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A sette anni, scuola, sport e l'ossessione di vendere
Bambini, anello debole di quella grande catena di consumatori che è alla base dell'esistenza del capitalismo e che, negli ultimi decenni, ha assunto un ruolo ancora più centrale. Non è certo una novità che i più piccoli siano un punto di riferimento importante per un determinato settore industriale ma questa volta le cose sono cambiate e in maniera drammatica. Lo racconta bene, con dovizia di particolari, Baby consumatori. Come il mercato compra i nostri figli (Nuovi Mondi, pp. 335, euro 14,50), realizzato in Gran Bretagna da Ed Mayo e Agnes Nairn, rispettivamente opinionista su riviste sociali ed economiche nonché direttore generale dell'associazione di consumatori Consumer Focus; e ricercatrice universitaria e scrittrice oltre che membro della commissione governativa istituita dal Department of Children, Schools and Families britannico. I due si sono conosciuti grazie ad un'economista radicale di Boston, Juliet Schor. Agnes, mentre si trovava isolata sulle Alpi, al confine italo-francese e presa dalla lettura di una ricerca appunto di Juliet sulla salute mentale dei bambini e sul loro coinvolgimento come consumatori, chiese proprio alla sua amica se qualcuno si stesse occupando dello stesso problema. Immediatamente uscì fuori il nome di Ed e così l'incontro tra i due ha prodotto questo libro. Ciò che si evince dalla lettura del testo non è tanto o soltanto che i bambini acquisterebbero tutto ciò che trovano esposto nelle vetrine o mangerebbero "cibi spazzatura" spacciati per alimenti sani. Certo, anche questo. Ma quello che sorprende e naturalmente indigna è invece il reclutamento da parte delle più altisonanti industrie del giocattolo anche di bambini e bambine di appena sette anni per la promozione e la vendita dei loro prodotti! Sì, proprio così, un vero e proprio coinvolgimento finalizzato alla vendita con tanto di provvigioni e realizzato, immaginiamo noi, con l'accondiscendenza di genitori sempre più passivi.
Il volume inizia raccontando la storia di Sarah. Una ragazzina brillante e vivace, piena di impegni settimanali, dalla danza alla ginnastica fino agli scout oltre che naturalmente la scuola. Talmente vivace che non è sfuggita agli occhiuti funzionari della Mattel, affermata industria del giocattolo creatrice della bambola Barbie. «E' stata così reclutata attraverso la chat room di un sito per bambini - scrivono gli autori nell'introduzione - per lavorare come venditrice del lettore MP3 firmato Barbie». Si tratta di un lavoro duro ed impegnativo: Sarah deve portare sempre con sé questo lettore, a scuola, in palestra, insomma dovrà diventare una sua appendice perché non potrà perdere neanche un momento della sua vita per tentare di convincere i suoi amici, o meglio amichetti visto che appunto ha solo sette anni, a comprare quell'oggetto senza il quale praticamente sembra impossibile vivere. Nel Regno Unito i bambini che vivono questa condizione, assolutamente anomala per la loro età, non sono certamente tanti, o ancora non lo sono. Ma diverse sono le bambine impegnate come la loro coetanea e fino agli undici anni di età a promuovere il lettore, mentre i maschietti si occupano di far conoscere le famose Hot Wheels, le macchinine velocissime. Chi scrive confessa la propria ignoranza sulla diffusione di questo fenomeno inquietante anche in Italia. Certo, da sempre i più piccoli costituiscono un mercato potenzialmente enorme, in quanto consumatori per definizione o almeno cresciuti come tali, come documenta bene il libro di Paolo Landi Manuale per l'allevamento (Einaudi, pp. 80, euro 6,71), uscito una decina di anni fa. Ma da qui a farne dei piazzisti ce ne corre, anche se a pensarci bene sembra essere questa una naturale evoluzione di uno scenario nato in un'era dove il profitto a tutti i costi ha assunto i connotati di una religione del nuovo millennio. Il libro di Mayo e Nairn si sofferma sull'entità del fenomeno anche fuori da Londra e dintorni: «L'aumento dei piccoli consumatori non si limita certo al Regno Unito, o agli Usa. Si tratta, al contrario, di un fenomeno globale. La stessa tendenza è riscontrabile in ogni paese europeo. Persino in Cina, i consumatori più giovani sono rappresentati dai 312 milioni di bambini di età inferiore ai 15 anni.»
