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AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA E LIBERO MERCATO

Post n°1062 pubblicato il 18 Giugno 2022 da rteo1

AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA E LIBERO MERCATO

L'autosufficienza energetica che l'Italia e gli altri Stati europei stanno perseguendo a seguito del conflitto tra la Russia e l'Ucraìna è compatibile con le leggi del libero mercato imposte dal capitalismo occidentale ? E in che modo e limiti quest'ultimo può avere senso, se si ritenga di dover scegliere la "tendenza autarchica", sia per il presente che per il prossimo futuro ? Dai summit e conferenze varie sembra emergere che un po' tutti gli Stati, Italia inclusa, non abbiano affrontato alla radice tali problemi che invece sono di fondamentale rilevanza, visto che prima delle armi (e anche durante e dopo) si pone sempre la politica, e in particolare la "politica economica", le relazioni diplomatiche e gli scambi commerciali. Indubbiamente la "imprevista" guerra alle porte dell'Unione Europea ha scosso gli schemi classici consolidatisi (e l'ordine internazionale costituito nel dopoguerra, erroneamente ritenuto immutabile) e ha inciso anche su molti rapporti politico-istituzionali, a tutti i livelli. Sono stati posti in essere pure dei comportamenti indotti più dalla emotività e inadeguatezza di alcuni leader governativi anziché dalla "ragione" (come, ad es., molte dichiarazioni rese fuori dalle righe da parte della diplomazia, ben lontane dalle buone regole e tradizioni). È però già passato ormai abbastanza tempo dall'inizio delle ostilità e già ci sono state migliaia di vittime innocenti perciò bisogna urgentemente ritrovare a tutti i livelli istituzionali il giusto equilibrio, che solo la "razionalità" (la concretezza) può assicurare, se si vuole perseguire il benessere generale dei cittadini e l'interesse degli Stati, senza mettere a rischio le deboli democrazie europee sensibili agli autoritarismi. Non ha più senso, perciò, continuare all'infinito con la litania che "c'è un aggredito e un aggressore", ormai a tutti chiaro e condiviso, e che occorra "spezzare le reni" (frase infausta, pure pronunciata da qualche individuo infelice e nostalgico) alla Russia per ridimensionarla sul piano militare e politico-economico-finanziario, ma bisogna iniziare a "ragionare" per uscire dalla spirale della guerra. Indubbiamente non è facile, adesso, perché quando una terapia s'inizia con il paziente in fin di vita la guarigione risulta essere più difficile e l'esito incerto. Eppure basta un minimo sforzo delle meningi per rendersi conto - visti i risultati sinora ottenuti - che occorre abbandonare il "masochismo collettivo" di continuare a  "farsi male" per fare un ipotetico "bene" che, in concreto, si sta rivelando invece peggiore del male che si vorrebbe impedire. Così come infatti si sta manifestando anche il continuo invio di ulteriori armi all'Ucraìna, a cui forse già da tempo non servono più per la riduzione dei soldati morti in combattimento, sia perché le spese gravano su molti bilanci statali in rosso (che stanno trascurando varie categorie di lavoratori ormai alla "fame"); inoltre perché l'abbondanza di armi alimenta il mercato criminale e perché le sole armi senza una corale, convinta e incisiva azione diplomatica degli Stati "non belligeranti", finalizzata alla ricerca della "pace" (parola diventata oscena perché consente ai "bellicisti" di associarla arbitrariamente ad una tendenza "filorussa"), può soltanto aggravare la situazione attuale sia in termini di perdite di vite umane che di distruzione delle città, dei territori. A ciò aggiungasi, inoltre, che il perdurare del conflitto sta influendo anche sugli scambi di generi alimentari (già scarseggiano i cereali, i fertilizzanti, e  prodotti similari), per cui molti Stati rischiano di non avere le risorse essenziali per "sfamare" i propri cittadini, e non solo nell'immediato ma anche nel prossimo futuro