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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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Messaggi di Giugno 2022

UN BUON STATISTA Č SOLO UN POLITICO E MAI UN TECNICO

Post n°1065 pubblicato il 30 Giugno 2022 da rteo1

UN BUON STATISTA È SOLO UN POLITICO E MAI UN TECNICO

La guerra tra la Russia e l'Ucraìna oltre ai tantissimi problemi, di vario ordine e grado, che sta diffondendo, soprattutto a livello europeo, sta anche ponendo l'interrogativo ai cittadini di chi possa essere ritenuto "statista" tra i diversi capi di governo che hanno la responsabilità di decidere il destino dei popoli. Ovviamente, per poter dare una riposta a tale quesito, occorre stabilire che cosa si debba intendere per "statista". Una opinione comune e corrente differenzia il "politico" dallo "statista" ritenendo, il primo, come colui che agisce sul presente, sul contingente, mentre il secondo, invece, avrebbe una visione proiettata sul futuro, nel senso che sarebbe capace di "prevedere" come si evolverà la società e il contesto generale e approntare in anticipo i giusti e opportuni rimedi. Può darsi che questa distinzione sia soddisfacente, tuttavia essa non consente di "parametrare" i risultati, e quindi di "oggettivare" il giudizio. Per questo occorre avere degli schemi, possibilmente semplificati, per esprimere, a colpo d'occhio, una valutazione sul capo del governo, onde considerarlo o meno "statista". Ebbene, a tal fine, si ritiene essere utile partire dai "fondamentali" dello "Stato", sia inteso, quest'ultimo, in senso tecnico-giuridico, sia in senso politico, come Repubblica e Popolo. I "fondamentali" sono - e non possono non essere  - i dati economico-contabili dai quali è possibile desumere il livello di benessere generale dei cittadini: Pil, occupazione-disoccupazione, debito pubblico, numero dei reati consumati, relazioni diplomatiche, ordine pubblico e sicurezza, numero di poveri, ecc. Sono tutti questi dati, perciò, che ad ogni "cambio" della guida del governo bisogna fare riferimento per poter valutare, ad ogni fase successiva, e alla fine del mandato, coi "risultati alla mano", se il capo del governo sia stato un buono o pessimo "statista". Non vi è dubbio che se un capo del governo quando assuma l'incarico "erediti" un debito pari al 150% del Pil e faccia lievitare questo rapporto, aggravando il debito, sia difficile poter esprimere un "voto" positivo, anche se tale dato da solo non è sufficiente. Ma se ad esso si aggiungesse anche l'aumento del numero di disoccupati, dei poveri, delle imprese che chiudono, ecc., di certo non sarebbe più un azzardo valutare come inadeguato il capo del governo in carica. Anche rispetto alle relazioni diplomatiche, ovviamente, con gli altri Stati, e non solo quelli cosiddetti "alleati" politicamente (come l'U.E.) e militarmente (NATO) ma anche con quelli con cui si hanno interessi economici e scambi commerciali. Uno "statista", infatti, deve essere sempre in grado di garantire la "pace" al suo popolo perché la "pace" è la condizione necessarie ed essenziale per una vita serena. Grazie alla "pace" i popoli progrediscono, mentre si abbrutiscono e arretrano culturalmente e come civiltà quando scelgano la strada della "guerra". E questa non può mai giustificarsi sol perché si faccia parte di un'alleanza militare quando non risulta possibile escludere in assoluto che siano state tentate tutte le soluzioni possibili per evitare la guerra. Va sempre tenuto ben presente, infatti, che esiste sempre almeno una soluzione possibile per evitare la guerra e non averla trovata depone già negativamente sul giudizio da dare sul capo del governo. Comunque, osservando la situazione generale, visti gli scarsi risultati finora conseguiti, sia a livello dei singoli Stati, che Europeo e internazionale, si può certamente affermare che il capo del governo non ha superato ancora l'esame. Per quanto gli osanna non manchino, e se ne celebrino le abilità ineguagliabili. Di certo alcune esternazioni, con ricadute sulle relazioni diplomatiche, non depongono bene, soprattutto se raffrontate con i comportamenti "felpati" tenuti dai capi di governo con maggiore caratura politica (e forse una prima differenza sta già in questo: capo del governo tecnico e capo