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Idrocarburi sversati in mare e finiti nell’impianto antincendio. Indagati i vertici della raffineria siciliana

Post n°5011 pubblicato il 28 Luglio 2011 da cile54

Petrolchimico di Gela. Una fabbrica di veleni 

Casualmente, durante una verifica effettuata nel 2010, nell’impianto antincendio del pontile principale della raffineria Eni di Gela, vennero trovate tracce di idrocarburi nell’acqua di mare utilizzata per le esercitazioni. In seguito, le indagini appurarono che l’evenienza era dovuta ad un incrocio tra la linea antincendio e i tubi utilizzati per caricare e scaricare il petrolio da e sulle navi cisterna. In sostanza, in caso di fiamme, i Vigili del fuoco avrebbero potuto provvedere allo spengimento sparando un “provvidenziale” getto composto da acqua marina e petrolio. Senza contare l’inquinamento ambientale, con uno sversamento di idrocarburi pesanti che ha colpito una superficie di 900 metri quadrati.

 

 La tracimazione dei pozzetti di raccolta, il mancato funzionamento dei controlli a distanza e delle pompe di emergenza dell’impianto, avrebbero così determinato una grave contaminazione dentro e fuori lo stabilimento, in una zona sottoposta per giunta a vincoli europei Sic e Zps di tutela dell’ecosistema. La conclusione delle indagini preliminari, condotte dalla Capitaneria di porto gelese per conto del Procuratore Lucia Lotti, ha messo ora sotto indagine i vertici della Raffineria di Gela Spa: si tratta di Bernardo Casa (amministratore delegato); Battista Grosso (ex amministratore); Salvatore Lo Sardo (responsabile movimenti e spedizioni del parco generale serbatoi) e Aurelio Faraci (responsabile del servizio di prevenzione e protezione). Sono accusati a vario titolo dei reati di falso per induzione e omissione di cautele contro disastri o infortuni sul lavoro. Non solo.

 

 Tra le disposizioni della Procura gelese si aggiunge anche il sequestro di una grande vasca (la numero 4, all’interno dell’isola 32, in un’area classificata di categoria 2c, cioè identificata come tossica e nociva), utilizzata per lo stoccaggio di rifiuti speciali. Secondo gli inquirenti, sarebbe servita per lo smaltimento di ingente quantità di amianto: i militari della locale Guardia costiera, coadiuvati dal Nucleo speciale d’intervento di Roma, ritengono che la vasca ne contenga almeno 7 tonnellate del tipo amosite, letale per la salute umana, lì conferiti nel corso degli anni ‘90.

 

 Nell’operazione di smaltimento, i rifiuti speciali sarebbero stati trattati in violazione delle norme previste in materia, cosa che non è una novità nello stabilimento. Già nell’agosto dello scorso anno, in seguito a un’ispezione, era stato accertato l’uso di teloni deteriorati dagli agenti atmosferici, inservibili per bloccare la diffusione nell’atmosfera delle pericolose fibre. Stessa colpevole incuria è stata registrata su diversi sacchi impiegati per la raccolta dell’amianto, che sarebbero bucati e lacerati. La vasca incriminata è affidata ora in custodia giudiziale alla stessa raffineria di Gela, autorizzata ad accedervi per gli interventi di messa in sicurezza.

 

Diego Carmignani

27 luglio 2011

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