perché nei territori in guerra non si sta seminando e poi occorrerà anche sminarli. Se poi si considera anche che il clima atmosferico mondiale sta desertificando vaste aree della terra, un tempo fertili, si può forse comprendere quanto la situazione globale stia trasformandosi in una scena apocalittica, con a breve inevitabili disordini popolari a livello mondiale. E tuttavia gli Stati, soprattutto quelli europei, sembrano ormai entrati in una sorta di "trance" e "isteria" collettiva, lontane dal principio e valore del "bene umano" (convenzionalmente inteso)", che non coincide nè con quello dell'Ucraìna né con quello della Russia (e neppure degli USA e dell'Inghilterra, sempre inclini, per loro natura, più alla guerra che alla pace). È il "bene umano", infatti, nel senso "generale", universale, che gli Stati non direttamente belligeranti avrebbero dovuto perseguire diventando sin da subito una "forza d'interposizione" per mediare anziché coalizzarsi contro l'aggressore (e formalmente in favore dell'aggredito) senza allargare e approfondire la riflessione, anche acquisendo il contributo di cittadini "amanti della conoscenza" e non dell'improvvisazione. Serva, comunque, da esperienza, visto che con la logica degli "avvoltoi" le guerre non finiranno mai, nè si valorizza il ruolo dell'ONU che dev'essere la sede "naturale" per spegnere le pulsioni distruttive dei capi di Stato e di governo mondiali. Comunque, per ora il conflitto tra la Russia e l'Ucraina non accenna ad arrestarsi e prima che i danni risultino irreparabili è necessario sforzarsi per trovare il migliore rimedio possibile. È noto che finora, a livello europeo, nell'ambito delle diverse e molteplici sanzioni deliberate, è stata concordata la strategia di andare verso "l'autosufficienza energetica" per sottrarsi alla "dipendenza" del gas, del petrolio e del carbone importati dalla Russia. Certamente una soluzione che, a primo acchito, può sembrare positiva. Essa, tuttavia, deve essere inquadrata anche in un ambito più generale, che tenga conto del quadro politico-economico globale e delle relazioni tra Stati finora instaurate. È con quest'ottica, perciò, che dovrebbe essere vagliata la decisione europea di perseguire "l'autosufficienza energetica", per valutare se essa sia la migliore scelta possibile. Al riguardo, e più in generale, va ricordato che la soluzione politica dell'autosufficienza economica degli Stati era già ben nota nei tempi antichi. Socrate, rivolgendosi ai suoi concittadini ateniesi, li invitava a scegliere se costituire uno "Stato sano" oppure uno "Stato coi vizi", ossia del lusso. Nel primo caso, gli ateniesi si sarebbero dovuti "accontentare" di distribuire tutti e solo i prodotti del proprio territorio; nel secondo caso, invece, avrebbero dovuto mettere in conto di dover fare la guerra alle altre polis sia per estendere i propri confini territoriali sia per appropriarsi dei loro prodotti. Come ben si comprende, trattasi di due scelte "politiche" antitetiche. Il "commercio" però, per quanto limitato, ha sempre avuto un ruolo di collegamento tra i due modelli economici. Lo stesso è avvenuto nei secoli successivi, fino ai tempi più recenti, allorquando la "civiltà occidentale" è riuscita a sconfiggere l'economia statale pianificata dell'URSS (autarchia economica) e a imporre a livello globale le leggi del libero mercato del capitalismo americano, che hanno consentito ai popoli di ampliare la propria rete di relazioni, anche culturali, e di avere molte più risorse pro capite disponibili (ed è stato infatti proprio il "mercato" -M.E.C., Mercato Europeo Comune - l'embrione della odierna U.E.). I vantaggi (anche se con molti problemi tuttora irrisolti, come le diseguaglianze sociali e distributive) sono stati a tutti evidenti (soprattutto in occidente), tanto che anche molti Stati "comunisti", come la Cina e la Russia, abituati alla predetta economia pianificata (rivelatasi, nei fatti e nel tempo, fallimentare) si erano aperti al