del governo politico). Un ulteriore riferimento, però, per valutare lo "statista" di turno è certamente il regime costituzionale in cui esso si collochi. Una cosa, infatti, è il contesto monarchico, altra cosa, invece, è una repubblica. In quest'ultima, infatti, se  è caratterizzata in senso  democratico, lo "statista" deve sempre perseguire l'interesse della democrazia, ossia del Popolo in senso generale, assoluto, affinché il popolo non subisca danni sia rispetto al livello di benessere che di sicurezza collettiva e individuale. Le decisioni, quindi, dello "statista democratico" non possono essere mai prese contro l'interesse generale del Popolo, neppure se - come innanzi detto - si faccia parte di un'alleanza politico-economica (U.E.) o politico-militare (NATO). Lo statista, infatti, non è il "dittatore" che può prendere decisioni indipendenti e autonome, secondo la sua personale visione del mondo e della politica. Perciò egli potrebbe pure essere di diverso avviso rispetto alla volontà popolare ma non ne può prescindere se è al servizio della democrazia e si troverebbe irrimediabilmente nel "torto politico" se dalle sue decisioni il Popolo ne ricevesse dei danni. Relativamente a questi, poi, va detto che qualsiasi "statista" che conduca il Popolo alla guerra è sempre un pessimo statista. Soltanto gli "Statisti" che riescono ad evitare la guerra al proprio popolo sono degni di essere stimati come statisti. Non c'è mai alcuna giustificazione, neppure se fosse una "guerra di difesa", perché anche in questo caso vorrebbe dire che lo statista non è stato in grado di trovare la migliore soluzione possibile (ce n'è sempre una, almeno) per evitare la guerra, e quindi impedire la inutile perdita di vite umane e la distruzione dei territori. Ecco perché, di fronte alla guerra tra la Russia e l'Ucraìna non è assolutamente possibile sostenere che i due capi di Stato (Putin e Zelensky) siano degli "statisti", come neppure si può sostenere che lo siano quelli americano e inglese. Anzi, è proprio il bellicismo irrazionale di questi ultimi a non renderli "statisti". Così come non è possibile rinvenirli a livello europeo dove alcuni rappresentanti delle istituzioni (a cominciare dalla presidente della Commissione che vuole "vincere la guerra contro la Russia, al presidente del Consiglio europeo e del presidente del Parlamento, che sono sulla stessa linea del fronte) stanno trascinando i Popoli dell'Unione e nazionali in una guerra indiretta (per ora), propagandata come a favore dell'aggredito contro l'aggressore e per la libertà e la democrazia. In verità la cosa più difficile da fare per uno statista è garantire la pace e non fare la guerra. Questa, infatti, è il comportamento più stolto e primitivo possibile che fa regredire gli uomini al loro stadio originario, ossia quello animalesco. Soltanto la Pace, perciò, è il prodotto migliore della civiltà, che vuol dire anche cultura, progresso, saggezza, equilibrio, razionalità, conoscenza, valori umani. Si potrebbe, perciò, concludere che è statista colui che evita al suo popolo di fare una guerra, diretta o indiretta, di offesa o di difesa; e, inoltre, colui che garantisce a tutti i propri cittadini il migliore benessere possibile. E questo benessere non sembra essere compatibile col riarmo in corso né con l'allargamento e l'ampliamento della NATO, strumento militare di offesa, sostanziale, e di difesa, formale. Da quanto precede ne deriva, per ora, che i giudizi positivi finora espressi sull'attuale premiership siano stati piuttosto esagerati; essi andrebbero rivisti, e comunque sembra essere saggio "sospendere il giudizio", in attesa di raffrontare meglio e in modo oggettivo tutti i dati economico-finanziari e delle relazioni diplomatiche con quelli esistenti alla data dell'assunzione della guida del governo. Una prima conclusione, tuttavia, sembra già possibile: tra un "tecnico", per quanto bravo, e un "politico" è sempre meglio quest'ultimo alla guida del governo quando le soluzioni devono essere politiche, come nell'attuale crisi determinata dalla guerra tra la Russia e l'Ucraina.

 
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UMANO, ESSERE-UMANO E LIBERO-PENSIERO

Post n°1064 pubblicato il 18 Giugno 2022 da rteo1

UMANO, ESSERE-UMANO E LIBERO-PENSIERO

di T. R.

