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Dall'insicurezza sul lavoro all'insicurezza sociale, la Penisola del lavoro, una lunga scia di sangue e indifferenza

Post n°5035 pubblicato il 04 Agosto 2011 da cile54

La sicurezza sul lavoro? La pretende lo Stato, non «chi si vuol bene»

 

 Chi vi scrive è un gruppo di persone: Rls, operai, liberi professionisti, tecnici prevenzione Asl, familiari vittime del lavoro, che ha cercato e cerca in tutti i modi e con un impegno quotidiano, di tenere viva l'attenzione sulla carenza di prevenzione, protezione e sul dramma delle morti sul lavoro, chiamate ancora e inaccettabilmente "morti bianche".

L'uso dell'aggettivo "bianco" è fuorviante e sbagliato, perché sono sporche, di calcinaccio, di nerofumo, di terra e di sangue, inaccettabile perché allude all'assenza di una responsabilità per l'accaduto: nessun responsabile, nessun colpevole, nessuna giustizia!

Quello che non si dice in modo chiaro e netto e non si scrive mai abbastanza è che i morti sul lavoro quasi mai sono dovuti alla fatalità o alla "leggerezza" delle vittime (quasi che per una leggerezza fosse plausibile una sorta di "pena di morte" immediata, sul campo e senza processo), ma il più delle volte sono causati dalla decisione dei responsabili di "tagliare", sia nelle risorse sia nei tempi di lavorazione, imponendo prestazioni sempre più elevate e veloci, consapevoli del rischio conseguente sulla prevenzione, formazione e sicurezza

Andrebbero quindi chiamati col loro nome e molti sarebbe giusto definirli omicidi, di cui questo governo è corresponsabile, con la sua politica di risparmi e tagli fatta sulla pelle delle persone.

Quello che non si dice e non si scrive è che esistono da anni leggi, norme tecniche, procedure, che se applicate correttamente porterebbero il rischio di infortunio e di malattia professionale a livelli enormemente più bassi rispetto agli attuali, ma che da parte degli imprenditori non c'è la volontà di farlo, così come da parte del governo non c'è la volontà di intensificare le misure di promozione e controllo, aumentando le risorse delle Asl, affinché queste norme siano rispettate (sia in termini economici che di persone, in specie di tecnici della prevenzione, in barba agli impegni assunti solennemente in Parlamento OdG della legge 123/2007, reinvestimento somme delle sanzioni ex 758/94).

C'è bisogno di più risorse, per maggiori verifiche e migliori programmi di ricerca.

La sicurezza sul lavoro è importante, purtroppo non viene presa molto in considerazione: molti datori di lavoro la considerano un costo per l'azienda insopportabile da tagliare, non un valore su cui investire, i mezzi d'informazione ne parlano raramente e solo quando accadono gravi infortuni mortali; non c'è (e non viene favorita) cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro e la politica, il governo in particolare, ne parlano solo quando costretti dagli eventi, con un insopportabile atteggiamento ipocrita che fa pensare alle "lacrime di coccodrillo".

Partiamo da qui e quando parliamo e scriviamo di sicurezza è bene chiarire dove stanno i meriti e le colpe di ciascuno, sapendo ( e sottolineando) che il calo nelle morti registrato dall'Inail negli ultimi due anni è certamente un risultato importante, ma non è certo merito del ministro Sacconi, che in questi tre anni di intenso e silenzioso lavoro ha smantellato a colpi di decreti il Testo Unico e da ultimo ha banalizzato la sicurezza con la campagna in cui il suo ministero dice che «la sicurezza la pretende chi si vuole bene» (come se fosse un problema di mancanza di amor proprio, ed anzi sottintendo che la responsabilità della sicurezza è spostata dal datore di lavoro al lavoratore).

E l'Inail ci fornisce dei dati sugli infortuni e le morti sul lavoro molto ottimistici, ma fortemente sottostimati, perché tengono conto solo degli infortuni denunciati, come è stato sottolineato anche del Presidente dell'Inail, visto che gli infortuni che appartengono al sommerso, ammontano a circa 200mila ogni anno: un enormità! E i morti? Sfuggono ad ogni statistica ufficiale!