mercato occidentale, globalizzandolo, seppur facendo ricorso a una sorta di "capitalismo di Stato". La guerra tra la Russia e l'Ucraìna, però, sembra aver messo in discussione il progetto del libero mercato e la globalizzazione per effetto della esclusione, seppur con le sanzioni economico-politiche, della Russia. E così è stato avviato il processo di "autosufficienza energetica", sia a livello di ogni singolo Stato che  della U.E., la quale ha deciso di spendere oltre 300 miliardi di euro per raggiungere tale risultato entro alcuni anni. Inoltre, la stessa U.E., per fare fronte alle ingenti spese per gli armamenti da inviare all'Ucraina, al fine di farla difendere e respingere dal proprio territorio i russi, ha messo in conto di costituire un apposito Fondo (in aggiunta a quelli già esistenti) da alimentare con la emissione di nuove obbligazioni (bond), e così i cittadini, come ad es. gli italiani, si dovranno far carico anche degli ulteriori debiti della U.E., oltre, ovviamente, ai debiti nazionali (quello italiano ha raggiunto, a marzo, la notevole cifra di 2755 Mld di €.). Il governo italiano, da parte sua, per liberarsi dal vincolo contrattuale con i russi ha cercato altri fornitori soprattutto in alcuni Stati africani, come l'Angola, il Congo, che allo stato, però, non sarebbero in grado di soddisfare le richieste italiane. Sono state anche prese in considerazione le energie rinnovabili, da potenziare per fare fronte ai fabbisogni degli Stati. Ormai la nuova linea politico-economica dei governi europei sembra essere stata tracciata, anche in ordine alla difesa comune e alla costituzione di un esercito europeo. Sembra, però, che, come detto, a spingere le scelte degli Stati europei sia stata più la reazione emotiva, condizionata dalle iniziative ed esigenze americane e inglesi, e la incomprensibile ideologia di voler affermare la forza della democrazia contro gli Stati autocratici, quando invece era, ed è, di tutta evidenza che non è stata dichiarata alcuna guerra alla democrazia (ossia all'idea di partecipazione diretta del popolo ad alcune cariche dello Stato) ma sono in gioco solo interessi "materiali" e geostrategici. E così gli Stati dell'U.E. non hanno debitamente considerato che da tempo, ormai, il mondo era diventato "più piccolo" a causa dell'interconnessione geografica tra i popoli, gli Stati e, soprattutto, delle economie, che sono diventate interdipendenti, proprio a causa delle esigenze del capitalismo occidentale. Fermo restando, perciò, che occorreva certamente intervenire "Politicamente" nel conflitto tra la Russia e l'Ucraina, bisognava anche considerare però le conseguenze economico-finanziarie, soprattutto per l'Europa, dei suoi cittadini, oltre che sul piano globale. Ed era altresì necessario porsi anche la domanda se fosse o meno utile e opportuno limitare (o abbandonare) il libero mercato per scegliere l'autosufficienza economica (anche se, al momento, soprattutto energetica). A complicare, poi, ulteriormente, i rapporti internazionali è stata anche la richiesta della Ucraina di entrare a far parte della U.E., oltre che della NATO, nella quale hanno, altresì, deliberato di volerne far parte anche la Svezia e la Finlandia, ingenerando una serie di ulteriori frizioni geopolitiche (aggravate, inoltre, dalla crisi USA-Cina a causa dell'isola di Taiwan). Comunque, a rassicurare gli europei, sono intervenuti gli USA che hanno garantito la vendita delle risorse energetiche occorrenti (ma il costo sarà inevitabilmente superiore a circa il 30 percento, che per l'economia italiana non sarà certamente irrilevante). A quanto pare, però, le soluzioni che si stanno adottando, sia a livello nazionale che europeo (trascuro gli USA perché questi fanno bene i propri interessi, anche con la forza, quando non basta la diplomazia), non considerano adeguatamente che la scelta dell'autosufficienza energetica (una sorta di limitata, per ora, autarchia economica, che l'Italia ha già conosciuto ai tempi