Parafrasando e liberamente interpretando il pensiero di Parmenide mi viene da scrivere che "l'essere umano è, e non può non essere" e che "l'essere non umano non può essere umano". L'essere, perciò, "è", ciò che "è" e non può essere altro, diverso da quello che "è". Durante il "divenire" egli si "trasforma", a partire dall'origine, cui seguono la crescita, lo sviluppo, la procreazione e la fine del ciclo. Sia individuale che collettivo, sia delle città che delle civiltà. Così come argutamente scriveva G.B. Vico, ma già era arcinoto ai filosofi Greci, che inserivano tali cicli in quello più generale della natura. Anche "l'essere non umano" ha il proprio ciclo. Non esiste, comunque, almeno nella forma fenomenica, un "non essere", se non nella distinzione che precede, ossia tra "essere umano" e "essere non umano". Ma senza alcun giudizio di valore, come spesso si usa fare, né di rilevanza o primogenitura nel cosmo perché quivi "l'Uno" e il "molteplice" si fondono, sono la stessa cosa. Gli "esseri umani" nel corso dei millenni hanno "creato" sovrastrutture nelle quali hanno disciplinato i loro comportamenti, non più secondo natura ma secondo "convenzioni". Il "diritto", la morale, l'etica, la scienza, le lettere, l'arte, le istituzioni, ne sono i prodotti, "grazie ai quali" viene disciplinata la "convivenza", sia tra singoli che tra gruppi, organizzati in società e Stati. Anche questi, seguono le regole delle "convenzioni" (trattati, in genere), senza aver, tuttavia, mai abbandonata la forza della violenza delle armi, come è avvenuto nella guerra tra la Russia e l'Ucraina. In questi casi, come noto, la barbarie prende il sopravvento e orienta tutti i comportamenti degli esseri umani, sia posti ai vertici delle istituzioni di governo sia dei semplici cittadini. Tutti prendono parte ai conflitti, e tutti secondo "ragione", ma mai come in questi casi la "ragione" si rivela per ciò che essa è: "convenzione". E così si constata che l'essere umano è anche irrazionalità, follia, inconscio. Lo "scibile" umano ha descritto l'essere umano in una miriade di forme, attività, e tutte le sue "creazioni" ne costituiscono il migliore "prodotto" per poterlo decriptare. Una cosa è però certa: è un essere relativo, come sosteneva Protagora, anche se l'essere umano è sempre più convinto di essere stato "prescelto" per compiere "La Missione" e di conoscere l'Assoluto. Ma un essere "finito" non può conoscere "l'infinito". Perciò "l'essere umano è ciò che è" e non può essere "altro". Se proprio una distinzione si vuole tentare è quella che riguarda le "convenzioni" in virtù delle quali si usano indifferentemente i termini di essere umano e di uomo (o umano). Ad es., nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 si legge che «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti» (art.1); nella Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950: «Obbligo di rispettare i diritti dell'uomo» (art.1); nella Costituzione italiana è sancito che « La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art.2). Invece, nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, si dichiara che «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti» (art.1). Come si vede, uomini, uomo ed esseri umani sono equivalenti, alternativi, sinonimi, secondo le "convenzioni". Eppure, volendo "spigolare", si potrebbe rilevare tra tali termini una certa differenza, e forse non soltanto formale. Ne propongo una. Le "distinzioni" sottendono due differenti "fedi": laica e religiosa, materiale e spirituale. Dire "uomo o uomini", perciò, è diverso che dire "esseri umani". Nel primo caso l'Essere non ha alcuna rilevanza, nessun collegamento, nessuna importanza: l'uomo è l'uomo e basta (lo zoon Politikon di Aristotele, per capirci). Nel secondo caso, invece, l'uomo è parte dell'Essere, perciò "essere umano". In verità è quest'ultimo concetto ad essere più problematico perché porta sia a sostenere che l'Essere "abita" l'umano, sia che quest'ultimo sia in costante collegamento con l'Essere supremo. E da queste due convinzioni  conseguono la "sacralità" dell'essere umano, la primogenitura di questi, ma anche i "conflitti" per avere il monopolio della rappresentanza terrena. Tralasciando, qui, queste problematiche di tipo "religioso", può essere utile, invece, ricercare delle "peculiarità" sia dell'uomo che dell'essere umano rispetto alle "convenzioni", in particolare rispetto alla "libertà di pensiero". È questa, infatti, a mio avviso, la vera e unica caratteristica degli esseri