Oltre a questo, occorre considerare che il calo degli infortuni è in gran parte dovuto anche alla contrazione del numero di occupati e delle ore lavorate derivanti dalla crisi economica, alla delocalizzazione dei siti produttivi, allo spostamento dei lavoratori "regolari" verso settori meno a richio.

Peccato che di queste cose l'Inail non ne tenga conto, anche se standard tecnici richiedono di analizzare il fenomeno infortunistico non in termini assoluti, ma proprio in funzione dei parametri di cui sopra.

Se analizziamo tali dati (fonte Carmine Tomeo su "Articolo 21") scopriamo che considerando i dati dell'Istat su ore lavorate e numero di lavoratori dipendenti, la fredda statistica racconta che il 2010 ha fatto registrare 25,6 infortuni ogni milione di ore lavorate, praticamente come il 2009 (quando erano stati 25,9) e che i dati infortunistici non migliorano se messi in rapporto con il numero di lavoratori, per cui, ogni 100mila dipendenti si sono infortunati in 41 nel 2010, come nel 2009. E per ogni 100mila dipendenti, nel 2010 sono morte sul lavoro poco più di 5 persone (5,5 è il rapporto nel 2009).

L'Inail ha un "tesoretto", derivante dagli avanzi di bilancio annuale, che ammonta a circa 15 miliardi di euro, con avanzi di bilancio, che arrivano alla considerevole cifra di circa 2 miliardi di euro l'anno. Purtroppo questi soldi, non vengono spesi per aumentare le rendite da fame agli invalidi del lavoro, alle famiglie dei morti sul lavoro, ma sono depositati in un conto infruttifero della Tesoreria dello Stato, e possono essere spesi, solo per ripianare i debiti dello Stato: vergogna!

Inoltre, c'è un dramma molto spesso sottovalutato, cioè quello delle malattie professionali, che ogni anno fanno migliaia di morti.

Per l'anno 2010, c'è un nuovo record delle malattie professionali: +22%, pari a 42.347 denunce, 7.500 circa in più rispetto al 2009 e oltre 15 mila rispetto al 2006, +58%.

Crediamo che sia fondamentale investire in "cultura", in educazione del lavoro: in questo Paese manca quel minimo di consapevolezza, di forza, che permetta a chi lavora di alzare la testa e dire a chi sta in ufficio «No! Questo non lo faccio perché è pericoloso!». Abbiamo trascorso troppo tempo con la testa bassa, piangendo in silenzio le morti dei colleghi e abbracciando i loro cari, senza reagire. Investire in cultura significa poter un giorno arrivare a rompere il ricatto di chi ci dice «O lo fai o te ne vai!».

Come cittadini e "addetti ai lavori" ci auguriamo che almeno in materia di sicurezza, formazione e prevenzione sul lavoro ci sia il coraggio, la volontà e il senso di responsabilità da parte di tutti (partiti, parti sociali, media, associazioni, movimenti), di mettere da parte le discussioni spesso stucchevoli di questi mesi, perché il continuare a tacere in modo omertoso su questo argomento in «una Repubblica democratica fondata sul lavoro», che però in concreto non tutela proprio i cittadini che con il loro lavoro ne rappresentano le fondamenta, significa di fatto divenire complici di questi omicidi, in attesa della prossima Thyssen… e noi questa responsabilità morale non la vogliamo.

 

Marco Bazzoni Rls

Andrea Coppini Rls

Dante De Angelis Rls

Vincenzo Di Nucci tecnico prevenzione Asl

Claudio Gandolfi Rlst

Marco Spezia ingegnere libero professionista, tecnico della sicurezza

Massimo Pratelli figlio di Carlo Pratelli, morto sul lavoro il 26 giugno 2006 alla Saint-Gobain di Pisa

Patrizia Serranti consulente Rspp tecnico della sicurezza

 

03/08/2011

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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