempre parsa un città chiusa, provinciale, piccola. Un’isola di nani, come dico a volte. Ho molti amici torinesi, ovviamente, e oggi che sono adulto, la provenienza della gente non ha la minima importanza, ma a Torino mi sono sempre sentito un ospite. Questa non è mai stata la mia città. Quando ebbi i soldi mi comprai un appartamento nel centro storico, per essere almeno in un posto esteticamente decente. Quando Davide si trasferì lo fece solo per amore. Eravamo come due estranei  in questo posto. Abbiamo vissuto in questa casa come avremmo potuto vivere a Parigi, a Buenos Aires o nel deserto, alla nostra maniera, con la nostra gente. Torino era ancora il fondale di un palcoscenico. Ora che il trasferimento si avvicina non ho alcun rimpianto. Non lascio niente qui. Quarant’anni in questo posto e nessuna affezione. Nessuna nostalgia. Come se la mia vita incominciasse adesso, senza sogno né parentesi. Il sogno di un bambino invecchiato, la parentesi di una vita a volte difficile e contorta. Sono partito che ero un bambino poverissimo e felice. Gli anni del castigo li ho trascorsi a Torino. Ora che sono pulito torno a casa. Prendo mia madre vecchia e zoppicante, il mio amore di tutta una vita, la mia Lia, mia sorella e parto. Sì, parto.

Ninni-Roberto Vecchioni

 
 
 
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Questo blog è nato come  luogo di svago, come luogo di scambio di opinioni e  di idee, come luogo di confronto,  un posto dove ascoltare un pò di musica e leggere qualcosa . Magari, a volte, qualcosa di stimolante e persino d' interessante. 
E non necessariamente perchè lo scrivo io. 
Un luogo dove poter interagire liberamente. Tutti possono entrare, leggere e commentare purchè si esprima un 'opinione senza offendere chi la pensa diversamente. La libertà di ognuno di noi  cessa  nel momento in cui lede quella di un altro.  La maggior parte delle foto e degli scritti in questo blog  sono  miei, ma alcuni sono anche tratti dal web. Dove possibile sono citati gli autori e le fonti. Se  per disattenzione o perchè non disponibili,  accadesse  che in qualche modo qualcuno di sentisse leso, può tranquillamente scrivermi e la foto o il post verranno rimossi. In questo blog è lecito parlare di tutto. Ed è lecito dissentire. Come è pure  lecito e auspicabile costruire. Il dissenso è legittimo quando è finalizzato alla costruzione e non alla mera distruzione fine a se stessa. Nessun commento sarà mai rimosso o censurato.

 

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PER I VOSTRI VIAGGI CONSAPEVOLI

 Non dorme nessuno nel cielo. Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
I bambini della luna fiutano e aggirano le loro capanne.
Verranno le iguane vive a mordere gli uomini che non sognano
e colui che fugge col cuore spezzato troverà alle cantonate
l'incredibile coccodrillo tranquillo sotto la tenera protesta degli astri. 
Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
C'è un morto nel cimitero più lontano
che si lamenta da tre anni
perché ha un paesaggio secco nel ginocchio;
e il fanciullo che hanno seppellito stamane piangeva tanto
che fu necessario chiamare i cani per farlo tacere 
Non è sogno la vita. All'erta! All'erta! All'erta!
Precipitiamo dalle scale per mangiare la terra bagnata
o saliamo al margine della neve con il coro delle dalie morte.
Ma non c'è oblio né sonno:
carne viva. I baci legano le bocche
in un groviglio di vene recenti
e, a chi gli duole, il suo dolore gli dorrà senza tregua
e, chi teme la morte, se la porterà sulle spalle. 
 Un giorno
i cavalli vivranno nelle taverne
e le formiche infuriate
aggrediranno i cieli gialli che si rifugiano negli occhi delle vacche. 
Un altro giorno
vedremo la resurrezione delle farfalle dissecate
e andando in un paesaggio di spugne grigie e di navi mute
vedremo brillare il nostro anello e scaturire farfalle dalla nostra lingua.
All'erta! All'erta! All'erta!
Quelli macchiati ancora di fanghiglia e acquazzone,
quel ragazzo che piange perché non sa l'invenzione del ponte
o quel morto cui rimane soltanto la testa e una scarpa,
bisogna portarli al muro dove stanno in attesa iguane e serpenti,
dove aspetta la dentatura dell'orso,
dove aspetta la mano mummificata del bambino
e la pelle del cammello s'arriccia con un violento brivido azzurro. 
Non dorme nessuno nel cielo. Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
Ma se qualcuno chiude gli occhi,
frustatelo, figli miei, frustatelo!
Permanga un panorama di occhi aperti
e amare piaghe accese.
Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno, nessuno.
Ve l'ho detto.
Non dorme nessuno.
Ma se qualcuno nella notte ha troppo musco alle tempie,
aprite le botole affinché veda sotto la luna
i bicchieri falsi, il veleno e il teschio dei teatri.

Federico Garcia Lorca

 sul comodino ( ma anche per terra e sotto il letto)

 

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Locandina Il tè nel desertoimmagine 
 

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