umani, tanto che tutti gli ordinamenti la "temono" e la disciplinano. I tempi bui del medioevo per fortuna sono ormai passati, anche se la ciclicità degli eventi li riporta nella storia umana. Oggi sembra che stiano avanzando, e ciò lo si è visto sia a causa della pandemia che della guerra che hanno dato ai governanti (e alla maggioranza dei cittadini) il potere di limitare (o cancellare) il "diritto di critica", che è una forma della libera espressione del pensiero. Resiste, comunque, il valore della scienza, grazie alla quale è stato possibile comprendere anche l'origine dell'universo e la sua evoluzione. Anche se molte cose ancora si ignorano, ma ormai la strada della scienza è stata tracciata e la tecnologia concorre a scoprire anche i segreti più microscopici della natura. Prima o poi altre scoperte si aggiungeranno a quelle finora conseguite e il genere umano farà un ulteriore "salto evolutivo" (salvo che la "follia" non lo riporti all'età della pietra o alla scomparsa definitiva). Come è avvenuto con  le teorie della relatività sia ristretta che generale di Einstein e nei tempi più recenti con la teoria dei quanti. L'importante, comunque, è che i "custodi" della "fede" non divengano intolleranti così come purtroppo ormai lo sono diventati molti governanti, anche spacciatisi per "liberali e democratici", e sia sempre consentito al "pensiero" di essere "libero" di procedere verso (o dentro) la "verità". È infatti solo il "libero-pensiero" che eleva l'uomo e gli consente di immaginare "l'Assoluto", oltre che capire quanto a volte siano "miseri" gli umani, anche incaricati di responsabilità piramidali. E forse è proprio per impedire che l'uomo divenga consapevole di sé e, come Terenzio, conosca meglio tutti i vizi dei suoi simili, che si tende ad imporre sempre il "pensiero dominante" come "unico" e a reprimere quello delle minoranze e degli intellettuali illuminati e impegnati. È un dato di fatto, facilmente verificabile, che tutti i governanti, in genere, e gli ordinamenti giuridici, siano inclini ad ostacolare o impedire, con il perimetro spesso angusto della "legalità" sostenuta dalle sanzioni penali, il libero esercizio del pensiero. Anche di quello del mondo dell'arte, della scrittura, e persino di quello dei Poeti, che con la loro ispirazione riescono ad uscire dagli schemi sociali artificiali e a cogliere "il senso" che sta oltre il reale. Epperò più una società coltiva il libero-pensiero, lo premia, lo valorizza, lo stimola, e più esce dalla "caverna" di Platone, soprattutto quando tale scelta "liberale" consenta di mettere in discussione i pregiudizi, l'intolleranza, le arbitrarie diseguaglianze sociali ed economiche e le caste e classi professionali e istituzionali. Purtroppo le tendenze "umane" sono spesso "autolimitative". Basta, infatti, riflettere sulle varie e diverse consorterie di tipo associativo per rendersi conto di quanto gli "umani" adorino le "gerarchie", alle quali si sottopongono con non poco piacere. Non si tratta, infatti, come si vuole credere, di "socialità" (e comunque non soltanto) ma di "rinunciare" all'esercizio del libero pensiero, demandando ad altri il potere di pensare e decidere. E così si afferma l'appartenenza, l'essere di parte (come nei "partiti"), a prescindere dalla riflessione, dal "giudizio critico". È certamente un "male", perché, come sopra detto, solo grazie al "libero pensiero" l'umano può essere definito "essere umano". Altrimenti, rimane soltanto "umano", ma nel senso stretto della natura, come specie tra i milioni di specie. Occorrerebbe, perciò, "demolire" le costruzioni mentali, abbattere i muri, i confini, per guardare il cielo sovrastante e l'universo intero. Anche quello che è dentro di sé, che ognuno può conoscere, solo se lo si voglia. L'unica guida, infatti, è la "Verità", che è la sintesi della "verità e della menzogna". Così come sosteneva Hegel, secondo il quale "La verità è l'intero" e "l'Assoluto è la risultante di tutte le mediazioni del reale nel divenire". L'unica vera peculiarità dell'essere umano è perciò sempre e solo il "pensiero". È soltanto quest'ultimo, infatti, che  consente di "dialogare", sia all'interno di se stessi, anche mediante la "critica" del proprio pensiero, sia verso l'esterno, quando si rivolga il "pensiero" all'Assoluto, al mondo esterno e all'ultraterreno. Il pensiero, però, capace di "dialogare", nell'uno e nell'altro caso, dev'essere necessariamente libero da ogni e qualsiasi condizionamento, di nessuna natura, né politica, né giuridica, né