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Mostra del cinema a venezia. Migrazioni Il tema al centro di molti titoli nostrani. Tra ironia e documentarismo

Post n°5130 pubblicato il 29 Agosto 2011 da cile54

Stranieri d'Italia l'Italia s'è desta...

 

L'Italia s'è desta e, volente o meno, ha incontrato l'altro. A giudicare da questa 68ma Mostra infatti il tema dello straniero, del diverso, migrante o no, è quello su cui nei giorni veneziani ripetutamente sbatteremo il muso. Tanti i registi italiani che decidono di affrontare la questione, ognuno dal suo angolo di visuale. Spera di farci ridere amaro il napoletano Francesco Patierno che con Cose dell'altro mondo (presente nella sezione Controcampo italiano), liberamente ispirato a Un giorno senza messicani di Sergio Arau, ci racconta le ambiguità del nostro nord-est. Dove un imprenditore nonché politicante da rete locale (tal Mariso, interpretato da Diego Abatantuono) invita «tutti gli immigrati a risalire sul cammello e tornare a casa», ma la sera si scioglie tra le braccia di una prostituta di colore. Dove una giovane maestra si dichiara felice della maternità condivisa con il suo compagno magrebino, ma poi si spaventa al pensiero di sposarlo. E dove gli anziani vengono affidati alle guardie carcerarie quando, un giorno, improvvisamente, tutti i lavoratori stranieri scompaiono...Cose dell'altro mondo non è ancora arrivato in sala ma ha già sollevato diversi polveroni, compresa un'interrogazione parlamentare della Lega per cine-denigrazione del mondo veneto. Sul web nordestino sono praticamente tutti "contro" Patierno. Sia quelli che lo accusano di disegnare una visione ultra-razzista della regione, sia quelli che pensano di veder umiliate le proprie ragioni.

Ma ad analizzare lo sguardo veneziano nel suo insieme, non è difficile accorgersi che non c'è solo il nord ad essere preso di mira. Terraferma di Emanuele Crialese (vincitore della Settimana della critica nel 2002 con Respiro) è tutto girato a Linosa, estremo sud del sud, e il dilemma è sempre lo stesso: cosa fare di questi uomini e donne disperati che fuggono dall'inferno e si aggrappano con le unghie alla nostra terra? A quale istinto primordiale dare maggiore ascolto? A quello fraterno del cuore o all'egosimo delle viscere? In questa battaglia di sensi e sentimenti, veneti e siciliani si trovano sulla stessa barca. Una barca che, con sguardo cine-veneziano, ci piace vedere guidata dal prete protagonista del film di Ermanno Olmi. Il maestro emiliano ha scelto la posizione Fuori concorso per il suo Il villaggio di cartone, lungometraggio di fiction che arriva a tre anni abbondanti da Centochiodi. L'azione si svolge in Puglia, in una piccola chiesa di periferia in via di dismissione. Tutti gli ornamenti, i quadri, le rappresentazioni sacre e persino il grande crocifisso, vengono smanetallati dagli operai. Il prete rimane solo, al centro di un nuovo nulla, a domandarsi dove sia finita la sacralità del luogo in cui ha a lungo servito. La domanda troverà risposta la notte in cui quella stessa chiesa sconsacrata diventerà rifugio per un centinaio di clandestini. E Cristo sembrerà tornato, non sulla croce, ma vivo «tra gli uomini e le donne di un'Africa che potrebbe salvarci», ha dichiarato Olmi nei giorni passati.

"All black" infine il mocu-gangster della Settimana della critica La-bas, primo lungometraggio del napoletano Guido Lombardi. In una magica mescla di lingue, dialetti e culture, il mondo dei migranti a Castel Volturno vissuto da un giovane uomo del Benin appena giunto in Italia chiamato dallo zio. Questi gli ha promesso soldi facili e una vita senza difficoltà. Ma quando Yssouf (il giovane rapper Kader Alassane) arriva a destinazione, si rende conto che le cose stanno diversamente. E che nella disperazione e nel vuoto di prospettive, non tutti i suoi connazionali hanno fatto "la cosa giusta".

 

Roberta Ronconi

28/08/2011

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G8 GENOVA 2011/ UN LIBRO ILLUSTRATO, MAURO BIANI

Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.

Più di 240 pagine e 250 vignette e illustrazioni/storie per raccontare (dal 2005 al 2012) com’è che siamo finiti così.

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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