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« L'ipocrisia dei nuovi s...Le sue politiche, come l... »

Chi dice che a Monti non c'è alternativa mente e sa di mentire. Oppure non s'informa, ma allora dovrebbe tacere!

Post n°5554 pubblicato il 20 Novembre 2011 da cile54

Governo pericoloso

 

Si chiude ogni spazio per le alternative mentre bisognerebbe allargare sempre più la lotta per la democrazia europea

«Non ci sono alternative» è una menzogna comunemente usata per coprire con un mantello di inevitabilità scelte economiche partigiane. Raramente questo ritornello è suonato così convincente a tante persone come oggi, con i governi di Italia e Grecia messi di fronte alla scelta tra obbedienza o bancarotta. Al di là delle specifiche opinioni su Monti o Papademos e i loro governi, non possiamo che dirci fortemente preoccupati dalla riduzione della vita politica in Europa alla farsa di una competizione con un solo vincitore possibile. Indipendentemente dal fatto che Monti possa essere o meno una risposta valida alla crisi italiana, le condizioni di nomina costituiscono un precedente pericoloso, che vede tutte le democrazie europee minacciate dai mercati finanziari e dal loro ricatto di far cadere i paesi in default.

Le élites continentali, che siano i leader di Francia e Germania, il gruppo di Francoforte, o i padroni delle banche e delle grandi imprese finanziarie che traggono profitto dalla situazione attuale, sono riuscite a sottrarre il potere ai cittadini usando la crisi economica per dirottare le istituzioni europee e il processo di integrazione, che, ora più che mai, appare ai cittadini e ai politici dei paesi debitori come una camicia di forza che paralizza quanti vorrebbero prendere decisioni contro l’inesorabile ortodossia economica.

La sovranità nazionale è ufficialmente decaduta. Gli stati-nazione europei, nel loro tentativo suicida di bloccare un’unione federale preferendo mantenere quel poco che rimaneva della loro sovranità, hanno finito per consegnare questa stessa sovranità ai mercati finanziari e a élites non rappresentative. Questo è lapalissiano nel caso dei paesi “periferici”, ma non è meno rilevante per i paesi “centrali” e specialmente per la Francia: paesi che hanno ancora possibilità di decidere di seguire le stesse ricette di austerità imposte ai paesi del Sud, ma che non hanno più la possibilità di mettere in atto alcun modello alternativo, sotto minaccia di perdita della “tripla A” e del conseguente caos finanziario. La sovranità resiste in questi paesi solo nella misura in cui viene utilizzata per rispondere «sarò come tu mi vuoi». Ma non c’è sovranità senza la possibilità di scegliere di essere altrimenti.

Altrettanto preoccupante è il tentativo manifesto di chiudere ogni spazio per quelle alternative reali che stavano maturando nell’ultimo anno con la Primavera araba, le proteste pan-europee degli indignados, il movimento Occupy Wall Street e il successo della dialettica che condannava l’ineguaglianza e il potere dell’1%. Sarà probabilmente una coincidenza che l’occupazione dello Zuccotti Park a New York, così come le occupazioni di suolo pubblico a Parigi e a Zurigo, siano state smantellate dalla polizia nello stesso giorno in cui Monti è stato nominato Presidente del Consiglio in Italia. Ma è una coincidenza che la racconta lunga e che svela il desiderio di chiudere ogni spazio di critica del modello esistente e delle risposte offerte finora alla crisi.

Corriamo un doppio pericolo nella situazione attuale. Da un lato, il messaggio inviato all’opinione pubblica è che, al fine di porre rimedio all’attuale crisi economica, non esiste alternativa alle politiche di austerità e ad un ulteriore smantellamento del modello sociale europeo. Il benessere delle banche diventa equivalente al benessere delle persone, e qualsiasi politica economica divergente dalle raccomandazioni della Bce o del Fmi viene bollata come immatura e impossibile. Dall’altro lato, mentre tutte le forze politiche, sia in Italia che in Grecia, appoggiano senza riserve l’instaurazione di governi tecnocratici, larghi settori della popolazione che resistono a tale equivalenza, nella giusta convinzione che politiche alternative esistano e siano effettivamente praticabili, restano prive di rappresentanza politica. Si costruisce così un baratro tra i parlamenti e larghe fasce dell’opinione pubblica. «Non ci rappresentano», uno degli slogan simbolo della protesta degli indignados, rischia ora di divenire una realtà per gran parte della popolazione, mettendo a serio repentaglio il funzionamento delle democrazie nazionali.

L’importanza centrale della dimensione europea nel decidere del nostro futuro dovrebbe ormai essere evidente a tutti. Ma non c’è possibilità di riconquistare la capacità di decidere liberamente del destino della società e di aprire un varco a politiche alternative se non riusciamo a pretendere e ad ottenere una democratizzazione radicale dello spazio europeo, contro tutte le tendenze attuali di delega del potere a élites economico-finanziarie e al consenso dei mercati. La lotta per la democrazia deve essere ripresa con forza a livello europeo. La governance europea deve divenire veramente politica e democratica: ciò significa che partiti politici e movimenti devono offrire chiari programmi alternativi e avere il potere di realizzarli. E questo significa anche controllo democratico sull’economia europea.

Le istituzioni europee e il processo di integrazione dovrebbero essere precisamente ciò che garantisce ai cittadini il potere di tornare a prendere le decisioni chiave sul proprio futuro. È necessario uno sguardo a lungo termine: o una prospettiva che propone obbedienza e austerità per la maggioranza, oppure una prospettiva che riaffermi il controllo dei cittadini sull’economia e sul loro futuro comune. Noi scegliamo la seconda di queste prospettive, e crediamo che tale scelta sia condivisa dalla maggioranza dei nostri concittadini europei.

Le prossime settimane e i prossimi mesi saranno un terreno di prova cruciale per la maturità dei cittadini e dei movimenti europei di insorgere e pretendere democrazia, eguaglianza e istituzioni transnazionali capaci di garantire entrambe. Una grande campagna che porti i cittadini di tutta Europa a richiedere un profondo cambiamento radicale nelle strutture decisionali europee non è più rimandabile.

 

Lorenzo Marsili

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19/11/2011

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