tantomeno religiosa o sociale. Occorre però sempre ricordare che l'uomo non è altro che un organismo "relativo", perciò anche le sue idee ritenute "assolute" sono sempre e solo relative. Perciò è puro fanatismo assolutizzare le proprie convinzioni contro il "relativismo" nei rapporti civili e di ogni altra e diversa natura. Ogni cosa, incluso il pensiero, nel mondo fenomenico si "manifesta" in modo "dialogico", apparentemente conflittuale, e questo è la conseguenza dell'essere "relativi". Soltanto nell'Assoluto, infatti, è tutto indistinto, indeterminato, illimitato, eterno. L'uomo, quindi, è soltanto un semplice "mediatore". E le sue idee sono "necessariamente" conflittuali, sia che abbiano un collegamento con l'Assoluto, sia che si originino solo all'interno di se stesso, mediante un semplice, per quanto complesso, processo biochimico. Il dualismo conflittuale, perciò, è parte dell'essere umano ma anche dell'umano, anche quando si manifesti in modo distruttivo. E l'uomo è "dentro il mondo" e non "fuori dal mondo". Non un semplice osservatore, ma parte attiva e passiva del mondo. Tuttavia l'essere-umano ha la possibilità di esprimersi come "essere", collegato all'illimitato (Àpeiron, di Anassimandro), da cui è uscito per "entrare" nel mondo reale, anziché agire come semplice "umano" assecondando la sua natura. Dipende soltanto da lui la "scelta": decidere se conservare in sé il suo "essere", oppure allontanarsene e porsi temporaneamente in contrapposizione all'Assoluto, ove tuttavia dovrà fare comunque ritorno, perché è il prezzo da pagare per essersi differenziato dall'illimitato. Sarebbe, perciò, una "buona" scelta per l'essere-umano rivendicare ed esercitare sempre il "libero-pensiero" durante la sua esistenza perché è l'unico modo per fondere la duale soggettività di "essere" e di "umano", come energia-materia, o spirito-materia, nel proprio "divenire" sospinto dalla "freccia del tempo". E grazie a tale "fusione" l'essere-umano col libero pensiero potrà anche trascendersi per impedire (o limitare) gli "opposti" (bene e male, pace e guerra, odio e amore,ecc.), che agiscono nel solo mondo "relativo" e non nell'Assoluto. 

 
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AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA E LIBERO MERCATO

Post n°1062 pubblicato il 18 Giugno 2022 da rteo1

AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA E LIBERO MERCATO

L'autosufficienza energetica che l'Italia e gli altri Stati europei stanno perseguendo a seguito del conflitto tra la Russia e l'Ucraìna è compatibile con le leggi del libero mercato imposte dal capitalismo occidentale ? E in che modo e limiti quest'ultimo può avere senso, se si ritenga di dover scegliere la "tendenza autarchica", sia per il presente che per il prossimo futuro ? Dai summit e conferenze varie sembra emergere che un po' tutti gli Stati, Italia inclusa, non abbiano affrontato alla radice tali problemi che invece sono di fondamentale rilevanza, visto che prima delle armi (e anche durante e dopo) si pone sempre la politica, e in particolare la "politica economica", le relazioni diplomatiche e gli scambi commerciali. Indubbiamente la "imprevista" guerra alle porte dell'Unione Europea ha scosso gli schemi classici consolidatisi (e l'ordine internazionale costituito nel dopoguerra, erroneamente ritenuto immutabile) e ha inciso anche su molti rapporti politico-istituzionali, a tutti i livelli. Sono stati posti in essere pure dei comportamenti indotti più dalla emotività e inadeguatezza di alcuni leader governativi anziché dalla "ragione" (come, ad es., molte dichiarazioni rese fuori dalle righe da parte della diplomazia, ben lontane dalle buone regole e tradizioni). È però già passato ormai abbastanza tempo dall'inizio delle ostilità e già ci sono state migliaia di vittime innocenti perciò bisogna urgentemente ritrovare a tutti i livelli istituzionali il giusto equilibrio, che solo la "razionalità" (la concretezza) può assicurare, se si vuole perseguire il benessere generale dei cittadini e l'interesse degli Stati, senza mettere a rischio le deboli democrazie europee sensibili agli autoritarismi. Non ha più senso, perciò, continuare all'infinito con la litania che "c'è un aggredito e un aggressore", ormai a tutti chiaro e condiviso, e che occorra "spezzare le reni" (frase infausta, pure pronunciata da qualche individuo infelice e nostalgico) alla Russia per ridimensionarla sul piano militare e politico-economico-finanziario, ma bisogna iniziare a "ragionare" per