del fascismo, sebbene oggi avverrebbe non a causa del "boicottaggio", come allora, bensì per "libera" scelta) è, in linea di principio, inconciliabile col "libero mercato" che, invece, tende, secondo la "natura umana", ad espandersi, a globalizzarsi (fermo restando il limite dell'ecosostenibilità). L'energia è certamente il "motore" fondamentale dell'economia di tutti gli Stati, per cui bisogna porsi il problema del suo approvvigionamento, purtuttavia essa è comunque un "bene economico" che entra nel gioco complessivo del mercato di scambi di beni e servizi (così se la Russia fornisce il gas, il petrolio, il carbone, i fertilizzanti, i cereali, essa acquista, in cambio, altri prodotti). Perciò non va dimenticato che la "dipendenza energetica", era, ed è, opportuna e coerente con la logica capitalistica del libero mercato che esalta lo scambio di beni e servizi tra i diversi Popoli, mentre l'autosufficienza, invece, ne è l'antitesi perché "costringe" gli Stati a perseguire una "economia di sussistenza" (lo Stato socratico "sano" anziché di "lusso"). Ma meno beni disponibili sul mercato significa anche più cittadini (soprattutto gli emarginati) privati delle risorse necessarie. È perciò fondamentale che gli Stati scelgano con maggiore consapevolezza se continuare o meno ad avere relazioni diplomatiche e scambi commerciali "globali" oppure se limitarli (e a quale livello: occidentale, europeo, escludendo alcuni Stati, ecc.). Scegliere, cioè, se "chiudersi in casa", o in un recinto, oppure uscire nel giardino, all'aria aperta; di conoscere solo il vicino oppure tutti gli altri popoli della terra. Il vero problema, perciò, non è quello dell'autosufficienza energetica (che può anche essere "tendenzialmente" perseguita) ma delle leggi del "libero mercato" che, come detto e lo si ribadisce, sono incompatibili "con "l'autarchia economica", ma anche e soprattutto con le guerre. D'altronde è facile comprendere che a fronte di molteplici innegabili svantaggi derivanti dal "libero mercato il fondamentale "vantaggio", invece, degli Stati" è quello di acquistare beni e servizi a prezzi concorrenziali e di poter aumentare la propria produttività valorizzando al massimo le proprie risorse, il proprio patrimonio, ambientale, artistico, paesaggistico, storico, culturale. In altri termini, piaccia o meno, ma in un contesto di "libero mercato" globale  risulta essere positivo comprare il gas, se costa meno che estrarlo, e vendere i propri prodotti (ad es. la manifattura italiana) e servizi (turismo, ecc.). Il "libero mercato", però, e bisogna farsene una ragione, è incompatibile con le guerre (soprattutto di lunga durata) perché esso necessita della "pace", la quale, peraltro, dà anche maggiore benessere ai popoli e richiede anche minori spese, come scriveva già nel 1782 Gaetano Filangieri nell'opera "La scienza della legislazione": «La guerra ha in tutti i luoghi, e in tutti i tempi richieste maggiori spese, che la pace». E la "pace" -"bene umano"-, è strettamente connessa con la "ragione", così come la guerra - "male umano"- lo è con l'irrazionalità, le pulsioni distruttive. La scelta dell'una o dell'altra non è certamente facile perché implica che gli uomini debbano fare uno sforzo su se stessi per "addomesticare" le pulsioni bellicose ed esaltare il ruolo della "ragione". Così come dovranno fare anche gli Stati, sempre inclini ad affermare la propria volontà di potenza, soprattutto con la forza delle armi. Ma non vi è dubbio che rispetto all'autarchia economica (o autosufficienza) la politica economica del "libero mercato" faciliti la pace perché oltre ad aumentare la produzione e la produttività dei singoli Stati consente di instaurare relazioni tra i Popoli e di rendere la terra il pianeta di tutti, superando, nel tempo, in futuro, le attuali gabbie mentali e geopolitiche che costituiscono il vero  problema virale per l'evoluzione civile dei Popoli e degli Stati.

 
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