Un grande equivoco è quello che emerge da un universo così caratterizzato, così connotato: «Un mondo dominato dalle logiche di mercato - scrivono i due ricercatori - trasmette ai bambini l'idea che "avere" equivalga a "essere felice", ma questa convinzione si trasforma in una promessa non mantenuta. Il gioco del Re Gioiello contribuisce a raccontare la storia, passata da orale a scritta nel corso delle generazioni, della differenza tra ciò che costa e ciò che conta, e dei rischi che si corrono desiderando sempre di più.»
Ma come si può reagire a questo fenomeno che, al pari di una massa gelatinosa che si insinua ovunque, rischia di permeare ogni aspetto della vita quotidiana fin dalla più giovane età?
Al di là di un mondo che avrebbe bisogno di essere trasformato alla radice e che come si presenta adesso non aiuta affatto chi vuole mettere un argine a questa deriva consumistica che colpisce i più piccoli e li sfrutta, è evidente che a partire dalla famiglia per finire alla scuola dei percorsi per limitare i danni devono essere trovati, individuati. Intanto c'è un senso civico, una voglia di ribellarsi che spinge i giovani a reagire comunque. Lo conferma sempre in Gran Bretagna la loro partecipazione al movimento creato dal marchio equo e solidale Fairtrade. Oltre 1800 scuole si sono iscritte per trasformarsi in centri d'azione di questo marchio e nel 2006, ricordano Ed e Agnes, «David Williams, Samantha Aspinall e Emma Kinley di Liverpool, tutti di età compresa tra gli 11 e i 12 anni, si sono uniti ad altri 400 scolari per elaborare un Manifesto del cioccolato cioè una serie di richieste a favore di un trattamento più equo per i nuclei familiari produttori di cioccolata». Si tratta di un impegno importante, anche perché sottointende un'analisi di tipo economico non proprio frequente a quell'età. Proprio per questo se si arriva a dei risultati la soddisfazione dei ragazzi è maggiore in quanto sono consapevoli che, in prima persona, si stanno battendo contro un'ingiustizia. La loro immagine dunque cambia completamente e da consumatori passivi o solo apparentemente attivi, diventano degli attori della trasformazione. Naturalmente questo non può succedere ovunque. Ci vogliono, intorno a questi ragazzi, famiglie sensibili e scuole altrettanto attente a questi temi. Ma si può agire, consiglia questa sorta di manuale di sopravvivenza al consumismo, anche sensibilizzando i bambini sul valore del denaro, sull'importanza di gestirlo con intelligenza. Serve insomma una sorta di pianificazione e un coinvolgimento dei propri figli sui problemi economici della famiglia: «Può essere impegnativo spiegare come gestire il denaro e pianificare le spese mostrando come vi mantenete informati sui movimenti del vostro conto bancario e prelevate i contanti - spiegano gli autori - però i ragazzi arriveranno a considerare tutto questo un'abitudine, e comprenderanno che a volte è opportuno rinunciare ad acquistare e consumare per rivolgere la propria attenzione ad altre priorità». Dopo il quadro spaventoso delineato all'inizio Baby Consumatori si conclude invece lasciando aperta la speranza che qualcosa può cominciare a cambiare anche lavorando giorno dopo giorno insieme con i propri i figli.
Vittorio Bonanni
10/07/2010
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(Gianni Rodari)
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
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