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Intervista a Fulvio Ervas autore del libro "L'amore è idrosolubile"

Post n°5193 pubblicato il 12 Settembre 2011 da cile54

«Donne uccise dal maschilismo veneto»

 

Arzignano, distretto della concia, nel vicentino, una delle province più ricche d'Italia, forse d'Europa. Nella vallata del Chiampo c'è la Mastrotto Group. Non un'azienda qualsiasi, ma un marchio leader nella produzione mondiale di pelle. Un giro d'affari intorno al mezzo miliardo. La Mastrotto fornisce Tod's e Ikea, arriva anche in Brasile e Indonesia. Una storia tipica da Nord-est: una famiglia che inizia su scala locale e finisce per creare un impero. Ma il ritratto dell'imprenditoria veneta è tutt'altro che lusinghiero. Di recente la Guardia di finanza ha scoperto dietro la Mastrotto un reticolo di società sparse nei paradisi fiscali per un giro di evasione fiscale di 1,3 miliardi. Per raccontare il Veneto, però, bisogna disfarsi delle vecchie immagini in bianco e nero. Quella degli ultimi vent'anni non è più una società bigotta e arretrata. Nord-est significa turbocapitalismo, modernità sfrenata. Una bella prova di narrazione è quella dello scrittore Fulvio Ervas, autore de L'amore è idrosolubile (Marcos y Marcos, pp. 352, euro 17), che sarà presentato al festival "Pordenone" legge la prossima settimana, mercoledì 14 settembre. Il romanzo ha per protagonista una donna scomparsa da dieci anni. La vicenda torna a galla per via di uno scheletro ritrovato in un campo in seguito a un'alluvione e che si sospetta essere quello della donna. Sul caso indaga l'ispettore Stucky, «un poliziotto per cui vale la pena pagare le tasse», persona sensibile, mezzosangue di origini persiane, «un uomo di Stato, nel senso di comunità umana», ci spiega Ervas. Non un Callaghan con la 44 magnum, per intenderci. Stucky si imbatte nelle pagine di un diario scritto dalla donna, una sequenza di ritratti impietosi dei propri amanti, tutti appartenenti della borghesia trevigiana.

 

Il campionario umano dell'imprenditoria del nord-est non è esaltante...

Prima che iniziassi a scrivere il libro ricordo che ero rimasto colpito da una sequenza di casi di cronaca accaduti nel Veneto, nove donne uccise dai loro compagni maschi. Un concentrato di maschilismo veneto. E poi volevo fare i conti, forse inconsciamente, con Signore e signori di Pietro Germi, un film commedia degli anni Sessanta che prendeva di mira la provincia bigotta, la piccola e media borghesia di Treviso. Però c'era qualcosa di stonato in quella pellicola. Germi, in fondo, colpiva l'avversario più comodo, la borghesia che fa le corna, ipocrita e sporcacciona. La provincia arretrata, che non reggeva il passo con il boom economico, diventava un capro espiatorio per far ridere l'Italia. Nel mio romanzo ho cercato di colpire la vera borghesia produttrice veneta, quella che conta, una delle più ricche in assoluto in Italia. Le figure di imprenditori che ritraggo non sono personaggi caricaturali o marginali della società, anzi, nell'immaginario rappresentano dei veri e propri modelli vincenti di filosofia di vita e di gestione aziendale. Eppure, se andiamo a scavare, scopriamo che sono personaggi incapaci di relazione e profondamente classisti. La borghesia veneta ha una cultura intrisa di classismo e di sessismo. Se sei ricco va tutto bene, quale che sia il tuo colore. Sono i poveri e le donne troppo libere che danno fastidio. Ho cercato di raccontare questo universo in maniera ironica e divertente, attraverso gli occhi di un personaggio femminile dominante, una donna forte, entomologa, una sorta di mantide che sceglie i suoi maschi ed è capace di metterli a nudo. Imprenditori, immobiliaristi, banchieri, tutti giganti sul piano economico, ma nani dal punto di vista umano.

 

L'immagine del Veneto bigotto e arretrato non corrisponde più alla realtà. O no?

Era l'immagine di una certa commedia all'italiana. Il Veneto di oggi è la terra dell'ipermodernità che, probabilmente, è andata troppo oltre rispetto alle sue possibilità di assorbimento sociale. Altro che imprenditore veneto bacchettone e moralista. Quale bigottismo? Qui ci sono flussi di soldi, droga e prostituzione. Gli imprenditori veneti aprono le loro fabbrichette in Romania e diventano padroni di letto. C'è lo ius primae noctis sulle giovani operaie del luogo. E' un modello mordi e fuggi. Mandano in Romania quattro capi esperti di gestione aziendale, trovano manodopera a costi bassissimi e donne disposte a tutto pur di lavorare. La moglie dell'imprenditore sa che il marito va due o tre volte al mese in Romania. Cosa vuoi che vada a fare? A vedere l'azienda?

 

Dov'è finito il mito dell'imprenditore, il self-made man di umili origini che col proprio lavoro mette su un patrimonio di soldi e idee che poi lascia in eredità ai propri figli?