uscire dalla spirale della guerra. Indubbiamente non è facile, adesso, perché quando una terapia s'inizia con il paziente in fin di vita la guarigione risulta essere più difficile e l'esito incerto. Eppure basta un minimo sforzo delle meningi per rendersi conto - visti i risultati sinora ottenuti - che occorre abbandonare il "masochismo collettivo" di continuare a  "farsi male" per fare un ipotetico "bene" che, in concreto, si sta rivelando invece peggiore del male che si vorrebbe impedire. Così come infatti si sta manifestando anche il continuo invio di ulteriori armi all'Ucraìna, a cui forse già da tempo non servono più per la riduzione dei soldati morti in combattimento, sia perché le spese gravano su molti bilanci statali in rosso (che stanno trascurando varie categorie di lavoratori ormai alla "fame"); inoltre perché l'abbondanza di armi alimenta il mercato criminale e perché le sole armi senza una corale, convinta e incisiva azione diplomatica degli Stati "non belligeranti", finalizzata alla ricerca della "pace" (parola diventata oscena perché consente ai "bellicisti" di associarla arbitrariamente ad una tendenza "filorussa"), può soltanto aggravare la situazione attuale sia in termini di perdite di vite umane che di distruzione delle città, dei territori. A ciò aggiungasi, inoltre, che il perdurare del conflitto sta influendo anche sugli scambi di generi alimentari (già scarseggiano i cereali, i fertilizzanti, e  prodotti similari), per cui molti Stati rischiano di non avere le risorse essenziali per "sfamare" i propri cittadini, e non solo nell'immediato ma anche nel prossimo futuro perché nei territori in guerra non si sta seminando e poi occorrerà anche sminarli. Se poi si considera anche che il clima atmosferico mondiale sta desertificando vaste aree della terra, un tempo fertili, si può forse comprendere quanto la situazione globale stia trasformandosi in una scena apocalittica, con a breve inevitabili disordini popolari a livello mondiale. E tuttavia gli Stati, soprattutto quelli europei, sembrano ormai entrati in una sorta di "trance" e "isteria" collettiva, lontane dal principio e valore del "bene umano" (convenzionalmente inteso)", che non coincide nè con quello dell'Ucraìna né con quello della Russia (e neppure degli USA e dell'Inghilterra, sempre inclini, per loro natura, più alla guerra che alla pace). È il "bene umano", infatti, nel senso "generale", universale, che gli Stati non direttamente belligeranti avrebbero dovuto perseguire diventando sin da subito una "forza d'interposizione" per mediare anziché coalizzarsi contro l'aggressore (e formalmente in favore dell'aggredito) senza allargare e approfondire la riflessione, anche acquisendo il contributo di cittadini "amanti della conoscenza" e non dell'improvvisazione. Serva, comunque, da esperienza, visto che con la logica degli "avvoltoi" le guerre non finiranno mai, nè si valorizza il ruolo dell'ONU che dev'essere la sede "naturale" per spegnere le pulsioni distruttive dei capi di Stato e di governo mondiali. Comunque, per ora il conflitto tra la Russia e l'Ucraina non accenna ad arrestarsi e prima che i danni risultino irreparabili è necessario sforzarsi per trovare il migliore rimedio possibile. È noto che finora, a livello europeo, nell'ambito delle diverse e molteplici sanzioni deliberate, è stata concordata la strategia di andare verso "l'autosufficienza energetica" per sottrarsi alla "dipendenza" del gas, del petrolio e del carbone importati dalla Russia. Certamente una soluzione che, a primo acchito, può sembrare positiva. Essa, tuttavia, deve essere inquadrata anche in un ambito più generale, che tenga conto del quadro politico-economico globale e delle relazioni tra Stati finora instaurate. È con quest'ottica, perciò, che dovrebbe essere vagliata la decisione europea di perseguire "l'autosufficienza energetica", per valutare se essa sia la migliore scelta possibile. Al riguardo, e più in generale, va ricordato che la soluzione politica dell'autosufficienza economica degli Stati era già ben nota nei tempi antichi. Socrate, rivolgendosi ai suoi concittadini ateniesi, li invitava a scegliere se costituire uno "Stato sano" oppure uno "Stato coi vizi", ossia del lusso. Nel primo caso, gli ateniesi si sarebbero dovuti "accontentare" di distribuire tutti e solo i prodotti del proprio territorio; nel secondo caso, invece, avrebbero dovuto mettere in conto di dover fare la guerra alle altre polis sia per estendere i propri confini territoriali sia per