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« Farmaci, affari e razzis...Alcune riflessioni che c... »

La miriade di episodi che illustrano i disagi, le sofferenze, e persino le crudeltà cui sono sottoposti gli immigrati

Post n°5004 pubblicato il 27 Luglio 2011 da cile54

Viaggio tra «i nuovi schiavi d’Italia»

 

Jacopo Storni ha girato l’Italia da Lampedusa a Gorizia, battendo come un segugio in cerca di verità nascoste i campi di pomodori del Gargano, gli aranceti della ‘ndrangheta grondanti umidità e sfruttamento, le baraccopoli nascoste nel cuore delle più civili e grandi città italiane così come gli alveari di disperazione nei sotterranei dei palazzi di Roma. Ha incontrato migranti e clandestini, rom e prostitute minorenni, ambulanti sospettosi e operai dalle mani rigate dal troppo lavoro. E ha guardato dritto negli occhi tutti coloro che di solito fingiamo di non vedere.IL REPORTAGE - «Sparategli! Nuovi schiavi d’Italia», s’intitola così questo viaggio nell’immigrazione italiana, la più povera e desolata, la più estrema, quella che prolifera ai margini dell’illegalità perché semplicemente non ha alcun diritto. «Mi sembra che uno degli obiettivi di questo libro – scrive lo storico inviato del Corriere Ettore Mo nella prefazione – sia proprio quello di indicare, attraverso la miriade di episodi che illustrano i disagi, le sofferenze, e persino le crudeltà cui sono sottoposti gli immigrati, le responsabilità del paese che li ospita».

 

GLI OCCHI DI MIHAELA – Il viaggio di Storni, giornalista del Corriere Fiorentino e del Redattore Sociale, comincia proprio dagli occhi di Mihaela, ragazza madre e «serva dell’agricoltura». A Vittoria, nelle campagne di Ragusa, per le giovani rumene funziona così: di giorno si spezzano la schiena sui campi. La notte si concedono a caporali e padroni per un tozzo di pane, un tetto sotto cui dormire. Lei è stata particolarmente sfortunata, perché è rimasta incinta. L’unico aiuto che ha ricevuto è venuto da un sacerdote, padre Beniamino, indaffarato a fornire un minimo di assistenza a questa folla dolorante di donne abusate e sottopagate: «È stato il suo datore di lavoro a portarla da me – racconta -. È venuto in parrocchia e mi ha pregato di occuparmi di lei. Quando gli ho chiesto chi fosse il padre del bimbo, lui ha fatto spallucce, lasciando intendere la realtà dei fatti».

 

LA PARABOLA ASSURDA DI VALERIU – Nel suo paese, la Romania, Valeriu era un imprenditore. Non navigava nell’oro, ma era titolare di un’azienda con 45 dipendenti. Per lui la bella vita è durata solo tre anni. Poi cominciarono le richieste pressanti di funzionari pubblici corrotti. Pretendevano tangenti, chiedevano a Valeriu di gonfiare le fatture per intascare la differenza dei contributi statali: «Avrei preso un terzo del loro guadagno – racconta l’uomo – ma non ci pensai un attimo e rifiutai». Un gesto di onestà che pagò a caro prezzo. Tempo qualche settimana in azienda si presentò la Polizia sulla base di una denuncia anonima e sequestrò tutto. Senza più una lira Valeriu si risolse ad emigrare. Ma in Italia entrò in un incubo peggiore. Duecento euro al mese per ammazzarsi di fatica. «E non avevo un posto per dormire, né per lavarmi. Dormivo in un magazzino e usavo il bagno di un amico». Fino a quando, lavorando alla sega elettrica, quasi si tranciò una mano. «Un collega operaio mi portò di corsa all’ospedale, ma il capo mi ordinò di non raccontare la verità, non dovevo dire che mi ero infortunato sul lavoro». Valeriu non disse nulla, ma da allora è praticamente invalido. «Tutta colpa di quell’arnese che non aveva i minimi requisiti per essere utilizzato».

 

NEL CAMPOSANTO DEI RACCOGLITORI DI POMODORI – «Senza lavoro qui è peggio dell’Africa», racconta Mamour, originario del Gambia, che dal 2007 lavora a Rignano, campagna brulla che ribolle di afa e pomodori in provincia di Foggia: «Lo scenario è tipicamente sahariano». Aria incendiata, terra secca, acqua sporca usata dagli immigrati per bere e lavarsi. La giornata di lavoro nei campi di pomodori dura 12 ore. E viene pagata soltanto venti euro: «Molti si ammalano di patologie gastroenteriche e osteomuscolari. Inevitabile, visto come vivono». Qualcuno non ce la fa, e allora finisce nei cimiteri che si confondono tra le campagne. E le loro tombe recano a stento un nome cui appendere qualche preghiera.

 

LA BUCA DEGLI AFGHANI – Ma la storia più assurda, perché estratta dalla quotidianità di una metropoli come Roma, è quella della buca degli Afghani: «Una squallida baraccopoli germogliata nel 2009 nelle fondamenta di un palazzo in costruzione nei pressi della stazione Ostiense». In questo scenario alla Blade Runner, i «replicanti» condannati all’inciviltà vivono nei sotterranei della vita civile: «Tra mura di cemento, terra e fango, proliferano decine di baracche in cartone al cui interno sopravvivono oltre 150 profughi afghani».

 

LA SCHIAVITU’ DI JASMINE – Aveva sedici anni Jasmine quando ha messo piede per la prima volta a Castel Volturno. Veniva dalla Nigeria, aveva molte speranze, qualche sogno e la voglia di vivere delle ragazza alla sua età. Nel giro di qualche giorno è stata costretta a prostituirsi. «O la strada o la morte», le ripeteva la madame, ovvero la sfruttatrice del clan. Dopo alcuni anni al giogo della Domiziana, scappa e comincia a vagare per la periferia di Napoli «con la mente atrofizzata, ubriacata dallo strazio». Per fortuna incontra un napoletano di cuore che la raccoglie dalla strada. «Oggi, dopo alcuni mesi nei servizi sociali, non riesce a dimenticare. Il ricordo affiora implacabile, la notte si popola di incubi».

 

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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