Petali di parole

Sembra uscito da un fumetto: ha una pancia enorme e l'espressione di chi ha sempre fame. Se potesse parlare lo farebbe con accento napoletano, e tenterebbe di convincerti che pesa mezzo chilo e che non mangia da tre giorni. Teniamo le sue scatolette sotto al lavello in cucina: anche solo lavarsi le mani č una tortura, in casa mia. Il gattone s'avvicina quatto quatto e inizia a strusciarsi, a miagolare, a fare fusa a tutto spiano. Si profonde in mille smancerie al solo scopo di una ciotola di pappa. Poi passa alle maniere forti: con la zampetta "bussa" alla tua gamba, e dopo un po', se proprio non gli dai retta, sfodera gli artigli. Allora lo scacci, ma lui non s'arrende. Infatti, di solito, ci arrendiamo prima noi, e gli diamo una bella ciotola di pappa, per metterlo a tacere almeno per un po'. Dopo aver divorato tutto in due secondi netti, si mette davanti alla porta, chč vuole uscire. Altrimenti si stende su qualche letto o divano e inizia a ronfare di gusto.
Lui sė che sa come godersi la vita.

Oggi pensavo al mio cane, Kecy.
E' vecchio, povero, quasi cieco e con mille acciacchi. Ha tredici anni e un incidente alle spalle. Una volta, preso da un raptus di gioia perchč qualcuno lo chiamava dall'altro lato della strada, č scappato ed č stato investito da un automobile. Ora, dico investito, ma in realtā č stato appena sfiorato dal paraurti. Sembrava morto, povera bestia. Era rigido e perdeva sangue dal naso (per non parlare delle urine). Poi, piano piano, s'č ripreso. Niente di rotto, solo un piccolo callo osseo sul cranio. Non č mai stato intelligentissimo, ma da quella volta s'č guadagnato l'appellativo di "cane scemo", che č tutto dire. Lo chiamiamo anche "canaccio", in modo affettuoso, perchč non fa che combinare guai. Una volta, da cucciolo, ha morso un cavo elettrico che passava sotto il letto dei miei genitori. Ora, il letto dei miei genitori ha le doghe in legno. Quando gli č arrivata la scossa, č evidentemente sbalzato contro una doga, e l'urto con il pavimento l'ha fatto rimbalzare fino a sbattere una seconda volta contro la stessa doga. Poi, latrando č corso in cucina a nascondersi sotto i piedi di mia madre. Un'altra volta, starnutendo, s'č spezzato un dente. Nell'impeto del gesto ha trovato lo spigolo di un tavolo. Avreste dovuto vedere l'espressione che aveva: sembrava dire: "Oddio, ma che č successo?".
Lui sė che ha capito tutto della vita.

Oggi ho parlato con mia madre, al telefono. Le ho chiesto come stavano le mie "bestiacce". "Magn'n, bev'n e ar'cunoscn'"*, m'ha risposto.
Eh, giā. Ma chissā se la prossima volta che mi vedranno mi riconosceranno. Chissā se la prossima volta che tornerō a casa saranno ancora tutti lė, o la vecchiaia, o l'obesitā, o qualche brutta macchina se li porterā via. Chissā come trascorrono le giornate senza le mie coccole, senza le mie chiacchiere, senza i miei valzer improvvisati.
Chissā come se la cava il mio papā, alle prese con l'informatica e con il latino ("ad majora", m'ha scritto!!!), e chissā come farā la mamma tra il lavoro e tutte le faccende di casa. Chissā se mia sorella starā studiando per la tesi o se continua a perdere tempo tra serate folli, amanti impossibili e amiche pseudodepresse.
Chissā come se la cava la mia amichetta M., in quella giungla di Chieti scalo, e chissā quando li rivedrō tutti.
Del resto, non hanno bisogno di me.
The show must go on.
Loro sė che sanno vivere.

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* "Mangiano, bevono e riconoscono". E' un'espressione che nel mio dialetto si usa per dire, "stanno bene, non c'č male".