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Un libro per capire il percorso per cui le donne arrivano e permangono in situazioni di violenza fisica e psicologica

Post n°4522 pubblicato il 29 Marzo 2011 da cile54

Studi sullo stupro: La pratica della verità

  

Studi sullo stupro, di Genziana Brullo si distingue, nell’attuale grande confusione teorica e pratica circa il corpo femminile, la sessualità, la violenza, la prostituzione, per il rigore scientifico, per la “pratica” che lo ha motivato.

 

Conforta, della scrittrice, l’equilibrio che le ha consentito sia lo studio attento della produzione culturale sull’argomento, sia l’osservazione attenta e partecipe della reale, diffusa, ininterrotta violenza sulla donna.

 

A fine libro, nel trarre le conclusioni di 4 anni di lavoro sullo stupro, l’autrice traccia un programma, che lei ha già reso operativo in questo lavoro, contro la cultura che perpetua la violenza sulle donne: “Lavorare per il cambiamento culturale significa produrre nuovo sapere e poterlo far circolare. Un sapere che permetta di riconoscere la violenza e le strutture di potere materiale e simbolico, che permetta di riconoscere le donne come soggetti…” ” Contrastare la deformazione operata dalla cultura patriarcale comporta l’analisi attenta di ogni parola che si usa, la ricostruzione meticolosa delle proprie esperienze, un lavoro imperterrito sul soggetto e sul linguaggio, la scoperta dei sottili meccanismi di potere che insidiano il soggetto donna nel processo di acquisizione del sapere ufficiale e della memoria collettiva. “ ( 7.3.2/3 pag 228)

 

Nella prefazione anche la Prof.ssa Franca Romano, sottolineando la necessità che l’“indicibile dolore” delle donne violentate trovi sguardi e parole per una narrazione che lo sottragga alla invisibilità,” suggerisce di seguire l’itinerario di Genziana Brullo “sostenuta da una profonda conoscenza teorica e critica degli studi di genere, una volontà di sapere appassionata che l’ha spinta, nei centri antiviolenza , a condividere con altre donne tormentate il suo intenso percorso autoriflessivo”.

 

Secondo quanto l’autrice stessa racconta nell’introduzione, l’Itinerario prende il via quando la sua esigenza di capire ciò che il senso comune tace circa la violenza sulle donne incontra un discorso “di genere” nell’ambito antropologico della cattedra di Storia delle tradizioni popolari.

Scopre qui un campo di ricerca, di studi accademici. Nei centri antiviolenza fa esperienza sia di relazioni significative, sia di organizzazione di lavoro.

 

Vuole capire il percorso per cui le donne arrivano e permangono in situazioni di violenza fisica e psicologica e trova “ che la violenza contro le donne non è dovuta ad assenza o carenza di cultura ma, al contrario , ad una cultura che la veicola e che la promuove”.

 

Il libro affronta questa cultura in tutta la sua complessità, in equilibro tra cultura accademica, letteratura femminista, pratica femminista di relazione tra donne.

 

Nella prima parte, intitolata L’arma decisiva della parola, esamina: la violenza negli scritti di uomini e donne; gli studi sulla violenza; gli usi della violenza.

Nella seconda parte, intitolata L’aria della città rende libere, riporta: l’ esperienza nei centri antiviolenza romani; gli scritti, le testimonianze, le relazioni con le donne incontrate nei centri. Le riflessioni finali.

 

Particolarmente interessanti sono le citazioni dei testi a supporto della riflessione teorica.

Per esempio di Alice Walker (Meridian) descrive il personaggio femminile Lynne, donna bianca sostenitrice della lotta dei neri, violentata proprio da un amico nero perché il suo corpo rappresenta il potere dei bianchi, sarà poi da lui offerta alla violenza del gruppo che la rifiuta.

La ragazza non denuncia lo stupratore ma percepisce con chiarezza di essere diventata una cosa, a disposizione di chiunque: la società che la circonda legittima il suo stupro che in quel contesto non ha importanza e non lo avrà neanche per lei perché la lotta storica tra bianchi e neri è più importante, ma non per questo diventerà un’eroina, come gli uomini che lottano per una causa giusta.

Lynne sa i motivi della violenza, conosce il suo corpo come strumento di “rivalsa politica”,come ”rappresentazione simbolica…materia inerte a disposizione.” Non c’è però per lei una giustizia possibile. Tace. Rifiutata da bianchi e neri, si prostituisce. (pag 43/44)

 

Riflettendo su altre opere la scrittrice ci porta a dedurre che perfino la sessualità trasgressiva, vissuta come ricerca di sé, conoscenza, libertà per la donna, avviene in uno spazio che la cultura ha precostituito.

“La fantasia di stupro, come quella di prostituzione (quand’anche avessimo dati alla mano che ne supportino l’esistenza, al momento inesistenti) o il rimanere in situazioni di violenza o la scelta di della prostituzione come lavoro……non prevedono per le donne una posizione diversa da quella di dipendenza maschile .”

 

“ Sia che trasgredisca sia che non, la donna rimane nella posizione di passività.” “ in altri termini, gli spazi di conoscenza del sé delle donne , sono gli stessi in cui viene teorizzata o praticata la dissoluzione del soggetto femminile.”

Riflessione carica di senso e illuminante se applicata alle nostre cronache quotidiane.

 

A conferma di tutto ciò si devono leggere le pagine, convincenti e sostenute da ricca bibliografia, sugli usi della violenza, soprattutto quelle dedicate al rapporto violenza /costruzione dell’identità processo in cui sia il “carnefice che la vittima trovano una conferma della loro identità/classificazione normativa e sociale proprio nell’atto violento.”

 

“Se si fa assurgere il pene a segno riconosciuto e rilevante dei corpi e del discorso sessuale, ne consegue che, sia che tale segno si strutturi come presenza sia come assenza, ad esso si attribuirà comunque culturalmente e simbolicamente, la funzione di determinare l’azione e quindi inevitabilmente di determinare ” nel primo caso il soggetto, nel secondo l’oggetto.

 

Salvarsi da questa cultura, in cui né lo stupro né la prostituzione rientrano nel cattivo uso del pene (basta pensare al ratto delle Sabine come mito fondante della storia romana pag 125) richiede la pratica della verità, citata nel sottotitolo, che non è la “ risposta rassicurante che pone fine ad una ricerca, ma al contrario è l’inizio di qualcosa , l’innescarsi di una problematizzazione del reale, di una complessità che mette in crisi la rappresentazione ufficiale e accreditata della realtà.”(pag 124)

 

Verità che le donne hanno cercato con l’autocoscienza ” come luogo separato e privilegiato del sapere sul corpo femminile in quanto luogo di scambio, di confronto e di produzione di nuovi saperi/verità in contrasto con quelli ufficiali.”(pag 227)

 

Ines Valanzuolo

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Genziana Brullo,

Studi sullo stupro. La pratica della verità

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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