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A proposito dell'apertura domenicale e festiva: la lettera di una lavoratrice del commercio di Firenze

Post n°4924 pubblicato il 08 Luglio 2011 da cile54

Riaffermazione e tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori: è questa l'urgenza della politica!

 

Care compagne, cari compagni, lavoro per Zara, una multinazionale spagnola nel settore dell'abbigliamento con circa 8.000 dipendenti solo in Italia. Voglio condividere con voi il disagio di chi lavora nel settore del commercio, un disagio che diventa un peso ancor più grande se si lavora nel centro storico fiorentino. Noi lavoratrici del centro storico abbiamo perso la nostra individualità di cittadine fiorentine per vestire i panni della mera matricola aziendale, senza alcun diritto alla festa, al riposo, all'integrazione sociale, alla religione, alla famiglia. Bisogna solo ed esclusivamente lavorare. Sono le donne la stragrande maggioranza degli addetti nel settore del commercio, costrette a doversi frazionare fra il lavoro, la casa, i figli, la cura degli anziani della famiglia. Sono le donne i soggetti che devono pagare il dazio più consistente. Non c'è tempo per la vita sociale: o il lavoro o gli affetti.

Tutto è ormai diventato lecito: notti rosa, notti blu, notti bianche, notti fashion, le domeniche, i festivi. Lavoriamo, infatti, 52 domeniche su 52 nonché tutte le festività, cioè 6 gennaio, 17 marzo, Pasqua, Pasquetta, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno («feste ideologiche e senza senso», come ha detto il nostro sindaco Matteo Renzi), 15 agosto, 8 dicembre.

Noi lavoratrici del commercio del centro storico fiorentino non abbiamo il diritto di festeggiare queste date, anche se non a caso si chiamano "festivi" e non "feriali". Abbiamo trascorso la Santa Pasqua al lavoro e non abbiamo ricevuto un solo centesimo in più in busta paga. Abbiamo dovuto lavorare nelle notti bianche, fashion, rosa e blu al modico prezzo di 0,60 centesimi in più all'ora. Bisogna farlo perché Firenze è una "città aperta" e non può deludere il turista anche se in tutta sincerità non si capisce come mai nelle festività debba trovare i negozi aperti e i musei chiusi!

La crisi non può essere l'alibi dietro cui nascondersi per rendere la vita lavorativa e, di conseguenza, quella personale insopportabile. La verità, forse è più amara di quanto realmente possa apparire: è cambiato il modello sociale.

Il commercio è stato trasformato in un servizio pubblico essenziale, il lavoro delle commesse si può ormai, paradossalmente, equiparare a quello dei medici; solo che i medici vendono un servizio pubblico essenziale a tutela del bene supremo della salute, le commesse vendono uno sfizio; il lavoro è diventato aprioristicamente un mero dovere e non più un diritto: se la nuova regola del commercio è la liberalizzazione delle aperture domenicali e nei giorni festivi e i dipendenti della Gdo si rifiutano legittimamente di lavorare (rischiando comunque di dover andare nel caso in cui sia disposto un ordine di servizio), ma i negozi vogliono comunque rimanere aperti, chi andrà a lavorare ? La risposta è tanto semplice quanto agghiacciante: gli interinali!

Questo significa che oltre ad essersi affermata la politica della trasformazione del commercio in un servizio pubblico essenziale, si è anche affermata la politica della legittimazione del precariato.

Alla luce di tutto questo è lecito chiedersi, visto che il lavoro non ha più valore, se avrà almeno valore la nostra vita privata. Avremmo dovuto essere tutelate contro una liberalizzazione delle aperture dei negozi durante le festività. Avrebbe dovuto essere tutelato il diritto di chi avrebbe voluto festeggiare la Santa Pasqua con i propri figli e la propria famiglia e invece è stato costretto a lavorare.

Avrebbe dovuto esser tutelato il diritto al riposo e alla fruizione della festa anche per quelle lavoratrici e quei lavoratori che non hanno la fortuna di un contratto a tempo indeterminato e che davanti alla richiesta di lavoro festivo da parte dell'azienda chiaramente si trovano costretti a dover accettare di lavorare anche in quel giorno, nonostante sia un giorno di festa.

Avrebbe dovuto esser tutelato il diritto di quei lavoratori precari ad avere un lavoro stabile, cosa che non potrà mai accadere quando le aziende, davanti a quei dipendenti che legittimamente rifiutano la prestazione lavorativa nei festivi menzionati dal ccnl (nei rari casi, si badi bene, dove non vi è un integrativo che obblighi al lavoro festivo e domenicale), effettuano il ricorso al lavoro interinale.

Abbiamo dovuto raccogliere 50.000 firme con l'aiuto delle organizzazioni sindacali per ottenere la modifica della Legge regionale che ha consentito e consente a tutto questo.

Mai come ora le lavoratrici e i lavoratori del commercio del centro storico di Firenze dove le aperture avvengono 363 giorni su 365 sono chiamati a difendere la dignità del e nel posto di lavoro.

Mai come ora abbiamo bisogno che le istituzioni regionali mantengano le promesse fatte al momento della consegna delle 50.000 firme nel novembre 2010, promesse ribadite nell'incontro con la segretaria nazionale della Cgil Susanna Camusso il 29 aprile scorso al Palaffari in occasione della tappa fiorentina della manifestazione nazionale "La festa non si vende", promesse che a tutt'oggi non sono ancora state onorate.

Il punto di partenza per ripristinare la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori del centro storico fiorentino non può non essere la Legge regionale, anche se noi lavoratrici e lavoratori del commercio da diversi mesi ci troviamo a lottare anche su un altro versante: il nuovo accordo separato del commercio, piovutoci addosso come una condanna e che ha definitivamente sostituito la dignità del lavoratore con la centralità dell'impresa.

La nostra speranza è una sola: che la politica capisca che l'urgenza non è la riforma del processo penale ma la riaffermazione e la tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. 

 

Una lavoratrice del commercio, Firenze 

(lettera firmata)

07/07/2011

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