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Dossier della Commissione Ue sul lavoro temporaneo dei giovani dei 27 paesi membri

Post n°4568 pubblicato il 10 Aprile 2011 da cile54

Una piaga comune. Ma in Italia manca il welfare

  

Negli ultimi dieci anni il problema della precarietà sul lavoro è esploso. In tutta Europa. Ha iniziato ad aggredire chi nel mondo del lavoro entrava per la prima volta, i giovani. E poi si è esteso anche a chi giovane non è più. A chi, per esempio, il suo posto di lavoro stabile l'ha perso, magari per la crisi. Negli ultimi tre anni, proprio per il riflesso della crisi finanziaria sull'occupazione, la situazione è peggiorata drammaticamente.

Una stato di fatto che però non dipende solo dalla contrazione dell'economia, come testimonia uno studio della Commissione europea sull'occupazione nel 2010. Ma è «più che altro il risultato di riforme della legislazione che tutela l'occupazione. E dell'introduzione della flessibilità, della sostanziale deregolazione dell'uso di contratti temporanei». Da subito sono emersi con evidenza alcuni evidenti «effetti perversi» nell'uso su larga scala dei contratti temporanei. In particolare «si è creato un doppio mercato del lavoro: uno per dipendenti permanenti, che possono anelare a una vita di impiego continuo, a una carriera e a una retribuzione in crescita. E un secondo per lavoratori precari, che vivono in una situazione instabile, con alto rischio di ricadere nella disoccupazione e poche prospettiva di avanzamento nel mondo del lavoro». E tale divaricazione è particolarmente pericolosa perché sempre più spesso i due canali non sono comunicanti. Chi nasce precario, spesso rimane nel canale della precarietà. Ed è due volte svantaggiato, visto che per lo stesso tipo di lavoro i precari guadagnano in media il 10% in meno di chi ha il posto fisso.

Secondo l'analisi della Commissione europea, l'uso su larga scala di contratti precari, se pure all'inizio porta a un aumento dell'occupazione, sul medio e lungo periodo si è dimostrato inefficace. Gli effetti sull'impiego tendono a svanire, particolarmente durante i periodi di crisi. La recente recessione europea ha colpito duro soprattutto i giovani (su tutti francesi e spagnoli, dove il lavoro precario, fino al 2006, era pari al 35% del totale). E tra questi in particolare i meno qualificati e le donne, indipendentemente dalla produttività. In molti stati Ue la percentuale dei giovani precari specialmente sotto i 25 anni, è altissima. Sopra al 50% in Spagna, Francia, Germania. Al 44% in Italia.

L'unico vantaggio dei precari più giovani è che trovano prima un nuovo posto di lavoro rispetto a chi è più grande. Fino a 34 anni, in media ci vogliono meno di dieci mesi. Oltre si passa dai 15 ai 25 mesi per gli ultra 55enni. Il problema è che in gran parte dei casi il nuovo posto è come il vecchio: precario.

Ma cosa c'è di diverso tra l'Italia e altri paesi, come la Francia e la Germania, per restare nell'Europa continentale? Il fatto che da noi non siano previsti ammortizzatori sociali per la disoccupazione dei precari o l'inoccupazione, come lo Rsa francese o il sussidio tedesco Arbetislosengeld, percepito da chiunque sia senza lavoro. In Francia l'Rsa c'è dal 2010 e ha sostituito l'Rmi (reddito minimo di inserimento), che esisteva dal 1988. Ha due funzioni: per chi non lavora è un reddito minimo, per chi invece ha un'occupazione è un complemento al reddito, se sotto la soglia di povertà. Anche in Germania l'Arbeitslosengeld II svolge una funzione molto simile, garantendo una sussistenza minima a chi non è occupato o guadagna cifre sotto la soglia di povertà.

Così mentre nel nordeuropa, in Francia, Olanda e Gran Bretagna, il tasso dei giovani che rimangono con mamma e papà è poco superiore al 20%, in Italia siamo al 73%. E non è una questione culturale. Gli studi hanno dimostrato una dipendenza diretta tra le condizioni del mercato del lavoro, le carenze nel welfare per i giovani disoccupati e l'emancipazione dalla famiglia.

Matteo Alviti

09/04/2011

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