appropriarsi dei loro prodotti. Come ben si comprende, trattasi di due scelte "politiche" antitetiche. Il "commercio" però, per quanto limitato, ha sempre avuto un ruolo di collegamento tra i due modelli economici. Lo stesso è avvenuto nei secoli successivi, fino ai tempi più recenti, allorquando la "civiltà occidentale" è riuscita a sconfiggere l'economia statale pianificata dell'URSS (autarchia economica) e a imporre a livello globale le leggi del libero mercato del capitalismo americano, che hanno consentito ai popoli di ampliare la propria rete di relazioni, anche culturali, e di avere molte più risorse pro capite disponibili (ed è stato infatti proprio il "mercato" -M.E.C., Mercato Europeo Comune - l'embrione della odierna U.E.). I vantaggi (anche se con molti problemi tuttora irrisolti, come le diseguaglianze sociali e distributive) sono stati a tutti evidenti (soprattutto in occidente), tanto che anche molti Stati "comunisti", come la Cina e la Russia, abituati alla predetta economia pianificata (rivelatasi, nei fatti e nel tempo, fallimentare) si erano aperti al mercato occidentale, globalizzandolo, seppur facendo ricorso a una sorta di "capitalismo di Stato". La guerra tra la Russia e l'Ucraìna, però, sembra aver messo in discussione il progetto del libero mercato e la globalizzazione per effetto della esclusione, seppur con le sanzioni economico-politiche, della Russia. E così è stato avviato il processo di "autosufficienza energetica", sia a livello di ogni singolo Stato che  della U.E., la quale ha deciso di spendere oltre 300 miliardi di euro per raggiungere tale risultato entro alcuni anni. Inoltre, la stessa U.E., per fare fronte alle ingenti spese per gli armamenti da inviare all'Ucraina, al fine di farla difendere e respingere dal proprio territorio i russi, ha messo in conto di costituire un apposito Fondo (in aggiunta a quelli già esistenti) da alimentare con la emissione di nuove obbligazioni (bond), e così i cittadini, come ad es. gli italiani, si dovranno far carico anche degli ulteriori debiti della U.E., oltre, ovviamente, ai debiti nazionali (quello italiano ha raggiunto, a marzo, la notevole cifra di 2755 Mld di €.). Il governo italiano, da parte sua, per liberarsi dal vincolo contrattuale con i russi ha cercato altri fornitori soprattutto in alcuni Stati africani, come l'Angola, il Congo, che allo stato, però, non sarebbero in grado di soddisfare le richieste italiane. Sono state anche prese in considerazione le energie rinnovabili, da potenziare per fare fronte ai fabbisogni degli Stati. Ormai la nuova linea politico-economica dei governi europei sembra essere stata tracciata, anche in ordine alla difesa comune e alla costituzione di un esercito europeo. Sembra, però, che, come detto, a spingere le scelte degli Stati europei sia stata più la reazione emotiva, condizionata dalle iniziative ed esigenze americane e inglesi, e la incomprensibile ideologia di voler affermare la forza della democrazia contro gli Stati autocratici, quando invece era, ed è, di tutta evidenza che non è stata dichiarata alcuna guerra alla democrazia (ossia all'idea di partecipazione diretta del popolo ad alcune cariche dello Stato) ma sono in gioco solo interessi "materiali" e geostrategici. E così gli Stati dell'U.E. non hanno debitamente considerato che da tempo, ormai, il mondo era diventato "più piccolo" a causa dell'interconnessione geografica tra i popoli, gli Stati e, soprattutto, delle economie, che sono diventate interdipendenti, proprio a causa delle esigenze del capitalismo occidentale. Fermo restando, perciò, che occorreva certamente intervenire "Politicamente" nel conflitto tra la Russia e l'Ucraina, bisognava anche considerare però le conseguenze economico-finanziarie, soprattutto per l'Europa, dei suoi cittadini, oltre che sul piano globale. Ed era altresì necessario porsi anche la domanda se fosse o meno utile e opportuno limitare (o abbandonare) il libero mercato per scegliere l'autosufficienza economica (anche se, al momento, soprattutto energetica). A complicare, poi, ulteriormente, i rapporti internazionali è stata anche la richiesta della Ucraina di entrare a far parte della U.E., oltre che della NATO, nella quale hanno, altresì, deliberato di volerne far parte anche la Svezia e la Finlandia, ingenerando una serie di ulteriori frizioni geopolitiche (aggravate, inoltre, dalla crisi USA-Cina a causa dell'isola di Taiwan). Comunque, a rassicurare gli europei, sono intervenuti gli USA che hanno garantito la vendita delle