Sono trascorsi ormai cinque anni.
Cinque anni fa, me lo ricordo, ero piegata su un libro di storia, in sala da pranzo, e avevo il ventilatore sparato in faccia, perchè a fine giugno, in Abruzzo, fa caldo, tanto caldo. Davanti a me, una caraffa piena di ghiaccio e succo d'arancia. Tutti quelli che mi passavano accanto si fermavano e mi chiedevano:
- Che studi?
- Storia.
- Quando hai l'orale?
- L'undici.
Questo accadeva circa settanta volte al giorno, visto che a casa mia, passano circa settanta persone al giorno (questo è un fatto di cui non mi sono mai data una spiegazione realistica).
Di tanto in tanto, nel pomeriggio, il mio professore di filosofia ci invitava a casa sua per qualche ripasso su Husserl, o Nietzsche. Parlavamo tanto, tutti assieme, anche se poi rimanevamo quasi sempre da soli io, lui e M.
Questo accadde il giorno prima del mio orale. Andai da lui, mettemmo in ordine gli ultimi concetti e mi disse : "Bene, brava. Hai fatto degli ottimi scritti. Mi raccomando, domani". M. aveva sostenuto il suo orale quella mattina e mi chiese di raggiungerla a casa sua, così che potessi prendere i suoi appunti di matematica, chè io con i miei non ci capivo proprio niente. I suoi, non m'aiutarono, comunque.
Arrivai con largo anticipo, quella mattina, senza ovviamente aver chuiuso occhio durante la notte. La mia testa vagava in uno stato di torpore al di fuori del mio corpo, fino a quando scoppiò una lite furibonda tra il mio professore di filosofia e un membro esterno. Mi crollarono i nervi. Era l'esame prima del mio. Non riuscii a trattenere i singhiozzi convulsi e mi rifugiai in bagno per evitare di offrire quello spettacolo indecoroso alla commissione. Zita, la professoressa di Educazione Fisica, che in fondo mi voleva bene, venne a sincerarsi delle mie condizioni. Mi consigliò di sciacquarmi il viso con dell'acqua ben fresca. Ero viola. Mi guardai allo specchio e mi vidi viola.
Tuffai la faccia nell'acqua ghiacciata e rimasi così per qualche istante. Poi, m'asciugai e tornai nell'aula. Guardai il mio professore con la faccia di chi sa d'aver perso tutto, di non avere la forza.
Venne il mio turno. Mi sedetti per l'ultima volta su una di quelle piccole seggiole di legno e iniziai a parlare. Impilai i miei libri, i miei appunti, la mia tesina e tutte le fotocopie, tutto il materiale raccolto in settimane e mesi di studio vero, quello che da soddisfazioni. Nonostante qualche piccolo vuoto dovuto allo stato confusionale, fui brillante. La commissione intera mi fece i complimenti.
Uscii da quell'aula raggiante. Tornai il giorno dopo, l'ultimo, per salutare il mio professore. Appena lo vidi gli corsi incontro e lo abbracciai, nonostante le sue proteste. Seppi che il mio voto finale era 100/100 da M.; io non andai mai a guardarlo di persona.
Mi chiesero:
- E ora?
- Università
- Cosa vuoi fare?
- Devo fare lingue.
M'ero già arresa. Poi, un giorno, ad iscrizione praticamente fatta, M2 mi disse delle borse di studio e delle case dello studente.
Feci la valigia e partii per Trieste.
La sera prima della mia partenza, era già il 14 ottobre, uscii con M. Andammo a prendere qualcosa da Stammtisch, a cinquecento metri da casa mia. Parlammo, parlammo, e parlammo. Poi, con la consapevolezza che un epoca stava finendo, ci dicemmo:
- Ciao.
- Ciao.
Salutai i miei cani, il mio gatto. Raccolsi frettolosamente le ultime cose. Entrai in camera di mia sorella e senza svegliarla la salutai, chè tanto non avrebbe capito.
Prima di chiudermi la porta alle spalle, diedi una rapida occhiata a quella scena.
Mi girai, e partii per la mia nuova vita.
***
Questo, signore e signori, è il mio post n. 200. Cifra tonda. Sa di traguardo.
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