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« L'inchiesta del settima...Conflitto sociale, l'or... »

La vera storia da raccontare è il fallimento del capitalismo, anche nella sua versione riformista. Socialismo o barbarie

Post n°5095 pubblicato il 20 Agosto 2011 da cile54

Questa è la storia?   

 

“Io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero e la mia villa…tutto uguale e loro non ce l’hanno un lavoro…punto…questa è la storia”

 

(Antonangelo Liori, manager di Agile, parlando dei lavoratori di Eutelia gettati sul lastrico)

 

Pure in quest’ultima spiaggia d’agosto, a sinistra si guarda attoniti la marea che sale.

 

I più avvertiti si rendono conto che ci stanno massacrando con una manovra economica ben peggiore di quella greca, ma i mandanti risultano evanescenti.

 

Per la maggioranza governativa è una crisi mondiale imprevista (?!) causata dalla globalizzazione, per i leghisti c’è la mano della massoneria e della burocrazia (di cui sono parte), secondo il centro-sinistra la colpa è dell’incapace governo Berlusconi, per i giornali qualunquisti dei privilegi della casta politica mentre quelli populisti additano le banche e gli speculatori in Borsa. C’è persino chi sostiene che tutto è determinato dalle tempeste solari.

 

Dei padroni e del sistema capitalista, invece, non si parla mai: discorsi vecchi, da marxisti o, peggio, da anarchici.

 

La presidente di Confindustria Marcegaglia è così divenuta l’apprezzata portavoce del “mondo produttivo” e delle “parti sociali” (Cgil compresa!).

 

D’altra parte, un anno fa, mentre gli economisti non asserviti al capitale, già prospettavano l’attuale crack l‘opposizione antiberlusconiana era ipnotizzata dallo scandalismo attorno al caso Ruby (vera arma di distrazione di massa) e si perdeva nelle piazze giustizialiste.

 

Ora tutt’al più ci si indigna per gli stipendi e i privilegi dei parlamentari (davvero una miseria rispetto ai “normali” profitti della classe padronale), oppure con il cinismo dei finanzieri e dei banchieri che strangolerebbero ugualmente i ceti produttivi (vecchia formula interclassista -già usata da Mussolini- per unire sfruttati e sfruttatori).

 

Smarrita ogni bussola di classe, s’affermano così parole d’ordine e categorie nazi-fasciste come signoraggio e usurocrazia (Ezra Pound docet), mentre a sinistra piuttosto che tornare a ragionare sulla necessità storica della rivoluzione sociale, si preferisce alimentare illusioni paradossali sulla decrescita quando ormai la crescente proletarizzazione e pauperizzazione porta milioni di nuovi miserabili al saccheggio.

 

Guai poi a parlare di plusvalore, ossia della costante rapina ai danni di chi lavora davvero.

 

Al massimo gli unici padroni “cattivi” sono quelli che evadono il fisco ai danni delle casse dello Stato; quelli invece che pagano le tasse possono continuare liberamente a sfruttare, licenziare, de localizzare, schiavizzare, vessare, discriminare e irridere operai e operaie.

 

Siamo liberali, perdinci: mica vorremo mettere in discussione la proprietà privata e la libertà d’impresa!?

 

Urge critica radicale dell’economia borghese e anticapitalismo attivo, altrimenti ad uscirne vivi ed ancora più forti saranno ancora una volta i soliti padroni.

 

Magari con un bel governissimo di emergenza nazionale o una nuova maggioranza “di sinistra” che già promette più privatizzazioni, rigore e sacrifici per salvare l’Italia.

 

E’ evidente che governi, partiti e sindacati sanno solo chiedere sacrifici ai proletari: “lacrime e sangue”, per estorcere nuove risorse, o meglio plusvalore, da buttare nel calderone senza fondo della speculazione. Oppure da sperperare nelle guerre neo-coloniali in Afghanistan e Libia o per finanziare lo stato di polizia necessario ad imporre devastazioni ambientali come la linea TAV o le discariche vero snodo dell’intreccio degli interessi legali e criminali. Per non parlare dei regali a fondo perduto alle casse vaticane.

 

Un tempo -qualcuno ha osservato- quando un giocatore d’azzardo perdeva, si sparava. E usciva dalla scena.

 

Il modo di produzione capitalistico ha perso il denaro estorto agli operai; ma non vuole uscire dalla scena, continuando invece a scommettere sulla pelle dei lavoratori dipendenti e dei senza-reddito.

 

Costringerlo a farlo, ormai, è questione di sopravvivenza: la nostra.

 

CFG

19 agosto 2011

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