risorse energetiche occorrenti (ma il costo sarà inevitabilmente superiore a circa il 30 percento, che per l'economia italiana non sarà certamente irrilevante). A quanto pare, però, le soluzioni che si stanno adottando, sia a livello nazionale che europeo (trascuro gli USA perché questi fanno bene i propri interessi, anche con la forza, quando non basta la diplomazia), non considerano adeguatamente che la scelta dell'autosufficienza energetica (una sorta di limitata, per ora, autarchia economica, che l'Italia ha già conosciuto ai tempi del fascismo, sebbene oggi avverrebbe non a causa del "boicottaggio", come allora, bensì per "libera" scelta) è, in linea di principio, inconciliabile col "libero mercato" che, invece, tende, secondo la "natura umana", ad espandersi, a globalizzarsi (fermo restando il limite dell'ecosostenibilità). L'energia è certamente il "motore" fondamentale dell'economia di tutti gli Stati, per cui bisogna porsi il problema del suo approvvigionamento, purtuttavia essa è comunque un "bene economico" che entra nel gioco complessivo del mercato di scambi di beni e servizi (così se la Russia fornisce il gas, il petrolio, il carbone, i fertilizzanti, i cereali, essa acquista, in cambio, altri prodotti). Perciò non va dimenticato che la "dipendenza energetica", era, ed è, opportuna e coerente con la logica capitalistica del libero mercato che esalta lo scambio di beni e servizi tra i diversi Popoli, mentre l'autosufficienza, invece, ne è l'antitesi perché "costringe" gli Stati a perseguire una "economia di sussistenza" (lo Stato socratico "sano" anziché di "lusso"). Ma meno beni disponibili sul mercato significa anche più cittadini (soprattutto gli emarginati) privati delle risorse necessarie. È perciò fondamentale che gli Stati scelgano con maggiore consapevolezza se continuare o meno ad avere relazioni diplomatiche e scambi commerciali "globali" oppure se limitarli (e a quale livello: occidentale, europeo, escludendo alcuni Stati, ecc.). Scegliere, cioè, se "chiudersi in casa", o in un recinto, oppure uscire nel giardino, all'aria aperta; di conoscere solo il vicino oppure tutti gli altri popoli della terra. Il vero problema, perciò, non è quello dell'autosufficienza energetica (che può anche essere "tendenzialmente" perseguita) ma delle leggi del "libero mercato" che, come detto e lo si ribadisce, sono incompatibili "con "l'autarchia economica", ma anche e soprattutto con le guerre. D'altronde è facile comprendere che a fronte di molteplici innegabili svantaggi derivanti dal "libero mercato il fondamentale "vantaggio", invece, degli Stati" è quello di acquistare beni e servizi a prezzi concorrenziali e di poter aumentare la propria produttività valorizzando al massimo le proprie risorse, il proprio patrimonio, ambientale, artistico, paesaggistico, storico, culturale. In altri termini, piaccia o meno, ma in un contesto di "libero mercato" globale  risulta essere positivo comprare il gas, se costa meno che estrarlo, e vendere i propri prodotti (ad es. la manifattura italiana) e servizi (turismo, ecc.). Il "libero mercato", però, e bisogna farsene una ragione, è incompatibile con le guerre (soprattutto di lunga durata) perché esso necessita della "pace", la quale, peraltro, dà anche maggiore benessere ai popoli e richiede anche minori spese, come scriveva già nel 1782 Gaetano Filangieri nell'opera "La scienza della legislazione": «La guerra ha in tutti i luoghi, e in tutti i tempi richieste maggiori spese, che la pace». E la "pace" -"bene umano"-, è strettamente connessa con la "ragione", così come la guerra - "male umano"- lo è con l'irrazionalità, le pulsioni distruttive. La scelta dell'una o dell'altra non è certamente facile perché implica che gli uomini debbano fare uno sforzo su se stessi per "addomesticare" le pulsioni bellicose ed esaltare il ruolo della "ragione". Così come dovranno fare anche gli Stati, sempre inclini ad affermare la propria volontà di potenza, soprattutto con la forza delle armi. Ma non vi è dubbio che rispetto all'autarchia economica (o autosufficienza) la politica economica del "libero mercato" faciliti la pace perché oltre ad aumentare la produzione e la produttività dei singoli Stati consente di instaurare relazioni tra i Popoli e di rendere la terra il pianeta di tutti, superando, nel tempo, in futuro, le attuali gabbie mentali e geopolitiche che costituiscono il vero  problema virale per l'evoluzione civile dei Popoli e degli Stati.

 
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