Questi non lasciano niente. Sono ricchissimi ma dal punto di vista antropologico e culturale hanno creato un deserto. Il territorio lo usano soltanto, senza costruire nulla. Portano le fabbriche in Romania e in Macedonia, sfruttano la manodopera, si tengono il know how, godono di incentivi. C'è una triangolazione con le banche svizzere che permette di aggirare il fisco italiano. Si fanno la Porsche, le ville, giri di prostituzione. E' un ciclo veloce che non sedimenta nulla. Oggi, nonostante non siano più piccoli come negli anni Ottanta, nessuno degli imprenditori veneti raggiunge la dimensione globale dei Benetton. La competizione è più agguerrita. Finora il Veneto ha retto, rimane una delle regioni più ricche d'Europa che esporta in Francia, Germania, Lituania, Repubblica Ceca, Slovenia. Massimo Carlotto ha creato una narrazione letteraria del Nord-est. Io continuo a chiamarlo Veneto perché penso che il Nord-est sia un abito, una versione ipermoderna del Veneto che si è accelerato. Però, l'epoca del capitalismo sfrenato potrebbe declinare, dipende dallo scenario. Il nord-est non è una condizione eterna. E' nato grazie a una congiuntura favorevole: da un lato, un'economia giovane e flessibile su piccola scala che aveva a disposizione forza lavoro molto disponibile; dall'altra, l'aggancio con la Germania negli anni Ottanta e l'apertura verso i mercati dell'est. Ma se non si fosse verificata questa congiuntura storica, e in un altro contesto globale, il Nord-est ci sarebbe stato lo stesso? E quali saranno gli effetti della crisi? Fino a poco tempo fa le casse di risparmio davano credito alle piccole imprese a occhi chiusi. Oggi non è più così, c'è una stretta. Gli artigiani fanno fatica. C'è il rischio che la prateria vada a fuoco. Il Veneto è un bel laboratorio da osservare e narrare. C'è gente che ha vissuto a ritmi sfrenati: soldi, macchine, cocaina, case al mare. E se tutto questo crollasse? C'è chi ha chiuso nel giro di sei mesi. Il Nord-est è vissuto sulla cresta dell'onda, come trasportato da un treno ad alta velocità. Ma non ha costruito un paracadute, un assetto sociale e urbanistico capace di durare anche in caso di crisi. Da un momento all'altro possiamo ritrovarci in un deserto di relazioni umane, in un paesaggio di capannoni in disuso e in vendita, e con il rischio, per giunta, di infiltrazioni mafiose.

 

Scopriamo che il Nord-est è una società sfilacciata, un deserto umano. Dove sta quella comunità forte e orgogliosa tanto propagandata dalla Lega?

Le relazioni rimangono in superficie. La retorica della Lega è finta. La comunità padana, un prodotto dell'immaginazione. I leghisti hanno preso voti proprio perché c'è un bisogno di comunità a basso costo, che non impegni troppo, fatta di costicine, gazebo e chiacchiere al bar. Il giullare, il buffone, il finto mona, lo sciocco, sono tutte figure della commedia popolare lombarda e veneta che hanno ritrovato un uso politico. Una politica sanguigna, cameratesca, maschilista, dalla battuta facile. Prima il bersaglio erano i terroni, poi i cinesi, poi i marocchini. Aver lasciato il dialetto alla Lega è stato un errore. Esiste anche una narrazione popolare e dialettale progressista che rischia di rimanere seppellita sotto gli stereotipi dominanti. Non è che tutti i veneti siano razzisti ed evasori. Mio padre ha lavorato in fabbrica quasi quarant'anni e non ha mai evaso. Prendiamocela con i bottegai e gli imprenditori, non con tutti indiscriminatamente. Altrimenti, se te la prendi con tutti, crei per riflesso l'immagine nevrotica del Veneto bersagliato dai soliti giornalisti romani.Gli strateghi leghisti non sono mica dei geni. Ma qualcosa mi fa pensare che la Lega non reggerà. L'ultima arrivata, la prima ad andarsene. C'è la componente alla Tosi che ormai ha messo le mani in pasta, un ceto politico in stile democristiano che sta nelle fondazioni e nelle casse di risparmio. Dal punto di vista ideologico sono disinvolti, passano dal bianco al nero senza starci troppo a pensare su.

 

Il suo punto di osservazione del Nord-est è la cronaca, soprattutto i piccoli crimini, quelli che avvengono in famiglia e di cui sappiamo meno. Non è così?

Sono attratto dalla piccola cronaca perché lì c'è più follia. E' una dimensione profonda, soggetta a oscillazioni incoerenti che scuotono le fondamenta della società stessa. Le vite private sono un indicatore formidabile, da quel che succede lì puoi capire se la rete si rafforza o, al contrario, si frantuma. Anche i piccoli mondi, i bar, sono laboratori da osservare. Se non vedi più i kosovari che prendono cappuccino e brioche ti rendi conto della crisi. Si creano vuoti, diminuisce la biodiversità umana, cambia la comunità.

 

Tonino Bucci

11/09/2011

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Roma, 12 maggio 1977

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